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Giulio Cesare e il De Bello Gallico

del Prof. Giovanni Pellegrino


In questo articolo prenderemo in considerazione il De bello Gallico l’opera più importante di Giulio Cesare.
Tale opera ha come oggetto la guerra condotta da Cesare contro i Galli.
Cesare nel 58 a.C. fu proconsole di quella parte della Gallia che già si trovava sotto il dominio romano.
Da tale posizione prendendo a pretesto alcuni sconfinamenti iniziò una guerra che si protrasse per sette anni comprese alcune spedizioni in Germania e in Britannia.
Tale guerra si risolse alla fine con la competa sottomissione di tutta la Gallia.
Dobbiamo anche dire che questa guerra le cui fasi sono narrate da Cesare stesso nel De bello Gallico esaltò il suo genio militare e consacrò la sua potenza politica.
Già nell’età ellenistica erano in voga come genere storiografico i Commentarii ossia appunti, ricordi, annotazioni, che gli stessi protagonisti serbavano delle imprese militari compiute.
A Roma c’era stato un esempio recente ovvero l’autobiografia di Silla in ben 22 libri.
Ma altre sono le influenze sull’opera di Cesare.
Un aggancio alla storiografia romana arcaica è dato dalla struttura annalistica dell’opera.
Ogni libro del De bello Gallico corrisponde alla narrazione di un anno di guerra scandita dalle pause che a quel tempo la stagione invernale imponeva anche all’attività militare.
Inoltre, almeno formalmente il racconto storico di Cesare si prefigge una obiettività che risale alla grande storiografia greca in particolare a Tucidide.
Sincero o meno, riuscito o fallito che sia lo sforzo di essere obiettivi è presente nel De bello Gallico.
Cesare nella sua opera menziona sé stesso sempre e rigorosamente in terza persona come per qualunque altro dei personaggi.
Tali caratteristiche dell’opera di Cesare riconducono a una forma narrativa ben più studiata di quelle che caratterizzavano i Commentarii nella cultura letteraria antica.
Nel complesso il titolo di commentario che Cesare dà alla sua opera è esageratamente modesto in relazione alla reale natura dell’opera. I libri di Cesare non sono appunti da utilizzarsi da parte degli altri storici per scrivere un “Historia” ma già di per sé costituiscono un’opera storiografica che risponde a una tendenza precisa e che presenta pur nella sua semplicità una ricercata eleganza.
Non si rinuncia del tutto a effetti drammatici che esaltino l’impresa di questo o quel soldato come non si rinuncia alla costruzione di discorsi diretti per rappresentare l’indole del condottiero o di un altro personaggio.
Del resto, quando Cesare si recò in Gallia non era certo conosciuto come un rozzo soldato.
Infatti, egli era conosciuto come un sagace uomo politico nonché un oratore e letterato finissimo che non avrebbe mai pensato di scrivere un’opera priva di ambizioni letterarie.
L’effetto complessivo è quello di una sobrietà accentuata ma non priva di eleganza che fu compresa nell’antichità solo da Cicerone, il quale loda la forma dei Commentarii di Cesare come esempio di eleganza straordinaria che si sposava alla semplicità.
I primi sette libri sono da attribuire a Cesare mentre l’ottavo libro è da attribuire ad Aulo Irzio.
Esistono delle discussioni tra gli studiosi se i sette libri furono composti progressivamente durante l’arco stesso della guerra oppure se furono scritti tutti insieme durante gli eventi narrati nel settimo libro.
I sostenitori della prima ipotesi credono di scorgere una importante differenza di stile tra i primi libri e gli ultimi.
Lo stile diverso ( la progressione è verso una forma sempre più elegante ) fa pensare a una evoluzione protrattasi a lungo nel tempo.
Al contrario i sostenitori della seconda ipotesi credono di vedere anche nella narrazione dei primi fatti indizi della conoscenza di tutti gli eventi successivi.
Ma anche se fosse così tale fatto si potrebbe spiegare facilmente con qualche ritocco effettuato da Cesare in un secondo momento.
A differenza di quel che sarà per il De bello Civili Cesare non aveva di fronte al pubblico problema di autogiustificazione.
Infatti, ai romani la conquista della Gallia era un argomento che appariva gradito.
Essi non dovevano dispiacersi di eventuali eccessi di violenza e di prepotenza nei confronti dei barbari poi sottomessi.
Innanzitutto, l’azione di Cesare è presentata come perfettamente legale.
Cesare metteva in evidenza che voleva compiere un’azione concessa a ogni cittadino ovvero quella di presentare la candidatura a console dopo dieci anni dalla prima volta in cui aveva ricoperto tale carica.
Successivamente i vari atti del senato contro di lui sono descritti come provvedimenti illegali non perché il senato non avesse la facoltà di prenderli ma perché non erano giustificati nei suoi confronti.
La narrazione di Cesare appare straordinariamente controllata tutta tesa a presentare come giusta e saggia la condotta dell’esercito romano. I romani secondo il racconto di Cesare non si affacciarono sullo scenario della Gallia col progetto di sottometterla ma avviarono forme di intervento graduali che iniziarono quando si trattava di fermare invasioni di altri popoli.
Successivamente sono sempre i barbari a volere la guerra e a rinnovarla contro le legioni di Cesare dedite a un compito di pace e prosperità.
Il comportamento dei Galli sembra costringere i Romani a reagire e quindi a sottomettere gli avversari per ristabilire l’ordine.
Più o meno questa era l’ideologia dell’imperialismo romano , la giustificazione consueta delle conquiste di territori stranieri.
Ma Cesare se ne fa l’interprete forse più abile e raffinato perché probabilmente quando scrive i Commentarii è già impegnato in una lotta politica furibonda.
La carrellata dei personaggi che si affollano nel racconto è varia e non priva di un certo gusto del ritratto.
Vi sono i capi dei Barbari per lo più rozzi ma soprattutto prepotenti e intolleranti del crescente dominio romano e delle sue interferenze nelle vicende dei loro popoli indocili a qualsiasi leale trattativa o patto col nemico.
Cesare riserva la cura maggiore all’esaltazione dei propri soldati specie a quelli di grado inferiore, i quali si comportano eroicamente nelle battaglie.
Nel riconoscere ed esaltare il valore dei propri soldati Cesare sembra precorrere gli atteggiamenti di un altro grande condottiero Napoleone.
In questa narrazione il compito più difficile era quello della rappresentazione di sé stesso ossia del personaggio Cesare sempre rigorosamente nominato in terza persona.
Non vi sono commenti o giudizi sul suo operato ma solo il racconto delle sue azioni e soprattutto delle sue decisioni in base alle circostanze.
Dobbiamo dire che il ritratto di un Cesare decisionista è presente in tutto il racconto.
Non mancano neppure gli excursus etnici e geografici.
Questo tipo di intermezzi erano propri della storiografia più elegante non certo dei semplici Commentarii.
Tuttavia, le digressioni di Cesare non danno l’impressione di un ornamento del discorso oppure di sfoggio di conoscenze.
Piuttosto esse offrono notizie opportune e necessarie da una parte al condottiero che deve muoversi in quei territori, dall’altra al lettore a cui deve essere consentita una comprensione piena degli avvenimenti trattati e quindi dell’ambiente dove si svolgono.
Inoltre, Cesare è assai preciso nei suoi resoconti militari e non.
Per i primi possedeva una specifica competenza tecnica davvero invidiabile rispetto ad altri storici.
Nessuno sapeva meglio di lui illustrare tattiche e battaglie , descrivere nei particolari le macchine e le opere militari apprestate.
Inoltre, Cesare è molto preciso nella descrizione di quei luoghi o di quei caratteri del terreno che potevano condizionare l’andamento delle operazioni militari.
In queste parti più tecniche la semplicità della narrazione presuppone una lucidità e una padronanza del tema davvero straordinaria. Detto ciò, riteniamo chiuso il nostro discorso sul De bello Gallico di Giulio Cesare.
Documento inserito il: 13/02/2022
  • TAG: de bello gallico, giulio cesare, gallia, impero romano

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