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La religiosità degli antichi liguri

di Ivana Moretti

Nonostante i Liguri fin dall’antichità abbiano avuto contatti con popoli differenti, essi hanno saputo mantenere una propria precisa identità religiosa, al punto che gli stessi Romani hanno trovato difficoltà notevoli persino nell’introdurre la loro religione.
La situazione religiosa dell’area ligure era molto complessa e questa complessità durò a lungo tanto che persino la romanizzazione dei Liguri fu lenta, difficile e dolorosa. In verità non si sa quanto di romano i Liguri abbiano veramente accolto nella loro cultura e nella formazione della loro identità, ma sappiamo che i Romani nelle terre liguri incontrarono l’esistenza di consuetudini religiose e di culti locali con i quali il loro pantheon dovette fare i conti e questo fino almeno all’arrivo del cristianesimo. Il cristianesimo entrò in Liguria passando attraverso tre vie: la mediterranea, la milanese, la provenzale. La nuova religione pervenne comunque dal Mediterraneo ed inoltrandosi sulle strade romane e le vie fluviali dell’Impero, penetrò nell’area europea, favorita, forse, dalla pax Antonina del II secolo. In Liguria essa si innestò su antiche e ben radicate presenze di riti e culti tradizionali di matrice naturalistica, riti legati a una sacralità celtica di fonti e boschi, sulla quale a stento si stese la crosta della romanizzazione. Si trattò di un sistema complesso, destinato a restare vivo anche in età assai più avanzate, nel persistere di pratiche magiche e stregoniche, nelle scansioni festive di calendari locali e in quella sorta di magia cristiana in cui pure San Pietro figurò come un “arcimago”. Come non si può non ricordare il proverbio genovese per il giorno di San Pietro (29 giugno): “San Pé u ne veu un pe lé” (San Pietro ne vuole uno per lui), per cui in quel giorno, secondo la credenza genovese, c’è sempre un morto affogato! La religiosità degli antichi Liguri si può racchiudere, contrariamente a quello che si può pensare, non in riferimento al mare, bensì in quello che oggi definiamo come il culto delle vette. Esso rappresenta una forma di spiritualità antichissima nella quale si rappresentano i vari paesaggi della civiltà ligure: dai cacciatori raccoglitori, ai coltivatori, fino ai tempi più recenti. Questa forma di spiritualità rappresentò un modo tipicamente ligure di rapportarsi con la divinità, che loro stessi abbandonarono, con notevoli difficoltà e mai definitivamente, come abbiamo detto solo parzialmente durante l’età romana. Fu il legame con la propria terra quello che spinse intere tribù liguri a suicidarsi, piuttosto che affrontare la deportazione a opera dei Romani e questo atteggiamento appare chiaramente connesso all’adorazione per gli elementi che di quella terra-madre fecero parte.

Uno dei luoghi dove meglio si possono cogliere i segni concreti di quella che fu la religione dei Liguri, è proprio sulle Alpi Maritime. Sia sul Monte Bego, come sul Monte Beigua troviamo innumerevoli incisioni nella roccia. Queste incisioni sono il risultato del sovrapporsi di diversi riti e simboli legati alle transumanze dei pastori, che lì cercarono acqua e foraggio per i loro greggi durante la stagione estiva. Nei disegni ad alta quota si assiste poi a un’evoluzione figurativa, che permette, forse, di seguire il progressivo sviluppo dei vari culti, prima espressi con simboli di animali, poi con simboli solari o stellari, quindi con armi di metallo e infine con la rappresentazione di figure di significato magico-religioso, come il “Capo Tribù” e il “Mago”. Più della metà delle incisioni comunque rappresenta disegni stilizzati di corna, soprattutto di bovidi, espressione di culti relativi a una montagna consacrata al dio-toro, signore di paurose tempeste, le quali però fecondarono la terra. Ad esempio gli stessi nomi Beigua e Bego sembrano riportarci al termine bec, che si trova anche alla radice di una terminologia dialettale, che riguarda tanto il montone quanto il bidente usato in agricoltura (o forse al Biagorix-Baigos, come sostengono alcuni studiosi, indicante una divinità guerriera pirenaica). Il culto delle vette lo ritroviamo anche nello stesso nome del monte Penna, la cui punta aguzza rappresenterebbe il dio Pennino, adorato dagli antichissimi Liguri. La terminologia deriverebbe in tutta l’area ligure dalla radice penn e sarebbe in relazione al celto-ligure Albiorix, ossia il dio protettore delle altezze. Certamente non è sempre vero che vette, passi e valichi, sia pure disseminati di incisioni di carattere simbolico, abbiano rappresentato località sacre, tuttavia una simbologia riferibile al sacro si ritrova anche in altre zone, che sono comunque collegabili a importanti funzioni di crocevia commerciali. Fu poi solo intorno al VI secolo a.C. che i graffiti sul monte Bego andarono scomparendo, segno che forse l’antico culto delle vette e delle forze naturali venne sostituito dalle nuove progressive influenze di origine celtica, che riuscirono a ben integrarsi sul territorio proprio perché anch’esse si rifecero a culti naturalistici.

Altra testimonianza importante sono le statue-stele ritrovate in Lunigiana (III millennio prima di Cristo – VI secolo a.C.). Anche se ancora oggi non possiamo stabilire con certezza chi furono i veri creatori di queste strane sculture che coprirono un arco temporale estremamente lungo (2500 anni), sparse in gran numero per tutta la Lunigiana, esse furono certamente l’espressione di una “fede” e di un rituale che coinvolse tutta l’Europa. I luoghi delle scoperte interessano principalmente il punto d’incontro del fiume Magra con i torrenti Aulella e Taverone, la zona della selva di Filetto, la zona di Sorano a Filattiera e la Lunigiana orientale. Non è difficile quindi ipotizzare che anch’esse furono comunque in qualche modo legate a divinità come la Dea Madre, facendoci rimanere sempre così in tema di riti naturalistici. Le statue stele sono una testimonianza figurativa tra le più importanti della storia degli antichi Liguri. Gli studiosi hanno distinto le oltre 60 stele ritrovate in tre gruppi: le stele del primo gruppo, estremamente più stilizzate sono seguite dalle stele del secondo gruppo dove la testa ha la classica forma semilunata, spesso caratterizzata dalla presenza di ornamenti femminili o di armamenti maschili, come asce o pugnali. Infine le stele del terzo gruppo che sono invece quelle che più si avvicinano alla figura tuttotondo della statua con le caratteristiche anatomiche sempre ben definite. Esse insomma testimoniano i notevoli scambi culturali tra i Liguri e le restanti popolazioni dell’Europa. Un luogo interessante che testimonia il solo “apparente sincretismo” degli antichi Liguri è la caverna delle Arene Candide a Finale Ligure, dove sono state rinvenute numerose sepolture risalenti al Paleolitico superiore, tra cui quella di un adolescente conosciuto come il principe delle Arene Candide (la sua morte dovrebbe essere imputabile a un incidente di caccia).

La sepoltura del principe, così chiamato per la ricchezza del corredo, è una delle più importanti nella Preistoria dell’umanità. I materiali del corredo funebre, che sono stati rinvenuti, dimostrano come appunto anche nel Paleolitico superiore le popolazioni si spostassero e si scambiassero oggetti. Il giovane “principe” venne sicuramente a contatto con la cultura Gravettiana, la più grande cultura paneuropea sviluppatasi 28000 anni fa fuori dall’Italia in un’area dell’Europa centro-orientale. I Gravettiani sono probabilmente entrati in Italia dalla Liguria, la lama di selce proveniente dalla Francia e gli oggetti di alce, trovati come corredo alla sepoltura, provano che questi oggetti erano estranei al nostro territorio. Il ragazzo fu seppellito nella grotta, che veniva frequentata dal suo gruppo alla fine dell’estate o all’inizio dell’autunno, soprattutto per la caccia ai grandi mammiferi. Il corredo sepolcrale ci porta, come dicevamo, a una serie di osservazioni che è interessante evidenziare a cominciare dal copricapo, composto da una fila di conchiglie marine. In mezzo a queste conchiglie sono stati ritrovati oggetti che hanno una particolarità e una rarità ulteriore: sono ciondoli ottenuti dall’avorio delle zanne di mammuth. Il mammuth non viveva a quell’epoca in Liguria ed è probabile quindi che questo avorio sia stato trovato, recuperato o sia arrivato alla comunità, a cui appartenne il giovane principe, attraverso scambi che avrebbero coinvolto aree più settentrionali rispetto alla costa tirrenica. Ma non è questo l’unico elemento di eccezionalità e di rarità di questo straordinario corredo; ci sono, infatti, all’interno della sepoltura, ed è l’unico caso in Europa, quattro bastoni forati così chiamati perché in realtà il loro uso non è ancora del tutto certo: sono bastoni forati ottenuti da un palco di alce, un animale anch’esso raro e non presente in Liguria in quel periodo. Una selce di origine francese, come dicevamo all’inizio, poi venne stretta nella mano destra del principe e fu appoggiata sul petto. Insomma per concludere, i Liguri, pur avendo avuto contatti e scambi con numerose popolazioni, furono sempre rispettosi della libertà altrui come della propria, non si ricorda infatti nessuna spedizione di conquista partita dai loro monti, e proprio per questo ci appaiono oggi, attraverso i secoli, quasi fatti a immagine delle loro tanto “adorate” aspre montagne, duri e stabili come esse.
Documento inserito il: 22/10/2018
  • TAG: liguri, religione, corredi funebri, arene candide

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