Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, personaggi storici: Giuliano l'Apostata: ultimi sprazzi di classicismo pagano

Giuliano l'Apostata: ultimi sprazzi di classicismo pagano [ di Carlo Ciullini ]

Fu un imperatore esteta e guerriero, Giuliano I°, passato poi alla storia come “l'Apostata”: il suo sfrenato amore per il classicismo pagano, la caparbietà che mostrò nell'opporsi al predominio ormai incontrastabile del cristianesimo, e la lotta, incruenta ma decisa, che a questo portò, gli valsero gli anatemi della storiografia post-costantiniana.
Flavius Claudius Iulianus nacque nel 331 dopo Cristo.
Portava l'augusto nome dei Flavi perché contraddistingueva il ramo dei costantinidi.
Suo padre era Giulio Costanzo; la madre, Basilina, morì pochi mesi dopo averlo messo al mondo.
Il marito stesso non le sopravvisse più di un pugno d'anni; ciò rese Giuliano orfano ben presto, e cresciuto presso la corte imperiale assieme ai suoi cugini, figli di Costantino e successori di questi al trono.
Dopo il 313 d.C., allorquando l'Editto di Milano proclamò la libertà di culto, l'impero si era indissolubilmente legato alla Chiesa di Roma: governo, corte, esercito, popolo, la nuova religione aveva ormai attecchito tutti i gangli della società, e un ritorno ai costumi e agli usi pagani rappresentava un'utopia.
Giuliano incarnò il tentativo, se non di un vero ritorno alle origini e alla tradizione, almeno di una resistenza tenace, per quanto effimera, di fronte al declino delle icone culturali, sociali e religiose del paganesimo classico.
Egli rimase intimamente pagano perché assimilò in profondità i grandi autori classici che erano stati oggetto dei suoi studi: Aristotele, Demostene, Isocrate.
Tali influenze lo armarono di grandi capacità dialettiche e retoriche, e dai grandi della poesia attinse un raffinato lirismo: seppe mettere su carta il proprio talento, e alcune opere che egli compose nel breve tratto della sua vita ci sono rimaste (le Lettere in primis), anche se in parte.
Oltre che una educazione classica, ricevette una iniziazione misterica che, a livello di rapporto col metafisico, lo segnò per sempre.
Giuliano fu senz'altro un uomo straordinario, davvero a tutto tondo: imperatore, eccelso condottiero di legioni, fine intellettuale.
Personaggio prodigioso, dunque, troppo poco al centro di un interesse che indubbiamente meriterebbe.
Il massimo cantore delle sue gestae fu Ammiano Marcellino, mirabile storico del IV° secolo, che in qualità anche di soldato seguì l'imperatore nell'epica e tragica spedizione contro i Persiani: nel suo Rerum gestarum libri è contenuto il racconto di quegli anni epocali, compresa la morte, probabilmente mitizzata ma pur sempre fascinosa, dell'ultimo sovrano di Roma pagano.
Il regno di Giuliano fu relativamente breve, dal 361 al 363, succedendo al trono di Costante I°, e seguito a sua volta da Gioviano.
La parentesi del giovane imperatore (che morì a soli 32 anni) si incunea, come fosse un reperto fossile, all'interno di una era nuova: un'era in cui la presenza sempre più influente di una entità non soltanto religiosa, ma anche socio-politica quale era la Chiesa di Roma, si faceva ingombrante.
Giuliano parve, sin dall'inizio del suo regno, non accettare lo status quo determinatosi dal gran passo di Costantino in poi: la decisione epocale dell'“imperatore santo”aveva sparigliato le carte sul tavolo del mondo.
Questo, non tanto per la ufficializzata libertà di culto (Roma era sempre stata tollerante, circa il rispetto nei confronti delle varie religioni osservate dai popoli via via assoggettati); piuttosto, pareva evidente, agli occhi di Giuliano per primo, che sarebbe stato il Cristianesimo (con le sue istituzioni e le sue gerarchie) a rappresentare, da lì in poi, lo spirito e il modus vivendi di un numero sempre più ampio di cives.
La diffusione del nuovo credo giunto dalla Palestina, amplificatasi durante i primi secoli nell'area mediterranea orientale, toccava ormai l'intero impero: la sua capacità di proselitismo inarrestabile lo rendeva un soggetto con cui qualunque altro potere secolare avrebbe dovuto non solo fare i conti, ma addirittura convivere, quando non scendere a compromessi quotidiani.
La reazione giulianea è stata il rigurgito, estremo ma deciso, di una realtà che aveva retto Roma e la sua supremazia nel mondo per secoli.mos maiorum, di traditio, di ossequio degli dei aviti, un tentativo, destinato al fallimento, di frapporre una diga al dilagante diffondersi di un modo nuovo di approcciarsi alla vita, e di pensare: se Giove e Giunone avevano rappresentato le entità divine che si ponevano a testimoni e sostenitrici della grandezza onnivora dell'Urbe, benedicendo l'impulso vitale al dominio sulle genti, il Cristianesimo invece, equiparando uomini e popoli, frustrava ogni impeto prevaricante.
A ciò si aggiungeva il fatto che, per quanto il messaggio evangelico esaltasse la pace, dissuadesse dall'uso della violenza e invitasse a una sorta di fatalistica inazione in attesa dell'aldilà, la Chiesa romana si mostrava invece tenacemente battagliera, nel disporre a proprio vantaggio ogni prerogativa concessale dalle istituzioni di governo.
I propilei della romanitas sui quali aveva poggiato il trono imperiale, erano ormai picconati alla base dal nuovo potere religioso: questo termine latino, dall'indicare il senso di identità romana e l'immagine arcaica che dava di sé, avrebbe poi non a caso, nel corso dei secoli, caratterizzato un concetto di filo-papismo e di adesione politico-culturale al soglio apostolico.
Tale fu il fenomeno, per quanto primordiale e senz'altro in fieri, di cui ebbe nitido sentore Giuliano.
Ad esso tentò nostalgicamente di opporsi, e in vari modi.
Innanzitutto, ad onta di quella croce che, dal Costantino di Ponte Milvio in poi, ornava stabilmente scudi e vessilli imperiali, Giuliano esaltò (e contrappose) a livello religioso il culto del Sole (Helios in greco), che l'imperatore accostò naturalmente alla figura divina di Apollo, l'educatore dell'umanità per antonomasia: il tutto, in una perfetta simbiosi tra religione e cultura, una impronta classica certo gradita al sovrano.
Fu tuttavia con una legge, nel Giugno 362, che Giuliano mostrò la propria contrarietà al dilagante fenomeno del Cristianesimo, senza comunque mai (è bene sottolinearlo) cadere in atteggiamenti di vera e propria persecuzione.
Se prima di tale data l'imperatore si era limitato a isolate punizioni nei confronti di esponenti ecclesiastici (vescovi compresi) che avevano sollecitato all'astio verso la parte pagana della popolazione; se aveva poi ritenuto che la tradizione religiosa avita dovesse modellarsi sullo schema gerarchico istituzionale della Chiesa, seguendone anche i tipi liturgici (da ricalcare in termini pagani), fu con la legge del 362 che il figlio di Costanzo Cloro diede ampio segno del suo intento.
Un intento non “reazionario” e volto a una cruenta repressione, ma certamente una diga, posta da quel paganesimo e da quel classicismo che ammantavano il mondo dei gentiles prima dell'avvento cristiano.
Si vietò, infatti, l'insegnamento ai docenti cristiani: “come poter far spiegare i grandi autori del mondo classico -si chiedeva Giuliano- da chi disprezza i nostri dei...? ”.
Il possesso del potere educativo, la facoltà di somministrare la cultura ufficiale (i tempi ce lo hanno ampiamente dimostrato) è una prerogativa imprescindibile per colui che voglia rendere salda ed estesa la propria influenza sulle masse.
Tale iniziativa giulianea fu quella che, probabilmente, più di tutte attirò sul giovane sovrano gli strali odiosi della società e della storiografia cristiana: da qui l'appellativo di Apostata, il “rinnegato”.
Ma la breve vita di questo straordinario signore del mondo non poteva avere fine che teatralmente, per chi sempre aveva teso a ciò che restava del classicismo pagano alla fine del IV° secolo dopo Cristo: una dipartita alla Socrate, quale ce la narra Ammiano Marcellino, e che assume i canoni del mito, per quanto al termine della propria opera lo storico ribadisca l'assoluta conformità dei suoi scritti alla realtà.
Giuliano trovò la morte lontano da Roma e da Costantinopoli, nel corso di una spedizione contro i persiani di re Sapore, gli irriducibili, eterni rivali delle aquile romane.
Colpito letalmente da una lancia nel corso di uno scontro tra i nemici e la sua retroguardia, alla quale aveva portato soccorso prontamente, sì da scordarsi di indossare la corazza, venne portato in fin di vita nella sua tenda.
Ammiano ci dice come, dichiaratosi pronto a morire, intrattenesse con i compagni, tristi e commossi, un breve ma lucido pensiero sulla nobiltà dell'anima; quindi, dopo aver bevuto, spirò.
Giuliano moriva senza eredi, e senza aver designato alcun successore, a soli 32 anni: aveva fine, con lui, la stirpe dei costantinidi.
Terminava così la vita di un imperatore che, intellettuale, letterato, filosofo, raffinato esteta come un Adriano o un Marco Aurelio, seppe tuttavia sommare le virtù guerriere di principes arditi come Traiano e Costantino.
Un uomo davvero eccezionale, tanto poco noto al grande pubblico quanto straordinariamente dotato.
Giuliano l'Apostata fu capace di accendere effimeri ma vividi fuochi sull'ara del classicismo pagano, di cui rappresentò uno degli ultimi baluardi.


Riferimenti bibliografici

Tantillo Ignazio, “L'imperatore Giuliano”, Laterza, Bari, 2001.


Si ringrazia il Dott. Carlo Ciullini per l'invio ed il permesso alla pubblicazione di questo articolo.

Documento inserito il: 07/12/2014
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