Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia autori: Cosa rimane di Anna Frank nel 2021

Cosa rimane di Anna Frank nel 2021

Il prossimo 12 giugno, Anna Frank avrebbe compiuto 92 anni. Ma Anna Frank questo suo genetliaco non lo potrà festeggiare perché è morta tra il febbraio ed il marzo 1945 nel campo di concentramento di Bergen Belsen. Lei è una delle vittime della Shoah, l’Olocausto, la morte di milioni di persone di religione ebraica nei campi nazisti. Un numero enorme, oltre 6 milioni di persone.
Siamo a conoscenza dell’orrore dei campi di concentramento nazisti grazie alle testimonianze dei sopravvissuti che hanno avuto il coraggio di raccontare ciò che hanno vissuto dentro quei campi di morte e dove hanno visto morire persone di religione ebraica, oppositori politici, omosessuali, zingari, disabili, testimoni di Geova e tutte quelle minoranze che non dovevano esistere secondo l’ideologia nazisti. Dei superstiti dei campi di concentramento, oggi sono rimasti vivi in pochi causa la loro età anagrafica e queste persone hanno raccontato la loro esperienza terrificante in televisione o nelle scuole (come ad esempio Liliana Segre, Sami Modiano e le sorelle Adra e Tatiana Bucci) tenendo vivo il ricordo e dicendo ai giovani che quello che loro hanno vissuto non dovrà mai più ripetersi in futuro.
Molti sopravvissuti invece hanno raccontato la loro esperienza attraverso libri: subito si pensa all’opera “Se questo è un uomo” di Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz e che, tornato in Italia, ha voluto raccontare a tutti cosa ha visto, provato e odiato dentro quel campo. Come Levi, in tanti hanno scritto libri sulla loro esperienza. Tra questi, Anna Frank.
Il meno attento potrebbe pensare “come ha potuto farlo, se è morta durante la prigionia?”. Questo è vero, ma il lascito di Anna Frank è stato un semplice diario dove la ragazzina ha raccontato la sua vita dal 12 giugno 1942 al 1 agosto 1944, tre giorni prima di quando è stata scoperto il suo nascondiglio nella casa/rifugio di Amsterdam: lei, insieme al padre, la madre, la sorella maggiore, la famiglia Van Pels e Fritz Pfeffer, sono stati arrestati e condotti al campo di Westerbrok per poi morire pochi mesi dopo, come detto, a Bergen Belsen.
La sua “opera” è conosciuta, semplicemente, come “Il diario di Anna Frank” oppure “Diario”. E in sé non è nulla di speciale in quanto la giovane Anna ogni giorno scriveva ciò che le succedeva quotidianamente, ma ha raccontato sotto un altro punto di vista la vita delle persone di religione ebraica che si nascondevano per non farsi trovare dai militari nazisti. Tutto con gli occhi di una adolescente.
Ma per capire la genesi di questo diario e la situazione che vivevano i Frank c’è da riavvolgere il nastro della storia al 30 gennaio 1933. Quel giorno l’allora Presidente della Repubblica di Weimar, Paul von Hindenburg, a seguito delle elezioni politiche del 6 novembre 1932 (le quarte in quattro anni) che videro l’affermazione del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori con il 33% dei voti, decise di affidare al suo leader, Adolf Hitler, l’incarico di cancelliere (il Presidente del Consiglio tedesco) e formare il suo governo. Da quel giorno e fino al 30 aprile 1945, la Germania, l’Europa ed il Mondo conobbero l’orrore del nazismo e del suo capo carismatico che nel giro di pochi mesi ebbe il Paese ai suoi piedi.
Già dopo poche settimane dalla salita al potere di Hitler, la vita delle persone di religione ebraica mutò radicalmente in peggio: nell’aprile del 1933 iniziò una limitazione alla presenza degli ebrei nelle università ed il mese dopo gli ebrei non poterono svolgere il lavoro di consulenti fiscali. Da li in poi, sempre più limitazioni e perdite di diritti.
Gli ebrei, nel pensiero dei nazisti, avevano subordinato il Mondo ed avevano ucciso Cristo, di conseguenza dovevano essere perseguiti. Gli ebrei divennero un capro espiatorio cui far pagare tutti i mali della Germania e del Mondo, anche perché, secondo i nazisti, la finanza ebraica aveva sperperato tutti i risparmi della popolazione tedesca. Ma Hitler non vedeva di buon occhio solo gli ebrei, ma anche altre categorie di persone da lui ritenute “inferiori” come i rom, i sinti e gli omosessuali, tutte “razze” e persone diverse e da eliminare. Per il nazionalsocialismo, l'unica razza degna di esistere era quella ariana. Questa era quella dominante, mentre quella ebraica era considerata inferiore, diversa: il nazismo propugnava la teoria che un Paese fosse forte se guidato da una razza forte e combattiva, quella ariana e germanica.
La politica razziale antisemita nazista, sin dall’inizio, si dimostrò contraria alla presenza degli ebrei nel Paese. Il 15 settembre 1935, con l'entrata in vigore delle “Leggi di Norimberga”, si sancì che il governo di Hitler era pienamente antisemita e razzista e per le persone di origine ebraica sarebbero stati anni molti difficili: erano diventati “nemici dello Stato”. Molti riuscirono a lasciare il Paese e riparare all'estero, mentre altri non ci riuscirono e rimasero. Come se non bastasse, dal mese di luglio, entrò in vigore la revoca della cittadinanza agli ebrei ottenuta tra il 9 novembre 1918 ed il 1933, ovvero durante gli anni della Weimar, ed il 29 settembre 1933 venne stabilita una legge secondo cui, per avere diritto ad un'eredità, bisognava non avere sangue ebraico.
Da dove nasce l'odio dei nazisti, in particolare da parte di Adolf Hitler, verso il popolo ebraico? Questo odio nacque tra le righe della “bibbia” del partito nazionalsocialista, il “Mein Kampf” (“La mia battaglia”), il saggio scritto da Hitler nel 1925 durante la sua prigionia a seguito al fallito putsch di Monaco (8-9 novembre 1923). Nel testo, il futuro Führer espose il suo pensiero politico e delineò il programma del partito nazista, rivelando il suo odio per ciò che riteneva fossero i due mali del mondo: il comunismo e l'ebraismo.
Il punto di non ritorno della politica nazista contro le persone di religione ebraica fu la “notte dei cristalli” (Kristallnacht): nella notte tra il 9 ed il 10 novembre 1938, in alcune zone della Germania, su spinta di Joseph Goebbels, il Ministro della propaganda, furono distrutte sinagoghe e le vetrine dei negozi di proprietà degli ebrei a cui fece seguito la creazione dei ghetti, zone delle città abitate esclusivamente da ebrei e collocate lontano da tutto e da tutti.
Annaliese Frank detta “Anne” (italianizzato in “Anna”) nacque a Francoforte il 12 giugno 1929 durante la Repubblica di Weimar ed era la seconda genita di Otto e Edith Hollander, più piccola di tre anni di Margot, la sorella maggiore. I Frank erano di religione ebraica e poco dopo la salita al potere dei nazisti videro restrizioni da parte dei nazisti e si trasferirono nei Paesi Bassi dove il padre era alla guida della Opekta, un’azienda che produceva preparati per marmellate ed aromi. Otto Frank si trasferì subito ad Amsterdam, mentre il resto della famiglia lo raggiunse tra il dicembre 1933 ed il febbraio 1934. Si trasferirono nel quartiere di Rivierenbuurt, dove già abitavano diverse famiglie ebree. I Frank pensarono di emigrare negli Stati uniti d’America ma la loro richiesta venne respinta.
I Frank vollero che le figlie vivessero in un ambiente misto, frequentando scuole, ambienti e amici non solo di religione ebraica.
I Paesi Bassi però il 10 maggio 1940, ad otto mesi dalla scoppio della guerra, vennero invasi dalla Wehrmacht e la regina Guglielmina riparò in Gran Bretagna, lasciando il Paese allo sbando ed in mano dei nazisti. L’Olanda in poche settimane si trasformò come la Germania e la vita delle persone di religione ebraica subì dei cambiamenti radicali. Ovviamente in negativo: esclusione dalla vita sociale e pubblica, divieti vari. Tutti gli ebrei dovettero registrarsi in un registro con foto ed impronte digitali, obbligati ad indossare la stella gialla.
Questa volta i Frank non poterono più fuggire e questa volta dovettero nascondersi per evitare di venire arrestati: i quattro trovarono rifugio al 263 di Prinsengracht, una via dietro la Opekta. Con loro, trovarono rifugio la famiglia Van Pels (Hermann, Auguste ed il figlio sedicenne Peter) ed il dentista Fritz Pfeffer. I Van Pels arrivarono a metà luglio, Pfeffer a novembre. E durante questo periodo di riparo, nacque lo sviluppo del “diario” di Anna Frank. Questo diario, bianco e rosso a quadretti, le fu regalato dal padre il 12 giugno 1942 per i suoi 13 anni.
Anna raccontò per filo e per segno, giorno dopo giorno, la sua vita dentro il rifugio, i rapporti con i genitori, la sorella e gli altri clandestini come lei. Il 6 luglio 1942 iniziò la vita clandestina dei Frank perché Margot ricevette l’invito a comparire all’ufficio centrale per l’emigrazione ebraica di Amsterdam: sarebbe dovuta essere deportata in un campo di lavoro.
Durante il periodo di clandestinità, Anna Frank lesse molti libri, migliorò il suo stile e affinò la sua “tecnica” di scrittura, usando anche parole poco usate dai suoi coetanei.
Eppure nonostante le difficoltà, Anna non smise mai di riportare i suoi pensieri e ciò che viveva giorno per giorno sul suo diario, oltre ai suoi sentimenti di 13enne. La sua amica di penna virtuale era Kitty.
La casa/nascondiglio non doveva sembrare occupata, tanto che le finestre furono oscurate, la luce fu centellinata. Non dovevano essere scoperti. Anna voleva diventare un giorno scrittrice. L’esperienza “nascosta” la fortifica e la cambia psicologicamente e moralmente.
Aiuteranno i Frank e gli altri clandestini la signora Miep Gies, segretaria di Otto Frank, e Johannes Kleiman.
Durante il loro nascondiglio, Anna ascoltò in radio l’idea dell’allora ministro della pubblica istruzione di diffondere le esperienze, scritte ed orali, degli olandesi che hanno vissuto l’occupazione nazista e l’esperienza della guerra. Anna capì che quello poteva essere il suo momento, diventare una scrittrice e decise di sistemare al meglio la sua “Opera”.
La vita di Anna Frank cambiò irrimediabilmente il 4 agosto 1944: a metà mattina. la Gestapo fece irruzione nella casa-nascondiglio e tutti furono scoperti. Qualcuno aveva avvisato la polizia che proprio in quello stabile, in quell’appartamento, c’erano degli ebrei nascosti? Chi aveva fatto la soffiata? Gli otto rifugiati furono portati nella sede di Amsterdam della SD (Sicherheitsdienst, il Servizio di sicurezza), poi nella prigione di Weteringschans e l'8 agosto al campo di Westerbork.
Il 2 settembre 1944 i Frank, i Van Pels, Pfeffer ed altre migliaia di persone partirono alla volta di Auschwitz. Il treno che trasportava i Frank e migliaia di altri deportati arrivò a destinazione solo tre giorni dopo un viaggio lungo e difficoltoso che vide morire tante persone già durante la sola andata. Una volta arrivata in Polonia, i Frank si divisero e con loro gli altri membri della casa rifugio.
Edith Frank morì il 6 gennaio 1945 per colpa della inedia; Hermann van Pels morì in una camera a gas poco dopo essere arrivato ad Auschwitz o qualche settimana dopo; Auguste van Pels in sette mesi passò da Auschwitz a Bergen Belsen, da Buchenwald a Theresienstadt, ma morì in un altro campo; Peter van Pels fu unito alla “marcia della morte” (le “marce” degli internati nei campi di concentramento polacchi verso Occidente in vista dell’arrivo dell’Armata rossa nei primi mesi del 1945) il 16 maggio 1945, fu mandato a Mauthausen dove morì il 5 maggio 1945 a tre giorni dalla liberazione del campo austriaco; Pfeffer passò tra Sachsenhausen, Buchenwald e Neuengamme dove morì il 20 dicembre 1944.
Anna e Margot Frank stettero ad Auschwitz un mese per poi essere spedite a Bergen Belsen, dove morirono di tifo. Le analisi dicono che le due sorelle morirono un giorno di distanza l’una dall’altra. Non si sa quando siano morte di preciso, ma si ipotizzò tra il febbraio ed il marzo 1945. Le due ragazze furono seppellite in una fosse comune con migliaia di altre persone. Il campo di Bergen Belsen fu liberato dagli inglesi il 15 aprile 1945.
Dei Frank, l’unico superstite fu il padre Otto che poté vedere la liberazione del campo di Auschwitz da parte dell’Armata russa il 27 gennaio 1945. Otto Frank ritornò ad Amsterdam il 3 giugno 1945 dopo tre mesi di viaggio e fu ospitato da Jan e Miep Gies. Scoprì della morte della moglie e delle figlie. La signora Miep Gies trovò tempo prima gli scritti di Anna e li diede al padre: voleva consegnarli personalmente alla ragazza, ma Anna non tornò. Il padre, anche in ricordo della figlia, decise di dare alle stampe il suo scritto che fu pubblicato il 25 giugno 1947. Non fu subito chiamato “Il diario di Anna Frank” ma “L’alloggio segreto”. Il libro ebbe un successo clamoroso, tanto da vendere in poco tempo oltre 3mila copie, essere venduto in tutto il Mondo e tradotto in tantissime lingue. Otto Frank morì il 19 agosto 1980 a 91 anni ed è grazie a lui se oggi abbiamo il “diario di Anna Frank”, considerato un pilastro della letteratura giovanile ed un ricordo storico.
La casa rifugio oggi è un museo dedicato ad Anna Frank e alla sua tragica vita e il suo diario, oltre ad essere uno dei libri più letti di sempre, è letto nelle scuole ed è un libro che ognuno di noi ha letto durante il corso della vita.
L’esperienza di Anna Frank nel suo testo è un mix di memoria, dolore, speranza, paura e vari sentimenti che l’hanno accompagnata durante il periodo in cui visse nascosta nell’appartamento fino dal giorno in cui la sua vita cambiò con l’arresto da parte dei nazisti. Anna Frank ha subito vessazioni, è stata dileggiata e come tutte le persone arrestate e condannate nei campi ha avuto sul suo avambraccio sinistro il tatuaggio che ha contraddistinto i prigionieri di Auschwitz. Un numero che i sopravvissuti hanno portato per tutta la vita come marchio di infamia nei loro confronti.
Il diario è un racconto toccante di due anni di vita di una ragazza adolescente che ha dovuto vivere segregata con la sua famiglia ed altre persone in un appartamento nascosto. Una ragazzina normale che ha tenuto la testa alta davanti alla paura, la persecuzione, i timori di una vita precaria in un periodo buio della storia del Mondo. Un barlume di speranza verso l’odio e la morte che aveva colpito l’Europa durante la salita del nazismo e poi con lo scoppio della guerra.
Anna è stata dileggiata, quando nell’ottobre 2017 tifosi della Lazio hanno appiccicato in varie parti della curva sud, sede del tifo della Roma, diversi adesivi con un’immagine di Anna Frank con indosso la maglia della Roma, come provocazione affinché i tifosi della Roma facessero la fine della sfortunata ragazzina morta a Bergen Belsen. Un gesto atroce, vergognoso e condannato da tutti quanti. Anche se non è stata la prima volta che negli stadi italiani ci sono stati gesti antisemiti e di cattivo gusto.
Ma la morte di Anna Frank non è stata vana: il suo diario è un monito per tutti affinché le barbarie perpetrate dai nazisti non si ripetano più e che la vita, seppure vissuta in un rifugio con altre sette persone che temono per la loro sorte, è bellissima.
E chi negli anni si è definito “negazionista” delle camere a gas o della Shoah deve leggere assolutamente non solo il diario scritto da Anna Frank, ma tutti i vari libri che hanno scritto le persone sopravvissute che sono tornate a casa e non hanno trovato ad accoglierli i genitori, i nonni o i fratelli perché morti nelle camere a gas e gettati nei forni crematori. E vergognarsi, chiedendo scusa ad ognuna dei sei milioni di vittime e tutti quelli che sono tornati a casa con la paura perenne di quello che hanno provato dentro quei campi di morte.
Anna non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe diventata, post mortem, una scrittrice letta da milioni di persone. Il suo sogno si è avverato, ma non ha potuto goderselo in pieno in quanto morta di tifo e seppellita con altre migliaia di persone in una fossa comune. Ma il suo mito rimarrà per sempre nel cuore di tutti. Con la speranza che ciò che visse il Mondo durante gli anni dei campi di sterminio non si ripeteranno mai più.
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