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Fonti per la storia anglosassone, danese e tedesca dei secoli IX e XII

di Davide Arecco


La Anglo-Saxon Chronicle e la cultura dei monasteri nell’Inghilterra dell’Alto Evo

Chi ha letto il ciclo di Excalibur e le storie dei Re sassoni di Bernard Cornwell – oltre certo ad apprezzare non poco una ricostruzione storica vivida e documentatissima, sorretta da una scrittura avvincente che non rinuncia all’occorrenza a belle immagini – avrà forse scorto dietro, l’intelaiatura della narrazione, rimandi ed echi alquanto puntuali e alla storia e alla storiografia anglo-britanniche fra tarda antichità e alto Medioevo. In particolare, Cornwell ha utilizzato con frutto la celeberrima e tuttora utile Cronaca anglosassone, una raccolta di annali in antico inglese. Il primo manoscritto del corpus venne redatto, sul finire del secolo IX, quasi sicuramente nel Wessex, nel corso del Regno di Alfredo il Grande. Dalla versione originale della raccolta, vennero copiati diversi esemplari, presto distribuiti nei monasteri inglesi, sovente continuati ed aggiornati in modo indipendente, gli uni dagli altri. L’ultima postilla alla Cronaca risale al 1153. Nove manoscritti sono arrivati sino a noi, talora completi: documenti dall’alto valore storico e dalla estrema utilità, al fine di illuminare un passato – assai nebuloso e, per questo, ancora più affascinante – in cui storia, mito e leggenda intrecciano, in maniera pressoché inestricabile, i loro reciproci piani.
La redazione del manoscritto più antico della Cronaca anglosassone cominciò probabilmente negli ultimi anni di Regno di Alfredo, mentre il più recente – la Cronaca di Peterborough, dal nome della abbazia in cui fu scritta – risale a poco dopo il 1116. Il materiale, come spessissimo – o meglio quasi sempre – accade nel caso della storiografia latina medievale, segue un’impostazione di segno annalistico: si va dal I secolo a.C. sino al XII d.C. Un’opera collettiva quindi, la cui compilazione si protrae, a lungo, nel corso dei secoli, attraversando il tempo e raccontandolo. Frutto dell’inesausto e paziente labor degli amanuensi, la Cronaca resta ancora oggi la maggior fonte storica sulle vicende politiche, dinastiche, religiose e militari dell’Inghilterra dopo la partenza degli invasori romani, sino ai decenni immediatamente successivi alla conquista normanna. Moltissime informazioni, presenti e descritte nella Cronaca, non si trovano altrove e la loro unicità documentaria contribuisce a rendere speciale ed imprescindibile il complesso dei testi manoscritti. Questi ultimi, inoltre, sono importanti anche per gli storici della lingua inglese: fra l’altro il Peterborough Text è l’ultima registrazione dei più antichi esempi oggi esistenti di Middle English. Sette dei nove manoscritti rimastici ed alcuni frammenti degli altri sopravvissuti sono conservati oggi presso il Fondo antico della British Library, e altri due si custodiscono invece alla Bodleiana di Oxford e nella Parker Library del Corpus Christi College dell’Università di Cambridge. La prima edizione a stampa della Cronaca, nel 1692, riportò il titolo di Chronicum Saxonum (gli Angli erano come noto guerrieri sassoni).
La questione relativa alla composizione della Cronaca anglosassone rimane complessa, ancor oggi un rompicapo, per storici e filologi. La prima versione fu stesa nel tramonto del secolo IX, da uno scriba del Wessex, base per le copie successive, di area monastica. Ulteriori esemplari vennero, inoltre, redatti per una più ampia circolazione fra i dotti (storici, teologi, giuristi, grammatici), o per prendere il posto di copie frattanto andate perdute. Il lavoro di aggiornamento fu assai durevole, e si protrasse sino al Duecento inglese. Il manoscritto più antico è la Cronaca di Winchester, compilato da un solo scriba, sino all’anno DCCCXCII, ed il materiale seguente fu aggiunto indipendentemente da altri autori, rimasti anonimi. Il manoscritto di Winchester è vicinissimo all’esemplare originale della Cronaca e in generale si ritiene che tali annali siano stati composti tra l’871 e l’899, durante il Regno di Alfredo il Grande. Il monarca, infatti, era impegnato in prima persona, nella rinascita della cultura e del sapere inglesi. Durante il suo Regno, infatti, egli incoraggiò in Terra degli Angli l’uso dell’inglese, come lingua scritta. La compilazione della Cronaca anglosassone fu indubbiamente il massimo frutto e l’esempio più concreto della politica culturale del sovrano anglico. Distribuirne le copie ai monasteri e ai centri di cultura più strategici significava perpetuare la tradizione storica, in Terra degli Angli, così come promuovere congiuntamente e materialmente il sapere.
Sette dei nove esemplari manoscritti della Cronaca sono in Old English e uno di essi – ossia il manoscritto di Canterbury – presenta, in aggiunta, anche la traduzione di ogni annale in latino. Altro manoscritto chiave è la Peterborough Chronicle, in inglese antico, tranne che per l’ultima parte, che è nel primo Middle English. Il manoscritto più antico resta la Winchester Chronicle – oggi custodito nella Biblioteca del Corpus Christi College, Ms. 173 – nota anche come Parker Chronicle (in onore del teologo anglicano del XVI secolo Matthew Parker, vissuto tra Lambeth e Norwich, arcivescovo di Canterbury). Sei copie manoscritte della Cronaca anglosassone furono dati alle stampe nel 1861, nelle Rolls Series, curate da Benjamin Thorpe, con il testo distribuito su colonne, contrassegnate da A sino a F, con i sei esemplari aggiuntivi chiamati da allora [G], [H] e [I]. Un frammento cottoniano della Cronaca di Parker è oggi conservato nel Fondo antico del British Museum (Ms. Otho B xi, 2), dove sono custodite inoltre due copie della Cronaca di Abingdon (Mss. Tiberius A 6 e B 1), mentre la Cronaca di Worcester è anch’essa presente al British Museum (Cotton Ms. Tiberius B 4). A dire poco fondamentale il manoscritto oxfordiano conosciuto come Cronaca di Laud (Bodleian Library, Ms. 636). Sono infine da ricordare poi la così detta epitome bilingue di Canterbury (British Library, Ms. Domitian A 8) in inglese e latino, la copia della Winchester Chronicle (British Library, Cotton Otho B 9-10), il frammento cottoniano del British Museum (Ms. Domitian A 9), ed infine il testo di An Easter Table Chronicle (British Museum, Ms. Caligula A 15). Alla stesura del primo esemplare manoscritto della Cronaca anglosassone lavorarono, almeno, quattordici scrivani, intorno all’891, al tempo come detto di Re Alfredo, il solo punto di riferimento per gli Angli durante le guerre danesi.
La Cronaca anglosassone rimane la maggiore fonte storiografica inglese per l’intero periodo anglosassone dai Romani ai Normanni, insieme alla Historia ecclesiastica gentis Anglorum di Beda il Venerabile. L’importanza dell’opera è fuori discussione. La cronaca rispecchia inoltre un tipo di documentazione annalistica che iniziò a diffondersi, in Inghilterra, con l’avvento del cristianesimo: documentazione che può essere anche stata precedente alla stessa Cronaca, e dunque incorporata in essa. Molte informazioni risalgono, infatti, ad epoche assai antiche e lontane nel tempo. La Cronaca è un testo essenziale, dal punto di vista non solo storico, ma anche linguistico. E’ in effetti la storia di una terra (quella degli Angli) e di un popolo, dei suoi Re e del suo idioma. I brani contenuti nella Peterborough Chronicle passano ad esempio dall’inglese letterario arcaico sino al primitivo inglese dell’Era di mezzo, dopo il 1331. A partire poi dal X secolo, la Cronaca riporta pure alcune poesie in inglese arcaico, scritte per celebrare le figure dei monarchi ed i loro successi in battaglia. Atelstano, ad esempio – vincitore di Danesi, Scoti e Britanni celtici, a Strathclyde, nel 937 – venne celebrato in The Battle of Brunanburh. Altri componimenti poetici più brevi sono Capture of the Five Boroughs (942), The Coronation of King Edgar (973), The Death of King Edgar (975), The Death of Prince Alfred (1036) e The Death of King Edward the Confessor (1065), altro epitaffio funebre, dalla vena lirica mai spregevole.
La cronologia anglosassone originale fu affidata per volere esplicito di Alfredo il Grande alle più importanti strutture monastiche del Regno inglese. Nei monasteri, i diversi manoscritti vennero, in tale maniera, custoditi ed aggiornati, quasi sempre indipendentemente l’uno dall’altro. Le varianti locali peraltro non mancarono: a seconda della latitudine, furono presi in considerazione fatti molto importanti, per le genti di un determinato luogo (ad esempio la fertilità di un campo, o una stagione agricola particolarmente buona). Microstoria e macrostoria pertanto si intersecano, nella Cronaca, talvolta persino a vantaggio della prima. Del resto, gli Angli erano molto gelosi dei loro territori e possedimenti locali, motivi di tradizione e orgoglio. Il confronto tra gli annali consente peraltro allo storico di disporre di un ricco ed esauriente quadro d’insieme, abbastanza lineare e definito. Ne vien fuori un documento che è la prima storia continuativa, scritta da europei, nella loro lingua madre. In certi casi, inoltre, è possibile individuare le fonti di alcuni annali (Beda per l’anno 430, Prospero di Aquitania per la registrazione della missione evangelica in Scozia, voluta da Papa Celestino). Ogni scriba, infine, mise poi qualcosa di suo e tali interventi spiegano errori o discordanze.


Nella Terra degli Angli: Re Alfredo il Grande, il Wessex e il vescovo Asser

La Cronaca di Winchester venne usata dal vescovo Asser per la sua Life of King Alfred, opera scritta nell’anno 893. Asser, noto latinamente anche come Asser Menevensis, visse tra il IX secolo e il X (morì nel 909). Fu dapprima monaco cristiano nel monastero di Saint David nel regno di Dyfed (fino all’anno 885) e quindi vescovo in Galles a Sherborne (dall’890), nonché consigliere e biografo di Alfredo il Grande, il Re del Wessex, che resistette alle incursioni ed invasioni dei Danesi, anche quando la Northumbria e l’East Anglia erano cadute per mano vichinga. Nel Dyfed Asser visse sino a quando il monastero e il regno furono conquistati dalla progenie di Rotri Mawr, a seguito di una alleanza politico-militare fra invasori Danesi e monarchi Gallesi – allora i Britanni di natali celtici si erano infatti rifugiati nelle pressoché inespugnabili foreste di Cornovaglia e Galles – chiaramente in funzione anti-anglosassone. Asser riparò a quel punto nel Wessex, e il sovrano di esso mandò allora il religioso in missione diplomatica, a Winchester. Un reclutamento che fece di Asser anche un vero e proprio soldato, non solo della fede, introducendolo così nella cerchia privata dei più intimi di Re Alfredo, a corte. Qui, Asser si dedicò soprattutto alla formazione dei chierici e dei nobili angli, e fu in questo affiancato da personaggi di spicco in ambito teologico, provenienti da tutta la Britannia di allora, nonché dal continente europeo. Asser fu magister di lingua e letteratura latina, presso la corte alfrediana. Fu lui a far tradurre la Cura pastoralis di Gregorio Magno e le opere di Severino Boezio sulla matematica e l’aritmetica pitagoriche. In campo politico e strategico-militare, fu sempre lui a riavvicinare Sassoni e Gallesi, vale a dire Angli e Britanni, sino a fargli stipulare una indispensabile alleanza in funzione anti-danese. Per combattere le azioni dei Vichinghi e riavvicinare le province, i regni e le contee meridionali dell’Inghilterra, Asser viaggiò lungamente in Demetia e Morganwy, in Brecheinoc e Gwent, facendone alleati fedeli del Wessex di Re Alfredo.
Asser fu anche – come ricordato dalle interpolazioni alla sua Vita (1603) di William Camden, antiquario di epoca tudoriana e storico dell’Inghilterra, araldo e tipografo, nonché iniziatore delle ricerche corografiche a Nord della Manica – tra i fondatori, assieme al suo Re, della Università di Oxford. L’opera maggiore di Asser resta la latina Vita Alfredi, che concerne in maniera diretta il suo Re. Il modello fu la Vita Caroli di Eginardo ed il genere quello degli specula principi, tra biografia e agiografia. La vita fu compilata dal monaco di Saint-David, con taglio annalistico, sul modello qui della Cronaca anglosassone. Lo scopo manifesto era quello di celebrare il sovrano, intrecciando le sue vicende personali e di condottiero con la storia politica e dinastica, militare ed ecclesiastica, del Regno (e del Wessex e dell’Inghilterra). L’opera termina con l’anno 893, dopo aver rammentato del monarca la fervida fede e le operazioni belliche in difesa dei confini inglesi contro i Danesi.
La Vita Alfredi ebbe notevole fortuna dall’Alto Medioevo sino a fine Settecento. Manoscritti i quali riprendono la redazione asseriana sono riportabili al XII secolo, mentre le prime impressioni a stampa apparvero a partire dal 1574. I due manoscritti più antichi sono scomparsi nel 1731 a seguito dell’incendio della Cotton Library. Aspetti leggendari e mitografici sono stati aggiunti morto Asser da alcuni commentatori di età successiva. Poco fedele la versione di Florence di Worcester (il quale omise, deliberatamente, certe sezioni dell’opera), discutibile quella di Simeone di Durham, monaco del secolo XII, che mise insieme gli (oggi perduti) Annali di Northumbria e lo scritto del religioso e diplomatico gallese, sino a tracciare un quadro storico del periodo che va dal 731 all’anno 801, per poi riprendere il discorso in occasione del triennio 849-851. Lo stesso Simeone usò, come sua fonte, la versione di Florence. A fare un po’ di ordine provvide, per primo, l’arcivescovo Parker, nel 1574, che volle preservare l’opera originaria a beneficio delle coeve e future generazioni di studiosi, non senza ripristinare filologicamente laddove possibile il testo originario dell’ecclesiastico. Per farlo, il Parker si basò sulla versione dell’opera conosciuta, oggi, come Manoscritto Cottoniano, redatto con la minuscola carolina introdotta da Alcuino di York ed un lessico che comprendeva parole sia latine sia anglosassoni. Il Manoscritto Cottoniano risale al principio del secolo XI.
La seconda edizione a stampa fu quella portata a termine da William Camden – tra gli eruditi che godevano di migliore fama nell’Inghilterra elisabettiana – allo scopo di sostenere l’origine della Università di Oxford, collocandola ai tempi di Grimbald, l’arcivescovo di Canterbury, sotto Alfredo il Grande: un modo per suggellare la vittoria morale e il primato storico della stessa Oxford, a spese di Cambridge. Altre due stampe furono quelle del 1722 e del 1848: il lavoro di Francis Wise e di James Hill si rifece, in questo caso, all’edizione camdeniana, base anche – insieme a Wise e a Hill – per la versione di Henry Petrie, apparsa nei Monumenta Historica Britannica, aggiornamento, a loro volta, dei Monumenta Britannica (1690) di John Aubrey, fisico e naturalista, storico ed antiquario, letterato e pittore, esponente dei gusti intellettuali dei newtoniani che si raccoglievano, tra il XVII e il XVIII secolo, nella Royal Society di Londra e nelle logge massoniche dell’Inghilterra augustea.


Saghe leggendarie di epoca vichinga e letteratura islandese tra V e XIII secolo

Come testimoniato da Asser e dalla Cronaca anglosassone, alla quale lui stesso attinse, i più strenui nemici degli Angli – tra IX e X secolo, pertanto sul finire dell’Alto Medioevo – furono certo i Danesi. In merito a questi ultimi – e, indirettamente, alla medesima storia dell’Inghilterra – fonte di assoluto rilievo resta la leggendaria Saga dei Volsunghi, scritta in prosa, da autore anonimo, nella Islanda di fine Duecento. Si tratta del primo poema di un ciclo, rimasto celebre, proteso a raccontare ascesa e caduta del clan dei Volsunghi, il mito di Sigurd (il Sigfrido wagneriano) e Brunilde, come la fine dei Nibelunghi. Una saga ampiamente basata sulla materia dei poemi eddici, che, in forma di favola e racconto, tiene insieme la narrazione di varie leggende nordico-germaniche. Queste ultime, a loro volta, si possono leggere ed interpretare alla stregua di una trasfigurazione lirico-mitologica delle guerre anglo-danesi, viste naturalmente in questo caso dall’angolo visuale, sia delle azioni, sia dell’epica di matrice vichinga. Una trasformazione letteraria quindi della materia storica: saghe che sono specchio e riflesso poetico-narrativo di un’autentica epopea, sentita come gloriosa.
Protagonista della Saga dei Volsunghi è l’eroe Sigurd. Le prime tre parti del ciclo riguardano i suoi antenati e l’ultima la vicenda di Crimilde, e del suo casato. La più antica rappresentazione della saga in ambito artistico resta la scultura di Ramsund rinvenuta in Svezia nel XIX secolo, e risalente, all’incirca, agli albori del secolo XI.
La scultura di Ramsund – gruppo di pietre runiche (scoperte nel 1878) che raccontano per sole immagini la leggenda di Sigfrido, l’uccisore di draghi, così come narrata nella Saga dei Volsunghi – fu realizzata in epoca vichinga, e costituisce la più antica testimonianza norrena della ‘canzone dei Nibelunghi’ (punto di riferimento poi per Wagner), nonché della vita di Sigfrido quale viene narrata nell’Edda poetica, la famosa raccolta di poemi in norreno antico tratti dal manoscritto del Medioevo islandese Codex Regius, che completa l’Edda in prosa dello storico e poeta Snorri Sturluson (1179-1241). Si tratta come noto di testi che rappresentano forse la nostra più importante fonte di notizie e informazioni sulla mitologia nordica, e le leggende dei Re ed eroi germanici. Il Codex Regius, nella fattispecie, venne redatto intorno al secolo XIII, ma il suo manoscritto fu scoperto soltanto nel 1643, dal vescovo di Skalholt, nel sud-ovest dell’Islanda, dal religioso luterano Bryjolfur Sveinsson.
Le radici storiche della Saga dei Volsunghi sono molto antiche e come detto costituiscono una rielaborazione solo in apparenza fantastica di avvenimenti realmente verificatisi durante le invasioni barbariche, nell’Europa settentrionale e continentale del V secolo, come la distruzione del regno dei Burgundi, ad opera degli Unni di Attila. Alcuni testi poetici presenti nell’Edda antica sono, inoltre, ricollegabili a più episodi della leggenda dei Volsunghi. Del resto, il solo ed unico manoscritto a noi pervenuto del ciclo, scoperto a Copenhagen nel 1824, ed oggi conservato nell’Archivio storico della Biblioteca Reale di Danimarca, rimonta al secolo XV, ed è direttamente collegato, a sua volta, alla storia della semi-leggendaria figura di Ragnarr Lodbrock. Quest’ultimo è passato alla storia come il più celebre tra i Vichinghi. Le vicende sue e della sua Vergine di Scudo, narrate successivamente da Sassone Grammatico, ci proiettano ancora nel Medioevo scandinavo, con storie, fatte di battaglie e di sangue, divenute subito leggenda (al punto che non è semplice, tuttora, relativamente a Ragnarr, separare rigorosamente realtà e fantasia, verità storica e risvolti mitopoietici).
Quanto poi alla così detta Canzone dei Nibelunghi, composta in alto tedesco medio, è fondata su tali antiche storie, note e circolanti (in forma prevalentemente orale) nelle terre germaniche alto-medievali dal secolo V sino almeno all’anno Mille. In questo caso la rielaborazione è maggiormente cavalleresca. D’altro canto, la Saga dei Volsunghi incontrò ampio successo e vasta diffusione, anche nei secoli successivi, in particolare a partire dal Quattrocento europeo, talvolta riadattata ai diversi contesti venutisi, intanto, a delineare. Essa è stata base, e fondamento, per L’anello del Nibelungo di Wagner, The Story of Sigurd di Magnusson e Morris (collegandosi qui al Decadentismo britannico di fine Ottocento, e nello specifico alla sua anima neo-gotica e utopistico-favolistica), nonché infine per La leggenda di Sigurd e Gudrun di Tolkien, il gran maestro della narrativa fantastica del secolo XX supportata da rigorosissima preparazione accademica e attenta cultura storica.
Il nome dell’autore della Saga dei Volsunghi ci è rimasto ignoto e forse ve n’è stato più d’uno (la cosa non è, poi, affatto da escludere a priori, in quanto l’opera si basa su numerosi e antichi cicli di poemi eroici). Di suo, l’anonimo estensore ha aggiunto, alla prosa originaria, alcuni versi poetici, sino a farne un autentico poema, quasi completo e rintracciabile pure nella parte lirica dell’Edda. In realtà, la figura di Sigurd/Sigfrido è molto più antica della Saga, che ne narra le gesta eroiche. Può trattarsi, come è stato correttamente ipotizzato, che lo si debba porre in rapporto con alcuni Principi della Borgogna vissuti nel secolo V. D’altra parte, la sua storia è radicata e notissima in tutte le aree di cultura nordico-germanica, incluse - ovviamente - la Norvegia e la Danimarca, teatro delle gesta vichinghe, nonché il resto della Scandinavia e le isole degli arcipelaghi settentrionali (le Orcadi, per esempio, ma non solo). Il fondo storico di non pochi avvenimenti raccontati nella saga non possono, infine, escludere che sia realmente esistito un Sigurd/Sigfrido, che – al pari di Re Artù, per le Isole britanniche, di cultura e tradizione celtiche – abbia fatto in seguito da modello per la redazione di un ciclo letterario e favolistico, a lui ispirato, in maniera diretta. Di fatto, tre quarti della Saga in esame sono rappresentati dall’Edda, mentre i materiali in prosa della restante parte seguono, fedelmente, il poema, come confermato anche dalle scelte lessicali, e dall’origine etimologica delle parole. Da più parti, si evince poi facilmente che l’anonimo autore si è richiamato, sul piano dei modelli e dei punti di riferimento, ai diversi poemi epico-eroici di epoca precedente, da lui ritradotti in forma narrativa, attraverso la scelta della prosa (di fatto e qui soprattutto un complemento della poesia). Sul versante squisitamente letterario, il ciclo dei Volsunghi riprende e rievoca in chiave stilistica più documenti, oggi perduti, di antiche Saghe islandesi, con l’intenzione di tracciare una vera e propria storia, come dimostrano le sezioni sulle più remote generazioni dei Volsunghi, la descrizione della Battaglia di Sigmund, e la nascita dello stesso Sigfrido, l’incarnazione del campione eterno con una missione da compiere – di fatto eroe nelle mani del Fato, al quale il Destino ha assegnato un compito preciso – e taluni materiali sono, inoltre, riconducibili alla Saga di Tidrek (moltissimi sono, in effetti, i prestiti e gli aspetti in comune). Inoltre, il mito di Sigurd è rappresentato nella Saga analogamente a quello di Nornagest, protagonista di un’altra Saga mitologico-leggendaria danese, e di tutta una tradizione di poesia scaldica risalente all’epoca in cui i popoli baltici iniziarono, con fatica, a convertirsi alla fede cristiana (gli ultimi a cedere in tal senso furono Islandesi e Norvegesi). Anche nel caso di Nornagest abbiamo poi notevoli tangenze – la tradizione rimanda chiaramente a una matrice originaria comune – con la Saga di Ragnarr Lodbrock. Un autentico triangolo, dunque, rappresentato da quest’ultima, dal Nornagest e dalla Saga dei Volsunghi, tutte e tre collegate tra loro.
Nel corso del Medioevo – in Islanda, Norvegia e Danimarca – furono scritte, infatti, decine di Saghe, testi narrativi in prosa, che ripercorrevano le imprese e gesta eroiche di antenati leggendari, temerari navigatori ed esploratori vichinghi, vescovi, santi e cavalieri cortesi. Sotto molti aspetti, in questo davvero imponente ed affascinante corpus di racconti e narrazioni, fu celata, rappresentata e trasformata la storia nord-europea medievale. Una peraltro relativamente esigua comunità – quella di origine ed area norrena – riuscì a procurarsi strumenti materiali, e capacità intellettuali, riuscendo a dare vita ad un vero e proprio fenomeno letterario. Lo scopo maggiore era quello di tramandare il glorioso passato nazionale, in forma epica ed eroica, affermando l’identità di una precisa tradizione, che ha pochi eguali (se non nessuno), altrove, nell’Europa continentale di allora. Quelle saghe, assai presto, entrarono a fare parte del canone letterario occidentale, costituendo tuttora una preziosissima fonte documentaria per ricostruire più da vicino e in dettaglio l’altrimenti sfuggente storia di ambito scandinavo. Quello delle Saghe fu quindi un complesso universo narrativo, costruito su base storica, meritevole, ancora oggi, di adeguate indagini e necessari approfondimenti. Tale produzione fu certo agevolata dal fatto che, durante il Medioevo, Islanda e Norvegia nacquero e si consolidarono, come due Stati nuovi ed emergenti, nello scacchiere politico-dinastico europeo. Fra centro e periferia, fu incoraggiata anche la produzione culturale, ed il sapere ricevette non pochi incentivi. Le Saghe altro non fecero che trasporre attraverso il ricorso alla parola scritta un patrimonio antichissimo di storie, miti e leggende la cui trasmissione era stata, sino a non molto tempo prima, soltanto orale (mentre il passaggio successivo, dopo che anche in Nord Europa furono impiantate le prime tipografie, si ebbe con il trapasso dal codice manoscritto all’edizione a stampa). Molti erano i generi della Saga: di Re, santi, condottieri di eserciti, vescovi, cavalieri, navigatori, cantori, e semplici soldati di ventura. Di molti testi originali si ebbero presto traduzioni latine leggibili e diffuse sul continente.
I mondi narrativi delle saghe nordiche, specie islandesi, erano molteplici e convergenti: dati e aspetti realistici (echi di battaglie e ricordi di avvenimenti, veramente accaduti) incontrarono motivi desunti dalle leggende di un passato oscuro – e tale rimasto, ancora per noi, oggi – mentre lo stesso mondo ibrido della agiografia norrena poteva risultare, al contempo, astratto e concreto. Lo stile, in genere, alternava ed integrava prosa storica e immaginazione poetica: era oggettivo e misterioso nel medesimo tempo, ermetico e criptico, laconico ed incline alle massime, non senza formule le quali a loro volta evocavano o riprendevano apertamente i cerimoniali magici dei secoli pagani, pure dopo la conversione (sovente forzata, o poco sentita) al cristianesimo anglo-irlandese. La ricezione delle saghe comportò anche, come ricaduta culturale nell’Europa continentale, la diffusione delle storie in merito alle operazioni vichinghe sui ventosi e gelati mari nordici, fra neve e nebbie.


La storiografia danese e nordica basso-medievale fino al Settecento dei Lumi

Il maggior storico della Danimarca durante il Medioevo fu senza dubbio Sassone Grammatico (1150-1218), chierico, seguace dell’arcivescovo Absalom di Lund e autore delle Gesta Danorum (in sedici libri), nonché raccoglitore e collezionista di carte manoscritte e mappe geografiche, specie sul Nord Europa. Esponente e mediatore della cultura monastica danese medievale, Saxo – il suo nome, in latino – si trova ricordato da diverse fonti documentarie, nella Danimarca dell’epoca. La famiglia di Saxo –come possiamo leggere nella Praefatio alle Gesta Danorum, l’unica opera sua pervenutaci – aveva servito sotto Re Valdemaar I come monaci e guerrieri (anche nella Britannia di allora le due cose potevano spesso andare insieme). Il padre di Saxo svolse funzioni di sacerdote, presso la corte del successivo sovrano di Danimarca, Valdemaar II, che nobilitò lui e i suoi discendenti.
Nato in Selandia, dotato di un latino florido ed elegante, dotto e raffinato, studioso di storia, e romana e danese, Saxo viaggiò probabilmente anche al di fuori della Danimarca, perfezionandosi in studi e cultura presso le corti e le scholae clericali in terra di Francia, dove fu anche insegnante (nel Compendium Saxonis della Chronica Iutensis, del XIV secolo, si ricordano le sue notevoli capacità dialettiche). La prima edizione a stampa delle Gesta Danorum fu curata, da Christian Pedersen, nel 1514. Altra fonte di rilievo, riguardo a Saxo, è la Chronica Sialandie (in lingua danese antica Ældre Sjællandske Krønike), del primissimo Duecento. A partire dal XVI secolo, l’eco e l’influenza delle Gesta Danorum furono a dire poco enormi, vista non certo a torto come un materiale documentario di primaria rilevanza, per la ricostruzione della storia delle terre e del Regno di Danimarca, sino alla metà almeno del XII secolo. La methodus dell’opera segue naturalmente, per taglio ed impostazione generali, i valori del credo aristocratico-militare e politico-religioso del Medioevo nordico. Il libro resta, inoltre, un sommo capolavoro sul fronte dello stile, nonché la ricostruzione storiografica certo più esauriente della Scandinavia dell’Alto Medioevo, con le sue ardimentose vicissitudini di Re e di eroi, combattivi e senza paura.
Nella sua opera magna, Saxo attinse, moltissimo e con frutto, anche al materiale delle Saghe – quella del principe danese Amled ispirò, tre secoli dopo, la versione drammaturgica del celeberrimo Amleto di Shakespeare – saghe come si è già visto e rimarcato ritrasformate in discorso storico. Nel corso dei secoli successivi, Sassone Grammatico venne citato o rammentato, da molti scrittori: tra di loro il religioso e romanziere irlandese Laurence Sterne (1713-1768), formatosi presso Halifax nello Yorkshire e al Jesus College dell’Università di Cambridge, prima di diventare Vicario a Sutton (e di coltivarvi anche letteratura e musica, altre a scrittura e pittura). Nel Tristram Shandy (pubblicato in Inghilterra tra il 1759 ed il 1767 e poi tradotto da Foscolo), Sterne invitò i suoi lettori a consultare la storia danese scritta nel Basso Medioevo da Sassone Grammatico, in modo da scoprire in tale modo che l’Amleto shakespeariano era stato ispirato da fatti realmente accaduti e descritti dallo storico di Danimarca.
Nelle Gesta Danorum, Saxo ripercorre, inoltre, la vicenda eroica e semi-mitica di Re Ragnarr Lodbrock, discendente di Synardus, che combatté gli invasori svedesi in Norvegia. Ragnarr, famoso nella letteratura dell’Europa settentrionale ed indiscusso protagonista della saga che ne immortalò le imprese, fu un principe vichingo, di cui Saxo stese quella che oggi diremmo essere una biografia, in cui conciliò e consolidò le molteplici versioni della leggenda che lo riguardava. Figura veramente semi-leggendaria, sul confine mobile tra storia e mitografia, Ragnarr regnò, su Danimarca e Svezia, nella seconda metà del IX secolo, l’autentico fulcro, attraverso cui e mediante il quale Saxo narrò le campagne militari di un periodo caotico e tumultuoso: avventure, tutte o quasi, ruotanti attorno alla figura appunto di Ragnarr, vero filo conduttore della storia danese tra IX e X secolo, al tempo della guerra con gli Angli, del Wessex e non solo.
Scritto da Saxo come ultima parte dell’opera, allo scopo di mettere in collegamento la storia pagana antica e quella cristiana più recente, il Libro delle Gesta Danorum dedicato a Ragnarr è teso a delineare la vita di un monarca vichingo. Il combattente norreno trascorse una vita di portenti, e lo stesso Saxo dovette faticare non poco per rileggere e riscrivere in chiave storico-concreta vicende di carattere principalmente favoloso e simbolico. Lo storiografo danese riprese parti di scritti perduti, di età precedente – ad esempio, la lotta vittoriosa con serpenti ferocissimi – consacrando in maniera ripetuta ma efficace tutti i clichés dell’eroe tradizionale (tratti tipici, come una miracolosa precocità e l’adozione, all’occorrenza, di astuti espedienti strategici). Saxo in effetti lasciò vivere, in Ragnarr, il diretto calco dell’archetipo eddico di Gunnart. Concludendo poi il suo racconto col personaggio – storicamente esistito e solidamente ancorato nel regno della verità fattuale – di Gormon II (re morto nel 950 circa dopo aver fatto erigere a Jelling una stele runica in difesa della Danimarca), il Libro di Saxo dedicato a Ragnarr abbraccia la storia danese e nord-europea tra IX e X secolo, quando furono aspri gli scontri per terra e per mare con gli Angli. Filo conduttore della narrazione è quindi Ragnarr (per Saxo riunificatore di un paese lacerato da lotte locali per il potere). Per trattare di Ragnarr Saxo combinò notizie frammentarie ed eterogenee ricavate da varie fonti, per restituire un Re storico noto in tutta Europa, e assimilato al principe vichingo Horik (IX secolo). Le informazioni più pittoresche giunsero, a Saxo, dalle Saghe islandesi (talora tese a collegare Ragnarr al ciclo nibelungico), mentre dai poemi scaldici gli arrivarono i dati sulle articolate campagne belliche danesi. Altri episodi, Saxo trasse da cronache franche, irlandesi ed anglosassoni. Saxo fu altresì l’ultimo storico a inserire nella narrazione Odino, avvolgendolo in un’aura autorevole e cupa. In definitiva, Saxo riuscì ad unificare le scorrerie già piratesche di Ragnarr, conquistatore del Settentrione, in Britannia e Svezia, Sassonia e attuale Russia, esaltando l’exemplum danese entro la grande Europa e agli occhi di essa.


Nell'immagine, la pagine inziale della Cronaca di Laud.


Bibliografia

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Keywords:
monasteri, Normanni, Inghilterra, storia del cristianesimo, Canterbury, Beda il Venerabile, Wessex, Gregorio Magno, Boezio, rinascita carolingia
Documento inserito il: 22/08/2025
  • TAG: , Edda, Saga dei Volsunghi, mitologia norrena, letteratura latina medievale, Danimarca, invasioni vichinghe, Islanda

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