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Lo spremitore mistico nel Medioevo

Articolo di Katia Bernacci


Nel Vangelo secondo Giovanni si trova la frase: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo”. Si tratta di una immagine forte, che identifica il padre con colui che crea, in questo caso la vite, simbolo di purezza, prosperità, fertilità.
È anche una prova di quanto la storia della vinificazione sia antica e dell’importanza che ha avuto nelle epoche che si sono succedute. Le prime tracce di piante di vite si sono trovate nel 7000 a.C. in Cina e successivamente nelle altre zone, come la Georgia e l’Iran; come tutte le innovazioni, il trasferimento della “scoperta” e la tecnologia necessaria per produrre il vino, ha avuto una diffusione pronta e relativamente veloce, se la paragoniamo a un mondo decisamente più ristretto rispetto al nostro.
Strumenti per la vinificazione, tra cui torchi e contenitori sono emersi da uno scavo in Armenia e datati 4100 a.C., mentre in seguito la diffusione riguardò anche l’Egitto e tutta l’Europa, senza disdegnare Roma e la Grecia, luoghi nei quali non solo il vino era prodotto, consumato e commerciato, ma era anche diventato una vera e propria divinità, Dioniso per i greci e Bacco per i romani.
Nel Medioevo la vinificazione diventò una prerogativa dei monasteri e alcune realtà, come nelle magioni in Champagne e Rossilione, gestite dai cavalieri Templari, i prodotti venivano venduti e trasportati anche all’estero.
Un culto particolare che riguarda Cristo è quello dello spremitore mistico, che ha avuto ampia diffusione in alcuni paesi come la Francia. Si tratta dell’immagine di un Cristo vendemmiatore, ritratto mentre pigia i raspi d’uva, durante la Passione, rappresentata da una croce che diviene in alcuni affreschi un torchio enorme, che schiaccia a sua volta e infatti si vede colare il succo dell’uva, che diventa anche il sangue del Redentore, che purifichirà coloro che lo avrebbero osservato e pregato.
Il tema iconografico è antichissimo, ma dal XIV secolo prese nuovo slancio, forse anche perché gli artisti vennero rapiti da questa immagine a cavallo tra la quotidianità e la sacralità e le rappresentazioni si moltiplicarono.
La prima raffigurazione è forse quella del Giardino delle delizie, l’Hortus Deliciarum della badessa Herrade de Landsberg, del XII secolo. Oltre a essere una delle prime opere enciclopediche redatte da una donna, rappresenta una immagine inequivocabile: Dio ha piantato la vigna quando ha creato la natura umana, quindi l’uva è un frutto divino della terra, che serve anche per la guarigione, oltre che per il contatto con la divinità.
Il XIII secolo è stato poi un gradino importante dell’affermazione di alcuni concetti, come il sacrificio, che, sostiene Jacques Le Goff nel suo “Un long Moyen Âge”, è dovuto all’opera dei francescani e di San Bonaventura. È di qui che la pressa diventa enorme e pesa sulle spalle del Cristo, girato verso l’osservatore e dal viso sofferente.
Con un certo sadismo, alcune di queste immagini mostrano Dio che gira la vite della pressa, come nel caso dell’opera di Ernst Van Schayck “Cristo nel torchio mistico”, conservata a Metelica (MC), oppure nella chiesa di Chiesa di San Gumberto ad Ansbach (Germania), dove un’artista ignoto ha prodotto l’immagine in cui la Madonna sostiene il braccio di Gesù, che, mentre Dio gira il torchio, vede uscire da lui ostie benedette, raccolte da un vescovo.
È interessante notare che il tema verrà ampiamente usato in Francia, mentre in altri luoghi, ad esempio l’Inghilterra, verrà considerato eccessivamente crudo. In Italia non prese piede se non nei luoghi di frontiera, più vicini alla Francia, anche perché si preferì il “sangue del redentore”, dove un personaggio, spesso un angelo, raccoglie con un calice il sangue delle ferite di Cristo.
A Napoli la stessa simbologia ha dato invece vita a un vino particolare, chiamato Lacryma Christi, la tradizione racconta che quando Lucifero venne cacciato dal Paradiso, portò con sé un pezzo di cielo, che cadde sul Vesuvio; Dio vide e si mise a piangere, e proprio dalle sue lacrime nacque la vigna che produsse il vino omonimo.
Con il passare del tempo, poi, il tema del Cristo pressatore divenne più filosofico, lo dimostra il dipinto del 1534 della cattedrale di Erfurt, opera di un maestro tedesco, che racchiude l’idea del nuovo pensiero: in alto, Dio Padre contempla i quattro evangelisti, raffigurati attraverso simboli animali, mentre versano nel torchio le parole dei loro Vangeli. Nel registro inferiore, gli Apostoli azionano la macina, impastando il Verbo evangelico. Al livello più basso, appare il Bambino, divenuto ostia, raccolto in un calice dai quattro Dottori della Chiesa. Tra questi, si riconosco sant’Agostino e sant’Ambrogio.
Quello che appare evidente è che il tema del Cristo pigiatore ha saputo raccogliere una delle manifestazioni terrene della vita dell’uomo, che racchiude la ritualità, il sostentamento e anche il commercio, rendendola un’immagine simbolica e salvifica che era difficile da dimenticare, soprattutto per l’uomo medievale, alla ricerca di redenzione per i propri presunti peccati.


Immagine lavorata da Marino Olivieri ph “Pressatore mistico, Bibbia Moralizzata di Filippo l’Ardito 1485-1493”.


Documento inserito il: 16/08/2025
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