Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, medio evo: L'arte dell'assedio a Bisanzio nel VI secolo
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L'arte dell'assedio a Bisanzio nel VI secolo [ di Andrea Mazzocchetti ]

Il mondo antico, ed in seguito quello di derivazione romana, viveva nel regime delle città: erano loro i centri nevralgici dell'economia e dell'amministrazione. Ne consegue che da un punto di vista militare la loro conquista portava al conseguimento di due obiettivi primari: la presa ed il controllo di una larga porzione di territorio dipendente dalla città stessa, ed un bottino ingente che faceva gola in special modo ai soldati. L'arte dell'assedio, cosi come nel mondo romano, era tenuta in grande considerazione a Bisanzio, che militarmente, andava ad ereditare il patrimonio di conoscenze proprio dell'Impero romano.
Durante il VI sec. d.C. solo i Persiani potevano permettersi di rivaleggiare con i Bizantini in questo campo, al contrario popoli come i Goti in Italia o gli Slavi nei Balcani erano del tutto impreparati e solo più avanti cominceranno a padroneggiare, seppur minimamente, le varie tecniche di assedio.
Dunque, com'era condotto un assedio durante il VI secolo? Generalmente la soluzione favorita era quella di cercare, se possibile, di prendere il nemico per fame o sete: gli attacchi diretti e gli assalti erano fortemente sconsigliati in quanto alto era il pericolo di perdere un'ingente quantità di uomini sotto le mura nemiche. Al massimo si poteva tentare di tenere gli assediati impegnati giorno e notte mandando piccoli drappelli di uomini, a turno, ad attaccare sotto le mura; l'obiettivo era quello di portare allo stremo le difese avversarie. I Bizantini inoltre provvedevano anche alla costruzione di un campo fortificato che gli permetteva di mettersi al riparo dall'arrivo di eventuali rinforzi per scongiurare episodi negativi come quello verificatosi in Arzanene dove alcuni comandanti bizantini furono addirittura presi mentre assediavano una fortezza nemica.
Nel caso in cui nulla di tutto ciò avesse funzionato l'unica alternativa rimaneva quella dell'assalto diretto. I Bizantini ricorrevano all'uso di diversi macchinari per tentare di entrare nella città o fortezza che sia: si andava dal classico ariete passando per la ballista o gli onagri.
L'ariete era utilizzato per dissestare punti precisi delle mura o per sfondare le porte d'ingresso; essendo molto pesante era spostato a fatica dagli uomini e non era utilizzabile dunque su terreni troppo scoscesi. Per affrontarlo si utilizzavano delle travi mobili da spostare lungo le mura e con le quali puntellarle per attutire al meglio i suoi colpi; in genere, essendo un'arma che aveva difficoltà nell'abbattere o intaccare mura molto massicce, non era granché temuto, a meno che non fosse posizionato sulla sommità di un terrapieno, in questo caso era bersagliata una sezione di muro sicuramente più debole perché più in alto. La ballista veniva usata invece per lanciare grandi frecce mentre l'onagro permetteva di scagliare pietre e massi di diversa grandezza. Non mancavano inoltre nemmeno le torri mobili usate anche queste in precedenza dai romani o i cunicoli scavati con lo scopo di abbattere le mura dalle fondamenta; gli assedianti si portavano sotto la base del muro e sostituivano le pietre con travi lignee alle quali veniva dato fuoco provocando il crollo della sezione di muro interessata.
I bizantini però dovevano spesso anche difendersi, sia ad Oriente che ad Occidente.
Per resistere ad un lungo assedio, come scrive anche Maurizio nel suo Strategikon, si doveva essere in grado di procurarsi la giusta quantità di rifornimenti, sia di cibo che di acqua, fondamentali per non essere costretti alla resa, per fame o per sete. Ma non solo, occorrevano mura solide e protette dal lancio di pietre, e questo si otteneva appendendo lungo i bastioni stuoie pesanti e rafforzando la cortina. Da sottolineare che sotto Giustiniano si assistette ad un processo di fortificazione e ammodernamento dei sistemi difensivi dell'Impero e che proprio per questo fu spesso acclamato come “protettore” dai suoi sudditi. Fu da lui ristrutturata l'importante città fortificata di Dara, precedentemente costruita tra il 505 ed il 507 da Anastasio I. Questa era sicuramente la maggiore fortezza bizantina e rivaleggiava direttamente con la sua controparte persiana, quella di Nisibi, posta a soli 30 chilometri dalla sua controparte bizantina e da cui partivano in genere gli attacchi persiani.
Durante queste opere di ammodernamento, come dicevo, furono spesso realizzate grandi cisterne per la raccolta d'acqua piovana direttamente all'interno delle mura, per scongiurare eventi come quello che colpì Urbino nel 539 dove l'inaridimento dell'unica fonte d'acqua presente portò quasi alla resa i Goti asserragliati all'interno, che poi comunque furono costretti a capitolare davanti all'esercito comandato da Belisario. Non ci si poteva infatti fidare degli acquedotti che potevano sia essere ostruiti per portare alla sete la popolazione e sia essere usati come via d'accesso in città, rendendo vana quindi ogni tattica difensiva adottata. Non solo conquista di città però: durante la guerra gotica ci si contendeva spesso, se non maggiormente, il controllo di numerose piazzeforti il cui possesso si rendeva fondamentale da un punto di vista strategico. La conquista sistematica di queste piazzeforti fu uno degli obiettivi principali del Generalissimo Belisario. Con il loro controllo egli poteva innanzitutto estendere il proprio dominio senza dover ricorrere necessariamente alle battaglie campali, che anzi, come raccomandava anche Maurizio, erano da evitare perché inutilmente pericolose, ma non solo dato che il possedimento delle piazzeforti permetteva a Belisario di non temere attacchi provenienti da uomini in armi li rifugiatisi. Non dello stesso avviso fu il Magister militum Giovanni, che incaricato da Belisario di invadere il Piceno con duemila cavalieri, ebbe inoltre l'ordine tassativo di espugnare i centri fortificati che avrebbe incontrato lungo il percorso. Cosi non fece dato che, a ragione, pensò di assediare e conquistare direttamente Rimini, abbastanza vicina a Ravenna da far si che Vitige smobilitasse dall'assedio di Roma per riconquistarla. Questa politica di presa sistematica delle piazzeforti rese la vita difficile ai Goti anche durante l'assedio di Roma, durante il quale questi non vedevano arrivare rifornimenti perché il territorio circostante era appunto ancora sotto il controllo bizantino tramite il possesso di questi luoghi chiave. Totila comprese al meglio la strategia bizantina e procedette ad una conquista e distruzione di queste fortezze ove i bizantini si annidavano per resistere, secondo la regola della difesa passiva, alle ripetute invasioni ai danni dell'Impero e che che al contempo permettevano anche la sopravvivenza del dominio imperiale per tutti coloro che in esso vi si riconoscevano. C'è da dire anche che i Goti non erano in grado, come in precedenza detto, di portare avanti assedi molto complessi; nel caso particolare di Roma essi non riuscirono a sfruttare i 18 km di lunghezza della cinta muraria della città che era in più punti vulnerabile, ma anzi attaccarono in massa più volte perdendo sempre una moltitudine di uomini.
Altra precauzione che andava presa prima di cimentarsi in un assedio era quella di non attaccare luoghi che si sapevano avere grandi rifornimenti, o presunti tali, di vettovaglie, per non incorrere in assedi troppo prolungati e difficoltosi. A questo proposito scriveva Procopio di Cesarea nella sua storia della guerra gotica:

Belisario[...]non stimò conveniente per il momento recarsi ad Osimo, poiché vedeva bene che averebbe dovuto impiegare assai tempo in quell'assedio. Prendere con la forza quella piazza era impossibile ed inoltre i barbari, che, forti e valenti, vi stavano a presidio depredato avendo gran tratto di paese, avevan fatto provvigione di vettovaglie”.

Infine i Bizantini, potendo, preferivano una presa incruenta della città assediata ed un esempio lo abbiamo con la riconquista di Spoleto: un soldato, un certo Martiniano, chiese a Belisario di potersi fingere un disertore per andare tra i nemici; questi accettò e Martiniano fu accolto da Totila all'interno della città. Guadagnatosi la fiducia di una quindicina di disertori Goti, e richiesto al comandante imperiale di Perugia l'invio di alcuni soldati in aiuto, quando questi furono vicini la città egli passò all'azione, uccise il governatore nemico e fece entrare i rinforzi in città. Un esempio di come l'arte dell'inganno abbia risparmiato tanta fatica ai soldati di Belisario.

Bibliografia:
Giorgio Ravegnani, Soldati e guerre a bisanzio, Il Mulino 2009
Massimo Montanari, Storia Medievale, Laterza 2009
Maurizio Imperatore, Strategikon, a cura di Giuseppe Cascarino, Il Cerchio 2006
Warren Treadgold, Storia di Bisanzio, Il Mulino 2001
Procopio di Cesarea, La guerra Gotica


Nell'immagine, il Generale bizantino Belisario ritratto in un mosaico.

Documento inserito il: 21/12/2014
  • TAG: impero bizantino, arte dell assedio a Bisanzio VI secolo, strategie bizantine d assedio, esercito bizantino strategie

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