Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, storia antica: L'armonia musicale tardo-antica: Severino Boezio a confronto con Macrobio
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L'armonia musicale tardo-antica: Severino Boezio a confronto con Macrobio

di Francesco Servetto


Nel VI secolo, circa un centinaio di anni dopo l’opera macrobiana, l’intellettuale e senatore romano Severino Boezio scrive un trattato dal titolo De institutione musica, in cui si notano congruenze con i Commentarii, in un retroterra culturale legato al platonismo e alla religione cristiana. L’opera getta le proprie radici in due trattati antichi, l’Ἐγχειρίδιον ἁρμονικῆς (Manuale di armonica) del matematico pitagorico Nicomaco di Gerasa e gli Ἁρμονικά (Armonici) di Tolomeo, il padre dell’astronomia geostatica e della geografia di epoca ellenistica.
Boezio, appartenente alla prestigiosa gens Anicia, afferma che «Colui che scrive sulla musica deve dapprima esporre in quante parti gli studiosi hanno suddiviso tale materia. Esse sono tre: la prima è costituita dalla musica dell’universo (mundana); la seconda dalla musica umana (humana); la terza dalla musica strumentale (in quibusdam constituta instrumentis), come quella della cetra (cithara), dei flauti (tibiae) e degli altri strumenti con i quali si può ottenere una melodia. La musica dell’universo, che va studiata soprattutto nei cieli, risulta dalla compagine degli elementi o dalla varietà delle stagioni. Infatti, il meccanismo del cielo (machina coeli), così veloce, come potrebbe muoversi in corsa muta e silenziosa? Per quanto tale suono non giunga al nostro udito, ciò avviene necessariamente per molteplici ragioni e il movimento rapidissimo di corpi tanto enormi non può avvenire senza alcun suono, specialmente perché le corse orbitali degli astri sono insieme collegate in un reciproco accordo (coaptatio), così perfetto che nulla si può immaginare di ugualmente compatto e proporzionato. In effetti, talune si muovono in alto, altre più in basso e tutte girano con impulso tanto combinato che dalla loro differente velocità risulta un ordine razionale nei movimenti. Perciò non può essere estraneo a questo moto rotatorio dei cieli l’ordine razionale nella modulazione dei suoni. In verità, se una certa armonia non unisse le diversità e le contrarie potenze dei quattro elementi, come potrebbero concordemente formare ciascun corpo e organismo? Questa difformità produce l’avvicendamento delle stagioni e la varietà dei frutti, ma allo stesso tempo fa dell’anno una unità. Quindi, se si potesse con un atto della mente eliminare uno degli elementi che sono all’origine di tanta varietà, tutto perirebbe e, per così dire, non rimarrebbe nessuna traccia di consonanza. E come nelle corde gravi c’è un limite del suono perché l’eccessiva profondità non giunga al silenzio, e nei suoni acuti c’è un limite alla tensione perché le corde troppo tese non si spezzino per l’eccessiva altezza del suono, ma tutto sia perfettamente consonante e adeguato, così noi riconosciamo che nella musica dell’universo nulla vi può essere di eccessivo da annientare le altre parti con il proprio eccesso. Al contrario, ciascuna componente, qualunque essa sia, o porta i propri frutti o aiuta le altre a portarli: infatti ciò che l’inverno indurisce la primavera scioglie, l’estate riscalda, l’autunno matura; e le stagioni offrono ciascuna i loro frutti o danno alle altre il proprio contributo perché li portino». L’armonia, dunque, appare fondamentale, per garantire agli elementi di prendere il proprio posto nell’universo, concorrendo decisamente all’idea di un ordine, che si palesi sino a consentire alla vita di esistere e di manifestarsi.
L’autore tardo-antico prosegue: «Come è possibile che la macchina del cielo, così veloce, si muova con movimento tacito e silenzioso? Sebbene quel suono non giunga al nostro orecchio, cosa che di necessità deve dipendere da molte cause, pure un movimento così veloce di corpi celesti tanto grandi non potrà non generare un suono, tanto più che i corpi degli astri sono congiunti con connessione così stretta che nulla può essere pensato di così ben organizzato e ordinato. Pertanto, alcuni circuiti planetari sono più in alto, altri più in basso, e tutti girano con impulso talmente concorde che nonostante le diverse disuguaglianze ne risulta un ordine stabile di movimenti. Per cui in tale stabilità di rotazione celeste non può mancare uno stabile ordine di modulazione sonora».
Boezio, inoltre, pone l’accento sull’estrema importanza dell’udito, il senso fondamentale, per conoscere scientificamente gli eventi. «È infatti manifesto che non c’è nessun ingresso alle conoscenze scientifiche migliore dell’udito. Poiché, dunque, per l’udito i ritmi e i modi scendono fino all’animo, non si può dubitare che, in base a come sono, influenzino e conformino la mente».
Senza mezzi termini, coglie l’occasione per sottolineare come anche nella musica sia necessario e di maggiore importanza avere cognizione della parte teorica, piuttosto che di quella pratica: «Bisogna considerare che ogni arte, come ogni disciplina, ha per sua natura maggiore dignità di qualunque mestiere che si esercita con l’attività manuale dell’esecutore. È infatti molto più alto e nobile conoscere ciò che qualcuno fa, che fare noi stessi ciò che qualche altro conosce, giacché l’abilità manuale è a servizio come uno schiavo, mentre la ragione comanda come una signora; e se la mano non eseguisse ciò che la ragione decide, ci sarebbe un inutile caos. Quanto più degna è dunque la scienza della musica, intesa come conoscenza teorica, del fare soltanto con l’opera e i gesti! Vi è in questo una superiorità uguale a quella della mente sul corpo: questo, se privo di ragione, giace in servitù; la ragione invece comanda e lo guida verso il giusto; e se il corpo non obbedisce al volere della mente, l’azione stessa, priva di ragione, rischia di fallire. La contemplazione razionale non necessita di alcuna attività operativa, mentre non potrebbe esserci opera delle mani, se queste non fossero guidate dalla ragione. Quanto grandi siano la gloria e il merito della ragione si può capire dal fatto che tutti coloro che esercitano un’attività fisica hanno preso il nome non dalla disciplina, ma dagli strumenti usati. Ad esempio, il citaredo è così chiamato dalla cetra, il flautista dal flauto e gli altri dal nome dei loro strumenti. Musico è invece colui che con meditata riflessione si è dedicato al sapere musicale non con la schiavitù dell’azione, ma con la signoria della speculazione».
Addirittura, in un impeto di esaltazione dell’intelletto, si spinge a derubricare gli strumentisti e i poeti dalla categoria dei musici: «[…] Nell’arte musicale si possono distinguere tre generi di attività: la prima concerne gli strumenti, la seconda crea i canti, la terza discerne e giudica l’opera degli strumenti e il canto. Coloro che si dedicano agli strumenti e che in questo esauriscono il proprio impegno, come i citaredi e quanti dimostrano la propria abilità nell’organo e negli altri strumenti musicali, sono estranei alla intelligenza della dottrina musicale perché agiscono da servitori - come già detto - e non introducono nulla di razionale, essendo privi di ogni speculazione. Il secondo gruppo che ha a che fare con la musica è quello dei poeti, i quali sono portati al canto più da un istinto naturale che dalla ragione e dalla speculazione: per questo anche la seconda categoria non deve ritenersi partecipe della musica. Il terzo gruppo è quello che raggiunge capacità di giudizio per valutare i ritmi, le melodie e il loro testo. Tutto questo, se avviene nell’ambito speculativo della ragione, sarà considerato affatto pertinente alla musica. Musico perciò è colui che possiede la capacità di giudicare, secondo criteri razionali e speculativi appropriati e convenienti alla musica, i modi e i ritmi, i generi delle melodie e la loro mescolanza, tutti gli argomenti che spiegheremo più avanti […]».
Interessante come Boezio sottolinei il ruolo della ragione, insistendo sulle sue capacità, che oltrepassano, per importanza, la padronanza manuale, spuntando, dalle pagine della storia, con parecchio anticipo rispetto al movimento illuministico, restando, tuttavia, allacciato ad una visione dell’umanità in linea col pensiero antico, ove la sapienza è comunque sempre preferibile all’attività manuale.
I Commentarii macrobiani risentono, come è facilmente prevedibile, di un metodo di indagine tipico di quelle culture strettamente legate ad un pensiero di fondo, in questo caso il platonismo, e proprio per tale motivo echeggiano una sensazione di non completa definizione e spiegazione degli eventi: prova ne sono i passaggi in cui l’autore afferma che determinate delucidazioni non possono essere fornite appieno, perché gli argomenti in oggetto risultano oscuri, come se il monopolio del sapere da parte dei dotti pregiudicasse giustamente il diritto di conoscenza di chi non è stato introdotto ai segreti dei filosofi o, come in alcuni passi li definisce l’autore, dei teologi. Siamo, del resto, all’alba del Medioevo cristiano.
L’esistenza di un’armonia celeste, non udibile per l’uomo, quattro volte il διά πασϖν καί διά πέντε (quattro ottave più una quinta), si riallaccia alla teoria delle idee platoniche e rappresenta, dunque, la matrice ispiratrice, perfetta, della corrispondente armonia per gli uomini. A questo punto, è interessante e doveroso considerare che la fisica odierna ha da tempo individuato una gamma di suoni percepibili da forme viventi, quali gli ultrasuoni e gli infrasuoni, di contro non avvertibili dall’orecchio umano. Inoltre, è altresì emblematico il fatto che moderni strumenti di misurazione della Nasa siano stati utilizzati per comporre il suono dei corpi celesti, codificandolo in frequenze udibili dall’orecchio umano, considerando come acuti quelli appartenenti ai corpi celesti più lontani e come gravi quelli dei corpi più vicini al punto di osservazione terrestre.
Paragonando il pensiero di Boezio e di Macrobio, numerose domande sorgono, in seguito alla disamina dei Commentarii e del De institutione musica, domande a cui risulta sovente impossibile fornire risposte certe: uno degli spunti più interessanti è collegato all’ormai perduto patrimonio di conoscenze in campo teorico che riaffiora dalle affermazioni di Macrobio, quando, per legittimare i postulati geometrici di matrice platonica ed euclidea, egli afferma che non è necessario considerare tutti i trattati sulla musica, che veniamo a scoprire essere, peraltro, piuttosto numerosi. Da ciò, inevitabilmente, la considerazione che ciò che è giunto ai nostri giorni, per caso o per reale intenzione di preservazione, sia una minima parte di un dibattito culturale affascinante e su cui si potrebbero scrivere decine, se non centinaia, di trattati.
La scoperta del De Re Publica di Cicerone, di cui il Somnium Scipionis riveste la parte analizzata dal retore tardo-imperiale, è avvenuta in tempi piuttosto recenti, nei primi anni del secolo XIX: l’autorevolezza del letterato romano del primo secolo a.C. deve avere giocato un ruolo fondamentale, nella decisione di Macrobio di prenderne in esame il contenuto; la necessità di conciliarlo con la visione platonica della dottrina dell’immortalità dell’anima fu, molto probabilmente, il motivo per cui dei Commentarii non si persero le tracce nei secoli successivi alla morte dell’autore pagano. Infatti, nel Medioevo fu ampiamente studiato per i punti di contatto con il pensiero cristiano, tanto che intellettuali del calibro di Pietro Abelardo attinsero dalle sue opere, permettendone la sopravvivenza. Il senatore Boezio godette di popolarità durante l’Alto Medioevo, influenzando, profondamente, la filosofia cristiana, tanto che il suo De consolatione philosophiae divenne pietra miliare della disciplina, così come il De institutione musica nel proprio campo.
Oggi, guardando al concetto di immortalità dell’anima non si può evitare di considerare come essa, nelle sue declinazioni psicologico-scientifiche, emerga sotto forma di altri nomi, quali parte spirituale, emanazione della psiche e quant’altro. Che si accetti o meno l’esistenza dell’anima secondo la concezione cristiana o neoplatonica, poco importa: si possono valutare gli effetti che essa, o ciò che esiste in sua vece, producono sulla vita di ogni persona, spesso soggetta alle difficoltà di affrontare la quotidianità che sembra non risparmiare, con cicli più o meno duraturi, più o meno intensi, nessuno. Come liquidare quindi i ragionamenti che si propagano con forza propulsiva penetrante, attraverso le parole del retore tardo imperiale?
Forse sarebbe stimolante integrarne l’opera, un compendio della filosofia e del sapere secondo i personali gusti ed obiettivi, con altre discipline: dallo studio e dalla pratica della musica, si raggiungono vette non isolate, non sterili formule matematiche, che appaiono poco interessanti persino per chi musicista è, ma frammenti di connessioni psichiche e individuali e corali, che sembrano sottendere a forme energetiche dalla vasta carica evocativa. Entrerebbero dunque in gioco fattori di varia natura, in una centrifuga culturale multitasking, con potenzialità enormi, devastanti persino in un’ottica di ricerca delle cause, se non della verità. Quella verità che cercavano scrittori medievali e moderni, anche in ambito scientifico.
Associare il potere e le caratteristiche della musica al manifestarsi di quello che gli antichi chiamavano divino, ma che un moderno studioso di impostazione laica potrebbe semplicemente definire perfezione, o matrice chimico-fisica dell’intelligibile e del non percepibile, a livello sensoriale, risulterebbe non così fuori luogo. Posto che non abbiamo coscienza delle reali motivazioni e dei reali fini per cui conduciamo questa esistenza così esile e breve, un veloce volo verso l’ignoto, ritengo fondamentale il ruolo dell’illusione, quella forza psicologica che deriva dal plagio, talvolta per somma di esperienze, talvolta per intervento di manifestazioni in termini visivi, sonori, tattili, immaginifici. Ascoltando il dipanarsi ordinato della struttura armonica di certe sinfonie è possibile scorgerne mentalmente la descrizione sonora in termini visivi, come ad esempio accade ne Le quattro stagioni di Vivaldi, dove ogni singolo movimento sembra dipingere quadri dettagliati, senza tempo, in un alternarsi di sensazioni coinvolgenti, vivide, che trascinano in un diafano altrove sospeso, quasi incorporeo. Osservare uno spartito molto datato durante l’ascolto può essere piuttosto interessante, per chi sa leggere il pentagramma, poiché spesso, nel passato, era uso comune apporre brevi didascalie sopra determinate battute: nell’Inverno vivaldiano, per esempio, appaiono indicazioni per gli strumentisti del tipo «Aggiacciato tremar tra nevi algenti», «Al severo spirar d’orrido vento», «Correre e battere li piedi per il freddo», che effettivamente descrivono le intenzioni dell’autore e aiutano l’esecutore a porle in pratica.
L’esperienza della musicoterapia, da alcuni decenni vera e propria disciplina, scientificamente riconosciuta ed altrettanto scientificamente trattata, studiata e proposta, dimostra, se mai ci fosse qualcuno ancora in grado di non accorgersene da sé, la fondatezza delle affermazioni di Macrobio, riguardo le capacità della musica di modellare gli stati d’animo, tanto in situazioni movimentate, quanto in momenti solenni, come nei riti funebri, in cui, idealmente e forse non solo, almeno nelle intenzioni degli antichi, il defunto era accompagnato, tramite essa, all’estremo viaggio, con lo scopo di ricongiungersi al mondo ultraterreno. Seguire percorsi mentali ed onirici è proprio di chiunque, eppure esistono esperienze che paiono essere proprie solo dei musicisti: a questo punto, ritengo utile ai fini di completezza riportare un aneddoto che mi riguarda e che, ho scoperto, essere non così raro tra chi ha compiuto studi di strumento.
Nei primi anni ’10 del Duemila mi è successo di ascoltare in sogno un intero brano strumentale di un eclettico artista americano di origine italiana, Steve Vai, dal titolo Warm Regards: al di là del fatto che avvertivo i singoli passaggi effettuati dagli strumenti con cui esso era stato inciso nella medesima successione e forma del disco, per quel che riguarda la melodia principale, effettuata con la chitarra elettrica, risuonavano nella mia mente tutte le singole note con timbro e tonalità originali, comprese quelle piuttosto complicate da riconoscere anche da svegli, perché eseguite in velocità e con tecniche particolarmente complesse.
Sappiamo, inoltre, che alcuni grandi compositori del passato, come Berlioz, Mozart, Chopin e Brahms, traevano ispirazione per le proprie opere dal sogno, udendole, in alcuni casi, in maniera completa, e riuscivano a ricordarle una volta destatisi, e talvolta non solo parzialmente. Oltre a non subire alcuna distorsione, durante il sogno, a differenza delle altre manifestazioni sensoriali, come quelle visive, del linguaggio o dell’azione, ciò che noi chiamiamo musica ha, dunque, un’altra particolare qualità: l’essere ricordata al risveglio dal soggetto, con ogni particolare, che la rende parte di un qualcosa di autonomo, rispetto alle altre sensazioni o capacità percettive umane, un qualcosa che non dorme mai. Ma, come Berlioz affermava, se, da una parte, essa ha la peculiarità sorprendente di permanere nel ricordo del sognatore strutturata e intatta, dall’altra se non è trascritta nell’immediato, quasi nulle sono le possibilità che si ripresenti in futuro nelle medesime forme. Ne costituisce un esempio storico il settecentesco Trillo di diavolo di Tartini, altro neoplatonico.
Da ciò, dunque, tracciando una linea immaginaria, che dal Somnium Scipionis giunge sino alla moderna neurologia, acquista valore l’indagine dello studioso latino ed idealmente si poggiano le fondamenta di un ponte culturale tra la mentalità dell’uomo antico e di quello del XXI secolo, tenendo ben presente come la stessa musica abbia, al suo interno, la proprietà di essere utilizzata e (ri)pensata per puro svago, talvolta manifestandosi in forme banali ed usa-e-getta, ma anche di riconnettere l’uomo, o quantomeno la sua parte spirituale, a percorsi non percepibili né descrivili con le conoscenze di cui disponiamo oggi.


Nell'immagine, il cosmo geocentrico.


Bibliografia

Boezio, De institutione musica(e), De institutione arithmetica, ed. Friedlein, 1867.
Cicerone, De re publica, ed. C.F.W. Mueller IV, 2 (1878); Cic. (Teubner.) fasc. 39 ed. Ziegler (71969); Bréguet, 1980.
Macrobio, Commentarii in Ciceronis somnium Scipionis, Ianus I, p. 13–215; Willis, 1963; c. addend. 21970.
O. Sacks, Musicofilia, Milano, Aldelphi, 2007. A. Vivaldi, L’Inverno, il cimento dell’armonia e dell’inventione concerto quarto, MutopiaBSD, 2003.
Documento inserito il: 11/07/2024
  • TAG: musica antica, teoria musicale dei moti planetari, sogno, musica strumentale

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