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Josiah Wedgwood e dintorni: dalla Rivoluzione industriale alla letteratura gotica nel Regno Unito

di Davide Arecco


Il contesto storico-culturale: l’Illuminismo delle Midlands occidentali

Le origini dell’industrializzazione anglo-britannica secondo-settecentesca non vanno cercate solo e tanto nel centro – Londra, la capitale politica ed economico-amministrativa del Regno Unito – ma soprattutto nella periferia dell’Impero, nella vivace realtà sociale e tecnologica di manifatture e accademie scientifiche provinciali, interessate agli usi del nuovo sapere pratico e impregnate dello spirito più radicale dei Lumi anglo-scozzesi. Ne sono testimonianza le tante iniziative – politiche e religiose, educative e giornalistiche – del chimico Joseph Priestley (1733-1804), attivo su più fronti, tra Leeds e Warrington, Londra e New York. L’Inghilterra del tardo XVIII secolo vede intrecciarsi, in maniera strettissima e convergente, gli echi della ‘rivoluzione scientifica’ seicentesca e quelli del pensiero voltairiano, la nuova frontiera dell’Illuminismo scozzese e le pratiche dell’allora nascente Rivoluzione industriale. Tali aspetti vanno a comporre un quadro per studiare il quale – non si tratta di un paradosso, malgrado le apparenze – gli strumenti di una storia intellettuale della tecnologia si rivelano di somma utilità. La cultura inglese di fine Settecento difende, infatti, lo sperimentalismo e la nuova pratica tecnologica, nella quale si è evoluta la tecnica precedente: diffonde i risultati della élite colta trasformando la nuova chimica e la classica meccanica newtoniana in conoscenze utili, da sviluppare ulteriormente, innescando un’autentica reazione a catena, di invenzioni e innovazioni. La cultura scientifica anglo-scozzese, durante il lungo regno di Giorgio III (1760-1820), rafforza i suoi rapporti accademico-istituzionali con i circoli intellettuali europei, nonché con le colonie americane, appena prima della Guerra di Indipendenza (1776-1783). Ancora Priestley, attore storico-sociale di primissimo piano in questo periodo, ne rappresenta un probante esempio, materializzando progetti e iniziative che sono indizio dei tempi nuovi. Priestley, e non solo: con lui sono Paradise, Vaughan e Price fra gli altri. La crema insomma del dissent radicale inglese tardo-illuministico, lo stesso con il quale vengono a contatto non pochi viaggiatori italiani – Mazzei, Fabbroni e Fontana: solo per fare, qui, alcuni nomi di spicco – che compiono, a Londra e nelle Midlands occidentali, il loro decisivo e determinante Grand Tour. Veramente, un’esperienza culturale e formativa senza ritorno. Modernità e scientifica e politica: di questo la Gran Bretagna è nel tramonto del Settecento cifra e spia.
Nella società inglese secondo-settecentesca cresce e si afferma il ruolo delle donne. Susanna Wright si interessa alle nascenti scienze biologiche ed alle leggi, nell’America coloniale e nei primi Stati Uniti, curando in particolare i legami fra Inghilterra e illuministi al di là dell’Atlantico (specie in Pennsylvania). Sono gli anni nei quali – non senza entusiasmo – prende avvio la moderna società industriale e si delineano i principi dell’utilitarismo. Una rinnovata tolleranza illuministica favorisce progetti di riforma religiosa rivolti – oltre che a deisti, ex puritani, dissenzienti ed unitariani – anche alla Chiesa cattolica romana e agli spazi del Sacro Romano Impero viennese. In tale senso possiamo leggere la nascita e le azioni della Society of Friends, creata nel Lancashire, da parte dei seguaci di Margaret Fell e George Fox, alfieri di una progettualità riformatrice, dal basso, in cui si combinano radicalismo politico, interessi per usi sociali allargati delle nuove procedure tecnico-scientifiche ed aperture religiose inclini a superare barriere e divisioni confessionali. Davvero un’epoca di febbrile entusiasmo e utopiche contraddizioni, che avrà una certa influenza anche sul Romanticismo inglese, segnatamente su quello di Shelley e Wordsworth, Coleridge e Blake. I romantici si concentreranno non solo e tanto sulla scienza – alla quale comunque non cesseranno di guardare, si pensi alla fisica elettrica nel Frankenstein di Mary Shelley – quanto soprattutto sull’etica libertaria e prometeica: il Romanticismo inglese nasce in tal senso anche riprendendo il radicalismo politico illuminista.
Accanto a Liverpool e a Sheffield, un centro propulsivo primario della nuova cultura politico-religiosa e tecnologico-sociale (che radicalizza i Lumi, in direzione, senza volerlo, pre-romantica) è, in questi anni cruciali della seconda metà del secolo XVIII, Birmingham. Qui, si coltivano interessi per le scienze (principalmente botanica, medicina, scienze della vita) e si discute di diritto, politica, economia e pedagogia, con una marcata inclinazione culturale verso l’utilizzo in ambito sociale dei nuovi paradigmi scientifici e delle nuove conquiste tecnologiche, offerte dall’industrializzazione, in corso. A Birmingham, l’istituzione accademica di punta è la Lunar Society fondata da Priestley. Tra i suoi membri, essa annovera – sapientemente coordinati da Priestley, una vera guida per il gruppo – il naturalista Erasmus Darwin, l’imprenditore Matthew Boulton, l’inventore James Watt (al quale si deve, come noto, la macchina a vapore, simbolo della nuova era), il pittore Joseph Wright of Derby, la scrittrice Anna Seward, la botanica Susanna Wright (che, come detto, tiene i contatti con i coloni americani), il tipografo e libraio John Baskerville, il poeta ed orticultore William Shenstone, gli architetti James e Samuel Wyatt, il chimico e geologo James Keir, il giurista rousseauiano Thomas Day ed il ceramista e industriale Josiah Wedgwood. E’ con tutti loro che il nuovo avanza.


Dalla tecnica alla tecnologia nella Gran Bretagna del secolo XVIII

La figura e l’operato di Josiah Wedgwood (1730-1796) sono di rilievo assolutamente primario sia all’interno della cerchia scientifico-accademica della Lunar Society, sia per nascita e sviluppi dei processi di industrializzazione in Inghilterra. Wedgwood adottò infatti, nella sua industria, una assai più moderna e razionale suddivisione del lavoro, separando in modo rigoroso la progettazione dalla produzione. Le sue ceramiche e porcellane, molto fini ed ispirate per forma e decorazioni all’arte e all’antichità classica, incontrarono allora grandissima fama in tutto il mondo e fecero, dell’industria che a lui faceva capo, una delle meglio note e quotate di allora, insieme simbolo e fiore all’occhiello dello sviluppo tecnologico britannico d’età hannoveriana.
Nato in una famiglia molto numerosa, Josiah era l’ultimo figlio di Thomas Wedgwood (1687-1739) e di Mary Stringer, figlia del ministro unitariano di Newcastle. Sin dal Seicento, la famiglia si era distinta nella produzione di ceramiche, ed ancora giovanissimo Josiah affiancò e sostituì il padre nell’industria familiare. Crebbe a Churchyard House, e studiò a Newcastle. Nel novembre del 1744, Wedgwood entrò come apprendista nell’azienda di famiglia, mostrandosi abilissimo al tornio. Sino al 1752, lavorò a fianco del fratello, dopo una breve collaborazione con il meccanico auto-didatta ed orologiaio John Harrison e con un altro pratico, Thomas Alders di Stoke City. Nel 1759 Wedgwood costituì nello Staffordshire una società, con Thomas Whieldon di Fenton Low, quotato ceramista, di grande fama all’epoca. Da lui Wedgwood apprese le più moderne tecniche su forme e colori. Inoltre migliorò la green glaze, una particolare tecnica di verniciatura, in verde, rimasta da allora in uso, da lui impiegata specie nelle decalcomanie. A partire dal 1760 Wedgwood si mise in proprio e prese in affitto la Ivy House Factory di Burslem, dirigendola con il cugino Thomas sino al 1788.
Nel 1765, Wedgwood cominciò a produrre in serie un particolare e durevole tipo di ceramica, dalle forme di facile impiego e color crema. La Regina Carlotta apprezzò molto tale cream ware e si fece protettrice della ditta. Un legame di patronage che fece decollare, in via definitiva, l’impresa di Wedgwood. Per la sovrana, l’industriale mutò nome alla ceramica in Queen’s Ware. La pubblicità e le qualità del prodotto la resero celebre, in tutta l’Inghilterra, e sul continente europeo. Un successo tale che mise in parte in crisi altre manifatture, come quelle di Sèvres, Meissen e Faenza (che adottò il modello inglese). Nel 1768 Wedgwood unì le proprie forze a quelle di Bentley, mercante con vari contatti in tutto il Regno Unito. Insieme, i due orientarono la produzione su oggetti decorativi e duri di ceramica non smaltata, ispirata nei soggetti al mondo classico (una delle passioni del Settecento), in basalto nero (a imitazione degli antichi vasi ellenici), e in finissima porcellana (lavorata a elevate temperature, su impasti di solfato di bario, sfruttando ed applicando, quindi, le più recenti conquiste sperimentali della nuova chimica britannica). In particolare, le porcellane di Wedgwood ebbero una grandissima fortuna in tutta Europa.
Nel 1771, sempre nello Staffordshire, Wedgwood creò la manifattura Etruria, volta a produrre in prevalenza vasi ornamentali. Il motto dell’impresa era Arte Etruriae Renascantur (in omaggio al sapere artigiano e di mestiere della primissima Toscana moderna). La divisione del lavoro era molto precisa e netta: da una parte vi era il disegnatore (che a lungo fu John Flaxman), il quale progettava forme e decorazioni dei singoli manufatti e dall’altra gli artigiani veri e propri (a loro volta suddivisi in formatori, tornitori, plasmatori, decoratori e infine addetti all’opera di rifinitura).
Nel 1774, Caterina II di Russia, grande collezionista di porcellane e ceramiche, commissionò a Wedgwood un servizio di quasi mille pezzi: autentici oggetti di lusso, dall’alta valenza simbolica, ricercati dalle corti europee. Nello stesso anno, Wedgwood mise a punto anche un altro prodotto dal notevole impatto sociale: una ceramica, opaca, in vetro, utilizzata per intagli, cammei, medaglioni e tavolette, riccamente adornata con copie di rilievi e antiche statue. Il passato restava un modello cui le nuove tecnologie non cessavano di guardare con ammirazione, trapiantandolo nel presente, sino a proiettarlo nel futuro. Altro gioiello fu la coppa realizzata da Wedgwood, nel 1775, oggi conservata al Victoria and Albert Museum londinese, con splendide decorazioni bianche, su sfondo nero. Altro illustre esempio dell’arte di Wedgwood fu il così detto Vaso di Portland, una riproduzione del Vaso Barberini, oggi custodito a Lerith Hill Place.
Le varie ceramiche prodotte dalla fabbrica di Wedgwood furono influenzate anche da scavi e scoperte archeologiche, allora in corso, riprendendo, dalle suppellettili riportate alla luce, di recente, dagli archeologi del secondo XVIII secolo, elementi decorativi, rilievi delicati e rapporti cromatici, in linea con la moda, la cultura e i consumi dell’epoca. Coerentemente col suo stile di progettazione Wedgwood pose un’attenzione tutta particolare anche alla fabbricazione di attrezzi ed utensili per i laboratori scientifici, quasi sempre in marmo, e con fregi ispirati, ancora una volta, alla antichità. Se ne conservano copie ed esemplari nei vari musei di Londra. Lo stesso Wedgwood inventò, inoltre, il pirometro, uno strumento per misurare le alte temperature: un esempio di passaggio e trasferimento dalla tecnica alla scienza, dalla pratica di mestiere al sapere dotto ed accademico, che gli valse, nel 1783, la prestigiosa ascrizione a fellow della Royal Society londinese.
Nella seconda metà degli anni Settanta del secolo XVIII proseguì inoltre, nella Factory diretta da Wedgwood, la produzione dei vasi etruschi in basalto, sempre ispirati a modelli classici. Durante gli anni Ottanta, l’industriale inglese ideò altri nuovi impasti, che rafforzarono la sua fortuna. E nel 1782, l’Etruria diventò la prima nuova fabbrica britannica che faceva uso del motore a vapore (di Watt e Boulton, membri con Wedgwood della Lunar Society di Birmingham). Ancora oggi, disegni e produzioni dell’azienda di Wedgwood sono ritenuti – specie i pezzi originali, quasi tutti arrivati a noi – oggetti mirabili di alto antiquariato, segnatamente ceramiche e porcellane.
Wedgwood ebbe molti discendenti illustri e importanti. Tra i suoi otto figli, John fu botanico e orticultore, Thomas un antesignano della fotografia, Sarah la fondatrice della Birmingham Ladies Society (per l’abolizione della schiavitù, una battaglia iniziata dal padre). Eliza Wedgwood, nipote di Josiah, sposò il pastore unitariano William Stevenson e dalla loro unione nacque una delle grandi scrittrici dell’Ottocento inglese, Elizabeth Gaskell (1810-1865). Quest’ultima si maritò, nel 1832, con un uomo molto attivo e socialmente impegnato, pastore unitariano nella cappella di Cross Street (allora punto di ritrovo per una dinamica cerchia intellettuale, non-conformista, che includeva tanto religiosi dissidenti quanto illuministi riformatori, uomini di scienza, poeti e letterati). Gaskell passò così a vivere dalla tranquilla e quieta Knutsford, immersa nell’apparente immobilità della campagna dell’Inghilterra settentrionale, a Manchester, una delle città della Rivoluzione industriale, allora in piena espansione, con acciaierie e impianti siderurgici. Gaskell poté quindi osservare da vicino ed in prima persona il passaggio, irreversibile, dalle singole tecniche di un tempo alla nuova tecnologia, e in particolare alla produzione in serie, entro il sistema di fabbrica, prendendo coscienza del trapasso dalla vita economica rurale della vecchia ed ormai declinante società agraria a quella industriale. La scrittrice, allora insegnante, a fianco del marito, fece lezione a molti dei primi operai e ne conobbe il mondo, avvicinandosi alle dottrine del socialismo utopistico inglese (di Owen e non solo).
Di Manchester – della vecchia, fosca, triste, fumosa e grigia Manchester delle sue pagine – la scrittrice vide il malessere del malsano e irrequieto paesaggio urbano, deturpato dalle ciminiere e da fabbriche in rapida crescita numerica. Nacque, anche e soprattutto da qui, l’idea di North and South, il romanzo industriale del 1855, in linea con la produzione del Dickens posteriore a High Hopes. In North and South, Gaskell mise in scena la contrapposizione geografica e di mentalità fra Inghilterra settentrionale (lanciata ormai sempre più lungo la strada dell’industrializzazione pesante ed animata quasi solo dal culto del guadagno e dall’etica del denaro e del successo individuale) e il placido sud, agricolo e campestre, con la sua natura ancora incontaminata, e dai ritmi di vita rimasti ancorati alla tradizione dei cicli di coltivazione: un mondo alternativo, tanto a Manchester quanto a Londra, ricca capitale di un Impero, quello inglese, che rifiutava di interrogarsi sull’origine del proprio benessere e della propria potenza (non solo sui mari del mondo). Anche i romanzi e racconti gotici di Gaskell furono una maniera letteraria per reagire agli eccessi del capitalismo industriale: per dire no, tramite l’evocativo universo del fantastico, ai fumi delle ciminiere e ai veleni delle fabbriche, tratteggiando un passato che sapeva di Medioevo, di antiche tradizioni e d’oscure e mai morte leggende.


Dai Lumi al Romanticismo gotico in Inghilterra: il lato oscuro del vittorianesimo

Cresciuta nel Cheshire, in rapporti mai facili coi familiari, prima biografa di Charlotte Bronte, politicamente liberale e religiosamente tollerante, amante della lettura, autonoma ed indipendente, nostalgica verso il perduto mondo contadino, Gaskell fu fortemente critica nei confronti del grigiore sociale della crescente industrializzazione britannica. Provvista di mentalità aperta e progressista, la scrittrice dialogò con il nascente mondo operaio, ed ebbe un rapporto ambivalente con la stessa città di Manchester, amata e odiata contemporaneamente. Votatasi pertanto ai libri, Gaskell lasciò, con il romanzo Mary Barton, un crudo affresco dell’ambiente operaio di Manchester. L’opera incontrò un certo scalpore, e lo scandalo – legato al rifiuto di lei degli eccessi industriali – portò addirittura alla messa al bando del libro. Trovata la protezione di Dickens, a partire dalla fine del 1851, Gaskell si dedicò quindi a romanzi e racconti di ambientazione gotica, trasferendosi infine nello Hampshire ad Alton. Qui poté recuperare la tranquillità perduta.
Tanto i romanzi industriali sul lato nascosto e sordido del mondo manifatturiero di allora e sul sistema di fabbrica, quanto le opere di taglio gotico ed orrorifico erano agli occhi di Gaskell modi al fine di reagire attraverso la scrittura a quanto di brutto la circondava. Le sue eroine sono giovani ed incorrotte, in lotta con la realtà esterna. Ecco quindi entrare in scena la dimensione del fantastico, la sola vera alternativa per Gaskell, per esorcizzare un mondo che le stava stretto e non le piaceva. Nel regno della narrativa gotica, l’autrice inglese poté infine trovare un’agognata second life, una via di fuga dalle brutture materialiste del reale, lo squadernarsi di orizzonti altri. Davvero un altro mondo, fatto di simboli e di sogni, di arcani ed aperture sull’oltre. Aspetti poi ripresi ed aggiornati, alla fine dell’Ottocento vittoriano, dal Decadentismo inglese di Ruskin – l’alfiere del neo-gotico, non solo in architettura – e di Morris, quest’ultimo legatissimo pure lui agli ideali del socialismo utopistico e al bisogno di evocare, attraverso le suggestioni della parole, luoghi altri, dove a regnare, incontrastata, fosse l’immaginazione.

In memoria di Edoardo Grendi e Osvaldo Raggio


Nell'immagine, Josiah Wedgwood.


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Documento inserito il: 17/08/2025
  • TAG: età moderna, Gran Bretagna, industrializzazione, nuove scienze, Illuminismo, tecnica, tecnologia, Settecento, narrativa gotica, Romanticismo, socialismo utopistico, secolo XIX, età vittoriana, neoclassicismo, narrativa fantastica

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