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Invenzioni, macchine e strumenti: lineamenti di storia dell’ingegneria antica e medievale

di Davide Arecco


Prima della tecnologia sette-ottocentesca: archeologia misteriosa e storia perduta

Gli studiosi ed i cultori di preistoria e di paleontologia hanno sovente ipotizzato, per l’epoca post-babelica e pre-diluviale, un altissimo livello scientifico-culturale e tecnologico-costruttivo, raggiunto da otto antichi centro di civiltà, disseminati, migliaia di anni fa, sul nostro pianeta: nei Caraibi (dove molti hanno collocato la leggendaria Atlantide), in un’area imprecisata del Pacifico meridionale, fra Australia e Antartide (la presunta sede dell’altrettanto leggendario continente perduto di Mu, nemico di Atlantide in una guerra eterna e senza tempo), sulle Ande (la civiltà di Nazca, nel Perù), nelle Death Valley della odierna America settentrionale, in Groenlandia (prima dell’arrivo di Eschimesi e Norvegesi), presso la penisola arabica, in India (centro collegato al mitico Regno sotterraneo di Agarthi), ed infine tra le dune del Deserto di Gobi, nell’Asia orientale, fra la Mongolia del Sud e la Cina del Nord. Sei di quegli otto centri sarebbero stati alleati o satelliti, rispettivamente di Atlantide e di Mu, coinvolti, pertanto, nel loro conflitto: un conflitto condotto con armamenti e tecnologie di carattere bellico altamente perfezionati e evoluti, frutto di una sviluppatissima (anche per noi oggi) ingegneria militare, di cui si sono, in seguito, smarrite le tracce. Quello scontro avrebbe condotto all’autodistruzione delle stesse Atlantide e Mu, così come degli altri centri di civiltà a loro collegati, trasformando in miti e leggende – come quella appunto del Diluvio universale, diffusa e presente in tutte le culture religiose del pianeta – il ricordo delle civiltà in tal modo estinte e scomparse, costringendo i pochi sopravvissuti sulla Terra a ricominciare da capo e senza pressoché più memoria del notevole sapere tecnologico, costruito e messo a punto in precedenza: un’ipotesi affascinante e discussa da storici e antropologi, controversa e priva di prove materiali, che ha nondimeno alimentato le fantasie degli appassionati della storia alternativa, dell’archeologia fantastica e della stessa ucronia in ambito letterario. Se le cose fossero davvero andate così, la nascita e crescita di ingegneria e tecnologia sarebbe da retrodatare, e la storia stessa da riscrivere, quasi in toto: gli sviluppi di epoca successiva verrebbero infatti a configurarsi non più tanto come scoperte e innovazioni, quanto semmai come riscoperte di un sapere tecnico-costruttivo perduto e ritrovato – attraverso meccanismi, in sé inconsapevoli, di ripristino e restaurazione scientifico-culturale – solo moltissimo tempo dopo la sua prima ed effettiva apparizione sulla scena storica. Fra l’altro, stando agli atlantologi, una civiltà molto evoluta, scomparsa migliaia di anni fa, prima della sua fine avrebbe abbandonato in alcuni tratti di mare apparecchiature belliche, che hanno continuato a funzionare: armi capaci di disintegrare, o fare sparire, in pochi istanti, flotte di navi ed interi aerei. In tale maniera, i seguaci dell’ipotesi fanta-archeologica di Atlantide spiegano la scomparsa tuttora misteriosa di imbarcazioni e velivoli, ad esempio nel Triangolo delle Bermude, noto anche come Triangolo della Morte o Triangolo maledetto.
Oggi, del più remoto passato si sa in effetti pochissimo e i libri di storia, quella ufficiale, partono, in merito alla storia ed affermazione dell’ingegneria, nel migliore dei casi dal XV secolo, per arrivare ai processi storici di accelerazione innescati dai bisogni concreti dell’industria bellica, nel XIX secolo. In molti, inoltre, ancora insistono sull’importanza, cruciale e decisiva, del fattore genio, rammentandoci le (certo formidabili) invenzioni di Leonardo da Vinci, Benjamin Franklin, James Watt, Alessandro Volta, Thomas Edison e Nikola Tesla. Più in generale, libri, manualistica e repertori storiografici inscrivono i grandi momenti di sviluppo ingegneristico – di fatto, li fanno in pratica cominciare – tra l’Umanesimo quattrocentesco e l’Illuminismo settecentesco, passando per l’età del Rinascimento ed il Seicento della ‘nuova scienza’ moderna. Indubbiamente, elementi a favore di tale linea interpretativa non mancano: al 1421 risale quello che potremmo chiamare il primo brevetto industriale nella storia dell’ingegneria, che appartiene all’architetto e matematico fiorentino Filippo Brunelleschi, relativo al progetto di una certa imbarcazione da trasporto, dotata di congegni meccanici per agevolare il carico dei materiali. Si deve, a Brunelleschi, studioso anche di ottica geometrica e prospettiva (poi codificata matematicamente grazie al pittore e algebrista Piero della Francesca), anche la realizzazione della cupola del Duomo di Firenze, per l’edificazione della quale egli approntò congegni, numerosi e complessi, allo scopo di agevolare il sollevamento dei materiali da costruzione. A quell’epoca, quindi, ingegneria ed architettura – sia civile, sia militare – erano strettamente collegate e le medesime competenze tecnico-scientifiche convivevano, spessissimo, nella stessa persona. Lo dimostra appieno proprio lo schema di ponteggi usati a Firenze da Brunelleschi, per costruire la cupola del Duomo: un grande lavoro, nel quale le qualifiche dell’artista, dell’ingegnere e dell’architetto si fusero armonicamente, insieme, secondo le linee dell’enciclopedismo rinascimentale, quando i dotti ed eruditi erano tanto letterati quanto matematici.
A partire dal 1419, l’ingegnere e architetto Mariano di Jacopo, detto il Taccola – che fu anche un valente scultore, artista e scrittore – redasse una serie di codici manoscritti, nei quali raccolse diverse ed interessantissime macchine, e idrauliche e da guerra, da lui progettate. Ancora più giustamente famosi sono rimasti i codici leonardeschi, risalenti all’anno 1500 circa – ma il progetto dell’ornitottero risale al 1488 – e contenenti una enorme quantità di disegni, schizzi e progetti di macchine (volanti e da guerra, in particolare) e invenzioni avveniristiche, moltissime delle quali, troppo avanti, rispetto alle possibilità concrete ed effettive offerte dalle tecniche di allora, dovettero attendere, spesso, diversi secoli, prima di venire materialmente realizzate (ripensiamo, e solamente per fare due esempi illustri, al paracadute e al salvagente). Nel medesimo periodo, l’orologiaio tedesco Peter Henlein costruì il Taschenuhr a molla, il primo passo per le successive fabbricazioni per mano del cartesiano olandese Christian Huygens (1656, anche studiando le leggi fisiche dell’isocronismo del pendolo) e verso i meccanismi a bilanciere, ideati, nell’Inghilterra del XVII secolo, da Robert Hooke, allora dimostratore sperimentale e primo segretario della Royal Society londinese, studioso di meccanica ed astronomia matematica, di geologia e biologia microscopica, non a caso denominato il Leonardo inglese.
Notevolissimi – specie in area protestante: Olanda e Inghilterra – furono inoltre i progressi svolti nel campo dell’ottica, fisica e geometrica, con la fabbricazione del primo microscopio multilente, opera dei fratelli Hans e Zacharias Janssen (già nel 1590), a cui fecero rapidamente seguito i primi telescopi a rifrazione (i cannocchiali dei costruttori e astronomi d’osservazione Hans Lippershey e Jacob Metius, a cui si ispirò tra il 1604 ed il 1609 il nostro Galileo), sino alla messa a punto del telescopio riflettore, per mano di Newton: invenzione, che ampliava enormemente la portata ottica e precisione scientifica dello strumento, risalente al 1668, e preludio all’entrata dell’allora ancora giovane matematico di Cambridge tra le fila dell’accademia scientifica di Londra, dove, nel 1672, apparve la sua New Theory About Light and Colours. Seicentesche sono altresì due grandi invenzioni da rammentare, entrambe frutto di una già ingegneristica concezione dei meccanismi interni: la macchina elettrostatica costruita a Magdeburgo da Otto Von Guericke (tra i primi cultori pure di aerostatica) nel 1672 e soprattutto il primo calcolatore del francese Pascal in grado di consentire lo svolgimento delle quattro operazioni aritmetiche fondamentali (sempre lo stesso Pascal diede basilari contributi a pneumatica e idrostatica archimedea, quest’ultima la grande e decisiva riscoperta del sapere, scientifico-tecnico e fisico-matematico, tra XVI e XVII secolo, negli Stati italiani e in tutta Europa). Anche grazie a Pascal – nonché a Mariotte, Roberval e Varignon – si ebbe in Francia una decisa e profonda rinascita dell’ingegneria, destinata a protrarsi poi nel corso del secolo XVIII, anche a contatto con il mondo dei philosophes, passati frattanto dalle posizioni cartesiane a quelle più aggiornate ed innovative della filosofia sperimentale newtoniana britannica.
Sotto vari aspetti, e da più punti di vista, le invenzioni meccaniche e gli sviluppi tecnici registrati nel corso del Seicento anglo-europeo fornirono le prime basi storiche per l’avvio – e senza soluzione di continuità – della di poco posteriore era della prima Rivoluzione industriale. Infatti, in corrispondenza della fine del secolo XVII, vanno a prefigurarsi le fondamentali premesse storiche – tecniche, culturali, politiche, sociali e scientifiche, prima ancora che economico-capitalistiche – che porteranno di lì a non molto all’industrializzazione, in Inghilterra e Scozia, prima che sul continente. Si tratta di un processo, storico e tecnologico, avviato nel 1679, dal matematico ed ingegnere, fisico e inventore ugonotto Denis Papin. Nato in Francia, da famiglia protestante, dopo gli iniziali studi medici ad Angers, Papin si spostò a Leida, ove fu allievo di Huygens e lavorò con lui a sperimentazioni sulla macchina pneumatica messa frattanto a punto a Oxford, da Boyle. Il francese costruì quindi la prima pentola a pressione della storia, dopo avere constatato in base a reiterate esperienze di laboratorio che l’acqua raggiunge l’ebollizione a temperature più alte di cento gradi se riscaldata all’interno di un recipiente a pressione. In seguito Papin viaggiò molto: fu in Inghilterra e qui collaboratore di Boyle, di nuovo nelle Province Unite (nel 1680) e quindi a Venezia (ove frequentò le cerchie accademiche della capitale della Repubblica veneta), prima di essere nominato docente di matematiche a Marburgo. Nuovamente in Inghilterra e a fianco di Boyle, Papin fabbricò il suo primo motore a vapore (nel 1690), perfezionato di lì a breve da lui stesso e da altri ingegneri inglesi (Savery, Newcomen e Calley) e francesi (il fisico ed architetto Guillaume Amontons, studioso di meccanica applicata e costruttore di igrometri, barometri e termometri). La macchina messa a punto da Papin – anche impiegando le leggi chimiche scoperte intanto, da Boyle, a partire dal 1660 – fu utilizzata in principio per il drenaggio delle miniere inglesi (1698) e per la locomozione dei battelli a vapore (1705-1707), traducendo in pratica la prima teoria scientifica di una macchina funzionante per mezzo del moto alternato di un pistone, a sua volta costruita sul modello delle macchine atmosferiche, in uso nel tardo Seicento in Inghilterra e odierna Germania. Papin mise in pratica i concetti di forza e di pressione elaborati allora, rispettivamente, da Newton ed Huygens e da Boyle e Guericke. Il modello di motore a vapore papiniano fu, poi, ulteriormente perfezionato, lungo tutto il Settecento dei Lumi, tanto in Francia, da Joseph-Nicolas Cugnot (1769), quanto nella Gran Bretagna hannoveriana, per arrivare sino a Watt (1776-1783) e Trevithick. Questi, tra XVIII e XIX secolo, progettò nei cantieri di Dartford la prima locomotiva a vapore, a partire dal 1796. Frattanto, altri importanti risultati sperimentali erano stati conseguiti anche nel settore produttivo dell’industria tessile, mediante l’invenzione della spoletta meccanica, da parte di John Kay e James Hargreaves, nel 1730, all’origine dell’apertura in Inghilterra – nel 1771 – delle prime fabbriche di cotone, presto imitate, nei neonati Stati Uniti d’America (1789). La prima grande applicazione francese dell’invenzione originaria di Papin era stata il carro a vapore messo a punto da Cugnot.
Apice e portavoce dell’ingegneria britannica settecentesca – soprattutto di quella civile, ma non solo – fu l’inglese di Whitkirk, fisico e inventore, John Smeaton (1724-1792), abilissimo nel fabbricare e migliorare strumenti scientifici. A metà del secolo XVIII, Smeaton studiò con precisione e cura i porti e le vie fluviali olandesi, ricostruendo quindi in patria il celebre faro di Eddystone, nonché progettando ponti e canali a Londra e non soltanto. Nel 1759, fece stampare l’ Experimental Enquiry concerning the Natural Power of Wind and Water to Turn Mills, un trattato scientifico che, studiando la forza motrice di acqua e vento, contribuì a marcare in Inghilterra il passaggio dalla tecnica alla tecnologia. Perfezionò inoltre la macchina a vapore ricostruita da Newcomen a partire da quella di Papin e fu il primo ad auto-definirsi ingegnere civile, disciplina della quale da allora è considerato il padre putativo moderno.
Con la prima Rivoluzione industriale anglo-britannica, nacque anche a tutti gli effetti – sotto ogni aspetto, mettendola concretamente in atto e traducendola in fatti – l’ingegneria moderna. Tra il XVIII e il XIX secolo, invenzioni di rilievo storico assoluto furono la macina meccanizzata di Oliver Evans per produrre la farina (1788), gli elettrofori del piemontese Cigna e del napoletano Cavallo – quest’ultimo, dal 1771 almeno, emigrato a Londra e, qui, primo storico dell’aeronautica (1785) – la pila voltiana del 1799-1800 (la fonte dell’elettromagnete di Sturgeon), la mietitrebbiatrice di Cyrus McCormick (1831), senza poi dimenticare ad Ottocento inoltrato la prima ferrovia realizzata da George Stephenson (a cui si deve la costruzione del Rocket), la prima pistola a sei colpi (fabbricata da Colt, tra il 1818 e il 1836) e il primo dirigibile progettato da Henri Giffard (l’ispiratore nella seconda metà del secolo delle esperienze aerostatiche analoghe condotte a termine a Vicenza dall’ingegnere Almerico da Schio).
In definitiva, i pionieri dell’ingegneria inglese vissero la loro grande stagione di gloria tra XVII e XVIII secolo, preparando le basi per i successivi trionfi (anche nel campo di edilizia e navigazione) di età vittoriana: una autentica scuola, che fece da modello e guida, per gli ingegneri continentali e quelli americani. Tra Sette e Ottocento, segnatamente, si affermarono anche sul fronte sociale ed istituzionale le due figure professionali dell’ingegnere civile e di quello minerario (le scuole minerarie erano state la grande creazione della metallurgia tedesca, nella seconda metà del secolo XVIII, specie a Freiberg, con il geologo e paleontologo Abraham Gottlob Werner, padre del nettunismo, in Sassonia). Nel veramente cruciale passaggio dal Settecento all’Ottocento, sul suolo britannico e su quello germanico, si andarono sempre più formando i profili, scientifici e sociali insieme, dell’ingegnere meccanico, di quello chimico e di quello elettro-tecnico. Tutti e tre lavoravano con la potenza delle nuove macchine, via via sempre più complesse e perfezionate, nonché soprattutto a contatto con gli ambienti della scienza accademica e dello Stato. Una vera politica della scienza, nata la prima volta al tempo dell’Illuminismo settecentesco, andò ad incentivare migliorie tecnologiche e procedimenti industriali di produzione in serie. Si ebbe, in effetti, un vero e proprio processo di trasferimento scientifico-accademico di conoscenze tecnologiche, processo durante il quale e per il successo del quale, anche adottando appositi paradigmi di snellimento strutturale, la figura dell’ingegnere si rivelò essere essenziale e assolutamente centrale.


Resti fossili: la scienza del periodo antico ed ellenistico fino all’Alto Medioevo

La storia dell'ingegneria è stata contrassegnata da momenti di particolare sviluppo non solamente durante la prima età moderna, ma, in realtà, anche moltissimi secoli prima. La storia dell’ingegneria è il racconto delle grandi costruzioni dell’uomo – ponti e strade, dighe e canali, macchine e miniere – con successi che attraversano le epoche, caratteristici ed imprescindibili, per la vita e la cultura, al pari degli altri motori storici (politici, sociali, militari, religiosi, economici). La crescita storica dell’ingegneria è cifra e specchio delle pressioni delle civiltà, nel loro processo di sviluppo: uno sviluppo mai lineare ed, ogni volta, assai contorto ed articolato. Nel corso della storia, almeno dall’antico Egitto in poi, la figura dell’ingegnere è stata costretta ad affinare e assumere sempre nuove competenze. D’altro canto, la (via via crescente) abilità costruttiva degli addetti ai lavori è venuta incontro ai bisogni storici concreti (sia politici sia sociali, sia militari sia economici), il che ha reso la stessa ingegneria la forza più evolutiva dell’intera storia globale, dalle origini in poi, non solo in Occidente. Vista l’importanza, taciuta in vero a lungo, che ebbe nello sviluppo e nella maturazione della civiltà, l’ingegnere fu davvero un creatore di storia.
Oltre alle abilità tecnico-costruttive dei singoli ingegneri, di particolare e determinante rilevanza, per la storia della stessa ingegneria, fu l’ambiente socio-culturale e politico-istituzionale, in cui essi si trovarono ad operare. Le grandi civiltà del passato – antico Egitto, antica Grecia, Roma repubblicana ed imperiale – diedero un marcato impulso allo sviluppo tecnologico della loro epoca, conseguendo grandi risultati con larghissimo anticipo sulla successiva età moderna. Anche l’organizzazione del lavoro ebbe una sua precisa strutturazione, affidata al maestro dei lavori nell’Egitto antico, ai capi-costruttori nella Mesopotamia di Babilonesi e Sumeri e all’architekton ellenico. La storia dell’ingegneria, oltre a essere antichissima quanto ad origini e radici, fu a sua volta strettamente legata al quella del sapere scientifico, con invenzioni che riscrivevano in chiave applicativa determinate scoperte, e queste ultime che sovente erano viceversa anche ispirate dal lavoro empirico di pratici e tecnici. Il saper fare già vi era, e molto in anticipo sul Quattrocento e in generale sull’aetas aurea rinascimentale, che riscoprì sul piano filologico e umanistico, oltre che tipografico, un bagaglio talora frammentario ma basilare di conoscenze non solo archimedee.
Nelle epoche più antiche e lontane, cronologicamente, da noi, moltissimi uomini di scienza – che non erano affatto così teorici e speculativi come la storiografia filosofica ha quasi da sempre presunto – erano, congiuntamente, pure inventori. Spesso l’invenzione veniva in prima battuta e la sistemazione di ordine teorico solo secondariamente. Molti ingegneri dei tempi antichi, e probabilmente dei più remoti, quasi sicuramente, parteciparono alla costruzione, utilizzazione, circolazione e diffusione dei ritrovati tecnologici. Un processo storico composto appunto da quattro fasi, ravvicinate nel tempo e strettamente collegate, fra di loro. Una conseguenza di ciò – unitamente, chiaro, alla scarsità di notizie circa i tempi più antichi e lontani da noi e alla inevitabile perdita di molte altre informazioni e fonti in proposito – è, tra i problemi dello storico odierno, la difficoltà nell’identificare con certezza il capostipite all’origine di una catena di invenzioni, nonché il processo spesso per nulla lineare o razionale, attraverso il quale il processo di avanzamento tecnologico si è fattivamente materializzato, magari non senza ricadute di tipo geografico su aree circostanti o anche più distanti nello spazio.
Per l’epoca antica, opere e lavori di ingegneria sono attestati fra il 3500 a.C. perlomeno e la metà circa del III secolo d.C. Tra le prime opere ingegneristiche del passato, anche remoto, si ricorda la ruota da vasaio, la cui invenzione risale a metà del quarto Millennio circa, prima dell’era volgare. Alla ruota, stando a quanto abbiamo di accertato, fece seguito l’invenzione della diga, costruita a Helwan in Egitto, intorno al 2800 a.C. Ricordiamo poi, naturalmente, le piramidi egizie, principalmente quella a sezioni e gradoni di Saqqara, fatta edificare dal faraone Djoser nel 2625 a.C., su progetto di Imhotep, architetto e primo ingegnere di cui possediamo informazioni storiche certe. A Giza, la piramide di Cheope fu, sino al XIX, ritenuta da storici e archeologi la costruzione più elevata. Al medesimo periodo – ma forse pure a un’epoca precedente – si fa usualmente risalire anche l’edificazione del sito megalitico di Stonehenge (fra il 3100 e il 2500 circa a.C.), nella piana di Salisbury, ad opera di maestranze al servizio della casta sacerdotale dei Druidi celtici: un complesso di pietre che era insieme osservatorio astronomico, tempio religioso ed orologio solare a cielo aperto. Impossibile inoltre dimenticare, spostandoci a Est, la città di Mohenjo-Daro, del 2500 circa a.C., la prima ad essere dotata di una rete idrica di smaltimento. Intorno, poi, al 2100 a.C., prese avvio la costruzione dello Ziggurat di Ur, tempio mesopotamico dedicato al dio della Luna del pantheon mitologico babilonese, Nanna.
Nel 1700 a.C., iniziò l’edificazione del Palazzo di Cnosso – fulcro e cuore della civiltà minoica e, ancora oggi, il maggiore sito archeologico, risalente all’età del bronzo cretese – che ispirò la leggenda del labirinto e del minotauro (ripresa ancora a inizio Seicento in Inghilterra dal Bacone del De sapientia veterum), per via della grande complessità architettonica e costruttiva dell’intera struttura, frutto di una accentuata competenza ingegneristica. Più tardi, intorno al 1200 circa a.C., si ebbe nascita e espansione dell’arte metallurgica, nel Medio Oriente, a partire dalle regioni anatoliche. Anche la prima costruzione documentata delle armi da assedio (VIII secolo a.C.) si registrò, pare, in area medio-orientale, con arieti e scale, per superare le mura nemiche. In generale la fase storica compresa tra il VII secolo a.C. ed il IV d.C. vide il susseguirsi di numerosissime invenzioni tecniche, e di grandi opere di ingegneria: abbiamo, al riguardo, l’acquedotto costruito, nel 530 a.C., da Eupalino di Megara, i piani urbanistici di Ippodamo (479 a.C.) impiegati fra l’altro nella costruzione della rete urbana di Mileto, l’edificazione dei templi di Agrigento (470 a.C.), la costruzione della Via Appia (312 a.C.), quella del faro di Alessandria, ad opera di Sostrato di Cnido (280 a.C.), l’invenzione della vite e delle altre macchine semplici di Archimede di Siracusa – il più importante ingegnere dell’antichità, senza il quale la fisica matematica e la meccanica razionale sviluppatesi in Europa dal XVI secolo in avanti non vi sarebbero probabilmente mai state – la introduzione dell’opera cementizia (100 a.C., antesignana del calcestruzzo), l’invenzione sottovalutata da molti ancor oggi e poco ricordata della cheiroballistra (102 d.C., arma da lancio, messa a punto dalla ingegneria militare), la costruzione del ponte ad arco di Alcantara (105 d.C.), e quella della Basilica di Santa Sofia da parte di Isidoro di Mileto ed Antemio di Tralle (537 d.C.): notevole, quest’ultima, specie sotto il profilo ingegneristico delle varie sezioni architettoniche e dell’immensa cupola non supportata a sovrastare la stessa imponente costruzione d’insieme.
La verità è che, anche in merito alla storia della scienza e della ingegneria antiche, gli studiosi si devono trasformare in detective ed investigatori del passato. Servono in effetti tanti Sherlock Holmes al fine di riportare alla luce l’importanza storico-scientifica avuta da strumentazione, aspetti sperimentali e metrologici, misurazioni geodetiche ed astronomiche di distanze angolari. I dossografi sono di grande aiuto, in merito alla scienza e alla tecnica da noi più lontane nel tempo. Elementi di natura dossografica sono rintracciabili in Plinio, Plutarco, Eratostene ed Aristarco (il Copernico dell’antichità, la cui ipotesi celeste eliostatica fu rifiutata da Tolomeo ed Archimede, per il mancato verificarsi della parallasse, cioè lo spostamento apparente dell’oggetto osservato). Aristarco sostenne la sfericità della Terra mentre, con la combinazione di strumenti matematici, astronomici e geografici, Eratostene giunse pure lui a risultati scientifici rilevanti nello studio dei fenomeni, naturali e celesti. In epoca ellenistica, scienza e strumenti di misura unirono i propri sforzi. Il calcolo del meridiano terrestre divenne un’ipotesi misurativa, e con l’unione di geometria euclidea, Teorema di Talete e teoria delle proporzioni, lo si utilizzò, per calcolare l’identica longitudine di Alessandria d’Egitto ed Assuan, mantenendo paralleli i raggi solari. La scienza e la tecnica alessandrine, per misurare la longitudine, usavano le eclissi parziali di Luna, oppure le più raffinate clessidre ad acqua. Le misurazioni di Eratostene erano in stadi e le cifre si avvicinavano molto alle nostre, attuali: una testimonianza del preciso lavoro di Eratostene ci è data dalla Naturalis Historia pliniana. Le misure di Eratostene furono riportate nei solstizi e negli equinozi, quindi in periodi diversi dell’anno, con vocazione sperimentale, ed in riferimento ad unità di misura convenzionali (come noto, i Greci scrivevano i numeri con le lettere: sistema alfabetico, che ritroviamo nella dossografia). Solo nel Settecento inglese, con l’orologiaio e meccanico auto-didatta John Harrison, il problema di determinare la longitudine in mare sarebbe stato risolto una volta per tutte (grazie al cronografo marino del 1765).
Un serio problema storico su scienza e tecnologia antiche è naturalmente rappresentato da tutte le opere andate perdute, di matematica, meccanica, architettura, ingegneria e cartografia. Basandoci su ciò che ci è rimasto, un sistema numerico innovativo fu quello proposto da Archimede, nell’Arenarius, con le eclissi. Quello di età ellenistica fu ad ogni modo un progetto scientifico scopertamente consapevole e vasto. Dietro il nascere e morire di una stella, come ci conferma Ipparco, stavano osservazioni e mappe geografiche, nonché l’intenzione di compilare cataloghi stellari, con una seria metodologia scientifica e attenzione per strumenti di misura e macchine, prodotte dell’ingegneria di allora. Inoltre, quest’ultima è stata riscoperta ed adeguatamente valorizzata solo di recente. A inizio Novecento è stato scoperto, dagli archeologi, il meccanismo di Antikythera risalente al I secolo a.C. Trattasi di un sito archeometrico che ha ispirato varie ipotesi di spiegazione, tra cui quelle secondo le quali sarebbe stato una sorta di grande astrolabio, in scala gigante, o di calcolatore analogico, ante litteram, forse il prodotto di una tecnologia precedente perduta. In effetti, il meccanismo denota una raffinata e complessa pratica costruttiva, molto più avanzata rispetto alla pure sviluppata ingegneria dell’epoca. Antikythera è tutt’oggi fonte materiale affascinante ed enigmatica: un autentico libro di pietra, che può evocare la Stonhenge dei Celti.
Spesso, gli storiografi insistono esageratamente su un solo presunto ruolo centrale degli ingegneri romani. In realtà, fonti storiche e prove documentarie alla mano, gli ingegneri romani – come, prima di loro, quelli greci – non furono né i primi né i maggiori della storia: solo quelli in merito ai quali restano più testimonianze, che gli storici di casa nostra hanno, spesso, celebrato ed esaltato, agiograficamente. I Cinesi, in realtà, non furono affatto da meno: i loro ingegneri fornirono notevoli contributi tecnologici, in particolare Zhang Heng, inventore e costruttore di un pionieristico rivelatore di scosse telluriche e di una sfera armillare ad acqua, precedente quelle occidentali. All’ingegneria cinese va poi ascritta anche la costruzione dei carri da guerra, con dispositivi orientati a Sud, modelli per le successive realizzazioni di Ma Jun, altro ingegnere militare del Celeste Impero vissuto nel III secolo.
Altro mito senza alcun fondamento storico è quello da abbandonare di un Medioevo nel corso del quale non si sarebbero registrati innovazioni importanti, nell’ambito della ingegneria e delle tecnologie costruttive. Nulla di più falso. Le due figure, spessissimo congiunte, di Ingeniator e Architectus ebbero, in epoca medievale, una legittimazione non solo scientifico-tecnica, ma altresì sociale. Si pensi qui alle gilde e corporazioni massoniche medievali di architetti, costruttori e Liberi Muratori. Il loro lavoro era, nel medesimo tempo, pratico-operativo e simbolico-speculativo: costruivano materialmente ad esempio le chiese romaniche (e poi le cattedrali gotiche) per la gloria del Signore, come dimostra il verticalismo voluto ed insistito degli edifici sacri. Architettura ed ingegneria edile avevano quindi un’impronta sacra e religiosa fortissima. La pratica costruttiva di architetti e ingegneri possedeva un valore iniziatico.
La così detta tecnologia medievale si sviluppò dopo il V secolo e raggiunse una sorta di apice con la rinascita del XII. Spesso con grandi contributi anche da parte della cultura islamica dei califfati arabi (di Spagna e non solo), vi fu già durante l’Alto Evo una decisa crescita nell’ambito delle tecniche civili: in agricoltura furono introdotti l’aratro, il ferro da cavallo ed il torchio per la coltivazione della vite; in campo architettonico e costruttivo si affermarono il pozzo artesiano, sistemi di riscaldamento a pannelli radianti, la volta a crociera, l’edificazione dei camini, le gru (galleggianti e poi, dal Duecento, a ruota); in arte la pittura ad olio; la caratura delle navi, la bussola ed il timone nella pratica nautica; manifatture tessili, pre-industriali; sistemi di macinatura nei mulini a marea ed in quelli a vento verticale; cartiere e laminatoi (precedenti l’epoca di Leonardo); il maglio idraulico, metallurgia e arti meccaniche (orologi a scappamento, manovelle, altiforni). L’educazione scientifica, in età medievale, avveniva attraverso, sia l’apprendistato in bottega, sia tramite la lettura testuale dei (non molti) manuali tecnici (i pratici i quali scrivevano rimanevano, numericamente, pochi, e concentrati nella nostra penisola quasi soltanto in area veneta e toscana, specialmente nell’epoca in cui si sviluppò l’aritmetica mercantile, con l’introduzione dei numeri indo-arabici, grazie al libro d’abaco di Fibonacci). Il Medioevo fece registrare la produzione di carta, filigrana e lenti per occhiali. Il sapere di natura ingegneristica non maturò dentro le Università, ma al di fuori di esse (sarebbe stato lo stesso con la nuova scienza del XVI-XVII secolo). La tecnologia militare, nella fattispecie, non fu mai un prodotto storico-culturale del mondo accademico, ma risorse e crebbe per pratica e mediante procedure di taglio squisitamente analogico. Furono infatti costruite armi, da assedio e da fuoco – con un uso già bellico e pertanto pre-moderno della polvere da sparo, celebrata poi come invenzione iconica da Campanella e Bacone – ed armature a piastre.
L’ingegneria del Medioevo fu contraddistinta dalla costruzione di opere civili come fortificazioni e ponti, e dall’invenzione di macchine per sollevare e spostare pesi (ne fece tesoro la stessa scientia de ponderibus e di Giordano Nemorario e degli studiosi di statica medievale). Fortezze, macchine militari, architettura ed edilizia in campo civile, macchine idrauliche e molitorie, lasciarono, molto prima ancora che cominciasse l’era della stampa a caratteri mobili, una precisa e rilevante eredità tecnica, in termini di invenzioni ed innovazioni. Gli stessi manoscritti copiati in conventi e istituti religiosi cominciarono a documentare le nuove invenzioni, come attesta il Libro dei Disegni del monaco Villard de Honnecourt, nel secolo XIII, ricco di piani dettagliati per macchine idrauliche.
Sbagliato è quindi datare con il principio del periodo rinascimentale e il fiorire di nuove ideologie una soltanto presunta fase di accelerazione degli sviluppi tecnologico-costruttivi in Europa. Nella storia dell’ingegneria occidentale, proprio sul finire del Medioevo, il momento di svolta fu piuttosto un altro: quello del cruciale passaggio, nello studio testuale, dai codici manoscritti ai libri a stampa, nel tramonto del XV secolo, il fattore storico primario per la moltiplicazione delle conoscenze e l’allargamento degli orizzonti del sapere. Il vero inizio, ante 1492, della prima età moderna in Europa.

Per Carolyn Janice Cherryh e in memoria di Giorgio Dragoni


Nell'immagine,Ricostruzione dello ziggurat di Ur, esempio di ingegneria mesopotamica.


Bibliografia

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Parole chiave:

storia dell’ingegneria, Antico Egitto, Sumeri, Babilonesi, ziggurat, Grecia, Impero romano, Stonehenge, Minoici, Micenei, metallurgia, Valle dell’Indo, storia del vicino Oriente

Documento inserito il: 04/10/2025
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