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Novità Il Pozzo di Giacobbe: 'Sulla pazzia del nostro tempo e del mezzo per rinsavire' [ di ]

Novità editoriale da Il Pozzo di Giacobbe:

LEV TOLSTOJ SULLA PAZZIA DEL NOSTRO TEMPO E DEL MEZZO PER RINSAVIRE
(2017, Collana “Il Pellicano”, pagine 69, prezzo 9,90 Euro)
Traduzione e commento a cura degli Amici di Tolstoj
Note e post-fazione di Sergio Tanzarella


Solo l’essere spirituale è libero dall’egoismo.
Con l’egoismo non ci può essere etica.

Lev Tolstoj

Proposta per la prima volta in italiano, questa raccolta di brevi testi – scritti tra il 1890 e il 1908 – è un potente e significativo esempio della produzione saggistico-filosofica di Lev Tolstoj, meno conosciuta se non osteggiata. Come evidenzia Sergio Tanzarella nella sua postfazione: «Si tratta di un trentennio [l’ultimo della vita dello scrittore russo] particolarmente trascurato dalla critica e che non ebbe la dovuta considerazione da parte dei contemporanei del mondo intellettuale e istituzionale». Negli scritti di carattere morale e religioso, si stentava infatti a riconoscere l’autore di Guerra e pace e Anna Karénina, tuttavia fu proprio la fama internazionale di romanziere a far sì che tali scritti penetrassero «negli ambienti più disparati delle società europee, benché sottoposti a tagli arbitrari e pubblicati aframmenti o sezioni, con traduzioni volutamente imprecise e con un uso spesso strumentale per sostenere cause disparate. Lo stesso regime zarista pur non potendo perseguitare personalmente lo scrittore, a causa della sua diffusa notorietà, impedì la pubblicazione e la diffusione di diversi di quegli scritti, anche punendo aspramente coloro che li possedevano».
A 107 anni dalla morte di Tolstoj, i fulminanti interventi che compongono Sulla pazzia del nostro tempo e del mezzo di rinsavire mostrano tutta la cristallinità e il nitore del suo pensiero rinvigorito da un’adesione piena alla cristianità delle origini, impressionanti per capacità di predizione e centratura di quelle che diverranno le grandi questioni del III millennio.
Il dolente j’accuse tolstojano ha come bersaglio gli effetti incontrollabili della modernità. Egli se la prende con le banche, l’alta finanza, il culto di Mammona; non cela fastidio per i tribunali («Perché la gente va nei tribunali, esige e si sottomette a punizioni, pur sapendo che nessuno può giudicare un altro e che l’uomo deve non punire, ma perdonare il proprio fratello?»); si scaglia contro la guerra, gli eserciti e il militarismo, sviluppando una fede incrollabile nella non-violenza; disapprova la consuetudine sempre più consolidata agli “eccitanti” da parte di un folto numero di individui, vogliosi di stordirsi «per non avvertire il disaccordo flagrante tra la vita moderna e le esigenze della coscienza stessa»; critica il generalizzato quanto spasmodico affaccendarsi dell’umanità in cose di nessun peso e importanza.

Per la gente del nostro tempo è difficile non solo capire le cause della sua situazione sciagurata, ma anche prender coscienza della sua stessa sciagura, e di conseguenza, di quella principale sciagura del nostro tempo, che si chiama progresso e si manifesta con l’ansia febbrile, con la fretta e la tensione in attività completamente inutili oppure chiaramente dannose, con la continua ubriacatura di idee sempre nuove, che assorbono tutta l’attenzione e, soprattutto, con un illimitato compiacimento.

Paladino di una decrescita felice molto prima che questa si formalizzi in teoria e ispiratore del polemismo novecentesco più arguto e pregnante (per l’Italia non può non pensarsi alle inquietudini pasoliniane nei confronti della società tecnologica), quello che emerge – negli scritti Sulla pazzia del nostro tempo e del mezzo di rinsavire – è il Tolstoj forse più schiettamente politico. Sofferente per i mali del mondo e perché vive come una colpa la sua enorme ricchezza, egli osserva come i suoi simili siano contagiati dall’immoralità dell’egoismo, schiavi dell’esteriorità, ripiegati in modo gretto su se stessi al punto di aver perso la cognizione del senso del vivere. Sono, invece, l’interlocuzione continua con la propria coscienza e un concreto impegno etico quale cifra esistenziale che spalancano le porte della libertà individuale.

Lev Nikolàevič Tolstoj (1828-1910) nasce in una nobile famiglia russa. Dopo un’adolescenza disordinata e irrequieta, intraprende gli studi in Giurisprudenza che non termina arruolandosi nell’esercito come volontario e diventando poi ufficiale nella guerra russo-turca. A questo periodo risalgono i suoi primi racconti tra cui spicca I cosacchi, contraddistinti dall’assenza della minima esaltazione verso l’impresa bellica e da una descrizione vivida delle atrocità vissute ai fronti, che gli procurano l’ostilità delle autorità governative. Dopo la trilogia autobiografica Infanzia (1852), Adolescenza (1854) e Giovinezza (1857), si occupa dell’istruzione dei figli dei contadini della grande tenuta paterna dove intanto è tornato a vivere, fondando e dirigendo un’apposita scuola. Tra il 1863 e il 1877 pubblica i suoi romanzi più famosi Guerra e pace e Anna Karenina. Nel quinquennio 1879-1884, sprofonda in una crisi spirituale che influenza la stesura di testi come Confessione, Saggio di teologia dogmatica, Collazione e traduzione del Vangelo e In che cosa consiste la mia fede, testimonianze del suo avvicinamento al cristianesimo, con la precisa volontà di recuperarne l’originaria semplicità e purezza, ripudiando ogni forma di istituzione politica, sociale e religiosa. In linea con questa nuova tensione sono il racconto La morte di Ivan Il’ič (1887-1889) e il romanzo breve La sonata a Kreutzer (1889-1990). Nel 1891 rinuncia alle royalties dei suoi romanzi attirando su di sé risentimenti insanabili da parte di moglie e figli, che non concepiscono il suo desiderio di non voler trasformare l’arte in professione, di non ricevere vantaggi materiali né possedere alcunché. Sono gli anni della stesura del saggio Che cos’è l’arte (1897-1898) – dove il valore dell’arte viene identificato con la maggiore o minore rispondenza al sentimento e alla coscienza religiosa del tempo e del popolo e non in quella espressa da un gruppo di privilegiati – e di Resurrezione (1889-1899) – in cui il tema della redenzione umana attraverso l’amore e il perdono va di pari passo con l’amara constatazione del loro arduo compimento. Nel 1901 Tolstoj subisce la scomunica del Santo Sinodo che mal sopporta il suo cristianesimo anarchico e pacifista assieme al suo scandaloso impegno in favore dei diseredati. Dopo aver più volte meditato la fuga per sottrarsi alle vessazioni dei familiari, Tolstoj abbandona la sua casa ma, ammalatosi gravemente di polmonite a causa del freddo e della vecchiaia, muore alla stazione ferroviaria di Astàpovo.


Hanno detto:

Si tratta di pagine appassionate sul senso della vita, che testimoniano un sentire illuminato, che l’autore caldamente cerca di trasmettere al mondo […]. Lo scrittore lega la necessità della fede alla follia della non-fede. […]. Parole forti, sconvolgenti nella loro semplicità.
Avvenire Documento inserito il: 21/02/2017

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