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Storia dell'uomo dalle origini ai giorni nostri. Sessantaduesima puntata

di Alberto Sigona


L'Italia repubblicana tra criminalità organizzata e Terrorismo

Un fenomeno tanto inquietante e tanto transitorio, che tentò di destabilizzare a più riprese la Repubblica italiana, fu, fra gli anni Settanta ed Ottanta, quello del Terrorismo, che assunse varie forme, la più famosa delle quali fu quella delle Brigate Rosse, un'organizzazione armata di estrema sinistra fondata nel 1970 da Alberto Franceschini, Renato Curcio e Margherita Cagol, che durante i cosiddetti “Anni di piombo(1)” mise a durissima prova l’apparato democratico italiano, per una delle pagine più tragiche dell’era Repubblicana. Secondo fondatori e dirigenti, le Brigate Rosse dovevano "indicare il cammino per il raggiungimento del potere e l'instaurazione della dittatura del proletariato e la costruzione del comunismo anche in Italia". Tale obiettivo doveva realizzarsi attraverso azioni politico-militari(2). Dal 1974 (anno dei primi omicidi ad esse attribuiti) al 1988 le Brigate Rosse avrebbero rivendicato ben 86 omicidi: la maggior parte delle vittime erano agenti di Polizia e Carabinieri, magistrati e uomini politici (a questi vanno aggiunti i ferimenti, i sequestri di persona e le rapine compiute per “finanziare” l’organizzazione). La sconfitta delle Brigate Rosse fu il risultato di un impegno coordinato tra magistrati, forze dell’ordine e uomini politici, tutti determinati a difendere le istituzioni democratiche. Magistrati come Francesco Coco, Guido Galli ed Emilio Alessandrini svolsero un ruolo cruciale, affrontando a rischio della vita (difatti saranno tutti uccisi) le indagini sul terrorismo e sui legami con l’ambiente militante e universitario. I Carabinieri, sotto la guida del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e le unità speciali della Polizia e dei Carabinieri, come NOCS e GIS, svilupparono tecniche investigative innovative e operazioni decisive, anche grazie alla collaborazione dei primi pentiti. Parallelamente, diverse figure politiche come Francesco Cossiga e Virginio Rognoni sostennero l’adozione di strumenti normativi specifici, tra cui leggi sui pentiti e sui dissociati, che consentirono di frammentare l’organizzazione internamente e di ridurne il consenso sociale. Questo intreccio di coraggio personale, strategia investigativa e innovazione legislativa rese possibile la progressiva disarticolazione delle BR e la fine di una delle più gravi minacce alla Repubblica italiana(3).

Ma al contempo la neonata Repubblica dovette (e deve tuttora) fare i conti con l'ingombrante fenomeno mafioso, specie con sanguinarie organizzazioni potenti e notevolmente radicate al Sud come Cosa Nostra (Sicilia), la 'Ndrangheta (Calabria), la Camorra (Campania) e la Sacra Corona Unita (Puglia), quasi impossibili da smantellare, per via del gran numero di aderenti, del terrore che incutono su ogni strato della popolazione e per le complicità di moltissimi politici e di alte cariche istituzionali. A partire dagli Anni Ottanta lo Stato, dopo decenni di sostanziale connivenza, avrebbe cominciato a combattere con decisione la Mafia, intraprendendo una vera e propria guerra frontale contro le cosche, pagando però un pesantissimo tributo di sangue che ha dell’inverosimile. Fra gli uomini di Stato rimasti vittime della Mafia ricordiamo il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (uno dei protagonisti della lotta alle BR), il Presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella (fratello dell'attuale Presidente della Repubblica, Sergio), i giudici Cesare Terranova, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino... solo alcuni dei martiri sacrificati in nome del loro impegno profuso contro la criminalità mafiosa, contribuendo all’arresto di molti esponenti di spicco dell’associazione a delinquere – su tutti Totò Riina (catturato nel '93), per anni spietato capo della “Cupola” - ed alla involuzione del sistema criminale, che finirà con l'abbandonare progressivamente la tattica stragista (sino agli anni Novanta i morti si contavano a migliaia) dandosi una nuova immagine più “pulita”, perdendo al contempo quell'aura d'inviolabilità che l'aveva caratterizzata per decenni nonché buona parte del proprio vigore. Oggi la mafia, proprio grazie all'impegno profuso dallo Stato, fa meno paura, ma seppur ridimensionata (e senza un vero capo in quanto l’organizzazione si è trasformata in una costellazione di cosche territoriali autonome, con alcuni boss che emergono come “referenti” o “coordinatori di fatto”, ma senza che esista una cupola pubblicamente visibile e stabile) continua ad apparire una sorta di losca azienda che prospera beatamente, foraggiata in primis dalle estorsioni, dal traffico di droga e dalle infiltrazioni negli appalti pubblici, riciclando denaro “sporco” attraverso oculate tecniche di “reimpiego di capitali” che prevedono investimenti dei proventi illeciti in attività economiche apparentemente legittime. La mafia pertanto resta uno dei problemi più gravi e persistenti per l’Italia, condizionando fortemente la sicurezza, la legalità e il benessere sociale ed economico del nostro Paese.


Nell'immagine, il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato a Palermo dalla mafia.


Note:

(1) Gli Anni di Piombo furono un periodo buio e violento della storia italiana, durato dalla fine degli Anni ’60 fino alla metà degli Anni ’80, caratterizzato da numerose e gravissime azioni armate compiute da parte di gruppi di estrema sinistra (come le Brigate Rosse, Prima Linea) e di estrema destra (come Ordine Nuovo, NAR), che si “dedicarono” a vari attentati, rapimenti, omicidi, gambizzazioni di politici, magistrati, giornalisti, poliziotti, imprenditori e anche civili. La violenza aveva uno scopo politico: la sinistra cercava di destabilizzare lo Stato per instaurare una società socialista, mentre la destra mirava a creare caos per rafforzare un regime autoritario. Lo Stato italiano riuscì però a “sopravvivere” agli Anni di Piombo grazie a una combinazione di strategie repressive, legislative e investigative, oltre a un forte sostegno dell’opinione pubblica.

(2) La prima azione condotta contro un esponente dello Stato fu il rapimento del Sostituto Procuratore Mario Sossi, avvenuto a Genova, il 18 aprile del 1974. Sossi, che era stato Pubblico Ministero nel processo contro il gruppo armato genovese della "XXII Ottobre", fu rapito e tenuto prigioniero in una villa vicino Tortona. Sossi fu sottoposto a "processo" dai brigatisti e venne condannato a morte. I brigatisti, però, offrirono allo Stato un'opzione, ovvero chiesero in cambio della sua liberazione la scarcerazione dei membri della "XXII Ottobre" detenuti, in una sorta di "scambio di prigionieri" tra BR e Stato. Durante il sequestro Sossi "collaborò" con i suoi carcerieri, svelando i retroscena d’inchieste insabbiate dalla Questura genovese: dettagli che le BR resero pubblici. Quindi arrivò l'offerta del Tribunale di Genova di rivedere la posizione dei detenuti della "XXII Ottobre" sfruttando le possibilità offerte dalle norme processuali. Sossi venne così liberato a Milano il 23 maggio 1974. Il Procuratore della Repubblica Francesco Coco però non manterrà fede all'impegno (si rifiutò di dare seguito alla liberazione dei detenuti, opponendosi di fatto alla soluzione concordata) e verrà successivamente ucciso in un agguato l'8 giugno 1976 insieme a due uomini della scorta. Si trattò della prima azione BR pianificata per uccidere, che inaugurò una lunga serie di omicidi politici. Nel ’78 avverrà l’omicidio più noto, quello del Presidente della DC, Aldo Moro (era stato Presidente del Consiglio dei Ministri in cinque Governi tra il 1963 e il 1976). Alcuni terroristi, contrari all'uccisione di Moro e alla campagna di sangue in corso, abbandonarono il movimento, segnando l’inizio dell’indebolimento delle BR, che così si esporranno maggiormente all’azione repressiva dello Stato. L'organizzazione fu smantellata principalmente grazie alla promulgazione di una legge dello Stato che concedeva cospicui sconti di pena ai membri che avessero rivelato l'identità di altri terroristi.

(3) Negli anni ’90 e nei primi anni 2000 emersero nuovamente atti terroristici attribuiti a una sigla che si richiamava idealmente alle Brigate Rosse - spesso indicata come Nuove Brigate Rosse - con omicidi come quelli di Massimo D'Antona (1999) e Marco Biagi (2002), consulenti del lavoro colpiti nel contesto delle riforme del mercato del lavoro. Tuttavia questi tentativi di ricostituzione non riuscirono a raggiungere la forza organizzativa né la base sociale che avevano caratterizzato le origini: la struttura era frammentata, gli arresti numerosi e l’isolamento crescente. Un momento simbolico della “fine” delle BR contemporanee fu l’operazione della polizia del 24 ottobre 2003, che portò all’arresto di molti membri, al sequestro di esplosivi e documenti, e fu considerata come lo sradicamento della “radice principale” del presunto ritorno brigatista. Da allora non si registrano più atti significativi riconducibili a un’organizzazione armata strutturata con l’intento rivoluzionario: le BR sono ormai un fenomeno storico, svuotato della sua capacità operativa e politico militare.

Documento inserito il: 01/12/2025
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