Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, personaggi storici: Joe Petrosino, il poliziotto di New York ucciso dalla Mafia a Palermo

Joe Petrosino, il poliziotto di New York ucciso dalla Mafia a Palermo

di Francesco Caldari


L’estate del 1873 deve essere stata di profonde riflessioni per Prospero Petrosino. Il lavoro di sarto qualcosa in casa portava, ma a Padula, in provincia di Salerno, non era certo facile sfamare la seconda moglie – dopo che era rimasto vedovo – e sei figli. Prospero aveva letto e riletto la lettera di un suo paesano, da New York: “sono felicemente arrivato quaggiù, che lavoro molto e guadagno due pezze al giorno. Nel lavoro che lavoro io potresti venire anche tu, i bossi sono contenti di avere operai italiani. Ti aspetto dunque a presto”. Alla fine, Prospero si era deciso, ed aveva acquistato i biglietti del bastimento a vela e a vapore Vulcania, che salpava da Napoli regolarmente alla volta di New York, portando il suo carico di disperazione e speranza. Giuseppe Michele Pasquale Petrosino – uno dei sei figli di Prospero – aveva tredici anni, sapeva leggere e scrivere, avendo frequentato la sesta elementare, ed una passione per il violino, che riprenderà in mano da grande, quando sarà diventato uno dei più famosi detective della Polizia di New York.
A spingerlo ad arruolarsi furono i suoi amici poliziotti – cui aveva lustrato le scarpe a Mulberry Street, nel corso della sua prima occupazione nella nuova terra, nel cuore di Lower Manhattan e della nascente Little Italy, e a cui verosimilmente aveva passato qualche informazione sulla nascente criminalità italiana –– che lo avevano voluto intanto quale foreman, ovvero caposquadra nel servizio di raccolta dei rifiuti e loro sversamento nella rada di New York.
Acquisita la cittadinanza americana, grazie anche alla frequenza di un corso di inglese per immigrati e dopo aver superato un test attitudinale, il 19 ottobre 1883, a ventitré anni, indossò per la prima volta la divisa da poliziotto, con in evidenza la “placca” recante il numero 285. La scelta di arruolare questo vispo neo–americano di origini italiane si rivelò per il Dipartimento di polizia di New York di carattere strategico. Nella massa degli immigrati italiani che si spingevano via mare fino agli Stati Uniti vi erano numerosi delinquenti che, giunti in quella terra straniera, si organizzavano o ricomponevano bande criminali per taglieggiare e truffare gli stessi connazionali ed erano attivi nella falsificazione di carta moneta. I criminali italiani “firmavano” le lettere minatorie come “La Mano Nera”, prendendo a prestito un simbolo anarchico utilizzato in Spagna e nei Balcani e “arricchendo” le minacce con disegni di teschi e coltelli, inducendo le vittime a ritenere che le richieste estorsive provenissero da un’unica organizzazione, seppure lo stesso Petrosino nelle interviste ai giornali cercasse di spiegare che – sotto quella sigla – si nascondevano plurime bande criminali, che la utilizzavano proprio per terrorizzare le vittime.
La polizia di New York era formata per lo più da irlandesi, che avevano difficoltà a penetrare l’ambiente di Little Italy e comunque a gestire casi che vedevano coinvolti italiani immigrati. Joe Petrosino si trovò all’inizio ad essere l’unico poliziotto conoscitore degli usi e della lingua, e fu presto chiamato in ausilio dai colleghi per dipanare episodi delittuosi. Nel frattempo, conquistò le simpatie di Theodore Roosevelt, futuro Presidente degli Stati Uniti, allora assessore e Capo del Dipartimento di Polizia. Le sue indubbie e talvolta rudi capacità e la simpatia dell’Assessore lo portarono ad essere nominato detective. La risoluzione di casi eclatanti lo fecero presto divenire una sorta di leggenda, alimentata dai travestimenti da lui utilizzati per andare in giro a raccogliere informazioni ed arrestare delinquenti. Il primo accadde nell’aprile 1903, allorquando fu rinvenuto il cadavere di un uomo in un barile, lasciato in strada. Si trattava di un delinquente italiano, ucciso dai suoi sodali al fine di intimorire il cognato, rinchiuso in galera, affinché non svelasse i nomi dei complici e i metodi usati dalla banda composta da siciliani - che aveva come proprio covo la taverna “Stella d’Italia” - per la falsificazione di dollari. Gli stessi componenti di quella consorteria criminale, in primis il mafioso originario di Bisacquino Vito Cascio Ferro, saranno indiziati sei anni dopo per l’omicidio di Petrosino a Palermo. Poi per tre mesi si infiltrò nella enclave anarchica formata da italiani, a Paterson, nel New Jersey, da dove era partito Gaetano Bresci per uccidere il 29 luglio 1900 a Monza il re d’Italia Umberto I. Le pressioni dell’Ambasciata italiana a Washington a seguito del regicidio fecero sì che i tiepidi statunitensi incaricassero proprio Petrosino di raccogliere informazioni in quella che veniva definita “l’enclave anarchica italiana”. Pare che a spingere giacché il compito fosse assegnato al detective sia stato proprio Roosevelt, nel frattempo nominato Vicepresidente. La relazione di Petrosino, che segnalò le intenzioni dell’area anarchica di uccidere proprio il Presidente McKinley, non fu presa in considerazione, ma si avverò il 6 dicembre 1901 a Buffalo.
Intanto gli sforzi di Petrosino vennero infine premiati: le sue richieste di avere una squadra tutta sua, formata da agenti italo–americani fu accolta e fu istituita nel gennaio 1905 l’Italian Branch, con una ventina di uomini ed una sede “coperta”. Successivamente fu denominata Italian Legion e rinforzata con uomini e la creazione di una sede distaccata a Brooklin. I risultati non mancarono: il primo anno furono arrestati seicento delinquenti, il successivo quattrocento, mentre rispettivamente nel 1907 e 1908 si arrivò alla cifra di ottocento. Inoltre, la Squadra rimpatriava numerosissimi italiani, anzi le preghiere di Petrosino all’Assessore Bingham erano quelle di poter disporre di “una legge che permetta di arrestare o espellere come cittadini indesiderabili quegli individui che risultino ricercati o pregiudicati nei rispettivi Paesi d’origine”. L’attesa legge sull’immigrazione giunse nel luglio 1907, ma senza offrire lo strumento operativo che il Tenente ricercava: gli indesiderabili potevano essere espulsi solo entro i primi tre anni dal loro arrivo negli Stati Uniti, e vi era necessità di ricevere dall’Italia i certificati penali dei pregiudicati.
Il tenace Bingham però non defletteva e verso la fine del 1908 accolse un Piano per sconfiggere la criminalità italiana pervenutogli da un Professore Universitario, scritto da un misterioso studioso italiano immigrato che preferiva rimanere anonimo, secondo il quale risultava necessario mediante agenti in Italia, definiti “segreti”, per raccogliere nel Paese d’origine le prove della pericolosità degli immigrati. Ciò perché “il 90 per cento dei criminali negli Stati Uniti erano già tali in Italia” e “la ragione prima per cui i criminali vengono in America è la facilità con cui negli Stati Uniti è possibile sfuggire al castigo” della misura particolarmente afflittiva della sorveglianza speciale. “Benché in teoria sia molto difficile ottenere un passaporto in Italia … la cosa [è] di fatto possibile”. La conclusione dei suggerimenti era dunque di decretare l’espulsione sulla base della acquisizione del certificato penale in loco, mediante intanto l’invio “in Italia di una persona di fiducia” con il mandato di “ottenere …una lista di criminali che hanno terminato di scontare la propria condanna … negli ultimi sei anni”, stabilire “chi di questi … sia entrato … negli Stati Uniti” e quindi “avviare il procedimento di deportazione”. Non solo: lo studio proponeva di acquisire le liste dei condannati la cui pena sarebbe scaduta entro i prossimi sei anni (a fini “preventivi”) e di individuare per ciascuna di alcune province di interesse (Sicilia, Napoli, ma anche Firenze e Bologna ed “alcune ristrette zone criminali del Nord”) un “uomo onesto (se possibile un avvocato)” cui affidare tali incombenze.
Per quanto attiene le Forze da porre in campo, lo studio prevedeva “un ufficio situato a New York con una squadra di quattro o cinque detectives” dei quali “almeno due dall’Italia … in grado di parlare inglese”. Ma tale collaborazione sarebbe stata resa su base personale (“sarebbe facile convincere […] due funzionari a chiedere un congedo di un anno o due per venire in America a fare questo lavoro”). Lo studio si concludeva con la nota delle possibili spese per una “persona di fiducia da inviare subito in Italia”, coprendo un “viaggio di andata e ritorno” e che si sarebbe avvalsa anche di “stenografi e segreteria”, i cui costi pure erano conteggiati.
Pare dunque che il viaggio della prima persona di fiducia dovesse avere una certa durata, se si prevedeva di supportarlo con tanto di segreteria. Non sorprende che la “persona di fiducia” scelta fosse proprio Joe Petrosino, il quale – sotto il falso nome di Simone Velletri – il 9 febbraio 1909 si imbarcò, da solo, in prima classe sul piroscafo Duca di Genova, che arrivò proprio nel capoluogo ligure il 21 febbraio successivo. Da qui, in treno, il Tenente della Polizia di New York raggiunse Roma, ove ebbe modo di incontrare l’Ambasciatore degli Stati Uniti, il Capo di Gabinetto, Peano, del Ministro dell’Interno Giolitti (questi era anche Presidente del Consiglio. In una lettera Petrosino scriverà di aver incontrato Giolitti in persona, forse equivocando sul ruolo di Peano). La missione, in teoria segreta, tale però non era più: Bingham aveva fornito la notizia al New York Herald, e questa era rimbalzata sino in Italia.
Ma che tipo di criminalità era – allora – quella siciliana, e palermitana in particolare, che la missione del Tenente andava ad esplorare, al fine di contrastarne le propaggini a New York? Per saperlo dobbiamo lasciare Petrosino nella prosecuzione del suo viaggio e rifarci a qualche anno appena precedente, rileggendo il c.d. “Rapporto Sangiorgi”, che in realtà è una serie di trentuno relazioni del Questore di Palermo stilate tra il novembre 1898 ed il febbraio 1900, mediante le quali viene tratteggiata per la prima volta l’associazione criminale che, in quel contesto territoriale, spadroneggiava nella c.d. Conca d’Oro palermitana. Mercé le dichiarazioni di Francesco Siino, “capo regionale o supremo” come viene indicato dallo stesso Sangiorgi, perdente in una guerra di mafia in corso da qualche anno, vengono individuati numerosi mafiosi, rinviati a processo, dei quali al termine solo 32 furono giudicati colpevoli. Rimane comunque la “fotografia” di quel determinato periodo storico, ed il disvelamento da parte di Sangiorgi di un patto scellerato non scritto tra i mafiosi, le principali e ricche famiglie latifondiste e di conseguenza la politica.
Per tornare a Petrosino, il Tenente il 28 febbraio era giunto a Palermo, prendendo alloggio in un albergo in Piazza Marina. Il 6 marzo vi fu l’incontro con il Questore Ceola ed il Capo della Polizia Giudiziaria Poli, quindi con il Console Americano Bishop. Ebbe il tempo di noleggiare una macchina per scrivere Remington ed aprire un conto corrente alla Banca Commerciale. Il Tenente – senza fornire avviso alla Polizia –– perlustrò Palermo e giunse sino a Caltanissetta per consultare l’archivio giudiziario. La sera del 12 marzo Petrosino consumò quella che sarebbe stata la sua ultima cena in un ristorante nella stessa Piazza Marina di Palermo. Uscì dal ristorante intorno alle 20 e 45, quando poco dopo si udì il rimbombo di quattro colpi di pistola. A poco valse il primo soccorso fornito da un marinaio della Nave militare Calabria. Petrosino era già morto a causa delle ferite. Era disarmato, la sua pistola Smith & Wesson fu ritrovata nella camera d’albergo. Si tenne una cerimonia funebre a Palermo, cui intervennero migliaia di persone, nulla a confronto dei funerali che si svolsero a New York il 13 aprile, ove fu stimata una partecipazione di centomila persone.
Il Tenente Giuseppe “Joe” Petrosino è l’unico caduto della Polizia di New York all’estero. Il processo intentato a Palermo ai suoi presunti assassini (tutti mafiosi italiani che si muovevano tra il Paese natìo e gli Stati Uniti) è rimasto senza colpevoli.


BIBLIOGRAFIA

A. PETACCO, Joe Petrosino, Edizioni Mondadori, Milano, 2010
U. SANTINO, La Mafia dimenticata, Editore Melampo, Milano, 2017
J. DICKIE, Cosa Nostra, Laterza, 2005
S. LUPO, Storia della mafia, Donzelli, Roma, 2004

FILMOGRAFIA

https://www.raiplay.it/programmi/joepetrosino-losceneggiato


Nell'immagine, una foto del tenente della polizia di New York Joe Petrosino.


Documento inserito il: 26/04/2024
  • TAG: Petrosino, Polizia, Mafia

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