Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, medio evo: Gli elmi nella battaglia di San Romano (1450 )
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Gli elmi nella battaglia di San Romano (1450 ) [ di Marco Manucci ]

La genialità e la maestria degli italiani in età rinascimentale era celebre in Europa non solo grazie all’attività di pittori, scultori e architetti. Esisteva, infatti, un’altra categoria di artisti, orgoglio del nostro paese, noti in ambiente internazionale ma a noi praticamente sconosciuti, la cui abilità e competenza hanno fatto scuola per decenni, ossia gli armaioli. Per decenni, dal Quattrocento al Cinquecento, i principi e signori di tutta Europa accorrevano nelle botteghe dei Missaglia o dei Negroli, solo per citarne due, per acquistare delle armature in piastre metalliche, vere o proprie opere d’arte, esempio supremo di finezza e praticità, ricchezza e funzionalità. Purtroppo di queste creazioni artistiche si sono conservati integri pochi esemplari nel mondo, ma per fortuna uno studio accurato di tali manufatti può essere condotto attraverso l’esame puntuale di importanti opere pittoriche che possono essere considerate in certi casi, con tutte le precauzioni necessarie, delle vere e proprie fotografie dell’epoca. Questo articolo, senza eccessive pretese, vuole essere un primo approccio metodologico a questa disciplina che possiamo definire iconografia degli armamenti, e prende in esame in particolare gli elmi dipinti da Paolo Uccello nella tavola raffigurante la Battaglia di San Romano conservata agli Uffizi di Firenze e datata intorno al 1440. La maggior parte degli uomini d’arme a cavallo impegnati in questa cruenta battaglia, in cui nel 1432 i fiorentini guidati da Niccolò da Tolentino avevano assalito e sconfitto i senesi alleati dei Visconti di Milano, cingeva con ogni probabilità un copricapo denominato elmetto, simile a quello conservato alla Armeria di Churburg a Sluderno realizzato nella prima officina Missaglia. L’elmetto fece la sua comparsa in Italia negli ultimi anni del XIV secolo, in forme grossomodo compatte e aderenti, e si contraddistingueva essenzialmente per la presenza di una visiera a protezione del volto solitamente imperniata al coppo, la parte superiore tondeggiante o conica dell’elmo, per consentirgli di abbassarsi o alzarsi. Paolo Uccello, pur nella sua sfrenata ma controllata fantasia, segue con solerte attenzione la produzione degli armaioli toscani della metà del XV secolo, proponendo nel suo dipinto un elmetto molto consono alla realtà. Fanno eccezione due particolari curiosi, che possono considerarsi a tutti gli effetti accorgimenti dell’artista, inseriti nel dipinto per ragioni estetiche e di volume: la visiera incavata alle orbite, come una sorta di maschera grottesca di carnevale, e il coppo diviso in due sezioni da una linea verticale con delle cannellature molto accentuate. Nel primo caso non si hanno riscontri nelle armerie e nelle fonti di visiere con le orbite così marcate, la vista ai guerrieri era garantita da fessure oculari, circolari o squadrate, sulla visiera o da una sottile fessura, denominata aria per la vista, lasciata fra il margine inferiore del frontale e quello superiore della ventaglia all’altezza degli occhi. Per quanto riguarda la linea che divide verticalmente il coppo, è con molta probabilità un artificio adottato dell’artista per rilevare i volumi e lo spazio. Ciò che colpisce in maniera evidente anche il più profano degli spettatori di questo dipinto, è la forma appuntita della ventaglia dell’elmetto utilizzato dai cavalieri nel combattimento, una forma a becco di passero che, infatti, ha attribuito il nome a questo copricapo. Grazie alle fonti e agli esemplari raccolti nelle armerie di tutto il mondo, possiamo dedurre che questo tipo di elmetto fosse molto diffuso negli anni trenta e quaranta del Quattrocento, ed è quindi molto probabile ritenere che fu utilizzato effettivamente dagli uomini d’arme fiorentini e senesi nella battaglia. L’elmetto dei cavalieri era, nella maggior parte dei casi, costituito da un coppo costolato fortemente tondeggiante, battuto in un singolo pezzo, che talvolta poteva raggiungere la base del cranio andando a formare una sorta di accessorio, denominato guardanuca, a protezione del collo, sulla quale venivano fissati i margini posteriori dei guanciali, ovverosia delle parti metalliche che riparavano la parte laterale del viso del guerriero, le orecchie e le guance, fissate al coppo mediante una cerniera solitamente interna. In questo tipo di copricapo molto spesso i guanciali erano così ampi che andavano a congiungersi sul mento creando una barbozza a guanciali apribile, ed erano fissati mediante bottoni a scatto, chiavette o chiodi da voltare. Nei primi decenni del XV secolo, e lo si può notare bene nel dipinto in oggetto, per incrementare l’incolumità fisica del condottiero viene aggiunto, all’elmetto da uomo d’arme, un frontale: si tratta di una piastra in metallo posta a rinforzo di una delle parti più vulnerabili del corpo del cavaliere, ossia la fronte, soggetta molto spesso a violenti colpi di spada o di mazza. Il frontale poteva essere a contorni semplici oppure sagomato in diversi modi, ad esempio con il margine superiore cuspidato, come si vede chiaramente in alcuni dei personaggi dipinti dall’estroso pittore toscano. La protezione del volto degli uomini della Battaglia di San Romano era completata da una piastra denominata ventaglia. La ventaglia, che proprio per la sua forma appuntita da il nome di elmetto a becco di passero a questo copricapo, proteggeva il naso e la bocca ed era fissata al coppo mediante una cerniera a maschietto girevole, ben visibile nel cavaliere che si trova nella parte sinistra del dipinto degli Uffizi, raffigurato da Paolo nell’atto di colpire con la sua lunga asta nera l’altro uomo in sella ad un cavallo bianco al centro. Solitamente su questa piastra venivano praticati dei piccoli fori a rosetta per l’aerazione e vi erano ribadito un piccolo manubrio, valere a dire una sottile barretta fissata alla destra della ventaglia, che permetteva al condottiero di abbassare o alzare quest’ultima molto facilmente, anche in condizioni precarie o poco agevoli. Altro elemento evidente presente negli elmetti di questi uomini d’arme era la rotellina posta sul retro del coppo. Si trattava di un piccolo disco metallico, ribadito al guardanuca tramite un sottile e breve gambo in acciaio, che copriva lo spazio, o falso d’arme, che molto spesso rimaneva scoperto fra la congiuntura posteriore dei guanciali e il coppo, e ovviamente garantiva una maggiore protezione della nuca e del collo. Un aspetto curioso in molti di questi elmetti rappresentati da Paolo Uccello, è la già ricordata cannellatura che decora la parte superiore del coppo. Si tratta di una nervatura in serie che si può trovare in diverse tipologie di elmi e copricapi, ma che è raro vedere in forme così ampie e marcate, ed è disposta in modo da formare delle specie di loggette con la base cuspidata dalle quali si intravede la cuffia metallica indossata dal cavaliere, così come si può ben notare nel valoroso condottiero citato poco in alto. La parte più vistosa di un elmo è sicuramente il cimiero. Si trattava di un elemento leggero in cuoio cotto, cartapesta, tela o legno, posto sulla sommità del copricapo, fissato al coppo mediante dei sostegni in acciaio o cuoio indurito con il fuoco. Questo complemento, pur non avendo nessuna valenza protettiva, era di straordinaria importanza per il suo carattere ornamentale e, più di ogni altra cosa, per la sua facoltà di qualificare e identificare il combattente. Essendo infatti il cavaliere scarsamente riconoscibile in battaglia, poichè ricoperto da capo a piedi dall’armatura, il cimiero, essendo unico e solitamente non ripetibile, era l’unico elemento che permetteva la sua individuazione e, in particolare, metteva in evidenza la sua appartenenza ad un determinato gradino della scala sociale. Nell’epoca del primo Rinascimento, specialmente negli anni quaranta e cinquanta del Quattrocento, per la rappresentazione dei cimieri gli artisti molto di rado utilizzano schemi illustrativi basati sulla realt’ storica, preferendo innegabilmente dare libero sfogo alla propria sfrenata fantasia con la creazione di soluzioni astratte ed eccentriche, caratterizzate da forme maestose ed appariscenti impregnate di svolazzi e volute di piume capricciose dai colori scintillanti ed estrosi. Questo tipo di decorazioni di certo si inseriscono in maniera più consona in un contesto di gioco e divertimento come potevano essere i tornei dove, tra nugoli di spettatori esultanti, arditi cavalieri si sfidano a colpi di lancia e spada per contendersi il bacio di una bella dama o principesca, dando ostentazione oltre che di forza e coraggio anche di ricchezza e benessere attraverso l’esibizione di un armamento sfarzoso e fantasioso. Al contrario risultano essere assolutamente fuori luogo in un campo di battaglia dove le parole chiavi erano efficacia ed essenzialità; tuttavia proprio in quegli anni questi cimieri si diffondono anche nelle illustrazioni di grandi scene di battaglia a causa, per l’appunto, delle innumerevoli opportunità espressive che offrivano ai fantasiosi artisti rispetto agli austeri e severi costumi guerreschi italiani dell’epoca. L’elmetto era fissato alle piastre metalliche del petto e della schiena mediante il cosiddetto canale d’incastro, una concavità a sezione semicircolare posta sul margine inferiore del coppo e della barbozza. In questa concavità trovava alloggiamento il cordone che orlava la sommità del girocollo della goletta, elemento a difesa della gola e delle parti adiacenti delle spalle, garantendo in questo modo una continuità nelle protezioni del capo e del corpo e maggior libertà nelle movenze del collo. A differenza dei cavalieri, gli uomini d’arme a piedi, i fanti, erano rivestiti da un’armatura alla leggera che assicurava una indipendenza di movimento e azione maggiore rispetto a quella dei compagni a cavallo, e indossavano un copricapo che poteva definirsi una via di mezzo fra la celata e la sua variante più raccolta, la ribalda. La celata era un tipo di armatura del capo derivante dalle forme trecentesche del cappello d’arme, e fu usato tra la seconda metà del XIV secolo e la fine del XVI indifferentemente sia dagli uomini a cavallo che, come in questo caso, a piedi, naturalmente in varianti più o meno marcate a seconda dell’epoca e del contesto geografico. Era un tipo di copricapo che, come si può vedere chiaramente nei fanti armati al centro del dipinto degli Uffizi, era costituito da un coppo che lasciava scoperto totalmente il viso o quantomeno la sua parte inferiore, ed aveva come suo elemento caratterizzante una piastra che dal lato posteriore del copricapo si allungava all’indietro a coprire il collo per proteggerlo dai terribili fendenti di spada provenienti dai cavalieri che li sovrastavano in altezza. Questo tipo di piastra appuntata, molto spesso costituita da più lame articolate come nel caso della celata all’italiana, veniva definita gronda, ed era un elemento che in forme variabilmente accentuate si poteva ritrovare in altre armature del capo dell’epoca, come i caschetti, i bacinetti e le borgognotte. Molto spesso la celata all’italiana era perfezionata da un frontale che poteva essere di spessore singolo o doppio a seconda del numero di piastre che venivano ribadite tra di loro per aumentarne la resistenza. Nel dipinto di Paolo Uccello non si riesce a percepire se la celata dei fanti sia completata o meno da un frontale, anche se nella realtà quasi certamente doveva esserci, poichè intorno al coppo questi uomini d’arme appiedati portano una vistosa e curiosa fascia in tessuto annodata sul retro del copricapo, come una moderna e raffinata bandana, di cui è difficile coglierne il significato, ma che forse doveva servire per identificare a favore di quale schieramento i fanti incrociassero le proprie armi. Altrettanto curiosi, infine, sono i cappelli indossati da certi personaggi impegnati nella battaglia. Si tratta di cappelli dalle forme e decorazioni bizzarre, solitamente a scacchi bianchi e neri, che indubbiamente sono serviti a Paolo Uccello come espedienti per suggerire una profondità spaziale e prospettica a tutta la sua eccentrica, animata e accalorata composizione.


Nell’immagine il dipinto che illustra la battaglia di San Romano
Documento inserito il: 21/12/2014
  • TAG: battaglia di san romano, elmi nella battaglia di san romano, armaioli italiani rinascimento

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