Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, medio evo: La follia della fame durante il blocco d'assedio
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La follia della fame durante il blocco d'assedio

di Simone De Fraja
(Avvocato, saggista e studioso delle fortificazioni medioevali; ricercatore indipendente).


Porre l’assedio, tecnicamente, consiste nel predisporre l’insieme delle operazioni campali per cui si tenta di inibire ogni forma di comunicazione al presidio espugnato mediante l’ isolamento con l’ escavazione di fossi, recinzioni in legno o qualsivoglia altro ostacolo idoneo ad impedire il rifornimento di acqua e viveri fino alla resa per fame. Sebbene le cronache medioevali riferiscano casi in cui il blocco non risulti assoluto, proliferando in tal senso falle ben sfruttate nell’imposto isolamento, il blocco ossidionale per quanto dispendioso in termini economici e di tempo, oltre ad enormi sacrifici nella attesa campale, solitamente portava i risultati prefissati. Infatti, al blocco materiale posto attorno alla fortificazione come nel caso di Poggio Santa Cecilia -il castrum ad frontieras tra Arezzo e Siena- si aggiungevano le prescrizioni dei governanti senesi, che imponevano di mantenersi a distanza dall’area assediata, proibendo lo scrivere lettere, o mandare ambasciate pubblicamente, o in occulto a quelli del detto Poggio, o dare a’ medesimi aiuto.
Proprio per abbreviare la durata e lo sforzo militare, con tutto il necessario indotto per la sopravvivenza in campo, i tempi venivano accelerati pressando l’assediato con continuos stimulos et per alia argumenta, scrive il doge Andrea Contarini nel 1368. Stimoli e pressioni sia psicologiche che belliche per le quali venivano impiegati “machinamenta” e “ingenia”, per dirla con G. Villani, di cui la letteratura cronachistica offre un interessante panorama.
Nel punto di frizione tra il territorio aretino e senese, nel corso dell’assedio della fortificazione di Poggio Santa Cecilia, i Ghibellini furono presto colti dalla fame e dalla sete; infatti, più volte tentarono di fuggire dal castello cinto dallo steccato d’assedio, corrompendo i Guelfi preposti alla sorveglianza o forzando i punti deboli della palizzata conducendosi a mangiare i topi e rodere i cuoi dei tavolacci, e ricoglievano la rugiada per sete ch’avevano e finalmente il loro piscio bevevano. La veristica e grottesca situazione dipinta dal cronista sembra ricalcare un toposdi antica provenienza in cui lo stremo e la necessità di sopravvivenza hanno il sopravvento.
Giuseppe Flavio, relativamente all’assedio di Gerusalemme, riporta che la necessità spingeva a mettere sotto i denti qualunque cosa e dava loro [assediati] il coraggio di raccogliere e mangiare roba che perfino i più immondi fra gli animali irragionevoli avrebbero rifiutato. Alla fine si attaccarono anche alle cinghie dei calzari e strapparono il cuoio dagli scudi cercando di masticarlo.
Situazioni di tale disperazione appaiono frequentemente nel corso di blocco d’assedio.
Entro la fortificazione isolata, entro lo steccato d’assedio, i difensori che offrono resistenza sono condannati alla scelta tra la lotta per la sopravvivenza con probabile morte per stenti e malattia ovvero arrendersi con l’illusione di non essere uccisi qualora non si riesca a raggiungere patti o capitolazioni politiche.
Il Liber de obsidione Ancone di Boncompagno da Signa, fortunosamente giunto sin oggi, tratta l’assedio posto ad Ancona nel 1173 dalle truppe di Federico Barbarossa, via terra, e dalla flotta veneziana, via mare. Le gesta romanzesche della città che resiste all’assediante in condizioni gravissime per la completa mancanza dei viveri sono, per quanto enfatizzate, marcate da vivo verismo. Non c’è né pane né legumi, si macellano cavalli ed asini, si bolle il cuoio che così viene ammorbidito, si cacciano cani, topi e attinie, le madri non hanno più latte per i propri figli. Denutriti da giorni, non più capaci di sorreggere nemmeno lo scudo, i difensori resistono e combattono suscitando ammirazione tra gli stessi nemici.
Canes et gattas et coria mortuorum animalium, come sostentamento degli Anconetani, sono rammentati dagli Annales Pisani mentre gli Annales di Alberto di Stad registrano che Cristiano di Buch, legato del Barbarossa, aveva ridotto Ancona così allo strenuo ed alla fame che gli assediati calceorum et scutorum coria devorarent. Nel Liber de temporibus Alberto Miliolo ricorda che gli Anconitani erano talmente disperati ut inmundas carnes et coria condita ceteraque illicita vel inmunda comederent. Le condizioni estreme cui il corpo è sottoposto portano ad una travalicamento dei limiti biologici, etici e religiosi, uomini e bestie, mondo ed immondo.
Siria, Ma'arra, dicembre 1098. Dopo l’assedio di Antiochia e conseguente conquista, le truppe guidate da Raymond de Saint Gilles e Boemondo di Taranto erano stremate, divise da lotte intestine e denutrite al punto che durante il blocco d’assedio della città, nel campo dei Crociati, secondo l’autore delle Gesta francorum et aliorum Hierosolymytanorum, si erano visti uomini che mordevano radici di alberi e scarpe e si contendevano ratti e gatti morti. Le cronache annotano episodi di furia e disperazione, violenza e follia da cui le truppe della prima Crociata erano completamente avvinghiati. La debilitazione fisica, prossima al decesso, la paura, il mors tua vita mea, annullano ogni confine razionale, annullano ogni freno inibitore facendo regredire l’ essere umano. La pagina di Ma’arra è tristemente famosa, notoriamente rappresentata nelle miniature di codici in cui sono raffigurati atti di umana barbarie ancorché spinti e dettati da condizioni fisiche e morali oltre lo stremo tanto da giungere, a causa della carestia che aveva colpito i Franchi nell’inverno di Antiochia, alla necessità di nutrirsi di cadaveri di Saraceni; di tale situazione venne messo al corrente il Papa. I Crociati facevano bollire i pagani adulti nelle marmitte, infilavano i bambini in spiedi e li divoravano una volta posti ad arrostire, annota Raul de Cahen: una visione quantomeno caricaturale, oltreché simbolica, delle efferatezze comunque compiute in una situazione oltre l’umana sopportazione. Alberto d’Aix ricorda che ai Franchi non solo non ripugnava di mangiare né Turchi né Saraceni uccisi, ma nemmeno i cani.
Sebbene non tutti gli autori concordino in univoca successione cronologica e sebbene molti degli episodi descritti debbano essere ridimensionati, Fulcherio di Chartres, nella Historia Hierosolimitana piuttosto asciutta e veritiera, rabbrividisce nello scrivere che molti dei nostri, molestati dalla follia della fame eccessiva, hanno tagliato pezzi delle natiche dei Saraceni, già morti lì, che hanno poi cucinato, che sebbene ancora non abbastanza arrostiti dal fuoco, li hanno divorati avidamente. Quella grottesca ed orrenda festa crudele terminò con la devastazione degli edifici e l’abbattimento delle mura e delle difese della città.
Achille Deville, romanzando le opere di Rigord e Guillaume le Breton, ricorda le sofferenze dei disperati della fortificazione di Chateau Gaillard posta sotto assedio da Filippo Augusto nel 1203. Questa si trovava nella zona di frizione tra il confine inglese e francese, arroccata sopra una ansa gessosa della Senna, non lontano da Rouen; era stata circondata da imponenti opere campali e stretta nel blocco da diversi mesi. I difensori e gli individui operativi erano asserragliati nella parte alta della fortificazione mentre, nella bassa corte, nei fossati e nelle spelonche calcaree dei fossati, si erano rifugiati gli sfollati del paese di Les Andelys e coloro che non potevano intraprendere una difesa per infermità od impossibilità: sostanzialmente tutti coloro che anche Antonio Cornazzano, nel De re militari (Lib. VIII), consiglia di lasciare fuori per non aggravare le condizioni dei difensori: per lo consiglio mio fora si casse/ femine, putti, vecchi, i ciechi, i matti.
Gli sventurati, rimasti privi di sostentamento, così come del resto anche gli interiores (gli assediati), se précipitaient sur ces animaux, et les mangeaient avec volupté. Cette ressource commençant à s'épuiser, un grand nombre d'entre eux mourut dans les horreurs de la faim. Un volatile che si trovò a passare nel fossato fu prontamente catturato e divorato con le penne ed interiora immonde. Le Gesta Philippi Augusti di Guillelmus Armoricus riferiscono che non appena Filippo Augusto, giunto a Chateau Gaillard per verificare le attività e le opere in terra e legname con cui la fortificazione era stata isolata, accortosi della gravissima situazione in cui versavano gli assediati stipati nelle grotte e notato, tra gli altri, un tale ridotto allo sfinimento che habebat coxam canis in manu, qua vescebatur, ordinò che fosse loro fornito del cibo. Tardive pitié!, scrive il Deville: oltre la metà dei disgraziati era già morta; gli altri, dopo mesi di stento esposti a freddo, gelo e nebbia, si gettarono sulle vettovaglie con impeto e accepto tamen cibo fere omnes mortui sunt.

Documento inserito il: 15/03/2019
  • TAG: assedio, fame, follia, cannibalismo, medioevo

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