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Itinera Progetti: 'La Croce in trincea'. I cappellani militari nella Grande Guerra [ di ]

L’importanza dei Cappellani militari nella Prima Guerra Mondiale è oggetto del nuovo libro di Itinera Progetti, scritto da Stefano Aluisini, Ruggero Dal Molin e Marco Cristini. Con un ampio apparato fotografico, oltre 210 immagini per lo più inedite, e molta attenzione per le memorie dei protagonisti del loro racconto, gli autori hanno ricostruito queste figure religiose che si sono però reinventate sul fronte con funzioni molto diverse, dal confessore al medico, al commilitone, fino al padre.
Gli autori del volume raccontano in questa intervista il loro lavoro.

Quali sono in particolare i diari a cui avete attinto?
Abbiamo consultato molti diari e piccole pubblicazioni di un secolo fa, spesso realizzati in proprio dai Cappellani e dalle Crocerossine, talvolta per riconoscenza verso i propri superiori ma soprattutto sentendosi in obbligo di lasciare un segno tangibile della grande tragedia vissuta o di raccogliere fondi per gli orfani, anche dando lavoro a tipografie presso istituti di beneficienza.
Sono testimonianze in gran parte poi di fatto scomparse anche perché il nascente regime, già dall'immediato primo dopoguerra, ne ostacolò la diffusione stante il loro denominatore comune, la più drammatica e autentica rappresentazione degli effetti di ogni conflitto.
 
Da che cosa è partito il vostro lavoro di ricerca, e il vostro interesse?
L'idea di dedicare un libro ai Cappellani Militari nacque da un fatto ben preciso, riportato nel nostro volume precedente "Molti non tornarono" ovvero il pietoso gesto che il Feldkurat del 17° I.R. "Kronprinz", Padre Giovanni Gogala, ebbe nei confronti di alcuni Alpini italiani caduti in prossimità della cima del Monte Chiesa, a q. 2056, il 24 luglio del 1916 dopo essere riusciti a scavalcare i tre ordini di reticolati. Tra loro vi era un mio prozio, decorato per quella azione con la Medaglia d'Argento al Valor Militare. Il Cappellano lo raccolse morente e, dopo averlo seppellito degnamente tra gli stessi militari Austroungarici, scrisse in Italia per dare notizia alla famiglia indicando il luogo esatto di sepoltura.
L'Archivio Storico Dal Molin conserva ancora alcune fotografie di quel luogo, nel quale ci siamo recati anche questa estate, in cui si vedono due elmetti italiani fra le tombe dei fucilieri Sloveni. La lettera del Cappellano arrivò in Italia ma è stata archiviata per un secolo, sino al nostro ritrovamento della sua traduzione, alcuni anni fa.
 
Le foto sono quasi altrettanto numerose delle pagine, quanto sono importanti nel vostro racconto? C’è un’immagine che più di altre vi ha ispirati o che vi è rimasta impressa?
In un libro come questo l'apparato fotografico è particolarmente toccante perché finisce col renderci non solo un'idea delle situazioni ma rende tangibili anche i sentimenti e le emozioni come quando il Cappellano abbraccia il ferito, i commilitoni seppelliscono pietosamente un caduto, la Crocerossina si rassetta il camice per una fotografia tra i medici stravolti, quando amici e nemici si trovano confusi nella medesima immagine dove regna solo l'espressività dei volti.
Tra le tante ricordo uno scatto "rubato" durante una Messa improvvisata, probabilmente alle falde del Monte Ortigara nel 1917; si tratta di una fotografia nota e da tanti interpretata e collocata erroneamente anche sul web, ma unica nel suo genere per come rappresenta spontaneamente la disperazione dei soldati ai quali poco prima dell'assalto imminente non restava che rifugiarsi negli ultimi conforti della Fede. Ma anche alcune delle immagini sulle Crocerossine, ad esempio quelle Britanniche, sicuramente allora le più preparate, tanto da essere chiamate a istruire quelle italiane; la più famosa di loro, Dorothy Snell, la cui vicenda è riportata nel libro, stracciò i telegrammi che le imponevano il rientro a Roma mentre il fronte di Caporetto crollava, preferendo risalire con le sue allieve le colonne in ritirata portando soccorso ai feriti.
 
E una figura particolarmente importante, secondo voi?
Direi senz'altro quella di Padre Giulio Bevilacqua, pluridecorato "soldato-prete" (infatti partecipò alla guerra come ufficiale degli Alpini pur essendo già sacerdote), uomo di statura eccezionale che divenne uno dei pilastri della Chiesa tanto da essere giustamente definito un "Cardinale sugli avamposti" proprio perché portò nella sua missione pastorale la stessa intrepida dedizione profusa sul campo di battaglia, recuperando sotto il fuoco nemico morti e feriti. I suoi drammatici ricordi dei combattimenti in Altopiano e la straziante orazione che tenne quando vi tornò nel 1920, gridata al cielo dalla cima dell'Ortigara, arrivano ancora oggi fino al profondo del cuore. Una vita destinata a rivelare anche nel secondo conflitto mondiale e nella ricostruzione più di un tratto sorprendente, come ricordiamo nel libro, ma restata per sempre legata a quel tragico 1917, tanto che negli ultimi istanti di vita volle vicino la sua coperta da Alpino.

Era tipica dei cappellani la “compassione verso il nemico” o l’avete trovata anche in altri contesti?
Effettivamente questo è un aspetto che ricorre molte volte nel libro e che non manca di stupire, soprattutto considerato i frangenti nei quali essi operavano. Per questo in modo assai emblematico, sono citati diversi passi dal diario del Feldkurat Bruno Spitzl del 59° Rainer, tradotti dal nostro Marco Cristini e raccolti con altri nel capitolo "Eroi che amano i nemici"; una testimonianza molto forte che conobbe di fatto lo stesso ostracismo nel dopoguerra, in quel caso da parte del regime nazista. Quello che colpisce, al di là dell'eroico comportamento del religioso, fu proprio l'effetto sui suoi soldati che si impegnarono allo stremo per salvare gli italiani sepolti sotto la mina del Monte Cimone. E quel caso non fu l'unico, come viene raccontato nel libro: durante la Grande Guerra infatti, i combattenti non erano ancora animati dal furore religioso o spinti dal fanatismo quindi non di rado un barlume di umanità, specialmente in montagna, sopravviveva anche nelle circostanze più terribili.
 
Qual è stata l’influenza della croce sull’esercito e sui soldati?
E' indubbio come in particolare nell'esercito austroungarico, dove i rapporti con la Chiesa Cattolica erano più stretti e soprattutto più datati che in quello italiano, i Cappellani finirono con l'avere un grande effetto soprattutto sul morale e sulla disciplina delle truppe, oltre che, come dovunque accadde molto più praticamente, nel campo sanitario per il soccorso ai feriti e il seppellimento dei caduti. Altro aspetto che viene ripreso nel libro con testimonianze toccanti, e che sicuramente ebbe il suo peso, era la gestione della corrispondenza con le famiglie, taluni dicono anche in termini di relativa censura, in realtà io credo in termini più pietosi, per attenuare dove possibile il dolore di familiari dosando le notizie sulle circostanze della morte. In diversi casi, grazie a quelle testimonianze, siamo anche riusciti a rintracciare poi veri nomi di alcuni dei feriti più gravi che spirarono tra le loro mani. Lo stesso dicasi per le Crocerossine, il cui eroico operato andò come descritto nel libro ben oltre ciò che comunemente si intende, traducendosi in un impulso decisivo alla stessa emancipazione femminile nei primi decenni del Novecento. Che alcune azioni dei Cappellani furono poi enfatizzate per motivi propagandistici è indubbio, ma così come centinaia di loro, una volta finiti sulla linea del fuoco, vennero decorati al valore per gesta divenute epiche, alcune delle quali riportate nel libro.

Che limiti di azione avevano?
I loro compiti erano di fatto limitati dalla propria condizione giuridica e di coscienza che li escludeva da qualsiasi atto offensivo. Nel caso dei "preti-soldato" ovvero quei religiosi chiamati alle armi ma non ufficialmente nominati come Cappellani, l'impiego dipendeva invece, oltre che dalle circostanze quotidiane, solo dalla sensibilità dei propri superiori senza la quale si era purtroppo destinati al comune servizio in trincea.
Gli stessi Cappellani affrontarono comunque sacrifici anche psicologici altrettanto terribili, si pensi ad esempio all'assistenza ai condannati a morte per fucilazione, drammi umani riportati nel libro con alcune testimonianze angoscianti. Di certo poi non furono rari, nella foga degli scontri, i casi in cui i limiti ideali venissero inconsciamente travalicati dagli stessi religiosi con un duplice effetto. Da un lato quello che i soldati, sull'esempio dei loro Cappellani, cercheranno di emularne le gesta caritatevoli seguendoli infinite volte nella terra di nessuno per recuperare feriti e moribondi. Dall'altro molti religiosi, stravolti da quanto avevano visto durante la guerra o probabilmente si erano trovati nelle condizioni di fare in quei frangenti estremi, alla fine del conflitto lasciarono per sempre l'abito talare diventando testimoni ancora più autentici di un fortissimo desiderio di pace.
 Documento inserito il: 19/01/2017

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