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Una istantanea sulla cultura europea di 65 anni fa: l’Almanacco Letterario Bompiani del 1959

di Francesco Cappellani


In un remoto angolo della mia libreria, abitata da libri poco frequentati o obsoleti, ritrovo l’Almanacco Letterario Bompiani del 1959. L’almanacco Letterario nasce nel 1925; le prime quattro annate, fino al 1929, sono edite da Mondadori, poi subentra Valentino Bompiani, all’epoca segretario di Mondadori, ideatore ed organizzatore dell’opera. Lasciata la Mondadori infatti Bompiani riceve come parte della sua buonuscita i diritti esclusivi sull’Almanacco che nel 1930 esce per le neonate edizioni Bompiani con la collaborazione, che sarà di lunga durata, di un artista eclettico e geniale come Bruno Munari e, dal 1932, del prodigioso affabulatore e cardine del neorealismo Cesare Zavattini. Nel 1933 cambia il formato passando dal 16° all’8° grande ma soprattutto cresce l’attenzione sulle avanguardie artistico-letterarie, iniziano ad apparire fotografie e fotomontaggi, ed aumenta la grafica pubblicitaria. Nel 1934 muta il nome in Almanacco Letterario Bompiani, divenendo fino al 1942 e poi, dopo l’interruzione per la guerra, dal 1959 al 1980, quando cessa la pubblicazione, uno dei prodotti più rappresentativi ed attuali, anno dopo anno, della cultura italiana e non solo, incrociando arte, scrittura, teatro e musica in una compenetrazione tesa a dare una visione il più possibile completa dei costumi che cambiano, dello scontro generazionale, dei rapporti tra cultura e potere, dei nuovi miti, della civiltà delle immagini e del vorticoso sviluppo tecnologico. I maggiori avvenimenti letterari sono analizzati e commentati da noti critici e saggisti, con approfondimenti e documentazioni e, maggiormente dopo il secondo conflitto mondiale, da splendidi corredi fotografici che accompagnano visivamente il lettore sui vari argomenti ed i personaggi citati negli articoli. Tra gli Almanacchi dell’anteguerra particolarmente interessante è l’Anti-Letterario del 1937 dove Munari crea dei fotomontaggi dove le immagini contengono un tondo con l’effigie di Mussolini che arringa il popolo. Il titolo è “Udite! Udite!” e conferma l’atteggiamento antiretorico, ironico e cautamente critico nei confronti del regime fascista.

L’Almanacco del 1959 si riferisce ai fatti del 1958 e, come accennato, segna il ritorno di questa pubblicazione dopo la guerra ed un lungo periodo, 14 anni, di dopoguerra. L’uscita della nuova serie risultò “laboriosa ma non difficile” e, come spiega Fabio Mauri, nipote di Bompiani e responsabile della casa editrice a Roma, rappresentò “uno specchio non deformante di una società letteraria che andava riformulando, a quella data, un’idea più leggera di sé, ma forse più capiente // L’eco dell’Almanacco fu vivace. Venne inteso come intendeva apparire: un autoritratto d’ambiente”(1). Valentino Bompiani lo introduce con una lucida lettera ai lettori: “Alla fine del 1941, dopo 18 mesi di una guerra cadutaci addosso come un castigo, sospendemmo la pubblicazione dell’Almanacco che, ogni anno, dal 1925, regalavamo a noi stessi – messaggio in una bottiglia approdata alla negletta isola della nostra società letteraria.// Dicono i libri di storia che la guerra è finita nel 1945, ma noi tocchiamo con mano che i libri di storia mentiscono. Da tredici anni, quando apriamo il giornale al mattino, cerchiamo oscuramente un Bollettino di Pace, che i giornali non pubblicano. I fatti, sempre più grandi, quando non anche più paurosi, invadono e colmano la nostra giornata, svuotando la nostra vita. E non possiamo farci niente”. Ma, aggiunge Bompiani, sono gli uomini “fuori dalla storia” che vincono le guerre, “Così Zavattini ed io, oggi, novembre 1958, abbiamo deciso che la guerra è finita e torniamo a proporre il mondo e il lavoro degli artisti come l’avvenimento di gran lunga più importante della nostra vita civile”.

La nuova serie dell’Almanacco si avvale di nuovi collaboratori restando però immutata la sua missione di attento spazio di aggiornamento e di analisi della cultura italiana e straniera, sottolineando la responsabilità dell’intellettuale in un contesto sociale mutevole. Oltre ai testi l’apparato fotografico è di altissimo livello con immagini spesso a piena pagina che ci riportano quasi fisicamente a quegli anni lontani.
L’almanacco si apre con una quarantina di pagine di pubblicità di tutte le novità librarie. Internet, con la capacità di fornire in modo istantaneo notizie su tutto lo scibile umano, arriverà molti decenni più tardi per cui non stupisce trovare un numero importante di dizionari di ogni genere ed enciclopedie su qualsiasi aspetto della cultura, dalla letteratura, alla storia, la musica, la cultura “moderna” (Schwarz), lo spettacolo in nove volumi, l’arte in 15 volumi (Sansoni), strumenti indispensabili a quell’epoca per una rapida informazione. Dopo una breve antologia degli Almanacchi dal 1925 al 1942, allietata da disegni e foto, ed una carrellata sugli anni dal 1943 al 1957, si entra nella cronaca dei fatti del 1957 – 1958 col processo alla banda di via Osoppo a Milano, alla Callas che abbandona la scena durante la rappresentazione della Norma a Roma alla presenza del Capo dello Stato, al premio Strega vinto da Dino Buzzati su Carlo Cassola, alla chiusura delle “case di tolleranza”. Segue un interessante “vocabolarietto dell’italiano” presentato con una lettera di Bompiani e Zavattini indirizzata a 110 scrittori: “Abbiamo scelto un centinaio di parole che sono tra le più correnti e che, pertanto, strumento essenziale della vita collettiva, ne determinano il senso e il valore; come: amicizia, cinismo, demagogia, furberia, patria, onore, dignità, cultura retorica, persona, società, libertà, tolleranza ecc. ecc. Ciascuna di queste parole viene affidata a uno scrittore perché la illustri secondo la sua esperienza, secondo la sua visione della vita”. Si ritrovano così i più bei nomi degli intellettuali di quegli anni, da Alberto Arbasino, a Ottiero Ottieri, Norberto Bobbio, Per Paolo Pasolini, Carlo Cassola, Aldo Capitini, Alfonso Gatto, Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Sibilla Aleramo, Geno Pampaloni, Carlo Bo, Elsa Morante, Natalia Ginsburg, Carlo Emilio Gadda, Eugenio Garin, Nicola Abbagnano, Elio Vittorini, Alberto Moravia, Italo Calvino, Ignazio Silone, Elémire Zolla, Guido Piovene, Mario Luzi, Dino Buzzati e tanti altri che coprono con le loro articolate risposte ben 73 pagine dell’Almanacco. Alcuni testi sono dei brevi saggi, altri rapide riflessioni come ad esempio quella sulla “Superstizione” dove Anna Banti ci spiega che si tratta “di una parola priva di amenità e fantasia: essa è vecchia, piuttosto noiosa, alquanto pedante, ha una sua facile etimologia (superstitio: ciò che rimane, ciò che sopravvive) e un impiego senza risalto”. Il suo etimo iniziale, cioè la forza di ciò che resta in quanto valido, è stato largamente tradito da chi non si vergogna invece di credere “nel responso delle carte, nella chiromanzia, nella radioestesia, negli oroscopi, anzi si tiene quasi un saggio, nutrito di esoterica sapienza”. Queste parole, scritte 65 anni fa, sono perfettamente attuali anche oggi, basta vedere dopocena in TV i canali commerciali che sono zeppi di queste cialtronate.
L’almanacco prosegue con le rassegne dell’annata letteraria, artistica e teatrale. Arnaldo Bocelli apre così il pezzo sulla narrativa italiana: “Nel riprendere, dopo un intervallo di tanti anni (e che anni!), la nostra rassegna della prosa italiana, non possiamo non fare, seppur rapidamente, il punto su ciò che questo quindicennio è accaduto nelle nostre lettere. L’oggi non ha senso se astratto dallo ieri, specie quando questo continua ad operare nel presente”. Riferendosi all’ultimo almanacco relativo al 1941, prima dell’interruzione della guerra, “malgrado l’addensarsi sempre più pauroso della bufera”, ricorda che in quell’anno videro la luce alcune opere fondamentali come “Paesi tuoi” di Pavese, “Conversazione in Sicilia” di Vittorini, “Lettere di una novizia” di Piovene e “Don Giovanni in Sicilia” di Brancati. Nelle nuove generazioni del dopoguerra ravvisa un diverso e più marcato impegno sulle istanze sociali “spesso coincidenti con determinate ideologie politiche, dalle marxiste e populiste alla cattoliche” con il fine “di stabilire fra lo scrittore e la realtà, fra la letteratura e la vita quel continuo “ricambio”, un “dialogo” che le generazioni precedenti avevano anche tentato ma non saputo attuare”. Il neorealismo, con una prosa più oggettiva ed affrancata da ogni lirismo, pervade cinema e letteratura. Dopo avere citato alcuni importanti libri usciti dal 1942 al 1959 come il capolavoro di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli” nel 1945, “L’isola di Arturo” di Elsa Morante nel 1957, “Il mare non bagna Napoli” di Anna Maria Ortese nel 1953, “Il pasticciaccio” di Carlo Emilio Gadda che, per Bocelli “non è però il meglio dell’opera sua, come una critica esaltatrice ha fatto credere”, e tanti altri oggi dimenticati, esamina la produzione del 1958; il giudizio non è positivo “molti, moltissimi i libri usciti, ma poche al confronto le opere di rilievo”, in effetti scorrendo il lungo elenco delle pubblicazioni restano impressi pochi nomi: Gianna Manzini con la raccolta di racconti “Cara prigione”, Dino Buzzati con “Sessanta racconti”, Leonardo Sciascia con “Gli zii di Sicilia” ma soprattutto Giorgio Bassani con “Gli occhiali d’oro”, splendido racconto “ferrarese”, ed il romanzo dell’esordiente Enzo Bettiza “Il fantasma di Trieste”.

Giovanni Titta Rosa inizia la rassegna di poesia italiana scrivendo: “Heri dicebamus…. Troppe, e troppo grandi cose sono accadute nel mondo da quando, nel 1941, si interruppe questo Almanacco // L’ermetismo, la cui creatività è collocabile nel secondo decennio fra le due guerre, ha già dato a quella data i frutti migliori; la poetica e l’esegesi critica si stanno irradiando nel gusto della generazione che gli succede”. Cita le opere pubblicate dal 1941 in poi dai tre sommi poeti Montale, Quasimodo ed Ungaretti oltre al Canzoniere di Saba nel 1945. Nota che “Comincia a sorgere intanto una nuova generazione poetica, la quale, sciogliendosi gradatamente dalla soggezione della “poetica” ermetista, ripropone un linguaggio snodato se non svincolato del tutto dalle clausole e dall’analogismo con quella “poetica” // Il gusto si volge con crescente insistenza verso la poesia anglosassone e americana, nella quale ritrova le cadenze discorsive, una più libera fantasia, e un sapore più caldo di vita”. Cita nuovi testi poetici di autori nati nei primi decenni del ‘900, come Alfonso Gatto con “La forza degli occhi” del 1956 (premio Bagutta), Giorgio Caproni con “Stanze della funicolare” del 1953. Proseguendo verso la successiva generazione troviamo le poesie friulane del primo Pasolini “Poesia a Casarsa” del 1942 scritte a 20 anni, ma soprattutto lo splendido “Diario d’Algeria” di Vittorio Sereni del 1947, oltre a notevoli opere di Mario Luzi, Carlo Betocchi ed altri fino ad arrivare ai poeti dell’ultima generazione dove troviamo tra i tanti nomi autori come Franco Fortini, Margherita Guidacci, Elio Pagliarani, Roberto Rebora, Maria Luisa Spaziani (la “Volpe” di Montale), e Rocco Scotellaro mancato nel 1953 a 30 anni. Titta Rosa conclude il suo excursus confermando che “l’annata non ha offerto rivelazioni. S’è già detto che siamo in una fase poetica piena di fermenti, altri direbbe in fase di crisi; ma, osiamo credere, di crescenza”.

Carlo Bo analizza la nuova letteratura francese: ritiene che la vecchia guardia dei Gide, dei Claudel, dei Léautaud e dei Mauriac “avrebbe finito per avere il sopravvento e per imporsi all’attenzione degli stessi giovani”. Festeggia la rinascita della gloriosa Revue Française divenuta Nouvelle Revue Française e nota che l’invenzione romanzesca di Sarte si è molto ridotta perché, analogamente a Camus, che pure nel 1957 aveva ricevuto il Nobel per la letteratura, “si allontanavano dall’attenzione e dalla curiosità dei lettori”. Sartre in realtà si era spostato sul saggio filosofico e sull’attività politica. Mentre la famiglia dei grandi vecchi si assottiglia con la morte di Gide, Cludel, Léautaud, Alain, Valery Larbaud, Roger Martin du Gard e Bernanos, si appalesano scrittori come Raymond Queneau e Vercors, ancora della generazione dei primi anni del ‘900, e poi Francoise Sagan, del 1935, che col suo “Bonjour tristesse”, “diventa incredibilmente celebre con un romanzo secco, ben fatto o meglio ben congegnato, dove si dava l’illusione di testimoniare il nuovo spirito di una borghesia senza ideali, senza rapporti di sentimenti”. Cita infine Nathalie Sarraute, nata all’inizio del secolo ma arrivata da poco alla notorietà che “sembrerebbe l’ultimo tentativo per salvare un genere estremamente compromesso, spostando la visuale dalla “storia” al particolare, dall’inerzia del cervello allo sguardo”. Bo conclude il panorama della letteratura francese ammettendo che “nonostante i difetti, i limiti imposti dal tempo, dalle mode, dalla fatuità di troppe nostre ragioni essa conserva una vitalità che ci auguriamo non vada perduta in tentativi sterili”.

Giovanni Necco dedica alcune pagine alla letteratura tedesca spiegando come “l’avvento del nazionalsocialismo (1933) provocò, anche nel campo artistico-culturale, un vero cataclisma, determinando fra gli scrittori una profonda scissione in base al loro conformismo o non conformismo”. Vi fu un incredibile esodo dalla Germania nazista di molti famosi intellettuali tra i quali Thomas Mann e il fratello Heinrich, Stefen Zweig, Franz Werfel, Joseph Roth, E.M.Remarque, Alfred Döblin, Bertold Brecht ed altri che costituirono la cosiddetta “Emigranten Literatur”. Altri scrittori restarono in Germania senza farsi coinvolgere dal nazismo che li aveva definiti “Unerwünschter Schriftsteller”, cioè scrittori indesiderati. La letteratura tedesca, spaccata nel 1933 in due parti, nel 1945 si suddividerà in quattro tronconi, e cioè scrittori della zona orientale, scrittori della zona occidentale, scrittori esuli e scrittori nazisti. Nel periodo 1941-1957 di silenzio dell’Almanacco, muoiono gli autori più noti della vecchia generazione, da Musil nel 1942, a Zweig suicidatosi nel 1942 insieme alla moglie, Werfel nel 1945, Fallada nel 1947, H. Mann nel 1950, Th. Mann nel 1955, Carossa nel 1956 , e Döblin, Brecht e Benn nel 1957. Necco si sofferma su Ernst Jünger il cui registro letterario passa “dalla ferrea concezione di un nazionalismo rivoluzionario e di uno spietato ed inesorabile militarismo, alla visione di una “humanitas” cristiana”. Nel 1947 si forma il Gruppo’47, un sodalizio di scrittori fondato a Monaco da una decina di giovani letterati, tendenzialmente di sinistra, con lo scopo di ridare vita alla cultura tedesca dimenticata e soffocata dall’oppressione nazista. Da questo Gruppo provengono Heinrch Böll, e parecchi altri scrittori tra cui l’allora giovanissimo Walter Jens, col suo primo libro “Nein. Die Welt der Angeklagten” (No. Il mondo degli imputati) che rimanda al celebre “1984” di G.Orwell e “Buio a mezzogiorno” di A.Koestler. Nel 1959, appena un anno dopo l’anno di rinascita dell’Almanacco, uscirà “Die Blechtrommel” (Il tamburo di latta) di Günther Grass, pubblicato in Italia nel 1962, che costituirà una sferzata di novità e di rinnovato interesse per la letteratura tedesca dopo un lungo periodo di opacità che, conclude Necco, nelle sue creazioni più genuine, oggi “è trepidamente nostalgica ed accorata, ma coraggiosamente protesa verso quei motivi di valore universale che sono l’aspirazione più alta dei rappresentanti del cosiddetto realismo idealistico o umanesimo militante”.

Salvatore Rosati analizza la letteratura inglese nel periodo 1942-1958. L’avvenimento più notevole per la poesia è stato l’uscita nel 1944 dei “Four Quartets” di T.S.Eliot. Forse, spiega Rosati “questi “Quattro quartetti” non hanno esercitato lo stesso influsso formatore che Eliot esercitò con i suoi primi poemetti, dal “Prufrock” a “The Waste Land”, che improntarono di sé tanta parte dell’opera dei giovani poeti inglesi, o addirittura la resero possibile, tuttavia quest’ultima opera di Eliot segna comunque uno dei vertici della sua poesia”. Una delle personalità di maggiore spessore della poesia inglese di questi anni è Dylan Thomas: i “Collected Poems” pubblicati nel 1952 “consentono di seguire lo svolgimento del poeta da un iniziale automatismo di natura prevalentemente verbale, fino all’ultima fase che affida alla musicalità del suo lessico un sostrato intellettuale, in cui le trasposizioni in immagini arrivano qualche volta fino all’intellettualismo. Nondimeno la sua opera ha rappresentato, fino alla morte prematura nel 1953, una promessa e, qualche volta, un’autentica conquista”. Vengono poi elencati vari poeti giovani morti in guerra, ed anche dei meno giovani di successo come Edwin Muir ed Edith Sitwell. La narrativa del periodo 1942-1958 “ha visto, nella sua prima fase, prolungarsi la presenza di due grandi scomparsi. Nel 1941 erano morti James Joyce e Virginia Woolf”. L’influsso di quest’ultima è ristretto ai partecipi o eredi dello spirito del “Gruppo di Bloomsbury” che ruotava intorno alla Woolf. “Con lei la morte ha portato via parecchi altri adepti, da Lytton Strachey al famoso economista John Maynard Keynes nel 1946.; superstite è quasi soltanto E.M.Forster che nel 1951 ha pubblicato una raccolta di saggi vari nel volume intitolato “Two Cheers for Democracy” (Due applausi per la democrazia). L’influsso di Joyce e del suo servirsi della psicanalisi ha pervaso molti giovani scrittori, di cui forse oggi si ricorda solo Joyce Cary (The Moonlight) del 1946. Vengono citati anche due autori ben noti in Italia come Aldous Huxley che ha scritto in quegli anni un solo romanzo uscito nel 1944, mentre maggiore è stata le produzione di Graham Greene ed Evelyn Waugh che dal 1942 ha pubblicato “romanzi e racconti , in parte satirici e in parte espressione del suo cattolicesimo”. Nel 1950 manca prematuramente George Orwell la cui fama resterà legata alla implacabile satira del comunismo nel libro “Animal Farm” del 1945 ed alla cupa visione del futuro del suo ultimo romanzo “1984” uscito nel 1949. Dopo un accenno a G.B.Shaw ed al teatro Rosati chiude la sua disanima dicendo che la narrativa inglese segna il passo, e nel 1958 “ne ha dato, nonostante i molti romanzi apparsi e le immancabili lodi della pubblicità editoriale, una melanconica conferma. Né in quest’anno sono emerse personalità di nuovi poeti”.

Rosati affronta anche la letteratura americana, il cui panorama, in questo periodo, è stato influenzato “più dalle scomparse che da nuove apparizioni”. La morte di T.Dreiser nel 1945 ha chiuso il primo novecento ed il primo dopoguerra, e così la morte nel 1951 in Italia di Sinclair Lewis, Nobel nel 1931, e di Willa Cather nel 1947 “una voce assai limpida che, peraltro, ha probabilità di durare nel romanzo americano”. Attivi in questi anni sono stati Hemingway, Nobel nel 1954, che due anni prima aveva scritto il bel racconto “The Old Man and the Sea”, William Faulkner, Nobel nel 1949, che dal 1942 al 1957 ha pubblicato cinque romanzi, e John Steinbeck che ha scritto, tra libri e racconti, cinque opere tra il 1942 ed il 1954. Ma forse “il più ambizioso dei romanzi ispirati dalla guerra lo pubblicò nel 1948 Norman Mailer col titolo “The naked and the dead”. Altri nomi di scrittori sono elencati da Rosati, ma “un’opera che si segnala per profondità di intenti e di pensiero non meno che per vigore ed incisiva economia di stile, è quella di Saul Bellow, di cui è sperabile che non rimanga delusa la sua interessante promessa rappresentata dai romanzi: “Dangling Man” del 1945, “The Victim” del 1947, “The Adventures of Augie March” del 1953 e “Seize the Day” del 1957”. La promessa sarà ampiamente confermata con l’assegnazione a Bellow del Nobel per la letteratura nel 1976. Per il teatro vengono citati Tennessee Williams con sei testi dal 1944 al 1954 quando esce “Cat on a Tin Roof” tradotto, parecchi anni dopo, in un famoso film con Liz Taylor, e, negli stessi anni, Arthur Miller con due opere divenute celebri: “Death of a Salesman” nel 1949 e “A View from the Bridge” nel 1955.
Per la poesia i nomi di maggiore rilievo sono quelli di William Carlos William soprattutto per il suo esiguo libro di versi dal titolo “The Desert Music” del 1954, Robert Penn Warren tornato alla poesia dopo una lunga parentesi narrativa, e poi Ezra Pound, che aveva trascorso gran parte della sua vita in Italia. Rimesso in libertà nel 1958 dopo dodici anni di detenzione in un manicomio giudiziario per il suo appoggio al nazifascismo, prima nel campo di Coltano vicino a Pisa e dalla fine del 1945 a Washington, aveva pubblicato a New York nel 1948 “The Pisan Cantos” (dal n.74 al n.84) scritti a Coltano, che si aggiungevano ai Cantos pubblicati a partire dal 1925 e saranno conclusi nel 1962. La complessa opera di Pound, che include mito, storia, economia e politica, è riconosciuta oggi come un punto di riferimento fondamentale nella storia letteraria del novecento.

Una breve sezione dell’Almanacco è titolata: “Le punte d’avanguardia”. Riferendosi all’Italia Raffaele Crovi nel saggio “ Gli Sperimentalisti”, ricorda che “la narrativa e la poesia italiana di questo dopoguerra sono state etichettate sotto la voce “neorealismo”, in quanto sembrano esser state totalmente assorbite da un lavoro di studio e rappresentazione della realtà nazionale”, ma nel giro di pochi anni “si è incominciato a pensare che l’attribuzione di merito fatta con quella definizione di “neorealismo” sia stata, se non temeraria, un po’ sbrigativa”. Rimarca poi che molti libri relativi ai fatti bellici e alla resistenza, salvo poche eccezioni (M.Rigoni Stern, M.Tobino e P.Levi) “sono mancati non solo sul piano dell’impegno di una rappresentazione epica, ma anche dell’impegno più semplice di lotta sociale, in quanto non possono ritenersi validi neppure come pamphlets”. Nell’ambito delle nuove tendenze, nel numero de “Il Caffè” dell’ottobre del 1957 si parla di “mantenere vivo il ricambio degli schemi d’associazione estetica // diffidare del moralismo diretto, del patetico esplicito, del lirismo, che automatizzano l’ispirazione” contrapponendo “l’ironia, la comicità,la parodia, il grottesco, la ricerca dell’eccentrico, cioè le deformazioni”. I risultati, afferma Crovi, riferendosi a E.Zolla e A.Arbasino, collaboratori de “Il Caffè”, non sono soddisfacenti. Sulla poesia sperimentalistica, Crovi cita un saggio di Pasolini che scrive: “Il neosperimentalismo ci si definisce come una zona franca in cui neorealismo e postermetismo coesistono fondendo le loro aree linguistiche: una specie di fondo comune” che permea molta poesia scritta in questi anni. Vengono citati alcuni poeti noti ed entrati nella storia della poesia italiana del ‘900 come Luciano Erba, Bartolo Cattafi, Nelo Risi, insieme a molti altri oggi dimenticati.

Per la Francia Gérard Mourgue parla del “Nouveau Roman” spiegando che “sta al romanzo come la pittura astratta sta alla pittura figurativa. Non si tratta di una analogia, ma l’urto prodotto da questo accostamento può aiutare a rendersi conto di tale affinità. In entrambi questi campi si nota l’assenza dell’uomo”. Come nell’astrattismo le forme umane scompaiono, nel nouveau roman appaiono personaggi privi di identità, viene “disgregata la falsa nozione di personalità”. Nathalie Sarraute in testi come “Portrait d’un inconnu” descrive una folla “dove si attende senza fine che “ciò” avvenga: la visita, la conversazione, il giorno o la notte, la miseria” riprendendo temi che Beckett aveva magistralmente espressi nel suo “En attendant Godot” del 1952. In questi “anti-romanzi”, spiega Roland Barthes, “ogni rapporto psicologico e culturale, la morale, i problemi che l’uomo si pone nella storia, le idee, sono scomparsi. Deliberatamente ci si priva di tutto ciò che fu introdotto da scrittori coma Sartre, Malraux e Bernanos”.

Per la letteratura tedesca Bonaventura Tecchi cita il Gruppo ’47 di cui abbiamo già parlato e nomina, per la poesia, alcuni giovani lirici tra i quali Ingeborg Bachmann, Paul Celan, Hans Magnus Enzenberger che diverranno molto noti ed apprezzati nei decenni successivi.

Gli “Angry Men” è il titolo del pezzo che Claudio Gorlier scrive sull’Inghilterra. Gli “arrabbiati” “sono stati chiamati così non soltanto per il loro atteggiamento di ribellione nutrita di ostentato rancore nei riguardi della società cui appartengono, ma in particolare anche per il titolo della fortunata commedia del più affermato del gruppo, John Osborne”. Nella sua commedia “Look back in Anger” (Ricorda con Rabbia) Osborne liquida infatti “gli ultimi bastioni del costume vittoriano” ma ciò che ha stupito maggiormente è stata la “rabbia”, il modo di manifestare il suo dissenso “venendo meno alla convenzioni più riconosciute, e quasi implicite, della buona società inglese”. Tecchi conclude che relativamente agli “angry men”, anche “senza mettere in dubbio la loro sincerità, è un fatto che essi appaiano come un prodotto o il sottoprodotto culturale dell’evoluzione della società inglese, con il progressivo frantumarsi della sua struttura classista”.

Più pesante è il giudizio che Elémire Zolla dà degli “Hipsters” in U.S.A. definiti come “gruppi di giovani incolti” che si uniscono “fraternamente a coltivare la loro grafomania” . I paladini di questo movimento sono Jack Kerouac con “On the Road” ed Allen Ginsberg, il poeta del gruppo, che “allinea una sequela sonnambolica di versi in “Howl” (Grido), il poema che è riuscito a farsi lodare perfino dal Times Literary Supplement”. Per gli “Hips”, prosegue Zolla citando un articolo di Eugene Burdick, “Il mondo adulto, appare a loro insensato, ipocrita, violento. Non c’è senso a voler convertire il mondo degli “square”, della gente normale, non si entra in quella razionalità malata, la si ignora e basta // Le loro risposte monche, il loro disprezzo, il senso che hanno dell’assurdità e della normalità di tutto quanto avviene attorno a loro è simile alla goffa poesia delle loro audizioni di “cool jazz”. Il linguaggio che usano è disarticolato, la droga ed il sesso sono fra i temi principali di cui si nutrono personaggi che ricercano la “vita semplice” fra “i reietti della società, vagabondi e prostitute, da coltivare nelle tampe dove si suona il jazz freddo, da celebrare con abbracci promiscui con donne o uomini indifferentemente”. Zolla critica anche Norman Mailer che si è lasciato affascinare “dal nuovo tipo umano dello hipster” il cui atteggiamento è invece un conformismo ma con segno rovesciato. Ned Polsky, citato da Zolla, sostiene “che la maggior parte degli hipsters rifiuta di leggere. La massima approssimazione al dialogo cui giungono è la chiacchierata sulle pseudoprofondità del jazz freddo // La loro produzione letteraria è scarsa e di scarso valore salvo le poesie di Robert Duncan”. Duncan proveniva dalla Beat Generation degli anni cinquanta del gruppo di San Francisco ed ha in seguito raggiunto una solida fama con tre libri scritti tra il 1960 e il 1968.

A seguire c’è una breve nota di Luciano Berio sulla musica elettronica, nata nel 1953 in uno studio di Colonia, e arrivata due anni dopo anche in Italia, grazie a Berio, con la nascita dello Studio di Fonologia Musicale di Milano. Spiega Berio che “
”. Tra i compositori che hanno composto musica elettronica ma non solo, vengono citati notissimi musicisti come lo stesso Berio, Pierre Boulez, John Cage, Ernst Krenek, György Ligeti, Bruno Maderna, Karl Heinz Stockhausen, Edgar Varèse ecc.

Nel campo dell’arte, Marco Valsecchi, in una densa premessa, ragiona sul periodo dal 1945 al 1958, e ricorda che la Biennale del 1948 e quelle successive portarono “un fiotto persino troppo abbondante” di novità con “un gran rimescolio di termini, di culture, di esperienze: dai gloriosi Impressionisti agli Espressionisti germanici e del nord, dal Cubismo a Klee, dal Messico di Orozco e di Tamayo al Giappone, fino alle sorprendenti novità americane come Shahn e De Kooning e Gorky e Pollock”. In Italia, mentre un gruppo di pittori come Guttuso, Zigaina, Migneco “sentivano la necessità di un discorso più visivamente realista” altri, come il “Gruppo degli Otto” (Afro, Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato e Vedova), “tenendo conto delle posizioni stilistiche acquisite dall’esperienza dell’astrattismo,” indagavano sulla dialettica Astratto-Realtà.
Gillo Dorfles, raffinato critico d’arte e pittore, affronta il tema delle “avanguardie artistiche” spiegando che “Arte Spaziale e Nucleare, Action Painting e Art Informel, musica “puntuale” e musica elettronica, industrial design: queste ed altre denominazioni di correnti estreme dell’arte d’oggi, dicono, già con i loro nomi, d’un tendere attuale verso forme espressive che non potremo che chiamare “d’avanguardia”// Oggi l’avanguardia è divenuta quasi l’imperativo categorico di ogni artista”. Ciò però ha permesso di rinnovare e superare “ forme d’arte decrepite e stantie perché rispecchiano fedelmente, come è sempre accaduto in tutta quanta la storia dell’umanità, il destino e gli umori dell’umanità attuale”.
Dopo un accenno al design ed all’architettura, per Dorfles è “la pittura che ci offre gli spunti più vivi. La pittura che nella sua “inutilità”, nella sua libertà da ogni funzionalità, e ormai da ogni necessità interpretativa, è una sorta di test psicologico dello stato d’animo dell’uomo odierno: stato d’animo disgregato, dissociato, angosciato, senza dubbio”. Cita come casi emblematici Wols e Pollock, morti appena quarantenni, “entrambi “bruciati” dall’alcool; ma non a caso “bruciati”, perché nei grovigli quasi forsennati del secondo, nei magma quasi vischiosi del primo, è evidente una sete di autodistruzione che non avrebbe permesso alle loro vite una più matura decantazione”. Da loro discenderà quella irruente corrente pittorica che sarà ribattezzata “Informale”. Analogamente la scultura abbandona la figurazione e si avvale di “lamiere contorte, di detriti metallici scaricati dagli altiforni, di sabbia e di cemento” oppure di corde e fili, di sagome oscillanti al vento (Calder). Dorfles conclude la sua analisi con un giudizio positivo: ”Forse le avanguardie artistiche, che oggi ci possono apparire sterili e deprecabili, stanno per dar vita a qualcosa di veramente nuovo, non più legato a stili trascorsi, non più misurabile col metro estetico e critico di ieri e di oggi, ma capace di ricostituire un’universalità di linguaggio, non solo artistico, ma umano, per il nostro futuro”.


Note:
(1) Fabio Mauri: “L’Almanacco” in: AA.VV. “Valentino Bompiani. Idee per la cultura” a cura di Vincenzo Accame. Electa, 1989.

Documento inserito il: 04/04/2024
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