Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, approfondimenti: Archeologia del sottosuolo parte VI: Le acque nei pozzi e nelle cisterne
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Archeologia del sottosuolo parte VI: Le acque nei pozzi e nelle cisterne

1. Le lune nel pozzo
Il puteale, o parapetto, è quell’elemento architettonico che, oltre a proteggere l’imboccatura del pozzo, sovente attira la nostra curiosità. Una curiosità forse sciocca, quasi infantile, la quale induce a guardare dentro, portare le mani a ‘fare solecchio’ per scrutare quanto sia fondo e se contenga ancora acqua. Qualcuno griderà all’indirizzo del buio, attendendo la risposta dell’eco per tentare di capire l’ampiezza del vuoto sottostante. Magari getterà un sasso, oppure una moneta. Altri si domanderanno se il puteale coroni un pozzo che raggiunge l’acqua di falda, oppure una camera di conserva dell’acqua piovana. Questione di pochi istanti: si volteranno le spalle lasciando il manufatto allo scorrere del tempo, come tante altre opere da considerarsi oramai ‘passate’. Ma non si dimentichi che il pozzo ha sovente accompagnato la nostra vita quotidiana almeno fino ai primi decenni del XX secolo. E ancora viene utilizzato in varie parti del mondo.

Il geografo yemenita Hasan Ibn Ahmad al Hamdani (X sec.) nella sua opera “al Iklil” tratta anche delle costruzioni pubbliche dello Yemen e in un passo dice: «Egli perciò pose le fondamenta di Ghumdan e scavò il pozzo chiamato Karamah, che ancora dà acqua. La sua acqua però è salata» [Mandel 1976, pp. 41-42].

Personalmente vedo il pozzo come punto di ritrovo della gente del rione, dell’isolato, quasi il bar dell’epoca, ma generalmente frequentato dalle donne. Come il lavatoio, o il fontanile, le cui acque prima di sgorgare nei vasconi di pietra e di mattoni potevano scorrere silenziose per chilometri, all’interno di un condotto sotterraneo scavato con perizia chissà quanto tempo addietro. Si potrebbe quasi percepire l’antico movimento rotatorio di coloro che giungono, posano la brocca, calano la secchia, riempiono e se ne vanno in tempi brevi o dilatati nelle conversazioni che s’intrecciano, negli sguardi che s’incrociano richiamandosi.

Le opere idrauliche come i pozzi, le cisterne e gli acquedotti sono manufatti vicini alla vita di tutti i giorni, all’uomo ‘comune’ che non si menziona nei libri di storia. Sono opere architettoniche da preservare, recuperare e studiare, perchè faticosamente realizzate affinché durassero nel tempo e dissetassero possibilmente fino alla fine dello stesso.

Così ci dice Frontino dell’approvvigionamento idrico nell’antica Roma, prima della costruzione del primo acquedotto, l’aqua Appia, avvenuto nel 312 a.: «Per quattrocento anni dalla fondazione della loro città, i Romani si contentarono dell’acqua che attingevano dal Tevere, dai pozzi o dalle fonti. Il ricordo di queste ultime è ancora vivo e si conserva con venerazione: si crede guariscano gli infermi, come le fonti delle Camene, di Apollo e di Giuturna» [Frontino, 4].

Ad esempio, il trattatista Marco Vitruvio Pollione, nel suo De Architectura, ci parla con chiarezza dell’acqua e del suo reperimento: «L’acqua è infatti di fondamentale importanza per la vita umana, dati i vantaggi che ne derivano dall’uso quotidiano. Ovviamente la si può reperire con maggiore facilità qualora esistano fonti all’aperto. Ma se essa non sgorga in superficie bisognerà cercarne le sorgenti sotterranee e convogliarle» [Vitruvio, VIII, I, 1].

Elemento indispensabile alla vita, l’acqua ha in un certo senso condizionato o ‘guidato’ lo sviluppo dell’umanità attraverso le sue molteplici manifestazioni. E tutt’oggi, nonostante le acquisite tecnologie, l’elemento acqua è ancora ben presente nel nostro quotidiano, anche come “fattore da risolvere” per coloro i quali non ne hanno un’ampia o un’immediata disponibilità.


2. L’elemento umano

«L’igloo lo avrebbe costruito in seguito, dopo le nevicate. Durante la settimana Agaguk si aggirò in quei pressi, per studiare le piste, scrutare bene il cielo, prender nota della direzione delle nuvole e della violenza del vento. Con il coltello, scavò nel suolo arido una buca grande tre palmi e profonda mezzo braccio, il cui fondo fu subito coperto dall’acqua. Quel pozzo gli sarebbe bastato per sopravvivere» [Thériault 1994, p. 7].

Se lo scavo è finalizzato al raggiungimento di una falda acquifera da utilizzarsi a fini potabili o irrigui, avremo pozzi ordinari e pozzi artesiani. Da una acquisita conoscenza sia del territorio che del terreno, è senza dubbio possibile che l’uomo abbia cominciato a praticare perforazioni nel suolo a ricercare l’acqua. Come, parimenti, la medesima osservazione lo ha condotto a preservare quella di natura meteorica. Senza timore di esagerare si potrebbe pensare che, subito dopo le inumazioni e le abitazioni ad uso privato, pozzi e cisterne siano le opere architettoniche realizzate in maggior numero e quasi ovunque. Trovando esplicativi alla trattazione dell’argomento i passi di Vitruvio, ne riporto un altro, interamente, perchè ha in sé un sapore antico, ma indubbiamente reale ed attuale.

«[in mancanza] di sorgenti da cui far derivare l’acqua occorrerà scavare dei pozzi. Anche in questo lavoro di scavo però bisogna procedere secondo uno schema preciso, valutando con grande cura e con intelligenza le caratteristiche naturali del luogo in quanto ogni sito presenta una tipologia estremamente varia. Anche il terreno infatti come le altre cose è composto dei quattro elementi: il primo è la terra stessa che però produce dall’elemento liquido le acque sorgive, poi viene il fuoco da cui hanno origine lo zolfo, l’allume, il bitume e infine abbiamo le fonti correnti d’aria che quando giungono attraverso i porosi meati del sottosuolo là dove si scavano i pozzi e investono gli operai che stanno lavorando, impediscono loro di respirare, per la pregnanza delle esalazioni, al punto che se non li allontanano in fretta rischiano la morte. Ma come si possono evitare questi rischi? Basta agire nel seguente modo: si cali nel pozzo una lampada accesa, se la fiamma resta accesa allora si può scendere senza pericolo, se invece le forti esalazioni la fanno spegnere allora occorre scavare ai lati del pozzo degli sfiati che consentiranno la dispersione dei vapori, come avviene attraverso le narici. Provveduto a ciò e raggiunta la vena d’acqua la si deve proteggere circondandola con un muretto per evitare che venga ostruita. Se invece il terreno è troppo duro o la vena d’acqua si trova a una profondità eccessiva, allora il rifornimento avverrà tramite la raccolta delle acque piovane dai tetti a terrazza dentro cisterne lavorate con materiale di Signa. Il procedimento da seguire sarà questo: bisogna anzitutto disporre di sabbia molto pura e granulosa, i sassi di origine silicea vanno frantumati in pezzi da non più di una libbra, la calce ben pastosa va mischiata con sabbia nella proporzione di cinque parti di rena e due di calce. Il fondo della fossa va livellato con mazze di legno ferrate fino all’altezza stabilita. Pigiata la superficie con la mazzeranga si elevi di mezzo il terreno superfluo e si spiani fino al livello inferiore delle pareti. Fatto questo si proceda con una gettata di calcestruzzo dello spessore che s’è stabilito. Se poi le cisterne fossero in numero di due o tre in modo che l’acqua potesse essere filtrata passando dall’una all’altra il suo gusto sarebbe di certo migliore e più salubre, perché l’eventuale presenza di limo subirebbe un processo di decantazione, l’acqua diventerebbe più limpida, inodore e di gusto gradevole; altrimenti dovrebbe essere purificata col sale» [Vitruvio, X, VI, 12-15].

Elemento indispensabile alla vita, l’acqua ha in un certo senso condizionato o ‘guidato’ lo sviluppo dell’umanità attraverso le sue molteplici manifestazioni. E tutt’oggi, nonostante le acquisite tecnologie, l’elemento acqua è ancora ben presente nel nostro quotidiano, anche come “fattore da risolvere” per coloro i quali non ne hanno un’ampia o un’immediata disponibilità.


2. L’elemento umano

«L’igloo lo avrebbe costruito in seguito, dopo le nevicate. Durante la settimana Agaguk si aggirò in quei pressi, per studiare le piste, scrutare bene il cielo, prender nota della direzione delle nuvole e della violenza del vento. Con il coltello, scavò nel suolo arido una buca grande tre palmi e profonda mezzo braccio, il cui fondo fu subito coperto dall’acqua. Quel pozzo gli sarebbe bastato per sopravvivere» [Thériault 1994, p. 7].

Se lo scavo è finalizzato al raggiungimento di una falda acquifera da utilizzarsi a fini potabili o irrigui, avremo pozzi ordinari e pozzi artesiani. Da una acquisita conoscenza sia del territorio che del terreno, è senza dubbio possibile che l’uomo abbia cominciato a praticare perforazioni nel suolo a ricercare l’acqua. Come, parimenti, la medesima osservazione lo ha condotto a preservare quella di natura meteorica. Senza timore di esagerare si potrebbe pensare che, subito dopo le inumazioni e le abitazioni ad uso privato, pozzi e cisterne siano le opere architettoniche realizzate in maggior numero e quasi ovunque. Trovando esplicativi alla trattazione dell’argomento i passi di Vitruvio, ne riporto un altro, interamente, perchè ha in sé un sapore antico, ma indubbiamente reale ed attuale.

«[in mancanza] di sorgenti da cui far derivare l’acqua occorrerà scavare dei pozzi. Anche in questo lavoro di scavo però bisogna procedere secondo uno schema preciso, valutando con grande cura e con intelligenza le caratteristiche naturali del luogo in quanto ogni sito presenta una tipologia estremamente varia. Anche il terreno infatti come le altre cose è composto dei quattro elementi: il primo è la terra stessa che però produce dall’elemento liquido le acque sorgive, poi viene il fuoco da cui hanno origine lo zolfo, l’allume, il bitume e infine abbiamo le fonti correnti d’aria che quando giungono attraverso i porosi meati del sottosuolo là dove si scavano i pozzi e investono gli operai che stanno lavorando, impediscono loro di respirare, per la pregnanza delle esalazioni, al punto che se non li allontanano in fretta rischiano la morte. Ma come si possono evitare questi rischi? Basta agire nel seguente modo: si cali nel pozzo una lampada accesa, se la fiamma resta accesa allora si può scendere senza pericolo, se invece le forti esalazioni la fanno spegnere allora occorre scavare ai lati del pozzo degli sfiati che consentiranno la dispersione dei vapori, come avviene attraverso le narici. Provveduto a ciò e raggiunta la vena d’acqua la si deve proteggere circondandola con un muretto per evitare che venga ostruita. Se invece il terreno è troppo duro o la vena d’acqua si trova a una profondità eccessiva, allora il rifornimento avverrà tramite la raccolta delle acque piovane dai tetti a terrazza dentro cisterne lavorate con materiale di Signa. Il procedimento da seguire sarà questo: bisogna anzitutto disporre di sabbia molto pura e granulosa, i sassi di origine silicea vanno frantumati in pezzi da non più di una libbra, la calce ben pastosa va mischiata con sabbia nella proporzione di cinque parti di rena e due di calce. Il fondo della fossa va livellato con mazze di legno ferrate fino all’altezza stabilita. Pigiata la superficie con la mazzeranga si elevi di mezzo il terreno superfluo e si spiani fino al livello inferiore delle pareti. Fatto questo si proceda con una gettata di calcestruzzo dello spessore che s’è stabilito. Se poi le cisterne fossero in numero di due o tre in modo che l’acqua potesse essere filtrata passando dall’una all’altra il suo gusto sarebbe di certo migliore e più salubre, perché l’eventuale presenza di limo subirebbe un processo di decantazione, l’acqua diventerebbe più limpida, inodore e di gusto gradevole; altrimenti dovrebbe essere purificata col sale» [Vitruvio, X, VI, 12-15].

Nel capitolo “Elogio di Milano per la sua posizione” Bonvesin da la Riva, nel XIII sec., ci parla della bontà dell’acqua dei pozzi così esordendo: «Dentro la città non vi sono cisterne né condutture di acque che vengano da lontano, ma acque vive, naturali, mirabilmente adatte a essere bevute dall’uomo, limpide, salubri, a portata di mano, mai scarseggianti anche se il tempo è asciutto, e tanto abbondanti che in ogni casa appena decorosa vi è quasi sempre una fonte di acqua viva, che viene chiamata pozzo» [Bonvesin, I, III].

Un esempio di pozzo ordinario è dato dal pozzo del Castello di Pavarolo (Torino), situato all’interno di una costruzione, addossata alla parte interna della superstite ala dell’edificio medievale. Scavato nelle arenarie fossilifere di età miocenica, è profondo 64.48 m e sommerso per 6.26 m; l’accesso misura 1.38 m di diametro, mentre a -56.64 ha un diametro di 3.08 m e mantenendo la sezione quasi costante fino al fondo. Per 14.6 m presenta un paramento murario in mattoni, al di sotto dei quali la roccia è a vista; con ogni probabilità è stato scavato in due momenti distinti e in un primo non doveva essere più profondo di una ventina di metri [Bianchi, Basilico, Ninni, Padovan 2003, pp. 277-292].Il pozzo ordinario a raggiera è dotato, sul fondo o in prossimità di esso, di uno o più cunicoli (bracci).

Se il pozzo è poco profondo, o comunque praticato in un terreno scarso d’acqua, talvolta si possono praticare uno o più bracci per aumentare la sua capacità di raccolta. Possiamo avere anche pozzi a raggiera aventi alla base dello scavo, o in prossimità, uno o più bracci che vanno a cercare la falda o semplicemente a emungere un acquifero anche modesto.

Il pozzo artesiano è invece finalizzato alla captazione di una falda acquifera sotterranea che scorre in pressione. Se l’acqua è contenuta in strati permeabili sottostanti ad uno impermeabile, nella perforazione che la raggiunge può presentarsi con pressione tale da risalire e talvolta zampillare liberamente fino alla quota della superficie piezometrica della falda, che prende il nome di artesiana. Il nome deriva da “artésien”, ovvero “dell’Artois”, regione della Francia dove tale tipo di pozzo, detto appunto artesiano, è in uso da lungo tempo ” [Padovan 2005, pp. 24-26].


4. Alcune note sui pozzi

Per estensione viene denominato pozzo l’elemento che ne circonda la bocca, più appropriatamente indicato come sponda o parapetto, oppure puteale o vera. In alzato, il pozzo si compone di un piedistallo, su cui poggia il puteale. Talvolta in pietra e di forma elegante, poteva essere chiuso con un coperchio (o serranda) e avere elementi di sostegno a una copertura, oppure a un architrave, a cui era fissata la carrucola con la corda o la catena agganciate ad una secchia. Elementi metallici sagomati ad arco assolvevano la medesima funzione di sostegno. Tutti questi elementi potevano coronare l’accesso indifferentemente sia a pozzi che a cisterne. La parte che si allarga al di sotto del piedistallo, dando inizio al pozzo vero e proprio, è chiamata gola. Talvolta, in prossimità della bocca, si riscontrano strutture portanti a mensola o ad arco, atte a sostenere il puteale oltre che la volta. Nel Pozzo Sorbello, a Perugia, sono invece due puntoni obliqui in pietra, inseriti nel rivestimento, ad assolvere il compito di sostenere l’apparecchiatura della volta [Stopponi 1991, pp. 237-240].

Il pozzo può avere sezione circolare, quadrata, poligonale, ellittica, etc. Se lo scavo è praticato in un terreno incoerente è necessario provvedere a un rivestimento. Il rivestimento può essere messo in opera anche se lo scavo viene praticato in roccia compatta. Generalmente si hanno pozzi rivestiti laddove devono perforare lo strato di suolo (incoerente), proseguendo poi senza rivestimento anche in terreni poco compatti come marne alternate a strati di arenaria. Un esempio lo abbiamo esplorato e rilevato a Vignale Monferrato (AL): il cosiddetto “Pozzo del Capitano”, situato all’interno dell’antica rocca.

Lo scavo può essere incamiciato con pietrame, ciottoli, conci, mattoni, o apposite forme curve in cotto legate tra loro con grappe o strisce di piombo. Forbes ci dà notizia di pozzi micenei e cretesi in cui i mattoni erano sostituiti da tubi fittili, mentre presso i Romani venivano impiegate armature lignee o barili in posti di dimora temporanea [Forbes 1993, p. 674]. Nel 1938, nella zona del Quirinale a Roma, sono stati scoperti dei pozzi rivestiti con lastre curve in tufo, provviste di pedarole [Pisani Sartorio 1984, p. 41]. Presso Happisburg, nel Norfolk, si è rinvenuto un pozzo medievale rivestito in legno con assi poste ad incastro, a sezione quadrata e profondo circa 7 m [Forbes 1993, p. 674].

Un elemento caratterizzante sono le cosiddette pedarole. Trattasi di incavi praticati nella parete della perforazione per consentire, o per facilitare, la discesa e la risalita nel corso delle operazioni che scandivano la nascita e la vita del pozzo. Le troviamo generalmente scavate con cura nelle pareti rocciose e poste a distanze regolari, lungo direttrici vicine o contrapposte. Meno spesso sono irregolari e disposte senza un apparente ordine.

La profondità è invece soggetta alla quota dell’acquifero da captare. Abbiamo pozzi profondi pochi metri, come a Milano, ad altri che superano i 60-70 m, come in alcune zone del Piemonte. Nel 2005 abbiamo esplorato e rilevato un pozzo profondo 85,48 m a Moncrivello (VC).

L’acqua si attingeva per mezzo di un cilindro o altra struttura, su cui era fissata la corda con il secchio, e girato da una manovella. Oppure si faceva scorrere la corda nella gola di una rotella (o carrucola) agganciata a una sovrastruttura che poteva essere anche di eleganti forme. Un altro sistema era quello di tenere imperniata una lunga stanga, recante a un’estremità la secchia e all’altra un contrappeso. Questo semplice e discontinuo metodo d’innalzamento dell’acqua (shaduf) è tuttora praticato in alcune zone del Nordafrica e dell’Oriente.


5. La seconda luna: la cisterna

In passato, la necessità di conservare l’acqua soprattutto a fini potabili ha lasciato una vasta gamma di opere di conserva, gran parte delle quali oggi cadute in disuso, o destinate ad usi prevalentemente irrigui.

La cisterna può essere descritta come un grande recipiente di solito sotterraneo, per quanto non manchino esempi semisotterranei o costruiti in alzato. Realizzata in qualsiasi tipo di terreno e nelle forme più svariate, è destinata alla conserva dell’acqua piovana, generalmente raccolta dai tetti delle abitazioni oppure su apposite superfici.

Le forme delle cisterne sono quanto mai varie e ciò dipende da molteplici fattori quali, ad esempio, il materiale adoperabile, la disponibilità economica, la tecnologia a disposizione, la funzione (considerando soprattutto la potabilità) e non ultimi il terreno geologico e il contesto in cui sono realizzate. Ne elenco qualcuna.

Cisterna a fossa: il semplice scavo di una fossa nel terreno o nella roccia consentiva di raccogliere l’acqua meteorica senza implicare particolari oneri. Talvolta le cosiddette “marmitte dei giganti” sono state utilizzate per la raccolta e la conserva dell’acqua, come si può osservare in un esempio presso la località Belvedere a Chiavenna (SO), internamente ai resti del castello medievale.

Cisterna scoperta: concettualmente analoga dalla precedente, si distacca più che altro per le dimensioni di realizzazione, unitamente alla collocazione che può sfruttare naturali incisioni del terreno, opportunamente adeguate. «Un cenno particolare meritano le cisterne scoperte, dette maj’il, tra le quali vi sono, senza dubbio, alcune delle più affascinanti architetture dello Yemen. Alimentati da wadi o da acqua piovana filtrata dai terrazzamenti agricoli o convogliata dalle coperture degli edifici, questi manufatti consistono in una grande vasca interrata, rivestita di murature sigillate con malte robuste, il cui fondo si apre talvolta verso i bacini minori dove si raccolgono i sedimenti di deposito» [Nicoletti 1985, p. 276].

Cisterna a camera singola: è il tipo più frequente e senza dubbio più noto, comprendente una vasta gamma di risoluzioni architettoniche. Nelle forme più semplici si hanno cisterne cilindriche, troncoconiche, a bottiglia, a damigiana, a tholos, o con forma irregolare, con molteplici varianti. Un tipo è chiamato “cisterna a bagnarola”: è rettangolare con il lati minori arrotondati ed è stata documentata presso l’insediamento di Tharros, in Sardegna [Acquaro, Francisi, Mezzolani 2002, pp. 57-62]. Identica forma l’abbiamo riscontrata in cisterne presenti nell’antica città di Cosa (Grosseto).

Cisterna pluricamerale: meno usuale, in genere si tratta della giunzione di due o più cisterne. Talvolta può essere ricavata da ambienti destinati solo successivamente alla conserva del liquido e di cui si è persa l’originaria funzione. Un’ulteriore distinzione si può operare nel caso in cui la cisterna sia stata ricavata, ad esempio, da una cava (nel qual caso verrà indicata come cava riutilizzata per lo stoccaggio dell’acqua). A Cagliari, il Cisternone Vittorio Emanuele II è una cava data per punica e riutilizzata in epoca romana come serbatoio. Nel vicino anfiteatro l’acqua meteorica veniva raccolta in appositi canali scavati nella roccia e tramite un condotto sotterraneo provvisto di piscina limaria versata nella cava anch’essa sotterranea, impermeabilizzata in cocciopesto [Floris 1988, pp. 22-29 e p. 120].

Cisterna a doppia camera: è costituita da due vani concentrici, a sezione quadrangolare o circolare, di cui l’interno è la camera di conserva e l’esterno quella di filtraggio, che comunica attraverso bocchette di travaso; un esempio è dato dalla cisterna di Palazzo Veracchi-Crispolti a Perugia [Associazione Subacquea “Orsa Minore” 1981, pp. 91-104].

Cisterna a cunicoli: generalmente è costituita da un impianto di cunicoli tra loro comunicanti, nelle cui forme più complesse l’aspetto è assimilabile a una coltivazione a camere e pilastri. In vari casi, come argomenta Riera, si tratta però di opere di captazione propriamente dette [Riera 1994, pp. 313-321].

Cisterna filtrante: buone garanzie di potabilità erano offerte dalle cosiddette cisterne filtranti, il tipo più noto delle quali è dato dalla “cisterna alla veneziana”. Consiste in uno scavo di forma tronco conica della profondità di almeno 3 m, con le pareti e il fondo rivestiti di uno strato di argilla e sabbia compresse. Dal centro del fondo s’innalza un pozzo cilindrico il cui interno è in comunicazione con la parte inferiore dello scavo tronco conico; lo spazio compreso tra il pozzo e la parete è riempito con sabbia silicea ben lavata. L'acqua piovana raccolta viene convogliata da un canale e penetra nella massa di sabbia e quindi nel pozzo, dal quale è prelevata [Riera 1993, p. 29]. In periodi di siccità non era infrequente riempirle con acqua trasportata in botti o altri recipienti [Padovan 2005, pp. 24-26].


6. Alcune note sulle cisterne

Nello studio di una camera di conserva occorrerà capire come sia stata realizzate e andare a ricercare gli impianti di adduzione, filtraggio, decantazione, conserva e presa (sollevamento dell’acqua per la fruizione). Non si dimentichi di considerarne la collocazione: se interna ad un edificio, oppure a servizio di un rione, etc.; nonchè di recuperarne le fonti storiche e l’eventuale memoria orale.

Varie cisterne sono sia prive di rivestimento, sia incamiciate con pietrame, mattoni, conci e impermeabilizzate mediante argilla o malta idraulica; in esempi più recenti o a seguito di riutilizzi, s’impiega cemento o ancora calcestruzzo. Le volte di copertura possono essere aggettanti, a tutto sesto, a sesto ribassato, a sesto acuto, a catino, oppure sorrette da colonne. Presso il convento di San Cosimato (Roma) abbiamo rilevato una cisterna a pianta rettangolare, scavata nella roccia, in cui si sono ricavati a risparmio due pilastri.

Gli studi condotti dal 1988 presso la Civita di Tarquinia (VT) ci hanno portato ad osservare una vasta gamma di opere di conserva, in gran parte internamente rivestite in conci e pietrame [Padovan 2002].

Trattando la circolazione delle acque nelle grotte, Leonardo da Vinci parla di come l’argilla sia impermeabile, ricordando: «potrebbesi ben dire in tali fossi la densità della creta ovviare e proibire la penetrazione dell’acqua sotto di sé, come si vede nelle citerne fatte nell’acque salse, le quali sono attorniate, fori dalla lor muraglia e rena, di questa terra, di che si lavora li vasi, finissima, e mai la potenzia dell’acqua salsa nolla può penetrare, e così l’acqua si conserva dolce nelle (caver) citerne» (Leonardo da Vinci, Cod. Leicester, F.3 - r.).

Generalmente l’acqua meteorica raccolta per l’uso potabile era decantata e filtrata. Un sistema poteva essere quello di dotare la cisterna di un piccolo locale adiacente e suddiviso in due scomparti: il primo è sostanzialmente un bacino di decantazione, da cui l’acqua passa nel successivo per tracimazione; il secondo serve al filtraggio e contiene strati di ghiaia, sabbia e carbone di legna, che il liquido attraversava prima di giungere alla camera di stoccaggio mediante una o più tubature. Nel corso delle indagini non è sempre possibile capire se una cisterna fosse o meno provvista di questi elementi.

Buona parte delle camere di conserva all’interno presenta ancora doccioni o bocchette d’adduzione fittili, ma non sempre si riesce a stabilire se provengano o meno da impianti di decantazione e filtraggio, a patto d’avere la possibilità di eseguire scavi in tutta l’area circostante. Inoltre, come ad esempio nella cisterna a doppia camera e in quella alla veneziana, il sistema decantazione-filtraggio può avvenire adottando varie e differenti soluzioni costruttive.

Sono interessanti le osservazioni di Laureano in merito a uno dei vari sistemi di conserva dell’acqua utilizzati dai Maya nello Yucatan: «Per ottenere scorte di acqua bevibile venivano scavate nella pietra cisterne a forma di campana, chiamate chultun. Nel periodo classico a partire dal III secolo d.c. lo sviluppo di città importanti fu organizzato intorno a depressioni naturali, chiamete aguada. Qui confluivano le acque raccolte da dighe e cisterne lungo i pendii. Le superfici dell’aguada erano pavimentate con pietre piatte, le cui connessioni erano impermeabilizzate di argilla rossa e marrone. Nel fondo erano scavati pozzi e chultun che mantenevano l’acqua quando l’aguada era secca. Il sistema è del tutto simile alla tecnica dei cisternali delle aree carsiche della regione delle Puglie nel sud dell’Italia» [Laureano 2001, pp. 225-228 e p. 359].

Altro sistema per immagazzinare l’acqua, utilizzato ad esempio anche nello Yemen del Nord, è la costruzione d’una diga di sbarramento per chiudere il corso di un wadi: il bacino così formato ha carattere alluvionale e il suo riempimento dipende unicamente dall’incostante portata del wadi, che alterna periodi di secca ad altri di piena a seconda delle precipitazioni [Nicoletti 1985, p. 267]. La più imponente era la diga di Ma’rib, che chiudendo il corso del Wadi Adhana si sviluppava per circa 600 m e con un’altezza di 15 m; era dotata di tre chiuse con le quali si regolava il flusso d’acqua necessario all’irrigazione dei sottostanti coltivi. Il Corano riporta il crollo della diga, avvenuto attorno alla metà del VI sec., così dicendo: «Scatenammo contro di essi acqua straripante dalle dighe, cambiammo i due gannat (giardini) con altri due orticelli ricchi di piante amare, come i tamerici e le piante di loto» [Peirone, XXXIV, 16].

Sotto forma solida l’acqua è stata anche raccolta e contenuta in appositi locali (ghiacciaie e neviere), sia per facilitare la conserva dei cibi, sia per la conserva e la vendita del ghiaccio stesso. Possono esservi anche cisterne per lo stoccaggio dell’olio e per la lavorazione e l’immagazzinamento del vino. Come i pozzi, anche le cisterne fanno parte della Storia dell’Uomo.


7. Lune e speleologi

Lo speleologo non troverà, ovviamente, la luna nel pozzo. Grazie alle tecniche speleologiche di discesa e risalita su corda, nonché alle competenze speleosubacquee, potrà invece svolgere un importante lavoro: documentare il manufatto stendendone il rilievo e realizzando il servizio fotografico. La pratica e lo studio condurranno ogni esploratore-ricercatore a saper compiere un lavoro scientificamente corretto.

L’unica cosa che mi sento di poter dire, in base alla mia esperienza, è che tali cavità artificiali apparentemente si presentano scevre da pericoli. Non è così. Come ogni altra opera costruita dall’uomo anch’esse possono essere interessate da cedimenti strutturali: generalmente ce ne si rende conto solamente all’atto dell’esplorazione. L’ineducazione e la stupidità possono condurre, talvolta, ad utilizzare le cavità come discariche abusive, rendendone pericolosa e, pertanto, assolutamente sconsigliabile ogni operazione. Carogne di animali rendono l’acqua infetta e il legno marcescente consuma l’ossigeno: le cavità possono trasformarsi in vere e proprie trappole. E questo senza contare il ristagno di gas che naturalmente certi terreni rilasciano [Gibertini 2005, pp. 265-276].
In buona sostanza: talune opere ipogee possono fare tranquillamente a meno delle nostre esplorazioni, se desideriamo compierne ancora [Padovan 2005, pp. 261-264].


BIBLIOGRAFIA

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Associazione Subacquea "Orsa Minore", Pozzi e cisterne medievali della città di Perugia, Quaderni Regione dell'Umbria, Regione Umbria, 1981.

Bianchi Sara, Basilico Roberto, Ninni Claudia, Padovan Gianluca, Il pozzo del castello di Pavarolo, in Atti Montello 2002. Conglomeriamoci, 21° Incontro Internazionale di Speleologia. Nervesa della Battaglia 1-3 novembre 2002, Anzanello E., Dal Cin F., Gasparetto P., Gava S. (a cura di), Villorba 2003, pp. 277-292.

Bonvesin da la Riva, De magnalibus Mediolani, traduzione di Pontiggia G., Milano 1997.

Floris Antonello, Cagliari sotterranea, Cagliari 1988.

Forbes R. J., Ingegneria idraulica e impianti sanitari, in Le civiltà mediterranee e il medioevo, Storia della Tecnologia 2, tomo secondo, Torino 1993.

Frontino Sesto Giulio, Gli acquedotti di Roma, Manduria (TA) 1997.

Gibertini Umberto, Gas in ipogeo: tipologie, valutazioni, rischi e prevenzione, in Archeologia del sottosuolo. Lettura e studio delle cavità artificiali, Padovan G. (a cura di), Notebooks on Medieval Topography (British Archaeological Reports, International Series, S1416), Oxford 2005, pp. 265-276.

Laureano Pietro, Atlante d’acqua. Conoscenze tradizionali per la lotta alla desertificazione, Torino 2001.

Mandel Gabriel, Il regno di Saba ultimo paradiso archeologico, Milano 1976.

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di Gianluca Padovan


Si ringrazia l'amico Gianluca Padovan, dell'Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano e della Federazione Nazionale Cavità Artificiali per l'invio ed il permesso alla pubblicazione di questo articolo.
Documento inserito il: 29/11/2014
  • TAG: archeologia sottosuolo, lune pozzo, elemento umano, note pozzi, cisterne, lune, speleologi, bibliografia

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