Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, approfondimenti: Archeologia del sottosuolo parte VIII: Opere bastionate e cavità artificiali
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Archeologia del sottosuolo parte VIII: Opere bastionate e cavità artificiali

1. Opere militari e speleologia
Se il cosiddetto “castello” suscita di per sé un fascino innegabile, esso ha inizialmente attirato le pulsioni esplorative in quanto fondamentalmente, nell’immaginario collettivo, custodisce sempre un “passaggio segreto” sotterraneo. Sotterraneo e quindi riconducibile, in quanto tale, al genere di attività che la speleologia affronta. In realtà l’indagine si trova poi a documentare ben altri generi di sotterranei: pozzi, cisterne, magazzini, prigioni, cunicoli e gallerie di collegamento. Tutto ciò non disdicendo l’estensione delle attività esplorative e conoscitive anche agli ambienti che abbiano anche solo una parvenza di sotterraneità.

Se prima del diffuso impiego delle armi da fuoco le opere sia sotterranee sia ricavate all’interno delle mura non sono strettamente indispensabili alla difesa, subito dopo risultano essere l’elemento portante della difesa stessa di una fortificazione. Nelle opere bastionate l’elemento difensivo di rilievo è sovente costituto dalle opere sotterranee e semisotterranee: le contromine e gli impianti di demolizione in generale.


2. Due righe sulle fortificazioni

Si potrebbe indicativamente (e arbitrariamente per certi aspetti) collocare al cosiddetto “periodo neolitico” la formazione di abitati e il sorgere delle prime cinte murarie di pietre a secco. Nel tempo gli impianti difensivi si perfezionano anche con l’impiego di altri materiali da costruzione e con l’aggiunta di contrafforti, torri, fossati e avancorpi. Lento, ma costante, il mutamento delle soluzioni difensive è in un certo senso la risultante dell’applicazione di nuove tecnologie, subordinate all’impegno economico e al tempo a disposizione per la realizzazione. Le innovazioni sono dettate anche dall’evoluzione delle tecniche belliche, i cui risultati conseguiti vanno a rendere inefficace il tipo di fortificazione in corso d’adozione.

Per una prima comprensione dello sviluppo delle opere di fortificazione nel tempo si suggerisce il libro “Dalle caverne ai rifugi blindati” di Antonio Cassi Ramelli. Piacevole da leggere, con dissertazioni dinamiche e puntuali, traccia un quadro sullo sviluppo dell’architettura militare europea nel corso dei secoli.

Così argomenta von Clausewitz al Libro VI, paragrafo X “Piazzeforti”: «Nei tempi passati e fino all’epoca dei grandi eserciti permanenti, le fortezze, ossia i castelli e città fortificate, ebbero soltanto il compito di proteggere i loro abitanti. Il signorotto, quando si vedeva premuto da tutte le parti, riparava nel proprio castello per guadagnar tempo e attendere un momento più favorevole; le città cercavano di tener lontane da sé, grazie alle loro fortificazioni, le temporanee nubi temporalesche della guerra. Ma questi compiti semplicissimi e naturalissimi delle fortificazioni andarono trasformandosi ed accrescendosi: i rapporti fra un punto di tal natura e tutto il territorio circostante e le truppe dislocate nel territorio stesso ed ivi combattenti diedero ben presto ai punti fortificati un’importanza maggiore, una funzione influente anche al di fuori delle loro mura e che contribuì in tal modo essenziale alla conquista od alla conservazione del possesso della regione, all’esito fortunato od infelice dell’intera lotta. Le fortezze poterono quindi divenire anche un mezzo per dare alla guerra un aspetto più coordinato. Così esse vennero ad assumere quel valore strategico che per lungo tempo venne considerato di tanta importanza per dar l’impronta fondamentale ai piani di campagna, i quali si orientavano piuttosto verso la conquista di una o più piazzeforti anziché verso la distruzione delle forze nemiche. Si ripresero in considerazione le ragioni di quest’importanza e cioè i rapporti fra un punto fortificato e il territorio e l’esercito, e si ritenne di non poter mai abbastanza essere accurati, avveduti e teorici, nel determinare i punti da fortificarsi. Questo compito astratto fece perdere di vista del tutto quello originario, e si addivenne al concetto di fortezze prive di città e di abitanti» [Clausewitz, VI, X].

Si ricordi che nella costruzione delle opere militari non ovunque, e non allo stesso modo, si applicano gli ammodernamenti o si apprende degli insuccessi. Se così fosse stato, l’Uomo avrebbe abbandonato la cosiddetta “arte della guerra” da molto tempo, a beneficio di una cultura basata sulla pace. Machiavelli constata come «È suta consuetudine de’ principi, per potere tenere più securamente lo stato loro, edificare fortezze, che sieno la briglia et il freno di quelli che disegnassino fare loro contro, et avere uno refugio securo da uno subito impeto»; ma concludendo afferma che «io lauderò chi farà le fortezze e chi non le farà, e biasimerò qualunque, fidandosi delle fortezze, stimerà poco essere odiato da’ populi» [Machiavelli, XX, pp. 106-108].


3. Armi da fuoco e sistemi difensivi

Nuraghe, dún, broch, castelliere, castro, motta, covelo: si potrebbero comporre decine di volumi sulle opere militari, o comunque difensive, antecedenti l’uso di cannoni e archibugi. Ma torniamo alla forma a noi più nota e cara, capace di evocare poemi cavallereschi, nobili gesta e atroci vendette: il castello. Tale struttura difensiva si basa sull’opporre un ostacolo alto e apparentemente invalicabile, come il muro di cortina, all’impeto di una carica avversaria. Si combatte con armi da taglio, da botta e da lancio. Abbiamo un ampio sviluppo di armi neurobalistiche come baliste e catapulte, affiancate da mangani, trapani da muro, arieti, etc.

«Parzival allora riprese il cammino e di buona lena si mise a trottare per la strada giusta fino al fossato. Qui il ponte era rialzato e il castello, di costruzione sicura e possente, s’ergeva diritto come fosse tornito. Solo il vento o uno che volasse avrebbe potuto arrivare là dentro, ma nessuno fargli danno da terra in assalto. Torri e alte sale in gran numero si ergevano là con fortificazioni meravigliose. Anche se tutti gli eserciti della terra l’avessero cinto d’assedio, quelli di dentro non avrebber dato in trent’anni, un solo pane, per esserne sciolti» [Eschenbach, V, 226].

Poi compaiono le prime bocche da fuoco, usate anche per demolire le opere murarie difensive. Hanno l’indiscusso vantaggio di avere una gittata superiore alle usuali macchine da lancio. Le torri e le cortine merlate alla guelfa o alla ghibellina divengono inadatte a sostenere le nuove tecniche ossidionali. Ogni struttura si abbassa e s’ispessisce per meglio resistere ai colpi delle bocche da fuoco, si muniscono sistematicamente i fossati con muri di controscarpa e opere addizionali, ponendo così le basi per lo sviluppo della “fortificazione a fronte bastionata”, di origine italiana.

Antonio Averlino, detto il Filarete, nella seconda metà del XV secolo presenta nella “Sforzinda” una cinta fortificata a pianta stellare formata dall’intersezione di due quadrati ruotati di 45° e fino a tutto il XVI secolo l’ingegneria militare europea è sviluppata da personaggi famosi tra i quali si ricordano Francesco di Giorgio Martini, Giuliano da Sangallo, Leonardo da Vinci, Niccolò Macchiavelli, Michelangelo Buonarroti, Antonio da Sangallo il Giovane, Giulio Savorgnano, Nicolò Tartaglia. Tra questi spicca anche l’ingegno di uno straniero: Albrecht Dürer. Abbiamo inoltre Francesco de’ Marchi: «Nel trattato del Marchi edito nel 1599 vengono descritti un gran numero di sistemi. Vi sono delineate le opere esterne da lui chiamate pontoni, che avranno diffusione nel Sei e Settecento, quali la mezzaluna, la lunetta, la tenaglia e la controguardia» [Fara 1989, p. 159].

Se i progetti di fortificazioni a pianta stellare sono basati sull’applicazione di teorie matematiche, tenendo conto della gittata dei cannoni e della necessità di eliminare gli “angoli morti”, ovvero i punti dove i proiettili non arrivano, è pur vero che uno dei sistemi portanti della difesa di una piazzaforte è l’impianto sotterraneo di contromina.

Tra la fine del XVI e il XVIII secolo si dotano le fortificazioni di gallerie sotterranee (impianti di contromina) con una certa sistematicità, ricavandole solitamente al di sotto del perimetro difensivo principale. In caso di assedio, il loro scopo è individuare e intercettare qualsiasi lavoro di scavo avversario e interrompere la loro progressione tramite combattimento sotterraneo o distruzione del cunicolo di attacco per mezzo di una esplosione.

Durante il XVIII secolo l’esperienza bellica fa si che si consideri necessaria, per una vantaggiosa e durevole difesa di una fortificazione, la presenza - al di sotto e soprattutto attorno a questa - di un sistema permanente di gallerie di contromina che diviene un efficiente, sebbene costoso, strumento bellico. Le gallerie sono costruite in trincea e poi ricoperte, oppure scavate direttamente nel sottosuolo. Vengono generalmente rivestite con un paramento murario e dotate di una volta di copertura in modo da proteggerle da infiltrazioni e umidità, condizione necessaria per poter utilizzare la polvere nera.

Altri elementi che si rivelano indispensabili sono la presenza di opere casamattate, a protezione soprattutto delle artiglierie, e di gallerie di collegamento per il rapido spostamento dei soldati anche sotto il fuoco avversario. Si costruiscono inoltre strade coperte lungo il perimetro esterno, marcato dalla sistemazione degli spalti e dalle controscarpe dei fossati, in cui sempre più frequentemente vengono ricavate gallerie dotate di feritoie per tenere sotto controllo il fossato stesso. Non mancano le opere sotterranee di collegamento.

«L’architettura militare dell’età moderna nasce, indipendentemente dalla preesistenza di circuiti antichi, in riferimento a un sistema geometrico, in cui, come in un campo magnetico, ogni variazione indotta si ripercuote sul sistema; e questo sistema si rapporta a quello prospettico» [Fara 1988, p. 94]. «La prima architettura fortificata alla moderna si manifesta quando l’artiglieria ha già conseguito un certo grado di sviluppo, in ritardo rispetto al Brunelleschi, nonostante una comune cultura di base» [Fara 1989, p. 81]. Oltre agli elementi prettamente difensivi, la resistenza di una fortificazione è legata alla disposizione di risorse idriche possibilmente illimitate: si realizzano quindi cisterne di ogni dimensione e pozzi anche molto profondi.

Con il perfezionarsi delle artiglierie e l’impiego sistematico di mortai che lanciano anche grandi proiettili esplosivi (XVII-XVIII sec.), si sviluppano sempre più le opere esterne (rivellini, controguardie, opere a corno, opere a corona, capponiere, lunette, etc.) allargando il perimetro difensivo nell’intento di tenere il più lontano possibile le batterie avversarie dalla fortificazione principale, nonché per frangere l’impeto delle fanterie, i cui fucili divengono più precisi e di veloce caricamento. Un ottimo e quasi completamente integro esempio di fortificazione a pianta stellare, mantenuto in efficienza fino ai primi anni del XIX sec. con ampliamenti e migliorìe, è la Cittadella di Alessandria, progettata da Giuseppe Francesco Ignazio Bertola nel 1727.

Sébastian Le Prestre, marchese di Vauban (1633-1707), maresciallo di Francia e ufficiale del genio, nel suo tempo si rivela maestro nell’architettura militare e nella condotta degli assedi; i suoi trattati divengono famosi. Si ricordano inoltre Bernard Forest de Bélidor (1697-1761), Bengt Wilhelm Carlsberg (1696-1778), Marc-René de Montalembert (1714-1800) e Carlo Andrea Rana (1714-1815).

Con la fine del XVIII secolo si conclude il ‘momento d’oro’ della fortificazione “alla moderna” a fronte bastionato. L’applicazione della canna rigata e il caricamento posteriore, l’impiego di granate ogivali con cariche di lancio più efficaci, fanno sì che nella seconda metà dell’Ottocento le artiglierie aumentino la loro gittata e divengano più precise e devastanti. Questo comporta una rapida modifica non solo del concetto di ‘fortificazione’, ma l’applicazione di nuovi sistemi difensivi, dotati ancor più di opere semisotterranee e sotterranee per proteggere le artiglierie, i soldati di guarnigione e i servizi logistici.


4. Alcuni elementi della fortificazione a fronte bastionato

Una cintura fortificata necessita di alcuni “sistemi” per la sua sopravvivenza in caso di assedio. Uno di questi è costituito dal sistema di approvvigionamento idrico. Senz’acqua non si vive; di conseguenza, senz’acqua non ci si difende. Oltre a spegnere la sete l’acqua serve a spegnere gli incendi, nonché a mantenere un certo grado di igiene per scongiurare il diffondersi di malattie. Tali sistemi sono costituiti da pozzi per la captazione di acquiferi, acquedotti per l’apporto continuo di acqua potabile (anche immagazzinabile in appositi serbatoi generalmente sotterranei o semisotterranei), cisterne per la raccolta e lo stoccaggio delle acque meteoriche.

«I loro cannoni hanno aperto numerose brecce nelle nostre mura. Hanno scardinato la grande porta di ferro e l’hanno trascinata fino all’accampamento. Ma tutto questo non gli è servito a nulla. La sete ci tortura. I due pozzi che abbiamo scavato non ci danno acqua sufficiente. Adesso, dopo la battaglia, la riserviamo ai feriti, che sono molti» [Kadarè 1993, p. 197]. Seppure nelle fortificazioni “alla moderna” i fossati siano generalmente asciutti, non mancano esempi dove l’acqua è utilizzata come sistema difensivo.

Occorre considerare che un perimetro difensivo deve contenere ogni servizio e adeguate riserve materiali. Lo spazio viene quindi gestito in modo oculato, anche ricavando ambienti nel sottosuolo, non solamente per preservarli dai bombardamenti. Possiamo conseguentemente avere sistemi per lo stoccaggio delle derrate alimentari, sistemi per l’alloggiamento delle truppe, sistemi per lo stoccaggio delle munizioni (riservette, polveriere), etc.

Vi sono sistemi che prevedono opere interne alle cinture bastionate, quindi non esclusivamente sotterranee, e altri necessariamente sotterranei. Gli spazi così ricavati sono diversi e legati alla struttura prettamente militare. Se ne elencano alcuni, tra i più significativi, trattandoli poi separatamente: bastione, galleria, mina, contromina, opere di demolizione.


4.1. Bastione

Il bastione, detto anche baluardo, è l’opera fortificata costituita da un terrapieno contenuto entro un perimetro poligonale di spesse muraglie di sostegno. Nel sistema difensivo il bastione si costruisce a difesa e a rinforzo delle cortine in corrispondenza degli angoli, oppure a rinforzo di lunghi tratti rettilinei, come nelle mura di Lucca. Usualmente a forma pentagonale, presenta quattro lati esterni: due facce a saliente e due fianchi che lo collegano alle cortine. Il mezzo bastione ha invece un solo fianco, una faccia e un secondo fianco sulla linea capitale, come presso la cinta veneziana del Castello di Brescia.

Il profilo della parete esterna è costituito da due parti, l’inferiore a scarpata e la superiore verticale, separate da un grosso toro (o cordonatura) orizzontale. L’apparato difensivo del bastione è completato dalle strutture di riparo alla sommità delle mura, dette merloni, attraverso cui i cannoni possono sparare. I suoi fianchi sono di solito rientranti, con angoli arrotondati, detti orecchioni o musoni a seconda della loro forma. Nei fianchi rientranti vengono alloggiate le artiglierie, per il controllo degli spazi antistanti le cortine, e possono essere disposte su più piani, sovrapposte, a scalare e alloggiate in casamatta, in barbetta, assumendo differenti denominazioni a seconda della collocazione.

I primi esempi di bastione appaiono in Italia alla fine del XV secolo, ma l’impiego diviene sistematico nel successivo, rimanendo efficace e in uso fino a tutto il XVIII secolo, e in vari casi anche nei primi decenni del successivo, seppure con accorgimenti e modifiche intese a migliorarne la capacità difensiva. Con l’avvento di armi da fuoco più potenti, entrate in uso nel XIX secolo, viene gradatamente sostituito da sistemi diversi.

«Il baluardo assume inconfondibile espressione già negli ultimi decenni del nostro Quattrocento, e l’assume qui da noi, in Italia. Esso si articola simmetricamente attorno a un suo asse, bisettore dell’angolo del muro che protegge e che appunto per questo viene detto capitale: i due lati confluenti al vertice sporgente sono le facce, quelli che ne collegano gli altri estremi alla cortina, i fianchi. Si chiama gola il quinto lato (interno) del pentagono (per lo più aperto) così formato verso la piazza, lato che congiunge gli incroci dei fianchi con le cortine. Il baluardo pentagonale resta dunque tutto un gioco di pareti inclinate rispetto al tiro nemico la cui “percussione” quindi, data la obliquità, “sarà di minore valetitudine” come diceva Leonardo. Gli angoli interni compresi fra le facce e fianchi -chiamati anche angoli di spalla - si determinano in vario modo, e, per più di un secolo se ne perfezionano i tracciati o se ne moltiplicano le accidentalità più o meno utilmente. Nel sistema bastionato definitivo la congiungente i vertici di due baluardi attigui -parallela alla cortina- determina la linea avviluppante della base. La congiungente del vertice di un baluardo col vertice del fianco contiguo costituisce la linea di difesa. Nei fianchi dei baluardi si aprono più tardi le bocche delle batterie che spazzeranno il fosso (spesso con due o anche tre ordini sovrapposti di fuoco, cioè con casamatta coperta e con doppio “gradone” “basso” e “alto”) a cielo libero» [Cassi Ramelli 1964, p. 344].

Vari ambienti trovano spazio all’interno o inferiormente ai bastioni. Si hanno le batterie in casamatta e sovente corridoi di collegamento e di servizio alle postazioni d’artiglieria, come in quelli presenti nelle bastionature di Grosseto o nella cittadella eretta sul colle Astagno di Ancona. Si possono avere soluzioni difensive quali, ad esempio, cunicoli o piccole gallerie che danno accesso all’interno del fossato, denominate sortite, come nella cinta veneziana di Bergamo Alta oppure nelle bastionature del Castello di Brescia. Non mancano esempi di bastioni da cui si accede direttamente a sistemi di contromina. Al piano inferiore di un bastione può anche trovare spazio un sistema per la raccolta dell’acqua piovana, la cisterna. Un interessante esempio lo si ha nel grande bastione genovese che protegge un angolo della città fortificata di Bonifacio, in Corsica.


4.2. Galleria

La galleria è un collegamento che si sviluppa nel sottosuolo o all’interno di cortine murarie, in grado di garantire lo spostamento, da un settore ad un altro del perimetro difensivo, al coperto da osservazioni o tiri di artiglieria e/o fucileria avversaria. Può essere destinata a molteplici scopi e costruita in funzione di differenti apprestamenti. Talvolta un’opera di collegamento può essere dotata di feritoie e chiamata galleria dei fucilieri, anche in combinazione con un cofano (opera difensiva costruita nei fossati). In particolari situazioni possiamo avere gallerie scavate nella roccia per raggiungere opere in caverna, o postazioni staccate dal corpo di piazza principale, oppure di semplice collegamento con l’esterno che, sbucanti in posizione defilata, permettono di effettuare sortite o far giungere rinforzi e vettovagliamenti all’interno della fortificazione.

La galleria di controscarpa è un’opera che si sviluppa internamente e parallelamente al muro di controscarpa del fossato. Generalmente dotata di feritoie, essa permette ai difensori di colpire eventuali attaccanti discesi nel fossato con un “fuoco a rovescio” (il termine “a rovescio” sta ad indicare che il tiro non è rivolto dal Corpo di Piazza verso l’esterno, ma dal muro di controscarpa verso l’interno). Può essere dotata di avancorpi, come casematte e capponiere. Un esempio è la galleria di controscarpa del Castello di Milano, denominata da Leonardo da Vinci “strada segreta di dentro” (Leonardo da Vinci, manoscritto B - folio 36 verso). Completamente costruita in mattoni, con rari elementi lapidei, la galleria ha la volta a botte ed è dotata di un centinaio di finestrelle a doppia strombatura, ampie finestrature agli angoli, vani di comunicazione con i rivellini eretti nel fossato e numerose gallerie che conducono alla cortina esterna denominata Ghirlanda. Era frazionata mediante numerosi portoni, la cui funzione era d’impedire che un eventuale avversario, penetrato nella galleria di controscarpa, potesse dilagare ovunque [Padovan 1996, pp. 64-75].


4.3. Mina

Parlando dell’auspicabile ristrutturazione dell’esercito della Roma imperiale, al capitolo intitolato “Le mine”, Vegezio scrive: «Un’altra specie di assedio sotterraneo e nascosto è chiamato cuniculus, dai conigli che scavano tane nella terra e vi si celano. Riunita una moltitudine di uomini, con una tecnica similare a quella dei popoli Bessi alla ricerca di filoni d’oro e d’argento si scava nella terra a tutta forza e, creata una caverna, si cerca una strada sotterranea per espugnare la città. Questo inganno si attua con un doppio scopo. Infatti gli assedianti entrano nella città durante la notte senza che gli abitanti se ne avvedano, escono fuori dalla mina (cunicolo) e, aperte le porte, fanno entrare il proprio esercito e i nemici sorpresi muoiono nelle loro case; oppure, giunti con sicurezza alle fondamenta delle mura, le scavano per un grandissimo tratto e, collocatovi sotto in maniera posticcia un sostegno provvisorio di legno secco, fanno ritardare il crollo del muro; oltre a ciò aggiungono strame o altro materiale infiammabile ed allora, preparato l’esercito, si accende il fuoco e, bruciate le travi e le tavole, le mura subito rovinano e viene aperta la strada per l’irruzione dei nemici» [Vegezio, V, 24].

La mina è il cunicolo sotterraneo scavato per penetrare all’interno di un’opera fortificata. S’intende, più comunemente, l’opera sia difensiva che offensiva alla cui testa viene ricavato un fornello da mina (riempito di esplosivo), posto sotto sia difese fisse che opere campali allo scopo di demolirle.

Leonardo da Vinci, nella lettera con cui offre il proprio ingegno a Ludovico il Moro, afferma di essere in grado di far “ruinare” ogni rocca o altra fortezza senza l’ausilio delle bombarde, a meno che «non fusse fondata in su el saxo» (Leonardo da Vinci, C.A., 391 r.a.), ovvero non fosse costruita su roccia dura e compatta: in tal caso un’opera di mina sotterranea sarebbe stata ben difficilmente realizzabile, almeno in tempi brevi. Nei secoli successivi il compito di aprire un varco è destinato all’artiglieria, disposta in apposite “batterie da breccia”. Abbastanza di frequente il sistema si rivela costoso in termini di mezzi e di uomini, nonché prolungato nel tempo. In assenza di risultati apprezzabili, si fa ricorso alle mine, seguendo due differenti procedimenti:

- Attacco di mina: l’avvicinamento al tratto di cortina da minare avviene a cielo aperto. Una volta scalzato il paramento esterno del muro è scavato nel suo spessore un piccolo vano definito fornello o camera di mina, che viene stipato di esplosivo. Il brillamento di due o tre di questi fornelli di mina, a patto che siano sufficientemente potenti e ben collocati, provocano gravi danni. L’approccio a cielo aperto rende il metodo rapido, ma espone il personale di scavo a gravi rischi, che possono pregiudicare la buona riuscita dell’azione.

- Mina in profondità: l’approccio alla muratura da minare avviene dal sottosuolo, perforando il terreno con un cunicolo armato da una struttura lignea (anche prefabbricata). Al di sotto della cortina destinata alla distruzione si procede allo scavo di uno o più fornelli di mina. Collocato l’esplosivo, il cunicolo è colmato di terra in modo tale che l’esplosione si sfoghi verso l’alto, provocando distruzioni assai più serie dell’attacco di mina.

Destinate ad operare alle mine erano le Compagnie dei Minatori, speciali reparti dell’artiglieria formati da personale reclutato tra civili impiegati in miniere o in cave. Solitamente lavorano in squadre di quattro o più persone: il primo taglia il terreno con il proprio “picco”, il secondo raccoglie lo smosso, il terzo lo trasporta tramite contenitori all’ingresso, il quarto provvede all’occultamento del terriccio, poiché la sua vista mette in allarme i difensori, consentendo di provvedere allo scavo di una contromina. I carpentieri si occupano invece di sistemare le intelaiature e le assi necessarie ad armare il cunicolo. Una squadra di minatori ben affiatata è in grado di scavare in ventiquattro ore una sezione di galleria lunga 4-5 m, anche al di sotto di un fossato colmo d’acqua. In assenza di efficaci sistemi di ventilazione la penetrazione massima consigliata si aggirava attorno ai 90 m, mentre in profondità si preferiva non abbassarsi al di sotto dei 7 m [Padovan 2005, pp. 55-56].

La natura sotterranea e la relativa profondità rendono questo attacco di mina particolarmente efficace, difficile da contrastare e da individuare. Solo con l’improvviso sviluppo delle artiglierie e in particolare di quelle di grosso calibro (metà del XIX sec.), la tecnica di mina viene abbandonata. Una breve parentesi si registra nel corso della guerra russo-giapponese (1904), quando il generale Kiten Maresuke Nogi assedia la piazzaforte russa di Port Arthur in Manciuria (Cina). Dopo disastrosi assalti frontali, in attesa di ricevere adeguate artiglierie, il generale Nogi ricorre ai tradizionali sistemi di assedio: trincee d’avvicinamento e mine. Nel corso della Grande Guerra (1914-1918) l’attacco mediante mine in profondità riprende, e in Italia soprattutto lungo i fronti montani.


4.4. Contromina

Con il termine di “contromina” si identificano il cunicolo o la galleria destinati ad intercettare e distruggere la mina avversaria. Sin dall’antichità è quindi la principale contromisura alla mina. Vitruvio scrive che l’architetto Tifone di Alessandria, durante l’assedio di Apollonia, fece scavare dall’interno delle mura della città varie gallerie che «avanzassero fin fuori le mura, per un tratto all’incirca pari a un tiro d’arco», nel riuscito intento d’intercettare la galleria con la quale gli assedianti intendevano superare le difese e conquistare la città [Vitruvio, X, 10].

Tra il 1564 e il 1570 Galeazzo Alessi sottolinea l’importanza delle contromine nel suo “Libro di Fortificatione in modo di Compendio”: «Il Castriotto uuole che le contramine p[er] la importanza loro, si faccino ne luoghi asciutti, a tutti i corpi de Baloardi, Cau[alie]ri e Piatteforme: et il Maggi approua tanto q[esta] opinione che dice essere necessarie ancora ne luoghi di acqua, p[er]chè dice ancor quelli potersi minare se ben hoggi li moderni, come il Cau[alie]re Paciotto no[n] le usa più solo p[er] fuggire la spesa et p[er] il tempo, che mi corre nel farla» [Coppa 1999, p. 76].

L’assedio della fortezza di Famagosta (Cipro), conclusosi con la resa ai Turchi del presidio veneziano (1571), è caratterizzato da un’intensa applicazione di mine e di contromine. Dopo tale episodio, alle forze militari europee appare quindi chiaro come occorra munire le proprie opere difensive di gallerie di contromina, per non dovervi provvedere nell’eventuale corso di un assedio.

La base della maggior parte dei sistemi di contromina nella fortificazione “alla moderna” è una galleria alta circa 1.80 m e larga circa un metro, definita galleria magistrale o galleria di controscarpa. Essa si snoda attorno alla fortezza, ricalcandone la pianta al di sotto della cinta magistrale del corpo di piazza, oppure immediatamente al di là del muro di controscarpa del fossato principale (soluzione poi largamente adottata). Dal piano del fossato è quindi possibile accedere in questo sistema sotterraneo, proseguendo nelle gallerie capitali, opere perpendicolari al perimetro delle fortificazioni che si sviluppano oltre lo stesso. Talvolta dal corpo di piazza vi sono gallerie che, passando al di sotto del fossato, si connettono all’impianto sotterraneo esterno. Dalle gallerie capitali si staccano i cunicoli di mina o rami di mina, alti mediamente 1.2 - 1.7 m e larghi 0.7 - 1 m, caratterizzati da tracciati ad angolo retto allo scopo di contenere le onde d’urto provocate dall’esplosione della mina; tali opere si concludono nei fornelli di mina, piccole camere dove viene collocato l’esplosivo (mina). La disposizione di queste difese sotterranee intende anticipare il più possibile eventuali approcci avversari alle difese esterne e al corpo di piazza [Padovan 2005, pp. 50-52].

Gli impianti sono ricavati a una profondità di circa 3-4 m, ma in taluni casi possono scendere anche a 10-15 m, e avere uno sviluppo di svariati chilometri. Sono generalmente dotati di pozzi di ventilazione o di tubature per assicurare la ventilazione. Qualora i sistemi non garantiscano un sufficiente ricambio d’aria si ricorre al metodo di insufflare aria tramite tubi di latta o di legno azionando mantici da fucina. I pozzi possono servire anche per il rifornimento dei presidi in superficie e come collegamento verbale per coordinare l’azione delle mine con quanto avviene nel campo dell’assediante. All’interno dei cunicoli esistono anche pozzi di drenaggio per la raccolta delle possibili infiltrazioni d’acqua [Amoretti 1965, pp. 57-102].

Il fornello di mina è utilizzato per molteplici scopi:
- eliminare la mina avversaria provocando il crollo della stessa tramite l’esplosione di una carica sotterranea;
- distruggere le opere d’assedio avversarie provocando una deflagrazione che, fatta sfogare verso l’alto grazie all’intasamento del cunicolo di accesso con masse di terra, apre un cratere sulla superficie;
- distruggere le opere della propria fortezza assediata, oramai definitivamente occupate dall’avversario (cunicolo o galleria di demolizione).


4.5. Opere di demolizione

Nelle fortificazioni bastionate le opere di demolizione (cunicoli e gallerie di demolizione) servono a rendere inservibile quanto divenuto indifendibile. Si ricavano al disotto di tenaglie, controguardie, rivellini, etc. Possono fare parte di un sistema costituito da una galleria principale che consente il rapido accesso ai cunicoli di demolizione dotati di fornelli. Tra le difese sotterranee vi è anche la fogata: del tutto simile alla contromina, si distingue per la ridotta profondità. Viene posta al di sotto dello spalto in traverse e lunette, a non più di 4 m di profondità dal piano di campagna; è concepita per brillare davanti alla fanteria avversaria avanzante.

La galleria di demolizione poteva fare parte della struttura stessa di un bastione, per la difesa e la demolizione parziale dello stesso, al fine di consentire la creazione di un secondo fronte bastionato arretrato. Tipologia del tutto particolare e rara, si tratta di una galleria, solitamente ampia (può avere sino a 6 m di altezza per 6 m di larghezza), che segue internamente il profilo delle due facce esterne del bastione; è dotata di pozzetti ricavati nella volta e cunicoli di mina che si diramano verso l’esterno. Qualora il bastione venga parzialmente demolito dal fuoco di batteria o dall’esplosione di mine, si provvede a fare brillare i fornelli di mina per ‘rovesciare’ le due facce esterne del bastione nel fossato, creando così un saliente (angolo che una difesa dispone verso l’avversario) e ottenendo un nuovo fossato (la galleria stessa, scoperchiata), con muro di controscarpa (piedritto esterno) e muro di scarpa integro (piedritto interno). Ha inoltre lo scopo di servire da postazione a prova di bomba e come passaggio da un fianco all’altro del bastione. Un ottimo esempio lo si ritrova presso la Cittadella di Alessandria [Padovan 2005, p. 54].

A completamento di un sistema di fortificazioni si realizzano, soprattutto nel XIX e XX sec., delle opere sotterranee di demolizione per l’interruzione della viabilità. Gallerie di demolizione e cunicoli di demolizione potevano completare le difese delle fortificazioni di sbarramento e delle tagliate stradali; opere analoghe venivano predisposte anche all’interno di gallerie ferroviarie e stradali.


5. Le piazzaforti sabaude del XVIII secolo: una faccia del poliedro

Tra il XVII e il XVIII l’evoluzione del fronte bastionato è guidata soprattutto da stranieri. Ma non mancano ingegneri militari italiani che progettano e fanno realizzare fortificazioni di una certa importanza, con soluzioni difensive innovative.

Le piazzeforti sabaude del XVIII secolo rappresentano la massima espressione dell’architettura militare italiana del periodo. Nessun altro Stato della penisola è in grado, tra la Guerra di Successione Spagnola (1702-1714) e la Guerra delle Alpi (1792-1796), di realizzare opere analoghe. Numerosi principi, militari e, addirittura, sovrani stranieri, giungono in Piemonte per osservare “i gioielli” della Corona dei Savoia, ossia le loro poderose fortezze poste a difesa dei confini del Regno di Sardegna. Tra gli innumerevoli ospiti troviamo l’Imperatore d’Austria Giuseppe II, lo Zarevic Paolo I, il Re di Napoli Ferdinando III di Lorena, il Duca di York, il Conte di Laxy, il Principe Saverio di Sassonia. Anche prelati, quali il Nunzio di Bruxelles Monsignor Molinari, non sanno resistere alla tentazione di vistare questi colossi di pietra e mattone, sovente tagliati nella viva roccia.

Da un punto di vista strettamente militare tali fortezze risultano essere un vero rompicapo per gli strateghi avversari, francesi ed austriaci in primis. Ciascuna “piazza” è razionalmente collocata nel territorio del Regno, ed è in grado sia di essere soccorsa rapidamente se minacciata da un esercito nemico, o funzionare quale eccellente base logistica nel caso di azioni offensive. I grandi calibri dei cannoni messi in batteria e le possenti muraglie sconsigliano l’invasione del Piemonte seguendo direttrici sbarrate da una o più fortificazioni. Il Forte della Brunetta di Susa, Exilles, Demonte, i Forti di Fenestrelle, le Cittadelle di Torino e Alessandria, il Forte di San Vittorio di Tortona permettono all’esercito sabaudo di tenere le posizioni sul fronte alpino occidentale e su quello sud orientale. La mancanza di opere di sbarramento nel settore sud occidentale consente invece alle armate francesi nell’aprile del 1796 di aggirare i possenti dispositivi difensivi e sconfiggere in campo aperto l’esercito del Re di Sardegna [Padovan 2003, pp. 293-365]. Vengono difatti forzate le cosiddette “Porte di Ceva”, dove le opere di sbarramento non hanno beneficiato, nel XVIII secolo, degli indispensabili adeguamenti tattico-militari.

È cura particolare dei francesi vittoriosi smilitarizzare tutte quelle piazzeforti che avevano impedito un attacco diretto alla penisola italiana. Tra le esplosioni delle mine e i colpi dei picconi sparisce così, tra il 1796 ed il 1801, la cintura difensiva piemontese. Solo i Forti di Fenestrelle e le Cittadelle di Alessandria e Torino, per varie ragioni, si salvano dalla distruzione.

Inizia così l’oblio per i forti demoliti. Partendo dal presupposto che la maggior parte delle murature giace abbattuta al suolo formando pile informi di rottami, sino a tutti gli anni settanta del XX secolo la maggior parte degli storici dell’architettura, ai quali soli sembrava devoluto lo studio dell’architettura militare, ‘stabilisce’ che di queste opere rimane la sola memoria storica. Anche in tale caso si vede come l’occupare un posto dove sedersi in senso lato e in senso stretto non favorisca le ricognizioni sul campo per il giusto studio e la giusta valutazione di quel che, in teoria, si dovrebbe insegnare e divulgare.

Grazie invece all’impegno di varie realtà, tra cui si ricorda il “Museo Pietro Micca e dell’assedio di Torino del 1706”, le fortezze sabaude sono divenute oggetto di reale ed approfondito studio. E in taluni casi anche di recupero.

Oltre alle opportune ricerche storiche occorre evidenziare che sono fondamentali le operazioni d’indagine sul campo e discipline come la Speleologia in Cavità Artificiali, l’Architettura e l’Archeologia risultano essere necessarie per una puntuale documentazione ed interpretazione di ciò che la penna di un ingegnere del XVIII secolo ha tracciato sul foglio e che maestranze specializzate hanno plasmato.


6. L’altra faccia della medaglia

Passeggiando tra i vecchi ruderi avvolti dalla vegetazione, o pagando il biglietto d’ingresso per visitare opere del passato, ci si lascia variamente cullare da pensieri e sensazioni riguardo l’architettura militare. Ma due dovrebbero trovare fermamente un momento di riflessione: quanto tali opere siano costate, andando ad incidere sulla vita quotidiana di coloro che sono stati dissanguati da gabelle o tasse per la loro edificazione, e quanto sangue è stato versato, in termini di vite umane, nel pertinace perseguimento di una politica basata sulla risoluzione bellica sempre e ad ogni costo.

E quando si tratta d’impianti militari, ma la parola ‘difensivi’ suona meglio (quasi fosse più rassicurante), troppo spesso si dimentica che il loro scopo rispondesse solo ed esclusivamente alle impellenze di un nucleo dominante minoritario, ma danaroso, educato e legato ad una logica prevaricatrice. Tale linea di pensiero e d’azione (asservita al potere del denaro) si dimostrava e si dimostra ancor oggi bellicosa, violenta, con parole e intendimenti, concretizzabili anche in mire espansionistiche e tese all’acquisizione di ‘materie prime’, con un ruolo da dispensatori di pace e di cultura portato sempre e comunque avanti in punta di baionetta (oggi in punta di missile).

La logica con cui queste fortificazioni sono state erette ce la siamo trascinata appresso nei secoli, e soprattutto dal XVIII al XIX senza trarre alcun insegnamento, dal momento che ai primi del Ventesimo siamo precipitati in una guerra mondiale. Guerra inconcepibile, da cui ogni governo - se tale e retto dal buon senso - avrebbe potuto starne fuori. Conflitto che soprattutto chi diceva di governare l’Italia poteva tranquillamente evitare.

E con buona pace dei soliti storici da operetta si può affermare - se effettivamente l’Italia ne fosse stata fuori - che la Seconda non sarebbe poi maturata e deflagrata. Ma del senno di poi (come recita il noto proverbio) ne sono piene le fosse e di cadaveri ne sono poi stati pieni i fossati. Dedichiamoci comunque all’indagine delle opere sotterranee a carattere militare: lo studio del passato è sempre salutare, soprattutto se ci ricorda quanto deleterie siano la guerra e la violenza. Sono certo che lo studio soprattutto di un passato a noi prossimo ci aiuti a comprendere il perché del nostro attuale stato di tensione e di guerra.


7. Che cosa fa lo Speleologo?

Oggi gran parte delle antiche fortezze sono perdute o parzialmente demolite, ma inferiormente ai ruderi sovente si possono rintracciare e documentare le opere che le completavano, come hanno dimostrato le indagini condotte dal Gruppo Speleologico “Le Nottole” a Bergamo, dal Club Alpinistico Triestino a Osoppo, da speleologi marchigiani nella piazzaforte di Ancona, dalla stessa Associazione S.C.A.M. a Milano, oppure da altre realtà tra cui spicca l’operato del Generale Guido Amoretti e del Museo Civico Pietro Micca di Torino.

Lo Speleologo (o Speleoarcheologo) non deve inventare alcunché. Deve documentare. Deve capire su cosa sta lavorando e, pertanto, documentarsi. La bibliografia sui sistemi bastionati è vasta e, seppure in misura decisamente minore, anche gli impianti difensivi sotterranei sono puntualmente trattati. Quello che occorre capire è il tipo di fortificazione oggetto della nostra indagine, le sue successive ed eventuali modifiche e, ovviamente, lo sviluppo di quel che c’era e di quel che rimane. Sta poi a noi individuare le parti celate, trovare gli accessi agli impianti sotterranei, esplorare e “riportare alla luce” con rilievi planimetrici, servizi fotografici e video.

Tali architetture possono divenire oggetto di consoni riutilizzi. Invece di costruire, cavare e cementificare con la scusante di creare un indotto, dei posti di lavoro, si può operare altrimenti. Senza svilire le risorse naturali. Preservando e presentando il nostro patrimonio storico, architettonico ed archeologico si creano ugualmente dei posti di lavoro qualificati grazie anche al turismo. Se le cavità naturali, ovvero le grotte, sono frutto del lavoro di Madre Natura e non vanno in alcun modo demolite e nemmeno snaturate con impianti turistici, le cavità artificiali sono opera dell’uomo e come tali possono essere riqualificate. In particolare, non si devono vedere le fortificazioni come un ostacolo a mire edilizie, ma come un patrimonio di cui oggi usufruire.

L’indagine speleologica si rivela quindi un importante contributo allo studio di tali architetture e la considerazione che nasce spontanea è che questo ‘metodo’ possa tranquillamente e fermamente servire ad aprire un nuovo orizzonte per lo studio e la ricerca di un aspetto del nostro passato e in funzione del presente.

Presente che vede sempre più ignorato e depauperato il nostro patrimonio storico e architettonico ad uso e consumo di progetti che alla lunga non pagano mai quanto il recupero di una propria storia, e quindi di una nostra preziosa identità, in funzione non solo di questo critico momento storico, ma soprattutto a beneficio delle generazioni future.

di Gianluca Padovan


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Si ringrazia l'amico Gianluca Padovan, dell'Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano e della Federazione Nazionale Cavità Artificiali per l'invio ed il permesso alla pubblicazione di questo articolo.
Documento inserito il: 29/11/2014
  • TAG: archologia sottosuolo, opere bastionate, cavità artificiali, opere militari, speleologia, fortificazioni, armi fuoco, sistemi difensivi, elementi fortificazione, fronte bastionato, bastione, galleria, mina, contromina, demolizione, piazzeforti sabaude, sp

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