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Manoscritti perduti e tradizione storico-filologica: Tacito e il tacitismo fra Europa e Inghilterra moderne

di Davide Arecco


Un classico latino fra l’Alto Medioevo e la prima metà del secolo XVII

Un bel libro di Nicola Bizzi apparso solo pochi anni fa ha ricostruito l’avvincente ed alquanto avventurosa storia del De origine et situ Germanorum di Tacito, una delle maggiori opere storiche e etnografiche dell’antichità. Da quando, nel 1425, il più antico manoscritto conosciuto dell’opera – uno dei capolavori della classicità – è stato individuato e riscoperto, dopo essere stato dimenticato, per secoli, tra i polverosi archivi manoscritti della Abbazia tedesca di Hersfeld, lo scritto del grande storico romano è stato al centro di una autentica spy story, di un vero e proprio mystery, protrattosi dal XV secolo in poi, lungo tutta l’età moderna e oltre. Oggetto di una sorprendente caccia al tesoro, sin dalla sua scoperta, il Codex Hersfeldensis è stato bramato e conteso: da umanisti, letterati, papi, storici, eruditi, collezionisti, agenti segreti, iniziati, membri d’importanti dinastie italiane e europee, tra cui quella medicea di Firenze, sino ad arrivare ad Adolf Hitler ed Heinrich Himmler. Il III Reich, infatti, voleva legittimare se stesso, sul piano storico-politico e su quello esoterico-occulto, anche riappropriandosi della Germania tacitiana, per scoprirvi le sue più remote radici. E Tacito stesso – uno spirito pagano e notoriamente nemico del giudaismo – poteva ritornare molto utile nell’opera di costruzione identitaria intrapresa e portata avanti dalla mistica nera del nazionalsocialismo.
La storia – un vero e proprio giallo, a tratti – della fortuna, circolazione, diffusione e ripresa di Tacito e della sua opera, ha finito presto ed inevitabilmente con il sovrapporsi a quella del tacitismo, vale a dire la tradizione mirante a studiare e imitare, sul fronte ideologico e stilistico, gli scritti dello storico latino. Del resto, Tacito era già noto ed apprezzato presso i contemporanei: Plinio il Giovane ne ammirò l’opera, in particolare la precisione delle Historiae, delle quali predisse l’immortalità: un terzo soltanto dell’opera tacitiana è però sopravvissuto, e giunto sino a noi in un numero abbastanza esiguo di esemplari manoscritti (uno solo per i Libri I-VI degli Annales, ed un altro per l’altra metà superstite – i Libri dall’XI al XVI – e per i cinque Libri delle Historiae rimastici). Tra II e III secolo Tacito venne utilizzato da storici come Cassio Dione, che ne riprese la descrizione dell’esplorazione della Britannia, ad opera di Agricola. Il latino tacitiano – difficile ed ellittico, articolato e complesso – fu imitato da Ammiano Marcellino, che dello scrittore romano fu altresì continuatore, sul versante della ricostruzione storiografica. Durante il Basso Impero, la presenza culturale di Tacito si fece più sfuggente. Tertulliano ed altri autori di area patristica non poterono d’altra parte certo apprezzare la sua palese antipatia per ebraismo e cristianesimo (ambedue culti stranieri socialmente pericolosi per un aristocratico latino del I secolo).
Nel secolo IV, riferimenti a Tacito – alla sua vita e al suo lavoro – si trovano negli Scriptores Historiae Augustae attribuiti a Flavio Vopisco, in cui lo si trova menzionato un paio di volte – tra i disertissimos viros, gli uomini più eloquenti – in termini lusinghieri (Aureliano, II, 1; Probo, II, 7). I passaggi degli Annales sull’età di Nerone furono impiegati da Sulpicio Severo nelle sue Cronache e noti a Gerolamo. A partire dal secolo V, Tacito venne lodato da Sidonio Apollinare ed impiegato da Orosio (il quale prese in prestito dalle sue opere alcuni passaggi, diversi dei quali sono sopravvissuti solamente attraverso i suoi scritti). Durante il VI secolo, Cassiodoro fece, anche lui, riferimento allo storico latino, riprendendo varie parti del De origine et situ Germanorum. Nel corso dell’Alto Evo, due richiami all’opera tacitiana sono rintracciabili nei manoscritti dei monaci franchi della Rinascita carolingia: gli autori degli Annales Fuldenses si rifecero, di fatti, agli Annales di Tacito (una copia manoscritta del secolo XI degli Annales Fuldenses, oggi nella Biblioteca Umanistica di Sélestat, il Codice 852, contiene appunto uno dei pochi rimandi alto-medievali agli scritti tacitiani), e Rodolfo di Fulda prese in prestito numerosi estratti dalla Germania, per la stesura della sua Translatio Sancti Alexandri. Storico, teologo e religioso franco, Rodolfo di Fulda (800-865), allievo di Rabano Mauro (che seguì a Magonza, nell’anno 847), studiò in particolare le guerre sassoni, e rappresentò origini e costumi dei pagani basandosi sulle affermazioni riportate da Tacito. Un uso, dettagliato e letterale, su vasta scala, del testo manoscritto della Germania: una sorta di unicum, nella letteratura di epoca alto-medievale, e perciò una fonte estremamente significativa, sulle radici della tradizione tacitiana, prima dell’età moderna.
Alcune opere di Tacito erano note e circolanti, sin dal 1100, nell’Abbazia di Montecassino – nonché, intere o in parti, presso i monasteri di Corvey e come detto Fulda – dove Paolo Diacono usò il testo dell’Agricola, per la redazione della sua Vita Sancti Severi. Il vescovo di Pozzuoli, Paolino Veneto, citò passi dagli Annales, nella sua Mappa Mundi, un’opera storico-geografica da riscoprire, mentre altre riminiscenze tacitiane figurano nella letteratura francese, inglese, tedesca ed italiana dei secoli XII-XIV. Quando poi Boccaccio portò il manoscritto contenente i Libri dall’XI al XVI degli Annales da Montecassino a Firenze, tra il 1360 e il 1370, Tacito conquistò favori e terreno crescenti negli ambienti storico-letterari. Gli sforzi di Boccaccio diedero grande lustro all’opera tacitiana, che fra Tre e Quattrocento cominciò a diffondersi nei primi circoli umanistici, specie quelli frequentati da Salutati e Bruni. Una diffusione che andava di pari passo con l’apprezzamento per la storiografia liviana. L’editio princeps degli scritti di Tacito – contenente i Libri XI-XVI degli Annales, i Libri I-V delle Historiae, il De origine et situ Germanorum e il Dialogus de oratoribus – venne pubblicata, dalla tipografia veneziana di Wandelin Von Speyer, nel 1470. Durante il pontificato di Leone X, fu, quindi, scoperto nella Abbazia di Corvey il Codice Mediceo I, con i primi Libri degli Annales, edito a Roma nel 1515 dal dotto e bibliotecario Filippo Beroaldo e ristampato solo due anni dopo insieme al resto delle opere tacitiane a Milano dal tipografo e libraio Alessandro Minuziano. Al principio del XVI secolo – in Toscana, al tempo delle guerre civili fiorentine – Tacito ritornò d’attualità, non solo fra i seguaci dell’umanesimo civico, ma pure tra i fautori del repubblicanesimo classico. Tra i primi a vedere nel grande storico romano un modello storico-politico, oltre che letterario, fu Machiavelli, non solo e tanto quello del Principe (nel cui Capitolo III compare peraltro una citazione presa dagli Annales), quanto semmai l’autore dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, composti fra 1513 e il 1519 circa. Da quel momento in avanti, non fu quasi più possibile distinguere fra il tacitismo e il machiavellismo. Nei suoi Politicorum libri sex (1589), Giusto Lipsio – curatore poi, nel 1598, della edizione dell’Opera Omnia di Tacito – avrebbe celebrato come fonte primaria della sua riflessione lo scrittore latino senza nascondere la sua congiunta ammirazione verso Machiavelli. E nel Seicento lo storico francese Nicolas Amelot de la Houssaye, commentando il Segretario fiorentino, avrebbe affermato l’impossibilità di approvare o condannare Machiavelli senza Tacito. Un rapporto pertanto indissolubile, quello venuto ad instaurarsi fra i due, a partire dal primissimo Cinquecento. A seguito della condanna di Machiavelli all’Index Librorum prohibitorum, moltissimi scrittori politici di paesi cattolici, adottando accorte strategie di auto-censura e dissimulazione, impiegarono frequentemente Tacito, al posto di Machiavelli, vedendo nell’Imperatore Tiberio la maschera del principe ideale. Da parte sua, neanche Guicciardini rimase insensibile alle suggestioni del tacitismo, segnalando, in due dei suoi Ricordi (1512), l’utilità che poteva venire dalla lettura del grande storico latino, per quanto non senza alcune riserve.
La tradizione del tacitismo diviene, dunque, una specifica e rilevante corrente storiografica tra il XVI e il XVII secolo. Ci si rifaceva a Tacito per leggere le tensioni della propria epoca, con l’idea di poterne ricavare specifiche lezioni morali e politiche. Il tacitismo fu pertanto un fenomeno di tipo intellettuale, che fiorì in particolare al tempo della Riforma cattolica, e spesso in reazione ad essa. Il clima culturale era il medesimo, specialmente in Italia e Spagna ma anche in Francia. Argomenti fra i quali il machiavellismo e la Ragion di Stato, ritenuti pericolosi e sovversivi dalla Chiesa romana, venivano nascosti sotto la veste del richiamo all’opera storica tacitiana. Non soltanto nell’età della Controriforma, ma altresì in quella del nascente assolutismo monarchico di antico regime, i teorici dell’azione politica scorsero non a torto in Tacito una sorgente inesauribile di regole e di principi da usarsi nella gestione della cosa pubblica. Nei Ragguagli di Parnaso, del libertino Traiano Boccalini, non a caso, Tacito è ritenuto il «padre della prudenza umana e vero inventor della moderna politica» (I, 84). Ma anche da parte religiosa non mancarono le lodi e un vivo interesse. Ancora a fine secolo, l’ignaziano piemontese Emanuele Tesauro – drammaturgo e retore, storiografo e grande figura della Repubblica letteraria di epoca barocca – invitò i propri lettori a sfogliare con attenzione Annales ed Historiae, una «nuova scuola politica», nella quale Tacito «insegna con quai massime si governi un principe accorto, ma cattivo, e con quai massime si debba governare un buon cittadino, verso un tal principe». Fra l’altro, sia pure non senza prese di distanza, l’autore del Cannocchiale aristotelico fu uno dei davvero pochissimi Gesuiti che stimarono Tacito. Gli altri suoi confratelli lo lasciarono, di fatto, nelle mani delle oppositori anti-curiali e della cultura controcorrente ed irregolare.
Un notevole contributo alla crescita ed affermazione del tacitismo venne anche dalla stampa e in tale senso fondamentale fu l’edizione critica del filologo fiammingo Giusto Lipsio, pubblicata, ad Anversa, tra il 1574 e il 1584. Un libro che ebbe un’enorme fortuna editoriale. Lo stesso Lipsio, nei suoi Politicorum, sive civilis doctrinae Libri sex usciti a Leida nel 1589 raccolse molti frammenti di Tacito, accanto ad altri di Aristotele (la massima autorità scientifica, nelle Università di allora), e di Cicerone (che restava un modello di scrittura, sul piano stilistico). Fra XVI e XVII secolo, vennero, inoltre, stampate due traduzioni, in italiano, dell’opera omnia tacitiana: la prima apparve a cura del fiorentino Bernardo Davanzati – agronomo e naturalista, oltre che storico ed erudito – tra il 1596 (il I Libro degli Annales) e il 1637 (la restante parte delle opere superstiti, in edizione postuma), ed una seconda per mano dell’umanista senese Adriano Politi (1603, ristampata ancora in decima edizione, nel 1665, e pertanto lettissima lungo tutto il Seicento). Un altro dotto fiorentino, Curzio Picchena – che fu segretario di Stato, per Ferdinando I de’ Medici, e corrispondente di Galileo – curò, nel 1607, una nuova edizione critica commentata degli scritti tacitiani, che incontrò un grande successo specie negli spazi granducali. Ma numerosi furono gli studiosi italiani che si rivolsero all’opera di Tacito: fra di loro il militare Virgilio Malvezzi e il genealogista Scipione Ammirato, storico e letterato, che fu, con il piemontese Botero, tra i massimi teorizzatori della Ragion di Stato nel tramonto del secolo XVI. Diverse furono le edizioni dei Discorsi sopra Cornelio Tacito di Ammirato, tedesche (1609 e 1618) e, soprattutto, francesi (1618, 1628, 1633, 1642, con stampe a Parigi, Lione e Rouen). Proprio la Francia diede i natali ad uno dei più celebri volgarizzatori seicenteschi di Tacito, Nicolas Perrot d’Ablancourt. Lo stesso Richelieu fu un lettore attento ed appassionato dello storico latino, preso a modello per l’azione politica. Sempre in Francia, tra il 1582 e il principio del governo di Colbert nel 1661, si registrarono oltre trenta edizioni a stampa di undici differenti traduzioni di Tacito, anche in forma di massime e di estratti. Anche il teatro lo scoprì e se ne appropriò: Corneille in Othon (1665) e Racine nel Britannicus (1669) presero infatti ispirazione dalle opere tacitiane. Dopo la crisi della coscienza europea tardo-barocca, innescata dalla diffusione delle idee di Cartesio, Bayle e Spinoza, per l’Illuminismo francese Tacito sarebbe divenuto, poi, un veicolo fondamentale di argomentazioni storico-politiche contro il dispotismo. Il Montesquieu delle Lois ne costituisce solo un esempio, tra i maggiori, certo quello più conosciuto. Ma la mente dello storico deve andare pure a Boulainvilliers, a d’Alembert e alla coterie degli enciclopedisti parigini.
Rimarchevole eco il tacitismo incontrò anche in area tedesca – con Christoph Pflug e Johann Heinrich Boeckler – e iberica. Gli spagnoli del Siglo de Oro, non solo gli eruditi, ma anche statisti e uomini politici come il Conte di Olivares, conobbero Tacito mediante gli umanisti del Rinascimento italiano, segnatamente tramite l’edizione critica degli Annales, pubblicata dal giurista e diplomatico Emilio Ferretti, nel 1542, i Discorsi di Ammirato nella stampa nel 1593, ed il trattato Sopra i primi cinque Libri di Cornelio Tacito di Filippo Cavriani (del 1597). Notevole influenza esercitò, inoltre, Giusto Lipsio, sia come editore delle opere di Tacito (la suddetta stampa olandese, in più tomi), sia con i suoi Politicorum sive civilis doctrinae Libri sex. Le prime traduzioni castigliane degli scritti di Tacito risalgono al secondo decennio del XVII secolo. Nel 1615 – a metà del Barocco spagnolo – vennero pubblicati a Madrid i primi cinque Libri degli Annales tradotti in castigliano e solo un anno dopo apparve il Tacito illustrato con aforismi da Barrientos. Altre edizioni di rilievo (come quella di Anversa, nel 1613) risalgono anch’esse a questo periodo. La moda del tacitismo aveva conquistato i circoli letterari ed eruditi non solo quindi italiani e francesi, ma altresì spagnoli e tedeschi, legato e discusso assieme ai problemi della Ragion di Stato boteriana. Il Tacito degli storici di Francoforte era quello di Ammirato, elogiato in area germanica, come celeberrimo «inter neotericos scriptores», insieme al Machiavelli, anche lui annoverato tra gli scrittori «acutissimi». Ancora una volta, tanto il tacitismo quanto il machiavellismo marciavano di pari passo. Un connubio vivissimo tra la seconda metà del secolo XVI e gli albori del XVII, anche negli spazi del Sacro Romano Impero. Ma anche a nord della Manica il tacitismo prese piede innervando discussioni talora assai vive e polemiche.
Eco infatti imprescindibile il tacitismo ebbe nella cultura storica del Seicento e del Settecento inglesi. Non solo fu presente al Needham, che costruì, su basi machiavelliane, il modello britannico del repubblicanesimo seicentesco. Durante le Guerre dei Tre Regni (1639-1651), sia i parlamentari puritani di Cromwell, sia i lealisti fedeli alla causa di Re Carlo I Stuart subirono la forte influenza di Tacito. Da un lato, Milton – Segretario latino del Consiglio di Stato del Commonwealth – vide nello storico romano un nemico dei tiranni. Dall’altro, lo storico e teologo realista Edward Hyde, I Conte di Clarendon, mostrò pure lui una fortissima fascinazione nei confronti di Tacito. Influenzato anche dalla lettura monarchica del tacitismo, fornita dal filologo ed antiquario francese Claude Saumaise, Clarendon – nella sua History of Rebellion and Civil War, scritta durante l’esilio dall’Inghilterra – citò Tacito più di ogni altro autore, e sempre a proposito. Non senza distinguo stilistici e lessicali, il discorso di Clarendon rifletteva un rimarchevole interesse per la raffinatezza delle analisi politiche di Tacito, di Machiavelli e dei tacitisti. Il linguaggio di Hyde – le sue stesse scelte di vocabolario – tradivano una profonda consuetudine con i temi tacitiani, come dimostrano termini quali prudenza, abilità, opportunità e destrezza. Un interesse, quello del nobile inglese, che andava a Tacito, come a Machiavelli, visti quali maestri di un’arte politica complessa e sofisticata, utile per Clarendon anche nel contesto della lotta al puritanesimo parlamentare, in favore di quel legittimismo monarchico – si sa – restaurato dalla dinastia Stuart con il ritorno sul trono di Re Carlo II nel 1660. Riprendendo una auctoritas come quella di Tacito, durante i suoi anni di esule dalla patria, Hyde lavorava, quindi, per (ri)costruire il futuro dinastico e istituzionale del proprio paese.


Presenze tacitiane nella cultura illuministica anglo-francese settecentesca

Nel Regno Unito del primissimo XVIII secolo, in particolare durante il Regno di Anna, Tacito ed il tacitismo incontrarono un nuovo e largo favore, presso le cerchie intellettuali e politiche. Negli anni che videro il sorgere dell’Illuminismo scientifico newtoniano, l’interpretazione repubblicana di Tacito venne incoraggiata da Addison e Defoe, ma soprattutto da Trenchard e Gordon (traduttore in inglese delle opere di Sallustio e Tacito), i quali furono autori delle Cato’s Letters, tra 1720 e 1723, manifesto libertario ed anti-tirannico di un repubblicanesimo – insieme tacitiano e machiavelliano – che guardava oltre la contrapposizione allora accesissima tra Whigs e Tories. Trenchard, nativo del Dorset e formatosi al Trinity College di Dublino, era un avversario, sia dello Standing Army, sia del partito di corte legato alla High Church anglicana. Gordon, anche lui un Commonwealthman, era un collaboratore assiduo e del London Journal e del British Journal, formatosi in Scozia all’Università di Aberdeen, ed influenzò tanto l’ideologia conservatrice e anti-finanziaria del primo Country Party, quanto successivamente gli illuministi americani delle tredici colonie d’oltremare (in Francia, venne tradotto dal Barone d’Holbach). Entrambi erano penne affilate, radicali ed indipendenti, importanti, sul piano giornalistico, per la formazione a Londra ed in Inghilterra dell’opinione pubblica. Uno dei volti della società e cultura inglesi, nell’età dei Lumi. Diversamente qui dalla libellistica puritana e repubblicana dell’Inghilterra di metà Seicento, Trenchard e Gordon svolgevano un discorso che era più politico che strettamente storiografico. Nella fattispecie, il recupero e l’esaltazione della antica tradizione frugale della Roma repubblicana e catoniana assumeva il significato di una celebrazione, ideale, contrapposta al presente (il corrotto ministero oligarchico di Robert Walpole, espressione in Parlamento degli interessi economici della City londinese, collusi con la corona hannoveriana). Nel Montesquieu dei Romains (1734) l’influenza delle Cato’s Letters fu ragguardevole.
Per la sua traduzione di Tacito – apparsa a stampa, in prima edizione, in due volumi, nel 1728, con dedica al Principe di Galles – Gordon si basò sul lavoro precedente di Malvezzi e Ammirato. In collaborazione con Trenchard, mise assieme la serie di 144 Cato’s Letters, che ispirò, nel 1776, gli insorti d’America (specie Paine, Madison e Hamilton), assai più delle dottrine politiche di Locke, al momento dello scoppio della Guerra d’Indipendenza. All’incirca nello stesso periodo, in Inghilterra, Edward Gibbon – il gigante dei Lumi inglesi, com’ebbe a definirlo Franco Venturi – arrivò a Tacito anche tramite la lettura dell’opera di Gordon, traendone non poca ispirazione sul piano sia valoriale, sia stilistico per la ricostruzione storico-religiosa e politico-militare confluita poi nel grande affresco in più volumi del Decline and Fall of the Roman Empire (1776-1789).
Agli inglesi del Settecento interessava altresì la Germania. In essa, infatti, Tacito s’era diffuso a dissertare anche degli Angli, la tribù sassone il cui arrivo in Britannia e la cui commistione con la popolazione di origine celtica locale aveva di fatto generato la nazione inglese dopo la dominazione romana precedente. La prima fonte inglese, circa gli Angli, è rappresentata dai manoscritti di Beda, ma in precedenza Tacito li menziona nel capitolo XL del De origine et situ Germanorum, scrivendo che «il numero esiguo nobilita, all’opposto, i Longobardi: per quanto circondati da numerosi e valenti popoli, trovano la loro sicurezza non nella sottomissione, quanto piuttosto nei rischi delle battaglie. Seguono i Reudigni, gli Avioni, gli Angli, i Varini, gli Eudosi, i Suardoni e infine i Nuitoni protetti da fiumi e foreste. Nessuna caratteristica di rilievo in ciascuno di questi, se non il culto comune di Nerto, ossia della Madre Terra, che, secondo loro, interviene nelle vicende umane e scende su un carro fra i popoli. Esiste in un’isola dell’Oceano un intatto bosco sacro e, all’interno, un carro consacrato alla dea, ricoperto da un drappo: toccarlo è consentito al solo sacerdote». Una credenza religiosa, quindi, lunare e femminile, panteista e comune altresì alle popolazioni celtiche della stessa Britannia pre-romana.
Il termine Angel sta ad indicare uncino o gancio. La denominazione dell’Inghilterra deriva per l’appunto dalla tribù degli Angli e, in ultima analisi, dalla penisola germanica dell’Anglia. Anche le parole anglo ed anglosassone si ricollegano a questa origine etimologica. Il termine ricorre, inoltre, nell’inglese moderno, con il verbo to angle (pescare) ed il sostantivo angler (pescatore) ed entrambi i termini indicano come la pesca fosse con tutta probabilità l’arte di sostentamento allora più diffusa nell’antica tribù degli Angli. La lingua inglese è derivata dal dialetto germanico occidentale, parlato proprio dagli Angli. La maggior parte degli storiografi ritiene che gli Angli venissero dalle coste del Mar Baltico. Una ipotesi che si basa su tradizioni danesi, o in antico inglese, che riguardano persone ed eventi del IV secolo, anche in relazione col culto di Nerto, descritto da Tacito, e con la religione, pre-cristiana e quindi pagana, specie svedese e danese, quindi di area altresì vichinga. Aspetti che la cultura storico-archeologica anglo-britannica settecentesca, pure grazie al medium libero-muratorio – e Gibbon era un massone di destra, reazionario e conservatore – non mancava di coltivare, protesa nell’orgogliosa riscoperta del proprio passato storico, anche di quello più lontano. Un passato che, stante il collante massonico, l’antiquaria inglese del secolo dei Lumi – Lumi moderati e newtoniani, clericali e monarchici – ricostruiva, con pazienza storico-erudita, anche sulle pagine di Tacito e del suo più illustre continuatore, quel Sallustio tradotto da Gordon ed inserito nei quadri intellettuali del sapere storiografico anglo-britannico nel corso del secolo XVIII, in un contesto illuministico di tipo insulare ed alquanto a sé stante se confrontato con larga parte del continente europeo.
Sempre durante il secondo e tardo Settecento, nel Piemonte sabaudo di Re Vittorio Amedeo III, mentre le scienze erano monarchiche e lealiste, le lettere erano libere e repubblicane: Alfieri, fra Asti e poi Firenze (dove conobbe Foscolo) trasse anche lui motivi di ispirazione da Tacito, per molti dei suoi personaggi drammatici, nonché per le sue accese critiche alla tirannide. Orientamento anti-tirannico e repubblicano rintracciabile pure in diversi rivoluzionari francesi di fine Settecento, che si erano formati sulle pagine di Orazio e Plutarco, Cicerone ed appunto Tacito, fra gli autori più citati dai membri della Assemblea Nazionale e Legislativa: Brissot, Desmoulins (sulle colonne del Vieux Cordelier paragonò il regime di Robespierre al dispotismo di Tiberio), ed i redattori degli Actes des Apôtres, i quali fecero ricorso a Tacito e alla tradizione del tacitismo anglo-europeo, per denunciare il terrore giacobino, fatto di pratica terroristica e repressione violenta. Lo storico latino non piacque, invece, all’ultimo figlio della Rivoluzione francese: Napoleone lo criticò, infatti, con Wieland e con Goethe. La cosa non sfuggì agli avversari del bonapartismo, che si fecero così ammiratori di Tacito, nella Francia dell’Impero (Mercure de France, 4 luglio 1807), combattendo e le derive e gli eccessi del nuovo cesarismo. Un processo culturale, che culminò, nell’agosto del 1829, con la nascita della Revue des Deux Mondes, periodico filo-tacitiano ed anti-bonapartista, che poté avvalersi della firma di prestigiosi collaboratori, come Gaston Boissier, studioso proprio di Tacito, ed autore di uno dei migliori saggi ottocenteschi sul grande storico romano, più volte ristampato.
In definitiva, le ultime grandi voci del tacitismo furono quelle francesi settecentesche. Metodo e principi dello scrittore latino trovarono terreno fertile, nella Francia dei Lumi, presso accademie e circoli aristocratici, enciclopedisti, materialisti (traducendo Gordon, il Barone d’Holbach riportò le opere di Tacito nella cultura francese), girondini e Idéologues. In realtà, già prima, in concomitanza ancora una volta con la tradizione machiavelliana, il tacitismo era entrato a fare parte della cultura e dell’erudizione storica transalpina. Temi e suggestioni di area tacitiana erano stati discussi, tra XVI e XVII secolo, da Montaigne e Charron, nonché dalle correnti del libertinage (Saint-Evremond) e dagli scrittori politici. Pertanto, dire Tacito, anche in Francia, aveva significato dire, nel medesimo tempo, Machiavelli. Pure la Germania, nella Francia dei philosophes, all’epoca di Re Luigi XV, era stata oggetto di un’ampia discussione, riletta in chiave antiassolutistica all’indomani della morte del Re Sole. Attorno al testo della Germania – che interessò altresì sensisti (Condillac), ed accademici e matematici (Condorcet) – ruotò tutta una serie di pubblicazioni, da parte di studiosi sia della Gallia antica sia dei Franchi (ma non soltanto) tra i quali Vertot (1717), Dubos (1735), Le Paige (1753), La Bléterie (1755), Mably (1765), Bouquet (1772), Marat (1774), Mirabeau (1782) e Thouret (1800).

In memoria del professor Guido Firpo


Nell'immagine, Un raro riferimento a Tacito in una copia del secolo XI degli Annales Fuldenses (Biblioteca di Sélestat).


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Documento inserito il: 29/04/2025
  • TAG: tacitismo, machiavellismo, storia della storiografia, Rinascimento italiano, età dell’Illuminismo, Ragion di Stato, storia della cultura, storia moderna, Francia, Regno Unito

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