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Massoneria e Inquisizione nel Settecento anglo-toscano: Francesco Stefano di Lorena e Carlo Edoardo Stuart

di Davide Arecco


Collezionismo scientifico e Libera Muratoria nel Granducato asburgico

Nella Toscana granducale, le trasformazioni intellettuali furono visibili, nel XVIII secolo, agli occhi degli osservatori fiorentini e italiani, come a quelli dei viaggiatori europei. A Firenze e a Pisa, la tradizione accademica galileiana si completò, introducendo (in collaborazione con Napoli) nuove tecniche sperimentali e matematiche di indirizzo newtoniano, provenienti dall’Inghilterra, sempre in contrasto con il gesuitismo universitario: si pubblicarono le inedite lezioni (lasciate manoscritte) di Torricelli, si tradussero (clandestinamente, per il mercato dei sempre attraenti libri proibiti) le opere idraulico-pneumatiche e ottico-geometriche di Francis Hawksbee (dimostratore della Royal Society londinese) e venne diffuso l’epicureismo francese cristianizzato, di Gassendi. Lo scopo era quello di approntare spazi adeguati per l’esercizio di una libertas philosophandi già illuministica. Magalotti – già segretario del Cimento, letterato, diplomatico e gran viaggiatore nel Nord Europa – aveva messo a punto apposite e caute strategie dissimulatorie per fare incontrare erudizione libertina e tradizione cattolica: il solco lungo il quale si mossero non senza difficoltà i primi riformatori toscani. La storia antica, l’archeologia e la ricerca antiquaria avviarono nel Granducato del primo Settecento un fitto e proficuo dialogo culturale con il mondo inglese: nel 1719 apparve a stampa, a Firenze, il De Etruria regali dell’antichista britannico Thomas Dempster. A partire dal 1726 fu introdotto il pensiero gius-politico – moderato, ma insieme riformista – tanto di Muratori quanto di Montesquieu.1
Sorse una nuova storiografia, più rigorosa ed attenta, sul piano del metodo. La libertà politica fiorentina venne apertamente celebrata, dai seguaci granducali del giusnaturalismo di Grozio. Nello specifico, si segnalò, a protezione degli appartenenti toscani alla Repubblica delle Lettere, l’azione di mecenatismo garantita dalla famiglia Corsini (con proprietà ed entrature anche a Roma e Napoli), che – come attesta la Istoria del Granducato (1781) di Galluzzi – furono i patroni e di cruscanti e di naturalisti. Tra nuova scienza e gusto antiquario, il passaggio in Toscana dal razionalismo ai Lumi trovò in luoghi come accademie, musei e logge massoniche lo spazio per rinnovate pratiche sociali, entro cui agirono filosofi naturali e bibliotecari, antiquari e primi giornalisti, ispirati ai modelli dello Spectator e del Craftsman. La successiva penetrazione dell’Encyclopédie (a Livorno) consentì alla rivalorizzata (in senso baconiano) cultura materiale ed al sapere empirico-artigiano dei meccanici di affermarsi unendo veritas ed utilitas. In ambito economico, nel passaggio dai Medici ai Lorena, più aggiornati dibattiti coinvolsero le idee di Véron de Forbonnais e di John Cary. Librai e stampatori, soprattutto di nuove opere tecnico-scientifiche e libero-muratorie, fecero infine il resto.2
L’infeudazione imperiale e l’azione dei Lorena furono determinanti - a dir poco - nell’opera di introduzione in area granducale dei valori illuministi. Con Francesco Stefano di Lorena Granduca di Toscana, la gestione asburgica rinsaldò i legami di Firenze con il Sacro Romano Impero di Vienna e la capitale toscana si ritrovò pertanto inserita nei quadri degli equilibri politici europei, nell’età che vide le guerre di successione spagnola (1701-1714), polacca (1733-1738) e austriaca (1740-1748): è lo scenario, si sa, della balance of powers di antico regime. Le ripercussioni del cambio di dinastia, dai Medici ai Lorena, furono rapide e senza ritorno, quasi sempre positive e volte al nuovo. I Lorena stesero infatti un dettagliato Plan des changemens à faire en Toscane, e anche i monenti di crisi, sin dai primi anni della Reggenza, vennero vissuti come grandi occasioni, per riformare e riaffermare la presenza dello Stato, pure guardando all’esempio piemontese coevo di Vittorio Amedeo II. Pompeo Neri, come tante altre menti toscane, trovò inoltre un prezioso interlocutore in Richecourt.3
Gli orientamenti politici e culturali nella Firenze della Reggenza lorenese furono segno di una prorompente vitalità e vivacità, che la storiografia della dacadenza e del declino (solo presunti) del nostro stivale tra XVII e XVIII secolo hanno voluto troppo a lungo tacere. Le scienze in particolare si mostrarono, grazie al patronage lorenese, vivissime: su tutte, botanica e medicina, analisi e fisica, quest’ultima ricondotta all’impronta teologica (anglo-britannica e newtoniana) di William Dereham (1657-1735), astronomo della Royal Society, apprezzatissimo dagli accademici toscani.4 La scienza e l’antiquaria – il futuro ed il passato degli studi, si potrebbe dire – furono in misura crescente, nella prima metà del ‘700 in ambito granducale, il linguaggio del patriziato più colto e aperto.
Fra Impero asburgico e Granducato, tradizioni scientifiche maturate all’ombra di Galileo, nel corso del secolo XVIII, divennero cultura illuministica, a tutti gli effetti, grazie alla successione dei Lorena, sul trono mediceo. Come a Londra, la Massoneria fiorentina si fece quindi veicolo di nuove idee scientifiche newtoniane. Fondamentale e decisivo, al riguardo, fu il ruolo di austriaci e inglesi, alleati nelle guerre di successione spagnola e asburgica, nell’arrivo quasi parallelo della Massoneria in Toscana e Piemonte, nuovi spazi di penetrazione del verbo libero-muratorio illuminato. I Lorena svolsero una funzione di primissimo piano, anche nell’arrivo a Firenze degli strumenti di meccanica newtoniana. Questi, viaggiando per Francia e Austria, giunsero nella capitale toscana fra il 1738 e il 1739: una collezione che comprendeva, inoltre, anche quegli strumenti già appartenuti a Leopoldo I d’Asburgo (1640-1705), il Kaiser che aveva fatto rinascere l’Impero dopo la (pur vittoriosa) Guerra dei Trent’anni, un grande appassionato di scienza, alchimia e astrologia barocche. Tra XVII e XVIII secolo, le collezioni scientifiche asburgiche furono notevolmente aumentate, dai Lorena e in special modo da Francesco Stefano, che provvide personalmente a far ampliare le raccolte di storia naturale (mineralogia, in particolare), astronomia (matematica e d’osservazione), nonché numismatica. Uno dei grandi volti dei Lumi viennesi, che si riverberò potentemente in Italia centro-settentrionale.
La collezione includeva strumenti matematici e di fisica sperimentale (spesso frutto del lavoro pratico artigiano al servizio degli uomini di scienza), dispositivi geodetici (attraverso le misurazioni terrestri l’illuminista francese Maupertuis confermò l’immagine newtoniana del nostro globo, come uno sferoide schiacciato ai due poli) e varie macchine, per le Sale di Palazzo Pitti (che nella seconda metà del Seicento aveva come noto ospitato le adunanze invernali del Cimento). Ne venne un vero e proprio gabinetto di fisica, con pezzi oggi anche piuttosto rari. Si trattava di costruzioni raffinate, ed utilissime alla ricerca tecnico-scientifica, non per nulla ammirate a metà secolo da Voltaire, pure lui come noto newtoniano e massone di gran fama.
Dereham, nel suo passaggio a Firenze, poté impiegare di persona alcuni di quegli strumenti (e, forse, ne importò anche certuni): in particolare, i telescopi per studiare ammassi stellari e nebulose (nelle quali già Galileo aveva visto risolversi le galassie, ai confini estremi del sistema solare allora conosciuto), cronometri e meridiane. Alcuni strumenti newtoniani della collezione fiorentina, messa assieme per diretto volere di Francesco Stefano, vennero anche inviati tra il 1741 e il 1744 a Padova a Poleni (che se ne disse contentissimo in occasione del suo carteggio con Algarotti nel 1746), ed in seguito a Vienna. Un autentico viaggio di strumenti scientifici, su scala europea: dalla Lorena sino a Firenze, dalla capitale del Granducato agli spazi accademici veneti; una vicenda di uomini, pratiche scientifiche e socio-culturali, manufatti e macchine, che sono parte integrante della storia stessa, sia dell’Europa moderna in generale sia della nuova scienza di epoca illuministica in particolare.


Tra Firenze dei Lumi e Reich viennese nella prima metà del XVIII secolo

Francesco Stefano (1708-1765) – Duca di Lorena dal 1729,5 Granduca di Toscana dal 1737 e Sacro Romano Imperatore dal 1745 – valorizzò sempre il genio italico. Fra gli altri, fu protettore del poeta e librettista, drammaturgo e presbitero romano Pietro Metastasio (1698-1782).6 Dopo la fase dei drammi per musica del periodo italiano (1724-1730), Metastasio si trasferì, infatti, in Austria nel 1730. Alla corte di Vienna frequentò così Haydn ed i circoli aristocratici e poi fece la conoscenza di Mozart, a Salisburgo. Dalla capitale imperiale, Metastasio avviò, altresì, col letterato, diplomatico e collezionista d’arte friulano Daniele Florio, un importante carteggio, principiato nel 1735.7
Dal centro imperiale di Vienna, gli Asburgo governarono i propri territori italiani – appoggiati dal filo-austriaco Federico Augusto III di Sassonia – attraverso fedeli delegati. Francesco Stefano di Lorena poté contare sul lorenese Marc de Beauvau (1679-1754), Principe di Craon e Presidente del Consiglio di Reggenza per la Toscana, al quale succedettero poi il francese Richecourt e il genovese Antonio Botta Adorno (quest’ultimo dal 1757 al 1765). Grazie anche alla loro opera il monarca poté mettere in atto un vasto piano di riforme, giuridiche e istituzionali, soprattutto fra il 1743 ed il 1749: una nuova e apposita legge sulla stampa, nella fattispecie, introdusse la censura di Stato, in luogo di quella ecclesiastica, permettendo in tal modo anche di laicizzare il sapere scientifico insegnato nelle Università di Firenze e di Pisa: il primo passo del riformismo dall’alto, per l’affermazione dei Lumi e di nuove istituzioni accademico-culturali nella Toscana del secolo XVIII.
Il 17 dicembre 1738, Francesco Stefano e Maria Teresa incominciarono il viaggio di Stato che il 20 gennaio 1739 li portò a fare il loro ingresso solenne a Firenze passando sotto l’Arco di Trionfo appositamente edificato, per i sovrani austriaci. I coniugi risiedettero a Palazzo Pitti, e Francesco fu molto colpito ed affascinato dalla terra toscana. I fiorentini lo accolsero con molto entusiasmo, e gli tributarono grandi onori. La coppia visitò Pisa e Livorno, navigando sull’Arno, per incontrare, come da programma, l’Elettrice palatina Anna Maria de’ Medici. La più rilevante ed autorevole fonte sul loro soggiorno toscano del 1739 – l’unico del resto – rimangono le Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana scritte dal geologo e storico Giovanni Targioni Tozzetti fra 1751 e 1754 (prima fondamentale ed autorevole inchiesta sociale sul territorio del Granducato lorenese), un paio d’anni in anticipo sul riavvicinamento politico-diplomatico di Vienna a Parigi.
Francesco Stefano giocò un ruolo determinante non solo nella storia massonica, tanto italiana, quanto europea, ma anche nell’affaire che vide coinvolto, suo malgrado, il giurista e poeta toscano Tommaso Crudeli (1702-1745). In gioventù allievo di Anton Maria Salvini e compagno di studi del Tanucci, prima del grave dissidio con il Sant’Uffizio romano, Crudeli aveva studiato negli ambienti culturali dell’Ateneo pisano, ove non senza tensioni innovative stava prendendo forma una cultura a tutti gli effetti enciclopedica ed illuminista, erede del galileismo e aperta alla nuova scienza, mirante a valorizzare l’atomismo democriteo, le tecniche matematiche e la fisica moderna, in contrasto con la chiusa e retriva scolastica aristotelica. All’Università di Pisa, Crudeli si formò, confrontandosi, in effetti da vicino, con gli impulsi innovatori che giungevano dalla Firenze lorenese. Leggendo Guido Grandi (camaldolese in rapporto epistolare con le cerchie newtoniane italiche), Gassendi e Leibniz, si aprirono a Crudeli gli orizzonti intellettuali del rinnovamento toscano più anti-conformista. Tra il 1726 e il 1728, il letterato nativo di Poppi viaggiò a Venezia, dove incontrò l’amico Algarotti, di lì a non molto (1737) fra i primi apologeti italiani del newtonianesimo anglo-francese e voltairiano.
Una volta rientrato a Firenze, tra il 1732 e il 1733, Crudeli venne ammesso nella rete di quegli alti dignitari di corte, che ruotavano intorno alle figure del ministro Charles Fane, di Horace Mann, Horace Walpole, e molti altri, tra cui Lady Walpole (Contessa di Oxford ed amante del Richecourt, il vero reggente ed «arbitro assolutissimo della Toscana»). Nello specifico, Lady Walpole divenne l’eroina dei massoni fiorentini (e di quelli inglesi, residenti in città): Crudeli le dedicò infatti (1740) l’ode Il Trionfo della Ragione, esplicito – sin dal titolo scelto – e poco studiato manifesto del nostro primo Illuminismo, di schietta ascendenza anglo-britannica, penetrato negli spazi granducali, grazie all’azione e militanza massonica di Francesco Stefano come dei suoi attendenti lorenesi.
Per il resto, dell’anche ampia e versatile produzione crudeliana – poemi eroicomici e giocosi, anacreontiche, idilli ed epitalami (per lo più risalenti al periodo 1728-1738), carmina di ispirazione oraziana, improvvisazioni poetiche estemporanee, opere teatrali, traduzioni e dall’inglese (Phillips e Walker, Glover e Shakespeare) e dal francese (La Fontaine), scritti postumi (pubblicati poi dal 1746 al 1805) – sono da ricordare del libero pensatore toscano gli scritti eterodossi ed irregolari che, se da un certo punto di vista prefigurarono il ribellismo foscoliano, da un altro si rifacevano ai modelli di Lucrezio (quello tradotto dal letterato-matematico empolese Alessandro Marchetti), del newtoniano Alexander Pope (soprattutto le liriche classiciste e rococò, firmate da Crudeli fra il 1733 e il 1740) e del drammaturgo John Dryden (l’alfiere del teatro inglese dopo la Restaurazione Stuart nel 1660).
Crudeli fu protagonista nella vita esoterica della loggia inglese, attiva a Firenze dal 1731, che vide, dall’anno seguente, l’ingresso degli adepti italiani. Tra questi, vi era il medico e naturalista (di formazione severamente meccanicista) Antonio Cocchi, riscopritore di Pitagora e viaggiatore nella Gran Bretagna dei Lumi. Dalle Notizie per la vita del Dottor Tommaso Crudeli, redatte dal massone (e bibliotecario della Riccardiana) Francesco Fontani (1748-1818), sappiamo che della loggia di rito inglese presente a Firenze erano membri, oltre ai toscani Crudeli e Cocchi, anche alcuni scozzesi ed irlandesi, di stanza nella capitale del Granducato – tra i quali, due sacerdoti agostiniani, della Chiesa di Santo Spirito: il Denhey e il Flood – nonché l’antiquario austro-prussiano Philipp Van der Stosch (1691-1757), spia giacobita che operò nel secolo XVIII specialmente tra Roma e Firenze.
La tempra di Crudeli e dei suoi confratelli di loggia, in sintonia con l’illuminato potere civile della Firenze lorenese, condusse con drammatiche vicende alla sospensione e chiusura del tribunale dell’Inquisizione, in Toscana. Il loro mondo non era improntato all’Ipse dixit, ma fatto di studi del cosmo e di osservazioni empirico-sperimentali, di prove scientifiche e parametri illuministici: taglio tassonomico e oggettivo che alberga nella relazione crudeliana al Granduca, tra 1740 e 1741. Grazie all’illuminata azione politico-istituzionale dei Lorena, lo Stato toscano si fece moderno e consentì la libertà di pensiero e di associazione, antesignano di una nuova via, additata al resto della penisola. Il dialogo culturale e l’attività tipografica di stampatori e librai ne fu un fulgido riflesso.
La loggia massonica fiorentina – fra le primissime, in Italia – si scontrò con la Congregazione romana dell’Indice, che mise in atto un’autentica offensiva ideologica. A questa reagì con energia il Granduca, coadiuvato dai suoi capaci ministri, schierati col loro principe negli anni della Reggenza: è la storia magistralmente ricostruita da Renzo Rabboni, che inquadra le lotte massoniche fiorentine nel contesto del movimento di riforme avviato nel Granducato, da Francesco Stefano, a cavaliere tra la finis medicea e gli esordi del governo asburgico, favorevole all’editoria, alla revisione dei quadri scientifici universitari e al libero commercio.8 Dietro le quinte, si muoveva certo anche il governo di Londra, interessato ad intessere alleanze diplomatiche e culturali con gli Stati cattolici italiani. Sulle idee e sugli associati di area massonica negli spazi granducali, abbiamo a disposizione diverse fonti, fra le quali la Istoria della carcerazione di Tommaso Crudeli, le Effemeridi di Cocchi, vari dispacci e resoconti tra Francesco Stefano e gli uomini della sua corte, unitamente a carte romane e a diverse lettere, il cui spoglio e studio sono stati fatti, davvero a tappeto, da Rabboni, portando alla luce una documentazione interessantissima, oltremodo ricca e proteiforme: missive di Mann a Crudeli (del 7 o 14 maggio 1737), di Tanucci al Crudeli (21 gennaio 1738), dello stesso Crudeli al Granduca (del 1744). Né Rabboni, la cui ricerca si segnala come veramente pregevole e meritoria, ha dimenticato le lettere scambiate da Crudeli con Richecourt, Griselli, Degli Albizzi, Ambrogi, Corsi, e soprattutto con il marchese Antonio Niccolini, che grande sostegno gli diede – assieme al casato lorenese e agli aristocratici inglesi, massoni, che vivevano di letture e di pratiche collezionistico-antiquarie – nella liberazione dal carcere, in cui l’ira inquisitoria lo aveva gettato. Rabboni ha riesaminato, inoltre, un secondo ‘caso Crudeli’, quello che vide Antonio (fratello del letterato massone) opposto a Prospero Celandri (ne sono testimonianza un basilare Estratto e le relative Osservazioni).
Firenze era nel primo Settecento meta privilegiata dei viaggiatori stranieri – inglesi, in specie – attratti anche dagli scambi nel porto livornese ed ancora di più dal desiderio di visitare monumenti e musei, raccolte private e biblioteche. Un clima di tolleranza che permise all’asse massonico anglo-toscano di prendere, precocemente, piede. Gli intellettuali fiorentini scoprirono così il vincolo della segretezza libero-muratoria, trapiantato, dall’Europa settentrionale, in riva all’Arno. La Massoneria britannica poté dunque diffondersi a raggiera presso i maggiori centri granducali. Firenze, Livorno e Pisa diventarono presto le tre città di area mediterranea di maggiore interesse e presenza inglese. La loggia fiorentina venne fondata da Charles Sackville (1711-1769), allora Duca di Dorset e Conte di Middlesex, sostenuto dal ministro britannico residente a Firenze Francis Colman. Nello spazio della loggia massonica fiorentina – la cui nascita potrebbe forse risalire, addirittura, al 1729 – idee libero-muratorie trovarono un precoce epicentro di diffusione. Fra i massoni anglo-toscani vi erano Joseph Spence, Sewallis Shirley, Robert Montaigu, John Collins, Thomas Archer, John Harris, Henry Fox, Lord Holland, Charles Fane, Lord Leighton e Robert Raymond, oltre come detto a Mann e Cocchi. I confratelli avevano in comune l’amore per le collezioni scientifiche, l’arte, le stampe, i manoscritti rari, il newtonianesimo, nonché per disegni, pitture e sculture di nascente impronta neo-classica.
Il milieu massonico fiorentino ebbe carattere a un tempo nazionale ed europeo. Massoni erano anche lo stesso Francesco Stefano, il Craon, il Richecourt e il Rucellai. Crudeli trovò da parte sua in ambito universitario pisano altri adepti sicuri, tra i quali l’abate Buondelmonti, il botanico Antonio Franceschi, l’astronomo Tommaso Perelli, il medico Pascasio Giannetti. Tutti uomini di scienza, va sottolineato. Quanto alla affiliazione massonica del Granduca, garanzia di protezione per i fratelli di loggia, era già notissima, in tutta Europa, figlia del Grand Tour anglo-olandese, intrapreso nel 1731, prima di giungere negli Stati tedeschi. Francesco Stefano aveva ed in fretta scalato i gradi muratori, fatto apprendista e compagno nei Paesi Bassi austriaci da massoni londinesi (l’ugonotto newtoniano e fellow della Royal Society Desaguliers – vero padre della Massoneria speculativa – affiancato da Lord Chesterfield e da Sir Cooke).
Si spiega in tale guisa, una volta arrivato in Toscana, l’azione di aperta ed efficace difesa della Muratoria, avviata da Francesco Stefano. Una costante del suo operato di Granduca, sino a liberare Crudeli dalla prigione e ad abolire in Firenze il Sant’Uffizio (1743). Il principe lorenese favorì pure le logge viennesi al tempo di Maria Teresa, costituite da esponenti della nobiltà di corte, dei quadri dell’esercito e della nuova scienza illuminista. Azioni che Francesco Stefano non avvertì mai essere in contrasto con il suo ruolo, di difensore del cattolicesimo imperiale asburgico. Egli legò sempre a sé militari e funzionari statali di alto rango attraverso il giuramento massonico. Fondamentale fu poi come detto l’aiuto fornito a Crudeli. Ne fanno fede echi della Gazette de Berne (30 maggio 1739), il Diario di Cocchi del giugno del medesimo anno, le notizie riportate dalla stampa continentale (fra il luglio e il Natale 1739) e il diretto quanto partecipe interesse della stessa Gran Loggia di Londra.
Rabboni ha correttamente letto come una rivalsa massonica la traslazione del corpo di Galileo e del suo fedele discepolo e primo biografo, Vincenzo Viviani – uno dei massimi fisici e matematici italiani del secondo Seicento, rammentiamolo – avvenuta al tramonto del 12 marzo 1737, all’interno di un sepolcro monumentale, ispirato a Michelangelo e rappresentante l’astronomia, la meccanica e la geometria. Un progetto già accarezzato da Ferdinando II, dopo la fine del Cimento, realizzato dai massoni e intellettuali toscani devoti al moderno verbo scientifico. Fu una cerimonia solenne, atta a celebrare la libertà di pensiero, alla presenza di nobili, docenti universitari, artisti, eruditi, botanici, naturalisti, medici, giansenisti, accademici, ecclesiastici e bibliotecari. Fra i presenti, ricordiamo qui Francesco Gori (autore del Museum Florentinum), Cocchi, Targioni Tozzetti, Lami e Riccardi. Loro intenzione evidente era quella di immortalare l’immagine di Galileo, nume tutelare dello sviluppo di scienze e tecniche in età moderna, collegando apertamente il lascito scientifico toscano barocco e la nuova tradizione culturale settecentesca, sotto le insegne del riformismo lorenese e dell’assolutismo illuminato di marca asburgico-viennese.
Si è detto, prima, che uno degli apporti maggiori venne a Crudeli da Antonio Niccolini (1701-1769), personaggio irrequieto ed appartato, vissuto all’ombra della crisi della coscienza europea che aprì le porte ai Lumi. Imponenti furono le relazioni epistolari niccoliniane, riscoperte da Rabboni: oltre diecimila lettere, che riflettono gli ampi interessi dello studioso. Niccolini fu, infatti, letterato e giurista, erudito e collezionista. Uomo dal tipico gusto settecentesco, laureatosi in utroque iure, con Averani, a Pisa (1723), venuto presto in contatto con i circoli intellettuali romani, Niccolini fu – fra gli altri – amico e corrispondente dei newtoniani Galiani e Davia, del futuro e mite papa Benedetto XIV, di Piccolomini e Corsini, Cerati e Bottari. Parte attiva nei dibattiti scientifici di inizio secolo, il patrizio mediceo – di grande levatura intellettuale – divenne noto col suo Grand Tour europeo degli anni Trenta-Quaranta, a Londra, a Berlino e Vienna. Accademico e cultore di botanica, Niccolini fu assai apprezzato da De Brosses, che lo conobbe nel 1739, durante il suo viaggio italiano. Massone e fedelissimo sodale dei liberi muratori fiorentini, Niccolini fu altresì in rapporti strettissimi con Lady Walpole e con il filosofo sperimentale padovano Antonio Conti (1679-1749), interlocutore e homme de lettres – passato dal cartesianesimo alla scienza newtoniana, in occasione del soggiorno inglese del 1715 – dell’Europa colta dell’epoca (Vallisneri, Leibniz, Newton, Bolingbroke e Voltaire). Con Conti e la Walpole, Niccolini fu uno dei vertici del triangolo massonico Firenze-Pisa-Venezia, gran conversatore nei salotti e spirito cosmopolita, sensibile ai nuovi fermenti oltremontani. Gran figura della socialità settecentesca e dei cerimoniali nobiliari, anima epicurea ed aperta al dialogo, su molti fronti, Niccolini spaziava, con Conti e Mylady – giunta a Firenze con Samuel Sturgis, nel 1731 – da Cicerone ad Ariosto, dalle scienze alle belle lettere. L’epistolario contiano e niccoliniano rivelano, poi, il ruolo di un’altra gran donna della cultura illuministica, ossia Mary Wortley Montagu. Furono tutti loro a costruire, materialmente, la rete di mutuo soccorso che si strinse attorno a Crudeli, molto ben coordinati dal conte Tommaso Piccolomini, vicino al Granduca Francesco Stefano di Lorena, in quanto membro del Conseil intime pour les affaires de Toscane a Vienna e fratello di Enea Silvio, a sua volta caro tanto a Clemente XII, quanto ai residenti inglesi della Massoneria fiorentina (su tutti, il Visconte Fane, cortigiano attivissimo e diplomatico anglo-irlandese).
Per viaggiatori, diplomatici, filosofi naturali e letterati ascritti alla Libera Muratoria, lottare in favore di Crudeli, al momento della sua prigionia, significava emblematicamente combattere contro le forze dell’oscurantismo e della superstizione. Due dei grandi nemici dell’Illuminismo. Conti – al riguardo, sono essenziali le Notizie fornite da Toaldo, seguace dello sperimentalismo di Galileo e di Franklin – manifestò inoltre una sempre spiccatissima inclinazione per le intelligenze scientifiche di un beau monde conosciuto durante i suoi tours anglo-francesi: un universo fatto di rapporti sociali, a più livelli interagenti, che coinvolgevano cenacoli accademici, salotti aristocratici, logge muratorie, ambienti di corte, istituzioni scientifiche (indispensabili alla concreta circolazione delle nuove idee), stamperie e botteghe librarie. I luoghi del sapere, si sa, di un Settecento e plurale e pluralista. Conti, ispirato dai massoni inglesi e fiorentini, celebrò manifestamente, con le proprie opere tragiche, tanto Richecourt, quanto la chiusura, voluta dal Granduca lorenese, del Sant’Uffizio di Firenze, decretata, a seguito della travagliata vicenza crudeliana, nell’annus mirabilis 1745. Una vittoria – voluta, dagli austriaci, in Italia – dei Lumi massonici anglo-britannici. Ma anche la cifra storica di una alleanza, a tre, fra Londra – capitale non solo del Regno Unito, ma anche della cultura massonica e newtoniana di marca whig – Vienna (sede del Reich asburgico-lorenese e centro di un cattolicesimo illuminato) e Firenze (ove i massoni anglo-toscani riscattarono anche il messaggio del galileismo, in termini, sia scientifici, sia ancor più politico-radicali e illuministici, ripresi poco dopo da Toaldo a Padova).


Stuardisti e giacobiti in esilio fra Gran Bretagna e antichi Stati italiani nel ‘700

Legato al circuito massonico toscano e ai milieux fiorentini della Reggenza fu il Pretendente giacobita al trono anglo-britannico Carlo Edoardo Stuart (1720-1788), nato e vissuto nella Roma del Papa re.9 Con molti seguaci in Inghilterra e Scozia, Francia ed Irlanda, insieme massone, cattolico e libertino – secondo una tradizione stuardista diversissima da quella italiana, e già seicentesca – con vari sostegni anche a Parigi (la famiglia Rohan e il Duca di Choiseul), nel 1734 Carlo Edoardo ebbe la possibilità di osservare sul campo l’assedio ispano-francese di Gaeta. Nel 1774, si trasferì, in via definitiva, a Firenze, ove nel 1777 acquistò la residenza di Palazzo San Clemente. L’addio a Roma, peraltro, non significò mai per lui un venire meno del sostegno papale, sempre accordatogli.10 Nella Toscana lorenese di massoni e illuministi, il Pretendente Stuart divenne un esponente di spicco della colonia inglese in esilio dagli Hannover e un punto di riferimento per vari Tories londinesi.
Nel 1745, Carlo Edoardo Stuart guidò l’insurrezione giacobita nel Regno Unito, fermato dalle Giubbe rosse di Giorgio II e del Duca di Cumberland nella decisiva Battaglia di Culloden. Carlo era sbarcato con le sue truppe – militari e massoni inglesi, scozzesi, irlandesi e francesi, di provata fede politica stuardista – il 23 luglio, a Eriskay. Il 21 settembre, aveva sconfitto l’esercito governativo (il solo in Scozia), nella Battaglia di Prestonpass. Presa Carlisle, il Pretendente aveva proseguito, con il comandante Lord George Murray alla guida, nel Derbyshire, vincendo fra l’altro il 17 gennaio 1746 la Battaglia di Falkirk Muir. Il sogno giacobita si infranse negli scontri navali di Quiberon Bay e di Lagos. Nondimeno, la causa degli Stuart venne ancora sostenuta dai ribelli scozzesi delle Highlands guidati – fra gli altri – dal leggendario bandito Rob Roy (protagonista poi dell’omonimo romanzo di Walter Scott), che sempre nel 1746 proclamarono comunque Carlo Edoardo Stuart Re di Scozia con il nome di Giacomo VIII.
Quella di Carlo Edoardo Stuart fu una vita, movimentata ed avventurosa, fatta di libri, donne, viaggi e battaglie.11 Sul Bonnie Prince Charlie, ci rimangono controverse testimonianze di Voltaire (1756), Alfieri (1777) e Goethe (1788). Senz’altro è molto interessante ripercorrere in questa sede la sua affiliazione latomistica, viste le molte tangenze con la Libera Muratoria, italiana ed europea, del XVIII secolo.
Nel 1747, in Francia, Carlo Edoardo aveva istituito, in esilio, il Capitolo della Rosa-Croce di Heredom, una loggia di segno esplicitamente tradizionalista, monarchico e neo-templare. Le radici erano scozzesi: nell’anno 1600, infatti, il Duca di Auchinlech aveva ratificato i verbali di una (oggi poco nota) fratellanza massonica ad Edimburgo. L’Arco Reale, portato dall’Inghilterra in Francia da Andrew Michael Ramsay (1686-1743), amico di Hume e di Fénelon, fu poi introdotto nelle colonie inglesi d’America da parte di giacobiti irlandesi e scozzesi, intorno al 1750. Nelle logge di Glasgow che sostenevano Carlo Edoardo Stuart, esso era presente a partire dai primi anni Quaranta del secolo XVIII. Un analogo templarismo venne elaborato in forma alto-graduale da Willermotz e dal Barone von Hund, all'interno della Stretta Osservanza tedesca e francese. A Boston e a Filadelfia, i massoni di indirizzo templare si legarono così alle tradizioni della Libera Muratoria stuardista scozzese e ne sostennero con un certo entusiasmo gli ultimi utopici progetti.12


Note

1. Marcello VERGA, La cultura del Settecento. Dai Medici ai Lorena, in Storia della civiltà toscana, IV, I Lumi del Settecento, a cura di Furio DIAZ, Le Monnier, Firenze, 1999, pp. 126 ss.
2. Marcello VERGA, op. cit., pp. 27 ss. 3. Furio DIAZ, I Lorena in Toscana, Utet, Torino, 1987; Zeffiro CIUFFOLETTI-Leonardo ROMBAI (a cura di), La Toscana dei Lorena, Olschki, Firenze, 1989; Marcello VERGA, Da cittadini a nobili. Lotta politica e riforma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, Giuffrè, Milano, 1990; Alessandra CONTINI-Maria Grazia PARRI (a cura di), Il Granducato di Toscana e i Lorena nel secolo XVIII, Olschki, Firenze, 1999; Alessandra CONTINI, La Reggenza lorenese tra Firenze e Vienna (1737-1766), Olschki, Firenze, 2002.
4. Nato da nobile famiglia, originaria del Worcestershire – era figlio del natural philosopher Thomas – William si formò al Trinity College di Oxford, fra il 1675 ed il 1679. Divenuto nel 1682 vicario di Wargrave (Berkshire), Dereham si trasferì nell’Essex e, giunto a Londra, vi fu nominato canonico di Windsor. Un suo trattato, circa le tecniche di misura del tempo e la cronologia, pubblicato, per la prima volta, nel 1696, con il titolo di Artificial Clockmaker, ebbe numerose (e fortunate) edizioni a stampa, a cavallo tra i due secoli. Fece d’altra parte testo, almeno sino all’invenzione del cronografo marino - per la misurazione della longitudine - di Harrison (1736), e risultò essere un libro lettissimo anche a sud della Manica, e nella nostra penisola. Un altro enorme successo fu il trittico rappresentato da: Physico-Theology (1713), Astro-Theology (1714) e Christo-Theology (1730), che segnarono l’apogeo nella storia della trattatistica sul binomio (imprescindibile, in Inghilterra) tra scienza e fede protestante newtoniana. Le prime due ebbero successo notevole anche nella Firenze del primo Settecento, pure grazie ai viaggi fiorentini dello stesso Dereham, accolto con favore dai primi illuministi granducali, durante la Reggenza lorenese. Quella di Dereham era in effetti una teologia naturale, molto simile a quella già esposta dal botanico e naturalista John Ray (autore, si sa, della Wisdom of God as manifested in the Works of Creation, nel 1692), in anticipo, e di un secolo, sulla apologetica anglicana del reverendo William Paley. Su di un piano più strettamente scientifico, Dereham si fece un nome, all’interno della Royal Society londinese, prima durante la presidenza Hooke e poi durante quella di Newton. Per quest’ultimo, nel 1709, egli elaborò i procedimenti di triangolazione per calcolare la velocità e distanza percorse dal suono: l’antico progetto di Viviani e di Borelli – prima ancora della costituzione della Accademia del Cimento, nel 1656 – che, non a caso, incontrò larga eco, e collaborazione, nella Firenze granducale (Richard MABEY, Gilbert White. A Biography of the Author of The Natural History of Selborne, University of Virginia Press, Charlottesville, 1986; Maria SMOLENAARS, William Dereham, in Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, Oxford, 2004, ad vocem).
5. Nato a Nancy, allora Ducato sovrano (indipendente) del Regno di Francia, e morto ad Innsbruck, marito – nel 1736, il loro fu definito il matrimonio del secolo – di Maria Teresa, insieme a lei Francesco Stefano divenne il fondatore della dinastia Asburgo-Lorena. Investito del Ducato di Taschen, sin dal 1722 – l’anno in cui, ancora giovanissimo, aveva partecipato alla trionfale celebrazione delle nozze di Luigi XV a Reims – nonché vicerè di Ungheria (dieci anni più tardi), dopo essere passato per Luneville (nel 1729), Francesco Stefano fece diversi viaggi: di ritorno a Vienna, nel 1731, venne iniziato alla Massoneria, da una delegazione britannica, ed accolto nell’Ordine con una cerimonia segreta di rito inglese che si tenne a L’Aja presso l’abitazione dell’ambasciatore Philip Stanhope (1694-1773), il quarto Conte di Chesterfield, membro del partito conservatore e patrono delle scienze astronomiche. Arrivato poi in Inghilterra, nel corso di un davvero memorabile Grand Tour, Francesco Stefano venne fatto Maestro – il terzo grado nel simbolismo della Massoneria Azzurra o Blu – durante un’altra speciale cerimonia libero-muratoria tenutasi a Houghton Hall, nel Norfolk. Nel giugno 1732 Francesco Stefano giunse poi a Presburgo e l’anno successivo, il 12 giugno, conobbe a Bruxelles il futuro Re di Prussia, Federico II. In comune con i tedeschi, aveva la mortale inimicizia col Turco, viva sin dall’assedio di Vienna (1683). Si vedano Helmut REINALTER, Massoneria in Austria, in Revue du 18ème siècle, XIX, 1987, pp. 44 ss.; Fulvio CONTI, La Massoneria, in Dizionario di storia, 2010, ad vocem. Con disinvoltura, fra le soglie dei Templi massonici – spazio, insieme, e iniziatico e cortigiano, al tempo in cui l’ampia e cosmopolita République des Lettres europea andava riplasmando i propri quadri, in direzione illuminista – furono prìncipi e sovrani, tra cui Federico il Grande e Francesco Stefano. Un discorso assai simile va fatto per i maggiori philosophes, tra i quali Montesquieu. Questi, il 12 maggio 1730, al culmine del suo viaggio in Europa, venne ascritto alla Massoneria nella Loggia Horn Tavern di Londra, introdottovi dal Duca di Richmond (Lambros COULOUBARITSIS, La complexité de la Franc-Maçonnerie, Ousia, Bruxelles, 2018, pp. 174 ss.). Si veda anche, riguardo a Roma e a Vienna, Matteo SANFILIPPO - Alexander KOLLER - Giovanni PIZZORUSSO, Gli archivi della Santa Sede come fonti per la storia dell’Europa asburgica, Sette città, Viterbo, 2004. 6. Allievo dal 1709 del Gravina, il letterato e fondatore della Arcadia, negli studi e classici e giuridici, Metastasio lo seguì, dapprima in Calabria, e quindi a Napoli, dove conobbe il cartesiano Gregorio Caloprese (fra i contatti anche di Vico). Nel 1722, Metastasio passò al servizio dei Brunswick. In Austria, egli conobbe poi i più grandi compositori del tempo, tra i quali Pergolesi, Scarlatti e Marcello. Nel 1729, aggiunse fra i propri interlocutori il veneziano Apostolo Zeno (1668-1750), già fondatore del Giornale de’ letterati d’Italia, con Muratori, Maffei e Vallisneri e tra i padri del giornalismo scientifico nostrano. Il 3 settembre del 1768, Metastasio fu inoltre eletto accademico della Crusca. La sua produzione – una primissima fonte, al riguardo, ci è rappresentata dalle Opere drammatiche, oratori sacri e poesie liriche (1737) di Francesco Paolo Frontini – include i componimenti per feste (1712-1767), melodrammi (1724-1771) ed oratori (1727-1740). Altri lavori comprendono i poemi sacri, i sonetti, e numerosi testi per arie (Costantino MAEDER, Metastasio, l'«Olimpiade» e l'opera del Settecento, Il Mulino, Bologna, 1993). Le edizioni a stampa degli scritti metastasiani – dal 1721 al 1795 – sono presenti e in maniera ragguardevole nei fondi antichi dei centri bibliotecari italiani. Vedasi, inoltre, per i suoi rapporti con la Repubblica delle Lettere, Pietro METASTASIO, Lettere a Giuseppe Bettinelli, a cura di Pietro Giulio RIGA, Genoa University Press, Genova, 2021 (la orrispondenza copre il periodo 1732-1745).
7. Pietro METASTASIO, Carteggio con Daniele Florio, a cura di Renzo RABBONI et alii, Genoa University Press, Genova, 2023, pp. 12 ss., 26 ss., 80 ss.
8. Vedi Renzo RABBONI, Francesco Stefano di Lorena e l’abolizione del Sant’Uffizio. I processi Crudeli (1739-1747) nella Toscana della Reggenza, Istituto di Studi Storici Tommaso Crudeli, Udine-Baltimora, 2017, pp. 15 ss., 23 ss., 32 ss., 53 ss., 72 ss., 97 ss., 159 ss., 173 ss., 215 ss., 232 ss. Molta la documentazione di prima mano (Firenze, Biblioteca Nazionale, Cod. Palatino 809, XVIII secolo; Roma, Biblioteca Angelica, Ms. 2086, in 8°, ff. I-312; Modena, Biblioteca Estense, Mss. Sorbelli 714-715). Si veda inoltre Giovanni Gualberto DE SORIA, Raccolta di opere inedite, I, Contenente i caratteri di vari uomini illustri, Mari e Compagni, Livorno, 1773, pp. 126-127; Carlo FRANCOVICH, Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla Rivoluzione francese, La Nuova Italia, Firenze, 1974, pp. 41-42; Paolo CASINI, The Crudeli Affair. Inquisition and the Reason of State, in Eighteenth Century Studies, a cura di Peter GAY, Press of New England, Hannover, 1975, pp. 133-152; Magda VIGILANTE, Tommaso Crudeli, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXI, 1985, ad vocem; Maria Augusta MORELLI TIMPANARO, Per Tommaso Crudeli, Olschki, Firenze, 2000; EAD., Tommaso Crudeli (Poppi 1702-1745). Contributo per uno studio sulla Inquisizione a Firenze nella prima metà del XVIII secolo, I-II, Olschki, Firenze, 2003.
9. Donald CHIDSEY, Bonnie Prince Charlie, Williams and Norgate, London, 1928; David DAICHES, Charles Edward Stuart, Thames and Hudson, London, 1973; Hugh DOUGLAS, Charles Edward Stuart, Hale, London, 1975; Frank MCLYNN, The Jacobites, Routledge, London, 1985; ID., Charles Edward Stuart. A Tragedy in Many Acts, Routledge, London, 1988; Susan KYBETT, Bonnie Prince Charlie, Mead, New York, 1988; Frank MCLYNN, 1759. The Year Britain Became Master of the World, Pimlico, London, 2005. Vedasi anche Matteo SANFILIPPO, Gli archivi della Santa Sede e la storia di Francia, Sette città, Viterbo, 2007; ID., Il papato e le chiese locali, Sette città, Viterbo, 2014; ID., Storie di viaggi, viaggi nella storia, Sette città, Viterbo, 2017; ID., Papi, curia e città in età moderna, Viella, Roma, 2019; ID., Gli angeli custodi delle monarchie. I cardinali protettori delle nazioni, Sette città, Viterbo, 2019; ID., Gli agenti presso la Santa Sede delle comunità e degli Stati stranieri, I, Secoli XV-XVIII, Sette città, Viterbo, 2020; ID., I collegi per stranieri a / e Roma nell’età moderna, I, Cinque-Settecento, Sette città, Viterbo, 2023.
10. Londra, British Library, Additional Manuscripts, n. 30.090.
11. Drummond NORRIE, The Life and Adventures of Prince Charles Edward Stuart, II-IV, Caxton, London, 1903.
12. Massimo GRAZIANI, Il Rito di York, Bastogi, Foggia, 2007. Sulla Libera Muratoria d’indirizzo tradizionalista anche in relazione a Heredom – si veda Fabio VENZI, Introduzione alla Massoneria, Atanòr, Roma, 2012, pp. 91 ss., 176 ss., 218 ss., 246 ss., 269 ss., 289 ss.; ID., Il libero muratore tra esoterismo e Tradizione, Settimo sigillo, Roma, 2014, pp. 57 ss., 87 ss., 228 ss.


Nell'immagine, Francesco Stefano di Lorena, Granduca di Toscana dal 1737 al 1765.

Documento inserito il: 11/10/2023
  • TAG: storia moderna, Illuminismo, Granducato di Toscana, Asburgo-Lorena, nuova scienza, newtonianesimo, Massoneria, Regno Unito, XVIII secolo, Firenze, Londra, Vienna

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