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'Che l’inse', il grido di battaglia del giovane Balilla per scacciare gli invasori austriaci da Genova

di Umberto Diana e Francesco Caldari


Se qualche genovese dai capelli bianchi ma tuttora dotato di una salda memoria dovesse fare un elenco degli argomenti impressi nella sua mente nei lontani anni scolastici, non mancherebbe di inserire nella lista la figura di Giovan Battista Perasso, passato alla storia con il nomignolo di Balilla, lo stereotipo di colui in grado di accendere una sommossa popolare per scacciare un invasore. Aggiungete che – secondo quanto tramandato – si trattava di un giovinetto di non più di quattordici anni, che l’arma da lui utilizzata fu una pietra e che il grido di battaglia non poteva che essere nella lingua locale (“che l’inse?” traducibile in un “che abbia inizio? (la rivolta)” e non vi stupirete se l’episodio di cui vi parliamo è entrato nell’immaginario collettivo della città, espandendosi nella storia per essere preso da esempio per future battaglie risorgimentali e che durante il ventennio fascista il Perasso assurse a simbolo di disciplina e coraggio (“libro e moschetto, fascista perfetto”).

Ma cosa aveva portato, quel 5 dicembre 1746, il Balilla a compiere un gesto così dirompente?
Perché Genova era sotto occupazione da parte degli austriaci?


La Prammatica Sanzione e la Guerra di Successione Austriaca che sconvolse l’Europa

Tra il 1740 e il 1748 quasi tutte le maggiori potenze del continente furono coinvolte in un vasto conflitto europeo, che assunse il nome di Guerra di Successione Austriaca, innescata nell'ottobre 1740 dalla morte dell'imperatore Carlo VI d'Asburgo, privo di eredi maschi. Egli aveva tentato di assicurare la successione della figlia primogenita, Maria Teresa (all'epoca ventitreenne), emanando nel 1713 la Prammatica Sanzione. Tale atto modificava la legge di successione per permettere che i domini asburgici (Austria, Boemia e Ungheria) potessero essere ereditati anche per linea femminile. Nonostante i grandi sforzi diplomatici di Carlo per ottenere il riconoscimento della Sanzione (raggiunto nel 1739, anche se al prezzo di sacrifici territoriali in Italia), dopo la sua morte diverse potenze europee la contestarono e sopratutto la usarono come pretesto per sfidare il potere asburgico. Il principale antagonista fu l'Elettore di Baviera, Carlo Alberto di Wittelsbach, che rivendicava diritti sui territori asburgici e si fece eleggere imperatore nel febbraio 1742 con il nome di Carlo VII.

Il conflitto fu combattuto principalmente in Europa Centrale, ma anche nei Paesi Bassi austriaci, sui mari, e in Italia. I Pro-Asburgo si riconoscevano nella Alleanza Prammatica: Monarchia Asburgica (Maria Teresa), Gran Bretagna (che fornì supporto finanziario e militare), Regno di Sardegna (Carlo Emanuele III). Dall’altra parte si schierava l’Alleanza Borbonica, ovvero la Prussia di Federico II, che invase la Slesia per prima nel 1740, Francia e Spagna (Filippo V e, successivamente, Ferdinando VI) e quindi la Baviera e, per un periodo, l'Elettorato di Sassonia.

L'Italia settentrionale divenne un epicentro strategico, in particolare la Pianura Padana. La Spagna mirava a conquistare i ducati di Milano, Parma e Piacenza per il secondogenito di Filippo V, Don Filippo. Il Regno di Sardegna, in costante ricerca di uno sbocco più ampio sul mare Ligure, si alleò con Maria Teresa nel 1742 in cambio della promessa di acquisire territori della Lombardia (Piacenza e l'Oltrepò Pavese).

Veniamo quindi alla Repubblica di Genova, storicamente abituata a una politica di stretta neutralità, che fu costretta ad abbandone a causa di una minaccia territoriale diretta: il 13 settembre 1743 il Trattato di Worms previde, a danno di Genova, la cessione del Marchesato del Finale (acquistato legalmente da Genova trenta anni prima da Carlo VI) al re di Sardegna. Come è evidente tale lesione della sovranità territoriale era un esproprio e una profonda ingiustizia. Ma a Genova inizialmente il governo era paralizzato da dibattiti interni tra neutralisti e interventisti, dovendo contemporaneamente affrontare la debolezza finanziaria e le incursioni navali inglesi che limitavano gravemente i traffici commerciali. L'inevitabile scelta di entrare in guerra fu accompagnata da "titubanze ed ambiguità" all'interno del patriziato, riflettendo interessi economici divergenti e una profonda consapevolezza della propria debolezza militare.

Infine la Repubblica si alleò con gli avversari dell'Austria — Francia, Spagna e Regno di Napoli — firmando il Trattato di Aranjuez il 1° maggio 1745. Inizialmente i Borboni furono vittoriosi (Battaglia di Bassignana, 1745), ma nel 1746 le sorti si invertirono. Le forze gallo-ispane si ritirarono, lasciando Genova esposta. L'esercito austriaco era guidato dal generale marchese Antoniotto Botta-Adorno, accorso il 5 settembre 1746 per assumere le negoziazioni. Questi era un patrizio genovese. Il suo nome era inscritto nel libro d’oro della nobiltà, ma un elemento fondamentale del suo carattere e della sua condotta fu l'odio personale che nutriva verso la Repubblica di Genova, verso la quale portava rancore perché suo padre era stato condannato in contumacia alla pena capitale e alla confisca dei beni proprio dalla Repubblica circa 50 anni prima. Si prese le sue soddisfazioni, perchè il Senato di Genova si arrese il 6 settembre 1746. La decisione di capitolare fu presa dai senatori a causa della forza soverchiante del nemico, della mancanza di vettovaglie e della convinzione che resistere fosse più "stoltezza che temerarietà". La scelta di entrare in guerra, motivata dal tentativo disperato di preservare il territorio, aveva quindi condotto direttamente al disastro militare e alla temporanea occupazione. La capitolazione non fu vista dal nemico come la fine del conflitto, ma come l'inizio dello sfruttamento, con l'imposizione di un'esorbitante contribuzione di guerra (tre milioni di genovine). L'occupazione portò a saccheggi, requisizioni esose e una diffusa brutalità, specialmente nella Valpolcevera. Fu così che, pochi mesi dopo, nel dicembre, scoppiò l'insurrezione popolare, passata alla storia per il presunto gesto del giovane Balilla, che riuscì a cacciare gli Austriaci dalla città.


“Che l’inse”

Se l'iconografia fascista non avesse fatto del Balilla il simbolo della propria "gioventù impavida e tenace" probabilmente il popolano genovese non sarebbe rimasto scolpito nella storiografia patria.

Nei mesi e negli anni successivi agli eventi, infatti, il gesto del ragazzo non venne celebrato, perché la nobiltà genovese che a seguito della cacciata degli austriaci rientrò nel potere assoluto della Repubblica, desiderava nascondere i tumulti e dimostrare che lo status quo era ristabilito e la sollevazione popolare era rientrata nei ranghi senza alcuno strascico giacobino.

I fatti sono noti: il 5 Dicembre 1746 a Portoria, un quartiere di Genova oggi molto residenziale ma in quei tempi praticamente quasi in campagna, un manipolo di austriaci aveva ricevuto il compito di spostare un pesante mortaio lungo un viottolo scosceso e reso impraticabile dalle forti piogge.

Resisi conto delle difficoltà i soldati reclutarono con la forza alcuni passanti, tra cui anziani e donne, per farsi aiutare nell'operazione, schernendo ed insultando i malcapitati con ferocia.

All' improvviso un giovane, raccogliendo una pietra dal selciato la getto' contro gli austriaci gridando " che l'inse? " che in dialetto genovese significa " che la inizio ? " con l'intento di dare il via ad una rivolta personale dettata dalla disperazione e dalla rabbia.

Il suo gesto non restò isolato ma anzi fu la miccia per una rivolta popolare che infiammò l'intera città di Genova e dopo giorni di feroci combattimenti costrinse gli invasori a terminare l'occupazione.

L'identità del ragazzo non é mai stata pienamente determinata proprio perché nel periodo immediatamente successivo ai fatti a nessun genovese interessava sapere chi fosse il vero iniziatore della rivolta, e solo anni dopo, quando cominciò a soffiare il vento risorgimentale, la figura eroica di questo ragazzo diventa appetibile per la causa patriottica.

Ecco allora cominciare le ricerche attraverso documenti e testimonianze dirette.

In quegli anni le fonti più autorevoli della demografia erano gli ecclesiastici, e anche in questo caso proprio alle ricerche di un prete si deve la più probabile identificazione del ragazzo di Portoria.

Il nome dell'iniziatore della rivolta di Genova era, secondo tali studi, tale Giovanni Battista Perasso, nato nel 1735 in una frazione di Montoggio, paese dell'entroterra genovese, e morto a Genova nel 1781.

Perasso era uno dei tanti ragazzi di strada che sbarcavano il lunario in quei tempi di difficile sopravvivenza ricoprendo svariate inconbenze tra il porto e le botteghe cittadine.

Probabilmente il suo soprannome non era Balilla ma Baletta, sostantivo con il quale, ancora oggi, i genovesi apostrofano i ragazzini minuti e mingherlini e che nel corso dei decenni ha assunto nella tradizione popolare un significato quasi vezzeggiativo ma che in origine identificava fanciulli deboli ed esili.

Se avesse avuto maggior fortuna e carisma, il nostro Balilla avrebbe potuto vivere qualche mese da eroe grazie al suo coraggioso gesto, come era successo, ad esempio, nel 1647 a Napoli a Tommaso Aniello, il famoso Masaniello, ma a Genova non appena gli austriaci agli ordini di Botta Adorno lasciarono la città consegnando le chiavi al capo popolo oste Giovanni Carbone, questi corse a consegnarle al Doge, raccomandandosi soltanto di "tenerne in futuro di maggiore conto, visto il sangue che il popolo ha dovuto versare per recuperarle".

Ad onor del vero occorre dire che la giovane eta' del Balilla non giocava certo a suo favore in funzione di un suo diretto coinvolgimento nelle direzione dei tumulti e delle decisioni conseguenti. Ma un riconoscimento tangibile da parte dei suoi concittadini per il coraggio dimostrato, forse era più che meritato.

Invece al termine dei moti popolari solo la leggenda cittadina e le chiacchiere di osteria si ricordarono di Giovanni Battista Perasso e del suo “che l'inse” e occorre attendere il Risorgimento per spolverare il mito di questo giovinetto che armato di una pietra come Davide, sfida il gigante Golia ed aizza i propri concittadini ad iniziare una vera e propria Battaglia di Algeri ante litteram.

La sua stessa città natale, anche nei decenni successivi, non lo annoverò mai tra i propri figli più illustri: il monumento a lui dedicato non é sicuramente trionfale ed anche la toponomastica lo relega ad una strada laterale di 450 metri di lunghezza nel quartiere di Portoria.

Forse il nostro Balilla sconta proprio il fatto di essere diventato, suo malgrado, un'icona fascista e la città che gli diede i natali é una di quelle in cui la reazione al regime é stata più radicale e sentita, ed in cui ogni riferimento al ventennio é stato rimosso o ridimensionato.

Non é un caso se Genova é una delle poche città italiane dove non esistono più strade intitolate non solo a membri di Casa Savoia, ma anche a personaggi politici che in qualche modo possono ricondurre alla dittatura: Crispi, Giolitti, Facta, Orlando, Salandra pur presenti nella toponomastica di quasi tutte le grandi città italiane, non lo sono a Genova.


Esito finale della Guerra

La guerra di Successione Austriaca terminò con la Pace di Aquisgrana (Aix-la-Chapelle) il 18 ottobre 1748. Maria Teresa fu riconosciuta come sovrana d'Austria, e suo marito, Francesco Stefano di Lorena, come Imperatore del Sacro Romano Impero. L’Austria fu costretta a cedere in modo definitivo la ricca regione della Slesia alla Prussia di Federico II.

Il secondogenito di Spagna, Don Filippo, ottenne i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla. Il Regno di Sardegna acquisì nuovi territori (Vigevanese, Oltrepò Pavese), e Genova fu reintegrata nel possesso del Finale e tornò allo status quo ante.

Il risultato complessivo fu un ripristino della situazione geopolitica esistente, a parte l'emergere della Prussia come grande potenza militare e la sistemazione dei Borboni a Parma e Piacenza. La guerra preparò inoltre il terreno per il successivo "rovesciamento delle alleanze" e lo scoppio della Guerra dei Sette Anni (1756).


Nell'immagine, un dipinto di anonimo che ritrae il gesto del lancio della pietra da parte del Balilla.

Documento inserito il: 05/12/2025
  • TAG: Balilla, Genova, guerra di Successione Austriaca, Giovan Battista Perasso

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