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1943: un anno difficile, anche per i Carabinieri

del Gen. Francesco Caldari


Il 1943 è stato un anno davvero cruciale per la storia d'Italia. Un anno di guerra e di armistizio, che segnò la caduta del fascismo, ma anche l'occupazione di parte del Paese da parte dell’ex alleato nazista. In questa nota proviamo a leggere gli eventi da una prospettiva particolare, quella del Corpo dei Carabinieri Reali.

I carabinieri, storicamente legati alla monarchia, si trovarono in quel frangente storico in una posizione complicata e pericolosa. Il primo delicato episodio accadde il 25 luglio: Mussolini venne “sfiduciato” dal Gran Consiglio. Il conseguente arresto dell’ex Duce fu eseguito fisicamente da ufficiali dei carabinieri: il comandante del Gruppo di Roma, tenente colonnello Frignani lo dispose con i capitani Aversa e Vigneri. Ciò segnò il destino dei primi due, catturati dai nazisti quando entrati nella Resistenza ed assieme ad altri dieci carabinieri trucidati il 24 marzo 1944 tra le 335 vittime dell'eccidio delle Fosse Ardeatine.
Quando Mussolini fu convocato a Villa Savoia, il re lo informò della sua destituzione, e – concluso l’incontro - i Carabinieri intervennero per arrestarlo. Alle 17:20 Vigneri chiese all’ex Duce di seguirlo per proteggerlo da eventuali violenze della folla; al rifiuto di Mussolini, Vigneri lo caricò su un’ambulanza militare, appositamente predisposta per non destare sospetti, trasportandolo presso una caserma dell’Arma. La scelta dei Carabinieri per il compimento dell’atto non fu casuale; erano una forza di polizia con una lunga tradizione in Italia e vennero considerati adatti per gestire l'operazione in un contesto delicato come quello della situazione politica italiana del tempo.

Le cose precipitarono con l'armistizio dell'8 settembre. Fu il caos quasi totale tra ordini confusi e contraddittori, quando proprio assenti. Si pensi alla famosa memoria “quarantaquattro”, che doveva spiegare come comportarsi con i tedeschi e che non arrivò a molti comandi, specialmente fuori Roma, oppure risultò talmente vaga da essere inutile.
La memoria "quarantaquattro", più correttamente Memoria OP 44, era un documento emanato il 2 settembre 1943 dal Comando Supremo italiano, redatto dal generale Mario Roatta, capo di stato maggiore del Regio Esercito, che conteneva indicazioni generiche per i comandi militari italiani su come comportarsi nei confronti delle truppe tedesche, che, dopo l'armistizio di Cassibile, sarebbero passate da alleati a potenziali nemici.
La Memoria fu distribuita in sole dodici copie, destinate ai comandi superiori come quelli territoriali, d'armata e di stato maggiore, principalmente in Italia e nelle armate di occupazione in Grecia e Albania. Tuttavia, non conteneva istruzioni dettagliate o esplicite, non nominava direttamente i tedeschi ma si riferiva a forze "non nazionali" e dava solo generici richiami a una resistenza armata.
Il documento suggeriva di reagire agli attacchi con atti di forza e di ostacolare i movimenti e le occupazioni da parte avversa, ma senza indicazioni precise su come agire. Inoltre, la Memoria fu consegnata a mano e poi distrutta per ordine superiore, e molte unità italiane, specialmente fuori Roma, non la ricevettero o la trovarono troppo vaga. Questo contribuì alla confusione e alla disorganizzazione dei comandi italiani dopo l'8 settembre 1943, rendendo difficile una reazione coordinata contro i tedeschi.

Le forze armate e i carabinieri si trovarono così senza nessuna direttiva chiara, proprio mentre scattava l'operazione Axe, ovvero il piano tedesco per occupare l'Italia. Ciò nonostante, vi furono episodi di resistenza importanti: reparti dell'esercito ma anche dei carabinieri, compresi gli allievi in addestramento della Legione, combatterono in duri scontri, come quelli al ponte della Magliana. Proprio lì il battaglione allievi carabinieri riuscì a bloccare i tedeschi, pagando un prezzo altissimo e molti caduti prima della resa definitiva della città.
Una volta occupata Roma, i tedeschi ebbero i carabinieri come bersaglio prioritario: considerati inaffidabili perché fedeli al re e perché avevano arrestato Mussolini, subirono una vera persecuzione. I telegrammi tra Kappler (comandante della Gestapo nella Capitale) e l’Alto Comando a Berlino rivelano un episodio per molto tempo poco conosciuto, quale la deportazione il 7 ottobre di circa duemila (ma alcuni storici stimano duemilacinquecento) carabinieri, rastrellati e condotti in Germania. Ciò avvenne pochi giorni prima della razzia del ghetto ebraico: diverse analisi storiche suggeriscono un collegamento, al fine di eliminare un Corpo di polizia ancora organizzato e presente sul territorio, che poteva risultare ostile all’azione nazista. Una operazione preliminare per avere campo libero per l'operazione del 16 ottobre contro gli ebrei.
Ma la persecuzione e la deportazione ci mostrano anche l'altra faccia della medaglia: la resistenza di molti carabinieri che sfuggirono alla cattura, entrarono nella Resistenza nel Fronte Militare Clandestino, all'interno del quale nacque una specifica organizzazione clandestina di carabinieri, la cosiddetta Banda Caruso guidata dal generale Filippo Caruso. Nonostante fosse in pensione, Caruso organizzò e unificò i carabinieri sfuggiti alla cattura tedesca in un movimento di resistenza attivo soprattutto a Roma e nell’Italia centrale.
La Banda Caruso contava circa 6.000 uomini ed era divisa in due gruppi principali: un raggruppamento territoriale, che svolgeva attività di intelligence sui movimenti nemici, e un raggruppamento mobile, che effettuava operazioni di guerriglia e sabotaggio contro le truppe tedesche. Questa organizzazione rappresentava una delle prime forme di resistenza armata dei carabinieri contro l’occupazione nazista, con azioni di protezione della popolazione e sabotaggi.
Qui emersero figure davvero notevoli, quali il tenente Romeo Rodriguez Pereira, già decorato, attivissimo nella Banda, che verrà trucidato nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. O lo stesso gesto eroico individuale del vice brigadiere Salvo D'Acquisto il 23 settembre 1943 a Torre di Palidoro, nell'Agro Laziale, che si sacrificò per salvare 22 civili da una rappresaglia nazista. Storie che evidenziano scelte difficilissime tra dovere e lealtà, nella opposizione all'occupante.
Il 1943 fu un anno spartiacque per l'Italia, e i carabinieri si trovarono nell'occhio del ciclone, esecutori di ordini difficili, difensori di una città abbandonata, vittime di deportazioni e poi molti di loro protagonisti della Resistenza. Colpisce la complessità estrema della loro posizione, presi tra fuochi diversi: da una parte la fedeltà al re e gli ordini confusi del governo Badoglio, dall’altra l'ostilità tedesca e fascista, assieme alle necessità della popolazione. In tutto ciò emerge una capacità di agire secondo principi di valore e di dovere, anche in mezzo al disastro generale. Un aspetto importante e forse non raccontato abbastanza della nostra Resistenza, che ben ha fatto l’Arma a far riaffiorare alla memoria con la pubblicazione “I carabinieri del 1943”, reperibile e scaricabile in rete (link a fondo articolo).


Nell'immagine, il sacrificio del Vice Brigadiere Savo D’Acquisto in una illustrazione dell’epoca.

Documento inserito il: 29/06/2025

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