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Giovani e politica: le differenza tra anni Settanta e oggi [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

Anni Settanta, anni impegnati per la storia d'Italia. Un decennio caratterizzato da una grave contrazione economica dovuta alla crisi petrolifera e da un periodo di altrettanta crisi della nostra politica. E quando la televisione iniziava ad entrare nelle case degli italiani e iniziavano a nascere le prime radio libere, per strada i giovani scendevano in strada a manifestare per femminismo, libertà e idee politiche diverse. Una cosa normale in un Mondo democratico, ma che in molti casi ha portato a scontri fisici tra manifestanti di credo politico opposto e le forze dell'ordine. E troppe volte ci è scappato il ferito, se non il morto. Si può morire di politica? In questi ultimi anni dove l'affluenza elettorale è di poco superiore al 70% (quando allora, nei Settanta, si toccavano picchi oltre il 90%), dove i social network hanno preso il sopravvento e dove ognuno può dire la propria (magari passando gratuitamente per un hater), negli anni Settanta, soprattutto dopo il 1977, tanti 20-30enni scendevano in strada a manifestare e a difendere le loro idee. E molti non sono tornati a casa.
Nei Settanta era possibile morire per la politica. Per difendere ideali, strade, luoghi o una sede di partito. Ma se fino al 1975 la lotta era di quartiere in quartiere, dopo quell'anno si entrò in quelli che sono stati definiti gli “anni di piombo”, gli anni del terrorismo, gli anni degli spari nelle piazze. Non che le stragi di piazza Fontana, Gioia Tauro, alla Questura di Milano, Peteano, Brescia e dell'”Italicus” non abbiano avuto un “retrogusto” terrorista, ma fino al 1980 la lotta di fece più dura e oltre alle spranghe e alle Hazel36 spuntarono le pistole e le bombe divennero pesanti. Una su tutte, la bomba di piazza delle Medaglie d'oro a Bologna del 2 agosto 1980 che deflagrò alle 10:25 causando 85 morti e oltre duecento feriti. Anni duri quelli per l'Italia. Erano altri tempi, i Settanta. Per molti, anni di rinnovamento, idee geniali e voglia di uscire dagli schemi. Per altri maledetti, con rivalità senza quartiere, insulti e morti. Da entrambe le parti. Eh sì, perché a quei tempi, come detto, si moriva per la politica, una cosa immaginabile in questi anni: da Sergio Ramelli a Valerio Verbano, da Walter Rossi a Carlo Falvella, dalla strage di Acca Larentia alle morti di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi, dalla morte di Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola a Padova a quella di Fausto Tinelli e Lorenzo "Iaio" Iannucci a Milano. E molti, molti altri.
Ragazzi innocenti morti con la sola colpa di avere manifestato o avere idee diverse da chi li ha uccisi. Anni duri i Settanta, numeri da guerra civile perché oltre ai morti sono da contare i feriti o persone rimaste menomate dopo gli scontri.
Per carità, ognuno, ieri come oggi, deve essere libero di esprimere il proprio pensiero nella maniera più normale, ma in quel periodo c'erano dei veri aizzatori indiretti che esasperarono la situazione con le loro idee e le loro “prediche”, spingendo molti giovani (di destra come di sinistra) a finire nella lotta armata o a fare molto male fisico agli avversari. Erano i “cattivi maestri”, persone che hanno indottrinato centinaia di persone con idee estreme, pontificando e seducendo adolescenti arrivando a compiere imboscate contro militanti di opposta fazione, anche uccidendoli (da Sergio Ramelli a Valerio Verbano o all'assalto alla sede missina di Padova o di Acca Larentia a Roma o le morti dei “leoncavallini” Fausto e “Iaio”).
Violenza chiamava violenza in quel periodo e mentre ora gli adolescenti hanno ideali più frivoli rispetto ai coetanei di allora, nei Settanta la vita era diversa rispetto a quella di oggi e le imboscate attaccando chi allestiva gazebo o fiaccolate era una cosa possibile, ma allora erano i Settanta, dove l'avversario indossava l'eskimo e la kefiah oppure i Ray Ban anche di notte o gli stivali a punta.
In principio è stata la “battaglia di Valle Giulia” del 1 marzo 1968 a seguito dei violenti scontri tra gli studenti e le forze dell'ordine a seguito del fatto che le stesse forze dell'ordine avevano sgomberato l'ateneo romano occupato da parte degli stessi studenti.
Quel giorno da Piazza di Spagna si mosse la manifestazione verso Valle Giulia, solo che una parte dei manifestanti si staccò dal corteo ed iniziarono gli scontri.
Il bilancio fu tremendo: non ci furono morti, ma si contarono 211 feriti di cui 158 poliziotti e 211 fermi. Quella “battaglia” diede via al periodo caldo del Sessantotto e ai successivi anni Settanta, dove le occupazioni e le lotte contro le forze dell'ordine (che portarono Pasolini a scrivere la celebre poesia “Il Pci ai giovani”) erano all'ordine del giorno, con le stesse forze dell'ordine a subire aggressioni dai giovani politicizzati, reagendo in molti casi.
Da quel momento iniziarono le occupazioni capeggiate dal Movimento studentesco, accentratore di tutte le proteste e punto di riferimento di quel periodo per molti studenti e poi iniziò la stagione delle bombe, dei sequestri, delle gambizzazioni, dei delatori, di una parte (deviata) di Stato che voleva ribaltare l'ordine nazionale, segreti, bugie. E tanti giovani coinvolti.
Erano anche gli anni del primo antifascismo militante dove persone che professavano idee di destra (vicine al MSI, unico partito presente in parlamento di quella parte politica) erano perseguitate, picchiate e anche uccise. Anche in maniera brutale (vedasi “rogo di Primavalle” o l'omicidio di Sergio Ramelli). Ed essendo una guerra senza esclusioni di colpi, il livello di tensione era alto, anche persone di destra commisero gli stessi reati contro gli avversari politici di sinistra. L'odio fu talmente forte che in molte città italiane ogni volta che si tenevano comizi, manifestazioni o incontri la gente si richiudeva in casa o scappava per non essere coinvolta nelle lotte per strada.
Molti dei morti durante gli anni di piombo negli scontri di piazza o per le vendette trasversali non sono ricordati a livello mainstream, ma a ricordarli sono i “camerati” e i “compagni” che hanno vissuto, lottato, pianto e fatto (anche) carriera alle spalle di quelle morti. Eppure se non fosse per i loro amici, nessuno si ricorderebbe più del loro “sacrificio”. Una sorta di morti di “seconda classe”.
Una locuzione latina dice qui prodest. A chi giova? Sicuramente i giovani caduti durante gli anni della Contestazione non avevano messo in cantiere l'ipotesi di poter “morire sul campo” per la politica e per le loro idee, ma erano consci del fatto che avrebbero dovuto fare i conti con chi non la pensava come loro. E in quel periodo, il pensare la politica in maniera diversa portava anche allo scontro fisico, mettendo in preventivo che un giorno, prima o poi, le avrebbero date e le avrebbero prese. Ma un conto è prenderle, un conto è morire dopo averle prese.
Le vittime e i feriti sono state vittime di un sistema più grosso di loro. E ancora oggi molti di loro attendono giustizia e molti di questi ancora oggi portano sul corpo i segni della violenza del tempo senza non aver ricevuto neanche le scuse di chi li ha ridotti in quelle condizioni.
Ora che siamo nel 2018, si nota che i giovani di oggi sono completamente diversi rispetto ai loro coetanei degli anni Settanta. I giovani d'oggi non smaniano dalla voglia di andare a votare (vanno ma non hanno una propria coscienza “elettorale”), hanno poca dimestichezza con le questioni politiche, sono disinteressati ai problemi comuni.
Nei Settanta c'era un maggior senso di appartenenza verso un Mondo che cambiava, mentre ora i giovani vivono in un Mondo mordi-e-fuggi dove si posta, si lika, si instagramma, si twitta ma in molti casi non sanno chi sia il Presidente del Consiglio o della Camera e quando è entrata in vigore la Costituzione. Per carità, i tempi sono cambiati e non c'è più da combattere per qualcosa perché qualcuno anni prima aveva combattuto.
Del resto, non in tutte le famiglie italiane si parla di politica, non si discutono dei fatti quotidiani e tutto finisce con una scrollata di spalle. Non che durante le cene in famiglia si debbano risolvere i problemi del Mondo, ma anche solo parlarne fa sempre bene e questo gioverebbe ai nostri ragazzi.
Tanto per capirci: nei Settanta si parlava anche troppo di politica in casa e molti genitori hanno chiuso i rapporti con i figli e viceversa, mentre oggi si assiste ad un appiattimento delle cose. Anche perché molti genitori sono stanchi della classe politica, della conseguente gestione dello Stato e di conseguenza il menefreghismo ed il lassismo ricade sui figli.
Durante l'ultimo discorso di fine anno alla Nazione del Capo dello Stato, Sergio Mattarella ha detto chiaro e tondo che i giovani devono tornare ad essere protagonisti della politica e della vita politica, andando a votare. E questo lo ha detto in previsione del voto che si sarebbe tenuto da lì a due mesi circa.
Questi anni Dieci sono gli anni del disimpegno politico e sociale dei ragazzi. Per carità, ci sono giovani che leggono, si informano, discutono e chiedono, ma sono sempre meno rispetto ai loro coetanei del passato con la scusa del “tanto non cambia nulla”, “tanto ci pensano gli altri”, “voterò questo ma non so bene perché lo voterò”. E infatti alle ultime elezioni politiche del 4 marzo sono andati a votare meno Under 25 rispetto al passato.
Ne è valsa la pena allora? Difendere le proprie idee, il proprio pensiero e i propri valori è sempre un qualcosa per cui vale sempre discutere e confrontarsi, lasciando da parte odi e rancori. Nei Settanta si scendeva in piazza per protestare e a difendere i propri diritti, mentre oggi si scende in piazza per trovarsi per un aperitivo e scattare qualche selfie.
Qualche differenza sostanziale c'è. “I tempi sono cambiati”, diranno i più stolti. Ma lottare e combattere per qualcosa deve fare parte del DNA di ogni giovane.
  • TAG: politica, giovani, anni settanta, scontri, prima repubblica

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