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Vincenzo Cardinale missionario domenicano in Ecuador

VINCENZO CARDINALE
MISSIONARIO DOMENICANO IN ECUADOR
(Genova, 1619 - 1654)

di Gerardo SEVERINO
Col. Aus. G. di F. – Storico Militare


Premessa

La storia dell’odierno Ecuador, straordinario Paese del Continente Americano un tempo appartenuto all’impero degli Incas, ci ricorda che nel 1526 esso fu invaso dai conquistadores spagnoli, i quali, guidati da Sebastian de Benalcazar, ufficiale dipendente dal noto Francisco Pizarro, si diressero sin da subito sull’odierna Quito, che di lì a qualche anno avrebbero ribattezzato col nome di San Francisco de Quito, sede del Governatore. Dopo il definitivo smantellamento dell’Impero Inca, anche l’Ecuador entrò a far parte delle colonie ispano-americane, costituendo, alcuni decenni dopo (29 agosto 1563), la sede di una Real Audiencia, sottoposta al Viceré del Perù. Secondo alcune fonti, l’evangelizzazione (fortemente voluta dalla Cattolicissima Corte Spagnola) del territorio dell'attuale Ecuador avrebbe avuto inizio, da parte dei Francescani, attorno al 1534, anno di fondazione della stessa città di San Francisco de Quito, procedendo gradualmente in contemporanea con l’inesorabile processo di conquista di quell’area geografica. E fu proprio in tale contesto storico-temporale (attorno al 1541-1543) che giunsero in quel Paese anche i primi frati dell’Ordine Domenicano, i quali, con i loro Conventi e le loro attività di predicazione e insegnamento, avrebbero avuto un ruolo fondamentale nella storia della Chiesa, specialmente in Amazzonia (1). Come è noto, la loro missione principale sarebbe stata quella della "salvezza delle anime", quindi l’evangelizzazione, inizialmente forzata e, in seguito, pacifica, tramite la predicazione e l'insegnamento. Ma, oltre alla predicazione, i Domenicani avrebbero contribuito, con l'educazione e lo studio, anche a quella sorta di processo di pacificazione delle comunità indigene, le quali si erano rivoltate più volte contro i “colonizzatori” d’oltre Oceano. Anche in Ecuador, dunque, sarebbero giunti non pochi religiosi seguaci di San Domenico de Guzmán (“Ordo fratrum praedicatorum”), provenienti da ogni angolo dell’Europa Cristiana, ivi compresa la Penisola Italiana, allora suddivisa in vari Stati e Staterelli. Molto importante sarebbe stata, quindi, la presenza in Ecuador, come del resto lo era stata anche in altre aree del Vicereame del Perù, dei Domenicani liguri, i quali, nel corso degli anni avrebbero abbandonato la Serenissima Repubblica di Genova alla volta delle lontanissime Americhe, accettando rischi e pericoli di vario genere. Fra questi, padre Vincenzo Cardinale, al quale dedichiamo questo modestissimo contributo.


Da Genova a Quito (1619 – 1854)

Vincenzo Cardinale nacque a Genova attorno al 1619 nell’ambito di una facoltosa famiglia di mercanti. Seguendo l’esempio dello zio, Padre Antonio Cardinale, che, dopo essere stato Priore di Cremona finì i suoi giorni a Genova, nel 1641, vestendo i panni di Priore del Convento di Santa Maria del Castello, Vincenzo entrò giovanissimo anche lui nell'Ordine Domenicano. Era il 10 settembre del 1634. Fu proprio in quella data, che nel Convento sito lungo la salita del Castello, nel quartiere del Molo, il ragazzo fu accolto dal Priore Stefano Doria, unitamente ad altri giovani che si erano dedicati a quella Religione. Fra questi il futuro storiografo dell’Ordine, Padre Giovanni Maria Borzino, che per primo avrebbe parlato di lui. Il giovane emise i voti nel marzo del 1637, come evidenzia una biografia a lui dedicata in un poco conosciuto testo storico di fine Ottocento. Dal medesimo apprendiamo che: <<Uso era invalso allora di spedire i novizi al celebre studio di Salamanca in Spagna per approfondirsi nelle sacre discipline, epperò il nostro Cardinale cogli altri vi fu mandato. Dopo cinque anni di applicazione alle scienze il padre Vincenzo, seguendo l'impulso della grazia volle consacrarsi alle missioni d’America, ossia Indie occidentali, come a quel tempo chiamavansi. Vi andò, esercitando dapprima il ministero regolare nelle case conventuali dell'Ordine, alle quali venne assegnato, poi con l'esercizio più attivo e randagio del missionario destinato a recare i conforti religiosi nelle lontane stazioni dei selvaggi, e farvi nuovi proseliti. Quali tribù o paesi egli abbia evangelizzato non mi costa ben preciso, ma dovettero essere i propinqui all'Equatore; giacché ricavo dal libro dei consigli avere appartenuto alle province domenicane di Quito e del nuovo Regno di Granata, durante il decennio di sua apostolica carriera>> (2). Padre Vincenzo Cardinale operò, quindi, in Ecuador a partire dal 1642, in un contesto storico nel quale la stessa pacificazione con gli indios aveva consentito di sostituire i vecchi Cappellani delle truppe spagnole, con coraggiosi missionari giunti direttamente dall’Europa. Religiosi del calibro di Vincenzo Cardinale cercarono, quindi, di conoscere da vicino gli abitanti delle impervie regioni di Quito e dell’Ecuador in generale, le loro lingue, le strutture sociali, le credenze, le abitudini e i costumi: fattori indispensabili per poter raggiungere buoni risultati. Tutto ciò, bene inteso, nella consapevolezza che il modo migliore per evangelizzare era di farlo utilizzando la stessa lingua indigena, rivolgendosi soprattutto ai figli dei cacicchi, i capi delle comunità tribali, sui quali si poggiavano i destini di quel popolo. Fu così, che lo stesso Cardinale, facendo ricorso alla persuasione, ottenne la conversione alla Religione Cattolica di molte anime, basandosi solo sulla libera adesione da parte degli stessi indigeni, ivi compresi quelli che vivevano nella fascia amazzonica più impervia del Paese. A Quito, Padre Vincenzo visse una decina di anni nel Convento di Santo Domingo, la cui costruzione risaliva al 1543. Esso fu la base di partenza dei suoi lunghi viaggi evangelizzatori di cui alla precedente nota biografica. Il frate genovese rimase in Sud America sino ai primi mesi del 1654, epoca nella quale il Priore di Quito lo mandò in missione a Roma. A tal riguardo lasciamo la parola alla biografia curata da Padre Raimondo Amedeo Vigna: <<E dallo stesso spigoliamo le seguenti notizie; che motivo al ritorno non fu il desiderio di riposo per le durate fatiche, ma sì la commissione avuta dai religiosi di Quito di trattare affari con Roma, spettanti quella provincia; essersi egli nel luogo nel lungo cammino parecchio tempo soffermato in Guatemala, e tanto nell'uno quanto nell'altro paese avere esercitato molti impieghi, cioè di predicatore, lettore, priore, visitatore di conventi e di diffinitore in pro di sua religione, e tal finta eziandio dell’ arcivescovo di Santa Fe ed altre ad altro o ad altre opere del sacro ministero applicato>> (3). Padre Vincenzo Cardinale giunse a Genova a metà d'ottobre del 1654, speranzoso di raggiungere subito dopo la “Città Eterna”. Ma il destino crudele non volle, tanto che, come riporta la sua biografia: <<…oppresso da malore nella traversata occorsogli , che andò man mano aggravandosi, dopo quaranta giorni se ne morì, il 29 novembre, tra le braccia del fratello suo, padre Giovanni Alberto Cardinale, che lo aveva seguito nel chiostro il 2 Febbraio 1642. La morte del nostro missionario avvenuta, non già nel lazzaretto come taluni un codice afferma, ma sì in Convento di Castello, secondo che accerta il Borzino, dié luogo in seguito ad un litigio di successione fra i padri di Genova e di America, di cui non trovo la finale in soluzione nel libro dei consigli>> (4). Finiva così, anche se per fortuna nella sua stessa città natale e in quel Convento nel quale aveva pronunciato i voti, l’esperienza missionaria di un uomo che aveva utilizzato le sole armi del dialogo e dell’amore, nel portare la parola di Dio in Ecuador. E di questo la storia gliene è riconoscente.


Nell'immagine, Il convento e la chiesa di Santo Domingo a Quito.


NOTE

(1) Cfr. José María Vargas, La orden de predicatores en el descubrimiento y conquista de Quito, in Historia de la Iglesia Católica en el Ecuador, Tomo I, Quito 2001, pp. 255-294.

(2) Cfr. Raimondo Amedeo Vigna, I Domenicani Illustri del Convento di Santa Maria del Castello in Genova, Genova, Adamo Lanata Editore, 1885, p. 353.

(3) Ivi, p. 354.

(4) Ibidem.


Documento inserito il: 20/10/2025
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