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La magia nel 'De occulta philosophia di Enrico Cornelio Agrippa', prima parte

di Francesco Servetto


«La Magia è una scienza poderosa e misteriosa, che abbraccia la profondissima contemplazione delle cose più segrete, la loro natura, la potenza, la qualità, la sostanza, la virtù e la conoscenza di tutta la natura; e ci insegna in quale modo le cose differiscano e si accordino tra loro, producendo perciò i suoi mirabili effetti, unendo le virtù delle cose con la loro mutua applicazione e congiungendo e disponendo le cose inferiori passive e congruenti con le doti e virtù superiori. La Magia è la vera scienza, la filosofia più elevata e perfetta, in una parola la perfezione e il compimento di tutte le scienze naturali, perché tutta la filosofia regolare si divide in Fisica, Matematica e Teologia (De occulta philosophia, libro I, cap. II).


Lo stereotipo dello stregone accompagnato da un cane nero, di faustiana memoria, è stata per lungo tempo l’immagine per antonomasia ritagliata sui contorni del celebre mago Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim. Denigrato e amato, spirito indomito, la sua fama resiste nei secoli, nonostante le differenti angolazioni da cui intellettuali e studiosi lo hanno inquadrato. Personaggio scomodo, a tratti troppo avanti per i tempi e, soprattutto, troppo intellettualmente libero dai vincoli della cultura ufficiale, si spinge in territori inesplorati e pericolosi, in anni di roghi accesi, qua e là, dalle istituzioni religiose: emblematico il Trattato della nobiltà e preminenza del sesso femminile dedicato a Margherita d’Austria, in cui loda la donna. Per farlo, si serve della tradizione, religiosa e letteraria. Ecco che, appoggiandosi alla cabala, afferma che il nome Eva, il cui significato è «vita», è degno di un senso più completo, se rapportato ad Adamo, la cui etimologia è legata al concetto di Terra. Il fatto di essere stata creata per ultima, rafforza l’idea di rivestire una maggiore importanza, così come il possesso di un corpo che galleggia nell’acqua meglio rispetto a quello maschile; per lui le donne sono sia più caste, sia più eloquenti; i poeti soccombono al loro fascino, così come considera superiore la saggezza e la competenza femminile nelle profezie, tanto che da affermare che «i filosofi, matematici et astrologhi ne le sue divinazioni e precognizioni sono molte volte inferiori alle femmine rusticane, e molte volte una vecchierella vince il medico».
La fama che lo ha accompagnato vita natural durante ed oltre si forma molto presto: giovanissimo, commenta a Dole il De verbo mirifico del neo-pitagorico Reuchlin, dando prova di una competenza non comune. Vero enfant prodige della filosofia, dotato di un intelletto sicuramente sopra la media e di una personalità già matura, negli anni in cui, di norma, ci si forma culturalmente, virtuoso in ogni proprio interesse e ambito del sapere, Agrippa scrive i primi due libri del De occulta philosophia quando ha poco più di vent’anni. L’opera è lodata dall’abate Tritemio, figura molto significativa, nell’ambito della filosofia occulta, profondo conoscitore delle recondite competenze ermetiche e pitagoriche. Benché manoscritta e mancante del terzo libro, inserito nell’edizione che uscirà vent’anni dopo, essa gira per l’Europa, suscitando interesse e critiche. Agrippa è l’intellettuale che si occupa di cabala e di ermetismo; è un medico, nonché astrologo, conosce l’alchimia e la chiromanzia: intorno a lui si forma una cerchia di amici, di sostenitori, affascinati dall’imponente statura culturale della sua figura. Per lui la magia non è solo teoria: sappiamo dal suo epistolario che le competenze in suo possesso sono reali, tangibili, e ne fornisce prova ai propri conoscenti con dimostrazioni fisiche. Desiderio suo è essere riconosciuto come mago, un mago con una dignità aggrappata in maniera indissolubile ad una tradizione antica, in cui si fondono elementi di varia natura.
La magia è, tuttavia, uno scivoloso territorio, una strada ai cui lati, appostati, i detrattori attendono di issare i propri vessilli infamanti. Le accuse si sprecano. Tra i nemici più battaglieri, l’italiano Paolo Giovio, il francese André Thévet, ed il gesuita spagnolo padre Martin Del Rio. Essi lo attaccano con una certa protervia, forti del proprio conformismo, a tratti imbevuto e di bigottismo e di puro senso di superiorità, tipico di certi pseudo-intellettuali utili al potere, e che, come un cancro autogenerantesi attraverso i secoli, si ritrova nella presunzione di tuttologia tanto diffusa ai giorni nostri. Asini travestiti da purosangue dalla prolifica discendenza, garantita nelle epoche dalla fedeltà ad accecanti regole socio-politiche. La cosiddetta cultura ufficiale, ciò che oggi siamo costretti a chiamare mainstream, credendo di darle una maggiore dignità, orfani del nostro pensar nella lingua di Dante, da sempre erige palizzate contro chi prova a scuotere le fondamenta di un sistema autoreferenziale e incoerente.
Accusato di evocare spiriti, nel capitolo VI del primo Libro del De occulta philosophia, l’autore tedesco afferma di conoscere lo specchio magico di Pitagora e, proprio dal già citato epistolario, sappiamo che l’amico don Bernardo dei Paltrinierii, maggiordomo del Cardinale Lorenzo Gampegi, legato della Santa Sede, accenna ad un episodio in cui il mago tedesco gli aveva fatto vedere in uno specchio l’immagine di una persona in vita, formatasi, tuttavia, da una figura senza vita. Numerose accuse dei detrattori lo vedono, di contro, pagare il pernottamento in locande con monete all’apparenza valide, che nel giro di poco tempo si tramutavano in chincaglierie di poco valore, quali pezzi di corni ed affini. Agrippa è colui il quale interverrebbe con i propri incantesimi nelle contese militari, generando invidia e chiacchiere, come affermato dall’ostile Thevet. Il Del Rio, vero e proprio ricamatore di assurdità, mette in giro la leggenda secondo cui, una volta, un giovane ospite della casa di Agrippa avrebbe, in sua assenza, rinvenuto, su un libro nel laboratorio, alcune formule per evocare i demoni, ed il mago, al suo ritorno, avrebbe trovato alcuni di essi che scorrazzavano per casa. A questo punto, con le ovvie differenze, alla mente salta la celebre scena di Fantasia di Walt Disney. Chissà. Un demonio si sarebbe avventato sul corpo del giovane, uccidendolo per strangolamento. Il mago, allora, avrebbe ordinato all’entità di porre rimedio al danno, entrando nel corpo del ragazzo, riportandolo in vita, con l’ordine che si facesse vedere in città dal resto della popolazione, ma esso sarebbe morto di lì a poco nella piazza del paese.
Screditare un personaggio di tale caratura, per alcuni, diventa un dovere. Ecco che per Paolo Giovio le chiacchiere secondo cui il cane nero con cui si accompagnava all’epoca sarebbe stato un demonio diventa un argomento da propagandare. L’ostile dotto italiano sostiene che Agrippa, in punto di morte, avrebbe accusato la bestia di essere la causa di tutte le sue sventure e gli avrebbe ordinato di andarsi a gettare nella Sȃone, dove si sarebbe lasciato morire annegato. L’amore del mago per i cani è un dato storico incontrovertibile. Sappiamo dal suo discepolo Viero che la sua casa era piena di cani e che ad uno di essi, chiamato Filiolus, un suo amico dedicò un epitaffio, in latino; un altro, di nome Monsieur, era inseparabile, lo accompagnava in ogni gesto quotidiano, a tavola, come a letto. Se pensiamo a quanta empatia sia necessaria per amare un essere di un’altra specie, ed i padroni di cani o di gatti sanno a cosa ci si riferisce, l’umanità del filosofo, manifesta, lo rende certamente più evoluto da un punto di vista spirituale, rispetto ai semplici credenti dei dogmi ufficiali, convinti di meritare il diritto alla vita perché umani e, magari, schizzinosi contro esseri considerati inferiori o, addirittura, impuri.
Esistono approcci di altro tipo riguardo la sua figura. Una leggenda dice che egli non sarebbe mai morto, come si dice dell’alchimista Nicolas Flamel o del Conte di Saint-Germain, poiché avrebbe trovato il modo di non morire tramite formule, canti, o per l’elisir di lunga vita. Tali voci sono riportate nell’ottocentesco Dictionnaire Infernal del Collins de Plancy e nel Dictionnaire des Sciences Occultes del Migne, così come è indicato in una lettera di Cyrano de Bergerac; in essa si trova un racconto dal titolo Un grand sorcier, secondo cui ci sarebbe stato un incontro tra l’autore e il mago, la cui anima sarebbe la stessa che albergava nel corpo di Zoroastro, principe dei Bactriani. Secondo tale congettura, Agrippa si sarebbe mantenuto in vita, servendosi del composto alchemico dell’oro potabile, assumendo ogni vent’anni la misteriosa medicina universale che fa ringiovanire e restituisce il vigore naturalmente destinato a scemare col passare del tempo. Nella citata opera del Migne si giunge, addirittura, a operare una distorsione temporale incomprensibile: viene affermato che, in seguito alla pubblicazione del trattato tanto discusso, il mago avrebbe trascorso un anno nelle prigioni di Bruxelles, quindi si sarebbe trasferito a Metz. Controllando la biografia dell’intellettuale tedesco, è incontrovertibile il dato secondo cui Agrippa avrebbe lasciato Metz nel 1520, quindi con uno scarto di dieci anni dalla prima edizione a stampa dell’opera.
Perché tanta acrimonia verso un personaggio il cui intento era, palesemente, ridonare dignità ad un insieme di discipline particolarmente meritevoli di attenzione? Il progetto di riforma della magia di cui si fa protagonista il mago tedesco, per quanto ambizioso, è a tratti rischioso, perché va a interessare equilibri che dalla cultura sfociano inesorabilmente nel marcio mondo della gestione del potere, appoggia le basi su percorsi di grandi intellettuali del passato. Se nel Medioevo figure come Alberto Magno già avevano tentato di non gettare pericolosi coni d’ombra sulla filosofia occulta, con Ficino e Pico si mette in atto un’indagine notevole sulla cultura magica ed ermetica. Intento comune dei due giganti italiani del ‘400, perseguito con metodi non del tutto identici, è operare una distinzione, necessaria, tra le forme di magia meritevoli di indagine e quelle corrotte; la magia naturale è pura, è la filosofia più completa che concede all’esperto di manipolare la realtà, di conoscerla e di prenderne le redini, controllandone le leggi, una volta svelate. Il cosmo, le intime relazioni e le occulte virtù: il mago ha la responsabilità di salvaguardare la conoscenza derivante da antichissime forme di sapere, dall’incrocio fervido di stimoli tra l’ermetismo e la dottrina cabalistica, tra la spiritualità primigenia e i metodi di indagine che si servono dell’empirismo, così come tra competenze alchemiche e manipolazioni pitagorico-matematiche. Il numero, l’aritmologia, la danza dello spirito eletto con gli elementi cosmici e sovra-celesti: un intreccio atavico si sbroglia in varie direzioni, come da un nucleo in fase critica erompono atomi in ogni dove. La difficoltà di maneggiare temi scottanti, talvolta col rischio di scivolare nell’eresia, spesso nell’incomprensione delle menti ottuse, quelle stesse menti con cui, non è raro, si condivide il credo religioso.
Agrippa è cattolico, non trova soddisfazione nella proposta luterana, anzi. È, tuttavia, un uomo di fede che non si lascia abbindolare dal dogma, che non si accontenta di ricevere le Scritture e subirne gli influssi storico-politici. Ha una corrispondenza con Erasmo, il quale, va detto, si approccia con una certa prudenza verso gli argomenti occultistici, e parla di teologia con lodevole considerazione. Il clima in cui si trova ad operare è reso vivace da opere come il De Verbo Mirifico di Johannes Reuchlin, che propone un’attività taumaturgica differente rispetto alla magia, tenendo presente la lezione delle Conclusiones Cabalisticae di Giovanni Pico della Mirandola, concentrandosi sull’uso dei nomi di Dio e sul verbum mirificum, il pentagramma IHSUH. È un’ars soliloquia, che si appoggia alla rivelazione delle Scritture, è l’apice di un’esperienza religiosa in cui l’anima colloquia con Dio. L’uomo appare, al termine, deificato e rigenerato perché «migrat in Deum et Deus habitat in homine». Strumento divino, l’uomo può, dunque, compiere gesti sovrumani, senza che l’idea sulla magia di Reuchlin ne venga inficiata. Per lui, infatti, essa è criticabile in quanto, come proposto da Ficino e da Pico, è conosciuta tramite la ragione, che si serve dei sensi e che, perciò, non sarebbe in grado di intervenire correttamente nel processo della più pura conoscenza, divina.
In Agrippa, il concetto è affrontato da un altro punto di vista, nell’intento di costruire una ars miracolorum che consenta l’esplicazione operativa di tutti i campi del sapere. Perché ciò accada, è necessario sia tenuta in considerazione ogni forma storica legittima della magia. Per lui, non è più sufficiente la proposta di Pico, poiché intravvede la necessità di allargare la base scientifica su cui si poggia la magia stessa e, soprattutto, di discernere tra le diverse filosofie, generando una sorta di gerarchia, al cui vertice si trova la più nobile. Le singole scienze sono, dunque, da valutare secondo una griglia interpretativa, dove siano esposti i loro risultati, dimostrando come la conoscenza da teorica diventi attività reale, garantendo, all’uomo, una crescita notevole; il fatto, poi, che la magia abbia la caratteristica di essere un sapere sacro esclude la responsabilità della sola ragione, nel processo di indagine. Memore della tripartizione delle facoltà dell’anima ficiniane, la ragione va situata in posizione intermedia, tra la mente, la scintilla divina presente in ogni uomo, e l’idolo, le facoltà sensibili. A questo punto, le parole con cui si apre l’opera, appaiono indicative di un progetto decisamente ben articolato: «Come v’hanno tre sorta di mondi, l’Elementale, il Celeste e l’intellettuale, e come ogni cosa inferiore è governata dalla sua superiore e ne riceve le influenze, in modo che l’Archetipo stesso e Operatore sovrano ci comunica le virtù della sua onnipotenza a mezzo degli angeli, dei cieli, delle stelle, degli elementi, degli animali, delle piante, dei metalli e delle pietre, cose tutte create per essere da noi usate; così, non senza fondamento, i Magi credono che noi possiamo agevolmente risalire gli stessi gradini, penetrare successivamente in ciascuno di tali mondi e giungere sino al mondo archetipo animatore, causa prima da cui dipendono e procedono tutte le cose, e godere non solo delle virtù possedute dalle cose più nobili, ma conquistarne nuove più efficaci». L’opera è un compendio di conoscenze, la cui struttura rimanda alla concezione tripartita: il primo libro parla del mondo degli elementi, in particolare sottolineando come il tutto derivi da quattro elementi, fuoco, terra, acqua ed aria, legati tra loro tanto da spingerlo ad affermare che «ciascun elemento ha due qualità specifiche, di cui la prima gli è caratteristica e inscindibile e l’altra è transattiva e comune a un altro elemento»; nel secondo libro, è trattata la magia celeste, in apertura è posto in risalto il ruolo delle scienze matematiche, la cui manipolazione permette accesso a conoscenze altrimenti intangibili, e in cui afferma, sulla falsariga di Severino Boezio, che «tutto quanto la natura ha procreato, sembra essere stato formato sotto il regime dei numeri e da essi sono provenuti la quantità degli elementi, le rivoluzioni dei tempi, il moto degli astri, la mutabilità del cielo». Il terzo libro si occupa di magia cerimoniale, con l’intento di giungere al Vero, comprendendo le leggi delle religioni, fintantoché la mente e l’anima ne siano nobilitati al massimo livello. La sua filosofia ne ritaglia contorni affascinanti, da un punto di vista intellettuale, la vita ne testimonia, come già detto, un’empatia e, si aggiunga, un senso della giustizia realmente tendente, nei fatti, alla dignità dell’essere, qualunque esso sia.
La vicenda della strega di Woippy ne riassume appieno le peculiarità. Nella città di Metz una povera donna era stata condannata al rogo, con accuse di stregoneria ed eresia. Geniale, Agrippa parte dai vizi di forma della procedura, per sostenere la tesi dell’assoluzione. Ecco che afferma di poter dimostrare come «a Cantiuncula, una turba ignobile di contadini congiurati contro di lei ne invase la casa nel bel mezzo della notte. Questi miserabili briachi di vino e di orgia s'impadroniscono della disgraziata e di loro privata autorità, senza alcun diritto, senza licenza di giudice, la gettano in prigione». Il Capitolo della Cattedrale non tiene in considerazione l’irruzione e consegna la povera malcapitata al giudice ordinario, il quale si lascia corrompere da quattro degli accusatori, consegna loro la donna ed essa subisce da loro percosse ed ingiurie gratuite. L’inquisitore fa sottoporre la donna a tortura, perché confessi, sostenendo che ella non può che essere una strega, perché la madre era stata arsa sul rogo come tale. Agrippa interviene, contestando il concetto di eredità diabolica, di ventre entro cui si anniderebbe, per opera del Diavolo ingravidatore seriale, una discendenza maligna, affermando che tali congetture sono proprie di una teologia peripatetica (dimostrando, perciò, come anch’egli non fosse entusiasta dell’approccio aristotelico alla realtà, all’epoca dominante nelle università europee).
Il colpo di classe dell’intellettuale nasce, come ovvio, dalla sua mente versatile: la tesi sostenuta dal giudice è infamante, non solo nei confronti dell’accusata, ma anche dell’istituzione del battesimo, durante il quale il sacerdote intima al demonio di uscire dal corpo di chi riceve il sacramento. Con la provocatoria domanda «se il figlio resta al diavolo anche quando il prete ha detto: Esci spirito immondo e fai posto allo Spirito Santo, che valore ha il sacramento? E chi ti prova che il diavolo possa generare? Tu, inquisitore della fede, con tutti i tuoi argomenti, non sei che un eretico», ribellandosi con un certo coraggio all’Istituzione che, come un moderno fact-checker finanziato da gruppo editoriali molto potenti, si arroga il diritto di stabilire cosa è vero e cosa è falso. Agrippa non demorde e dimostra come il processo sia una farsa, e l’ufficiale stesso non abbia le competenze per affrontare l’indagine: «Non gli spetta il riconoscere il delitto di stregoneria; e quanto a quello di eresia la presunzione non basta a dargli in mano la causa». Il rischio a cui si espone, in qualità di avvocato, sembra quasi non percepito, molto probabilmente perché sostenuto da uno spirito coerente con le proprie idee e con gli sforzi effettuati nel tempo, per dar loro una forma e un’impronta indelebile. La donna è liberata e ricondotta alla propria abitazione. Muore nel frattempo l’ufficiale, il quale tra l’altro, sul letto di morte, riconosce l’innocenza della donna, ma l’Inquisitore Nicola Savini non demorde. Nomina un nuovo ufficiale, con l’intento di condannare al rogo la malcapitata, ma la difesa strenua del filosofo tedesco, infine, ha la meglio. Si guadagna il discredito delle sfere ecclesiastiche della città di Metz, tanto da doverla abbandonare, solo dopo aver visto la folla fischiare l’Inquisitore, il quale si vendicherà, secondo le parole di Brennonio, suo fido discepolo, torturando e costringendo ad una falsa confessione un’altra povera anziana ed innocente.
In Agrippa, la sete di verità va di pari passo con quella di conoscenza. Dal De occulta philosophia stesso brulicano un senso enciclopedico del sapere e un desiderio di recuperare conoscenze di autori tanto distanti nel tempo. Caratteristica dell’opera è, infatti, di esprimere quasi totalmente fiducia in autori non contemporanei, trattando scritti di varia natura. Si pensi al forte interesse verso Plinio il Vecchio e verso la sua Naturalis Historia, Platone, la scuola neoplatonica alessandrina e Plotino in particolare. Del Medioevo, sentita è la curiosità verso Alberto Magno, così come verso il cabalista cristiano Raimondo Lullo, di cui scrive un commento all’Ars parva. Il concetto di prisca teologia, recuperato dai filosofi rinascimentali fiorentini, assume un fine non trascurabile: la conoscenza più pura può essere recuperata in un’ottica speculativa e filosofica, tenendo ben presente la lezione dell’ermetismo, che, è bene ricordare, in epoca rinascimentale era inquadrato temporalmente in maniera arbitraria, quasi nebulosa, credendolo legato ad epoche tanto arcaiche, da giungere a millenni addietro, a quelle civiltà come l’egiziana o la caldaica, dalle profonde e sviluppate tradizioni religiose e scientifiche.
Pitagora e gli antichi saggi sono considerati da Agrippa i portatori di una forma di sapere dalle caratteristiche magiche, tanto che non appare fuori luogo considerarli predecessori di autori più recenti, come i medievali Pietro d’Abano, Arnaldo di Villanova o Ruggero Bacone. In ciò, Agrippa si distacca da Reuchlin, il quale, invece, preferisce appoggiare le proprie teorie sul mondo ebraico-cristiano. Poco male. La cabala cristiana di Reuchlin lo affascina, lo ammalia al punto da trascinarlo in un’indagine totalizzante, commista di ermetismo come di rispetto verso la spiritualità cristiana. Agrippa studia anche il Crater Hermetis di Ludovico Lazzarelli, eclettico autore esperto di filosofia occulta della seconda metà del XV secolo, lettore del Picatrix e di altre opere astrologiche, nel cui pensiero si fondono idee millenariste, intrise di cristianesimo e di dottrine ermetiche; l’astrologo di corte Agostino Ricci, cabalista e astronomo, diventa suo amico durante il soggiorno in Italia, di cui peraltro parlerà come della terra più fertile, per lo sviluppo intellettuale dell’uomo. Il clima in cui si trova a studiare, a formarsi e a dialogare sui massimi sistemi, è il caso di dirlo, è molto vivo, lo sostiene e trae giovamento dalle sue idee allo stesso tempo: in poche parole, l’enciclopedismo dell’uomo cinquecentesco, indirizzato con un senso e verso un determinato senso, deve apparire all’uomo del XXI secolo per quello che è: un’anticipazione della multi-disciplinarità che, fortunatamente, al giorno d’oggi è tenuta in considerazione nella ricerca più performante e degna.


Nell'immagine, Ermete trismegisto, al quale è attribuita la fondazione della corrente filosofica nota come ermetismo.


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Documento inserito il: 31/05/2025
  • TAG: misticismo, magia bianca, filosofia naturale, filosofia occulta, esoterismo, ermetismo, prisca philosophia, scienza rinascimentale, E.C. Agrippa

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