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Al di qua e al di là del Sillaro [ di Giuseppe Sgubbi ]

Note sui confini occidentali della Romagna dalla preistoria al Medioevo.

Se i fatti dimostrano che un avvenimento
è accaduto, il constatarlo è storia


Come è noto, i confini storici della Romagna non coincidono con gli attuali confini amministrativi che la riducono alle tre province di Ravenna, Forlì e Rimini (1).
[Inserire due cartine, una storica e una amministrativa, evidenziando le differenze, n.d.A.]
Purtroppo, nonostante vari tentativi (2), questi confini non risultano ancora geograficamente fissati, cioè ci sono ma non vengono ufficialmente riconosciuti. Per il fatto stesso che la regione Emilia- Romagna è designata da due nomi, corrispondenti a due aree distinte con una loro delimitazione legislativa, dovrebbe essere indicato ed evidenziato almeno il confine fra le stesse.
E, di fatto, da tempi immemorabili il confine fra queste due aree esiste, ed è segnato dal fiume Sillaro (dalla sua sorgente alla confluenza nel Reno e dal Reno al mare) (3); e la consapevolezza di questo confine, ben radicata nella popolazione, stabilisce un senso di “appartenenza”: non a caso al di qua di questo fiume gli abitanti si dicono Romagnoli, al di là si dicono Emiliani; tutto quello che è al di qua si dice che è in Romagna, tutto quello che è al di là si dice che è in Emilia.
Appare quindi piuttosto improbabile che, come qualcuno vorrebbe far credere (4), si tratti di un confine inventato o immaginato.
Scopo di questo scritto è dimostrare che il corso di questo fiume, anche se non ha sempre segnato esattamente il confine fra Romagna ed Emilia, ha costantemente rappresentato un preciso discrimine tra i popoli che si sono succeduti in questa zona da almeno 2500 anni (dai Villanoviani agli Etruschi ai Romagnoli) e ha segnato confini territoriali (regionali, provinciali, comunali, di diocesi, di contado, di ducati, di legazioni, ecc.). Dati i limiti imposti al presente lavoro, si prenderà in esame solo un tratto del confine romagnolo; l’intenzione è di offrire comunque un contributo alla tanto dibattuta questione se Bologna ha o non ha mai fatto parte della Romagna.(5).
Sono note le difficoltà che incontra chi si propone di descrivere qualunque tipo di confine, non solo perché la documentazione è spesso insufficiente e contradditoria, ma anche perché i cronisti antichi erano interessati a far conoscere gli avvenimenti e non i confini. Inoltre i confini hanno subito costanti cambiamenti, sia perché spesso erano segnati da instabili corsi d’acqua, sia perché venivano ridisegnati dal susseguirsi delle vicende belliche, in quanto i vincitori ingrandivano il proprio territorio; e, considerato che si era continuamente in guerra, si può immaginare quanto sia arduo seguire cronologicamente le variazioni.
Nonostante tali difficoltà, i dati fin qui raccolti mi hanno portato alla convinzione che non esiste dalle nostre parti un confine più importante di quello segnato dal Sillaro.
Iniziamo l’indagine con un significativo confine antropologico. Nel 1879, il colonnello medico Ridolfi Livi (6) riceve dal ministro della guerra dell’epoca l’incarico di effettuare una indagine antropologica su tutto il regno e dopo averla effettuata “fotografa” i risultati raggiunti tratteggiando le varie aree geografiche italiane in base alla consistenza cefalica: ebbene, dando uno sguardo alle varie cartine, si noterà un ben diverso tratteggio in corrispondenza del corso del Sillaro. Si tenga presente che, a parere di molti antropologi, l’indice cefalico, cioè il rapporto geometrico fra lunghezza e larghezza del cranio, è il più importante degli indizi della diversità delle razze; perciò non si può non essere sorpresi nel constatare un tratto distintivo di tale portata in corrispondenza di un così piccolo corso di acqua. Anche il più scettico degli studiosi dovrà ammettere che tale diversità etnica non può essere frutto di recenti stanziamenti di popolazioni, ma di lunghissime e antiche migrazioni.
A parere di molti studiosi il Sillaro segna un ben visibile confine naturale. Il Lucchi (7) inizia una sua conferenza con queste parole:”la diversità dei romagnoli rispetto ai bolognesi è confermata dalla geologia; la valle del Sillaro, come riporta Zangheri, è la linea di separazione etnica, geografica,(no-tare la diversità del paesaggio tra Sillaro e Santerno) e geologica: cambia l’accento, cambia il dialetto, cambia il vino e cambiano le rocce”. Giustamente il Lucchi ha ricordato lo Zangheri (8): questi infatti ha messo in evidenza la diversità non solo geologica ma anche della fauna e della flora; grazie a lui apprendiamo che in Romagna vi sono almeno un centinaio di piante e di animali introvabili al di là del Sillaro (9).
Già in epoca preistorica (VIII-IV) a. C questo fiume divideva popolazioni con culture diverse; dice il Mansuelli (10) che il Villanoviano Romagnolo è diverso da quello bolognese; la sua opinione è condivisa dalla Bermond Montanari (11), che fa notare come in Romagna i più importanti aspetti della cultura materiale (armi, ceramica, oggetti ornamentali e funerari) si contrappongono omogeneamente a quelli felsinei.
A parere di Calvetti e di Servadei (12) esiste una contrapposizione “etnopolitica” tra emiliani, eredi dei Galli Boi, e romagnoli eredi dei Galli Senoni. L’esistenza di popolazioni tenute divise dal Sillaro conferma l’indagine antropologica del colonnello Livi (13).
Di tale diversità non tennero conto i Romani. Infatti in età Augustea l’Italia venne divisa in “regioni” e quella designata dal numero VIII prese il nome di Aemilia dal nome della strada che da Rimini arriva a Piacenza. Questa Aemilia corrisponde solo in parte alla attuale Emilia-Romagna; infatti comprendeva dei territori che ora non ha più (Oltrepò Pavese e Mantovano), ed era mancante di territori ora facenti parte della nostra regione (ferrarese e sarsinate). Del fatto che tale regione riuniva popolazioni diverse si accorse invece un altro imperatore romano, Diocleziano, che pensò bene di dividerla in due parti: una detta Aemilia ed una detta Flaminia. Non è chiaro quale fosse il confine esatto fra queste due regioni: l’opinione più diffusa è che a quei tempi fosse segnato dal Panaro.
Il confine Panaro non sembra molto convincente. Anzitutto dovremmo chiederci la ragione per cui la regione Flaminia aveva tale nome. Non appare plausibile riferirlo alla via Flaminia, che partiva da Roma e arrivava a Rimini, perché non attraversava la regione; vi era invece una anonima strada detta Flaminia II, che, partendo da una non ben precisata località ubicata fra Imola e Bologna, arrivava ad Arezzo (14).
Ebbene secondo il Susini (15) tale strada aveva pure un tragitto “padano”, cioè andava verso la “bassa“ seguendo più o meno il corso dell’attuale Reno, perciò lungo il confine della Romagna. Non dovremmo sorprenderci se un giorno constateremo che questa strada attraversava tutta la Romagna e si congiungeva alla via Flaminia proveniente da Roma. Per vari secoli, fino all’inizio del periodo Longobardo, non esistono ricordi di confine fra Flaminia ed Emilia; gli unici riferimenti si possono ricavare da alcune testimonianze indirette. Da una lettera scritta da S. Ambrogio nel 387 (16) si apprende il miserevole stato in cui si trovavano ai tempi suoi le città allineate sulla via Emilia. Egli inizia il suo elenco da Claterna (città romana che si trovava fra Imola e Bologna), cioè la prima città della sua giurisdizione. Come è noto la “provincia ecclesiastica” Flaminia dipendeva invece da Roma. Altre testimonianze indirette: scrive Zosimo (17) che Alarico nel 408, essendo diretto a Rimini, oltrepassata Bologna avrebbe attraversato “tutta l’Emilia”; nella prima metà del secolo V, è testimoniata in Italia la presenza di Sarmati (18), alcuni dei quali si trovavano a Bologna ”città della Emilia”.
Questo significa che all’epoca di questi documenti il confine fra Emilia e Flamina si trovava ad Est di Bologna. In questo periodo scarseggiano le linee confinarie; l’unica ricordata da varie fonti è una non ben precisata “Provincia delle Alpi Appennine”, citata per la prima volta nel cosiddetto “Catalogo Madrileno”; non si trattava in realtà di una provincia ma di una linea difensiva tracciata dai Bizantini a metà del versante Appenninico, dalla Liguria alle Marche, con lo scopo di difendersi dal lato toscano sia dai Goti che dai Longobardi. Nel catalogo vengono indicate le più importanti località di questa linea difensiva, Ferronianum, Montebellum, Bobbio, Urbinium e un non meglio identificato oppidum Verona.
Uno di questi toponimi interessa da vicino la presente ricerca: Montebellum, che da tutti gli studiosi moderni viene collegato per motivi fonetici a Monteveglio di Bologna. Unico significativo dissenso è quello del Mommsen (19): a parere dell’autorevole studioso era più giusto collegarlo al Monteveglio di Cesena. Del resto Monteveglio di Bologna non è forse il collegamento ideale: infatti questa cittadina si trova nell’alta pianura, a 114 metri sul livello del mare, una altezza che mal si addice ad uno fortezza che doveva trovarsi a “mezza costa”, perciò molto più in alto. Si può peraltro avanzare una terza ipotesi, confortata da motivi di ordine semantico, cioè che Montebellum si possa piuttosto identificare con Monte Battaglia (dato che lat. bellum significa “guerra”), una località esistente nel crinale fra le valli del Senio e del Santerno. E non è improbabile che lo stesso Monte Battaglia corrisponda al K[Càstron Baraktelìa] riportato da Giorgio Ciprio (20) nell’elenco dei castra Bizantini: la consonanza fra i due termini può giustificare un’etimologia popolare.
Arriviamo così al periodo longobardo e vediamo la situazione dei confini, premettendo che, come dice il Diehl (21) vi è al riguardo molta indeterminatezza. Diamo la parola alle fonti: il primo ricordo di un confine fra le terre occupate dai Longobardi (Longobardia) e dai Bizantini (Esarcato), è riportato nel Liber Pontificalis (22), dove si legge che la linea Luni-Monselice formava un designatum confinium; la data è incerta ma si presume che risalga agli anni 600-602. Verso il 640, i Longobardi cercano di conquistare l’Esarcato ma vengono fermati al fiume Panaro, che scorre tra Modena e Bologna delimitandone i territori. Per secoli questo confine tra le due città, benché si trovi più volte ubicato altrove, sarà dai cronisti e commentatori antichi considerato il confine “ufficiale” fra Longobardia ed Esarcato, poi Romandiola, poi Romagna.
Difficile spiegare le ragioni di una persuasione così radicata. Una potrebbe essere che i cronisti medioevali si documentavano per lo più sulle cronache Altomedioevali (Paolo Diacono, Procopio, l’Agnello Ravennate, ecc.), oppure, rischiando errori ancor più gravi, davano credito alle numerose donazioni, a privilegi, conferme, riconoscimenti, ecc., molti dei quali sono poi risultati falsi. Lo stesso Dante (Purg. XIV), intendendo definire il confine della Romagna, lo colloca fra ”il Po e il monte e, la marina e il Reno”. Fatto sta che fino al XV secolo vi furono geografi e storici che esprimevano ancora tali convincimenti.
Ritornando ai Longobardi, verso il 727 Liutprando cerca ancora una volta di conquistare l’Esarcato e Paolo Diacono (23), descrivendo l’impresa, afferma che egli riuscì a conquistare molte città esarcali, fra cui Bologna ed il “ducato di Persiceto”; non ricorda invece Imola. Ancora Paolo Diacono (24) attesta che Ildebrando, nipote di Liutprando, nel 733 arrivò a conquistare Ravenna ma venne respinto e per poco non perse Bologna; anzi l’avrebbe sicuramente persa se in tale occasione non fosse stato aiutato da tre personaggi. Walcari, Peredeo e Roctari, a cui il cronista attribuisce la qualifica di Duchi. Da queste due testimonianze si evincono alcune notizie importanti: che per l’appunto il confine era assestato ad Est di Bologna e a Ovest di Imola, che a tale confine arrivava il ducato di Persiceto, cioè terre di proprietà di duchi: ed è appena il caso di ricordare che a Ovest del Sillaro, e cioè in Emilia, c’erano i Ducati, mentre a Est del Sillaro, cioè in Romagna, c’erano le Signorie, cioè, in altri termini, il Sillaro segna anche il confine fra i Ducati emiliani e le Signorie romagnole. Ed è proprio dall’ubicazione di detto ducato che abbiamo la possibilità di determinare dove era esattamente il confine in tale periodo. Abbiamo già visto che questo ducato fu conquistato nel corso dell’avanzata del 727; ebbene, un documento, di data incerta ma non successivo al 744 (25), conferma che il confine longobardo era segnato dal “limes Persiceti” e da una donazione di Giovanni Duca al monastero di Nonantola (26) dell’anno 776, si apprende che in detto ducato vi era la “silva maior”, (che si trovava a cavallo della via Emilia fra Imola e Bologna), un “Petricolo”, (San Martino in Pedriolo), e un“Lignano” (Liano frazione di Castel San Pietro Terme). Degli stessi possessi, ricordati nel 1072 (27), faceva pure parte “Monte Sceleri”, (Monte Cerere, località esistente nell’alta valle del Sillaro). Alla luce di questi documenti si può ipotizzare che il confine orientale del ducato di Persiceto fosse segnato dal fiume Sillaro, anche se, di fatto, i confini in questa zona appaiono talora aleatori; infatti da alcune testimonianze indirette si apprende che per un certo periodo il confine fra Longobardi e Bizantini è stato segnato pure dal corso dei fiumi Senio –Santerno. Nell’anno 743, epoca di Papa Zaccaria, dice il cronista della sua vita (28) che in un viaggio da Ravenna alla volta di Pavia, la prima città che egli incontrò appena entrato in territorio Longobardo fu Imola. Altra testimonianza: nell’anno 755 Stefano II proveniente dalla Francia per la via Emilia, oltrepassata Imola entra nelle terre Esarcali (29).
Nel periodo a cui si riferiscono queste testimonianze il confine doveva trovarsi ad Est di Imola; e si può cercare di localizzarlo con maggiore esattezza.
Data l’esistenza, nel crinale fra le vallate del Senio e Santerno, della fortezza di Monte Battaglia, di cui è stata sottolineata l’importanza storica (30), si può ipotizzare questo tracciato: crinale dalla parte montana fino alla via Emilia (difeso dai castelli di Monte Battaglia, di Limisano e Limadiccio), poi proseguimento in pianura lungo un tratto della via Longa (31) (difeso dal castello di Limitealto) ed il corso antico del Santerno-Senio che, come è noto, passava vicinissimo a Bagnacavallo.
Una conferma che questo tracciato poteva corrispondere al limes è costituita dal fatto che esiste in loco il noto forestum magnum (32), una vasta area delimitata dal corso antico del Senio-Santerno, che nel 744 Liutprando donò alla chiesa Faentina: come è evidente, se questo territorio non fosse stato lon-gobardo non avrebbe potuto essere donato da Liutprando.
Questo confine non può aver durato a lungo, molto più a lungo deve essere stato invece segnato dal Sillaro, in caso contrario sarebbe difficile spiegare le differenze culturali fra i territori delimitati da questo fiume, differenze che non si riscontrano nel Senio –Santerno e tanto meno in corrispondenza di altri corsi d’acqua. Si pensi anche solo alla misurazione delle terre: al di là del Sillaro veniva fatta con la pertica longobarda di 12 piedi, mentre al di qua si usava la pertica romana di 10 piedi (33).
Di questo importante confine che in base ai dati di fatto si può considerare sicuramente esistente in epoca longobarda, sono state trovate alcune tracce archeologiche (34).
Ben presto infatti, Bologna, diversamente da Imola, verrà, in molti documenti, ricordata come città “Longobarda” (cioè facente parte della “Longobardia” e non dell’Esarcato): stando al Privilegio di Berengario del 905 (35) Bologna fa parte del Regno Longobardo; nell’anno 962 Leone VIII dona ad Ottone I le terre Esarcali (36), e fra le varie città vi è Imola ma non Bologna; nel Concilio del 967 il vescovo di Bologna Adelberto si trova insieme ai vescovi emiliani (37); nel 980, sotto lo stesso vescovo, la stragrande maggioranza della popolazione di Bologna è longobarda (38); nel 999 i presuli ravennati detengono il dominio sopra un territorio che si estendeva dall’alto imolese al mare (39), dominio già a suo tempo riconosciuto a loro da Ottone III; nel concilio di Guastalla del 1106 (Mansi XX 1209), Bologna si trova con le diocesi emiliane; nel 1114 viene eletto Papa Lucio II che, essendo nato a Bologna è detto “longobardo” (40); e “longobarda” è detta la società d’armi che si trovava a Bologna già nel 1174 (41); come pure era chiamata “longobarda” la città di Bologna nella bolla papale del 1262 (42).
Che il Sillaro è il “naturale” confine della Romagna lo si può bene apprendere passando in rassegna i secolari confini fra Imola e Bologna (43), e i rispettivi confini Romani, Diocesiani e di contado (44). Se vi sono dei dubbi in merito alla dipendenza dall’Esarcato o dalla Longobardia di Imola e Bologna nei primi secoli del secondo millennio, grazie alla documentazione fornita dai vari censimenti questi dubbi scompaiono: si tratta del Liber Fumantorum Comitatus Imolae (“Estimo del contado di Imola”) (1265) e della Descriptio Romandiole (“Descrizione della Romagna”) del Cardinale Anglico (1371), che, se la si confronta con la Descriptio civitatis Bononiensis eiusque comitatus (“Descrizione della cittadinanza bolognese e del suo contado”) dello stesso autore, consente di rilevare i confini fra questi due territori; e si potrà ancora una volta constatare che li divideva il Sillaro.
Abbiamo detto che Dante aveva definito i confini della Romagna riferendosi al periodo esarcale; ma sempre Dante ha ritenuto opportuno descrivere anche quelli vigenti ai tempi suoi: nel canto XXVII del l’Inferno cita infatti le sette città romagnole Imola, Faenza, Ravenna, Cervia, Forlì, Cesena e Rimini, cioè la Romagna attuale. Innumerevoli sono in questo periodo i documenti attestanti che il Sillaro è diventato un confine consolidato sia fra le Legazioni romagnola e bolognese, che fra Imola e Bologna; fra gli altri si può menzionare l’affermazione di Papa Sisto IV il quale nel 1475 dichiarò che ”tale confine doveva seguire il corso del Sillaro”. (45).
Siamo arrivati così alla fine del periodo preso in esame; per la situazione nei secoli successivi non resta che dare uno sguardo alla cartografia iniziando dalla Romagna olim Flaminia (“Romagna un tempo Flaminia”) del Magini (anno 1589) e via via tutte le altre per rendersi conto che il confine è sempre e solo il Sillaro. Un vistoso cambiamento di confine viene deciso nel 1859: il circondario di Imola, dalla provincia di Ravenna, viene assegnato alla provincia di Bologna. Ma nonostante ciò il Sillaro rimane l’unico ed il vero confine della Romagna.
Nel corso di questa ricerca abbiamo ricordato varie tipologie di confini: naturale, storico, geografico, politico, antropologico, etnico, culturale; è doveroso menzionare almeno quello linguistico, e, almeno di passata, segnalare quello costituito dalla densità degli insediamenti umani, un confine poco noto ma non per questo meno importante perché sicuro retaggio di antiche vicende che hanno lasciato un segno lungo il corso del Sillaro (46).
Concludendo: sarebbe interessante conoscere le ragioni per cui un così piccolo corso d’acqua, quasi un fosso, ha per quasi 3000 anni segnato il confine di queste due aree. Questo interessante argomento è oggetto di ulteriori approfondimenti nel libro che sto scrivendo dal titolo La Romagna e i Romagnoli.

Note
(1) Cfr. L. Gambi, Confini geografici e misurazione reale della regione romagnola, in “Studi Romagnoli”, 1950, pp.191-196; E. Rosetti, La Romagna, 1894; P. Fabbri, Profilo storico dei confini della Romagna, in “La piê”, 1999, pp.33-40; G. Sgubbi, La Romagna: gente e confini, in Studi Solarolesi ed altri scritti di varia antichità, 2002, pp.5-7.
(2) Progetto di legge: Romagna, identificazione della sua storica delimitazione, 2002.
(3) In questa ricerca si prenderà in esame solamente il tratto di confine segnato dal corso del Sillaro, facendo presente che in antico questo fiume confluiva nel Reno più a Sud; infatti Sesto Imolese si trovava in Romagna.
(4) R. Balzani, La Romagna, 2001. L’autore ha cercato di dimostrare, con scarso successo, l’inconsistenza della Romagna come regione.
5) G.B. Comelli, Sui confini naturali e politici della Romagna in A.D.S.P. Romagna 1907; A. Vesi, Ragionamento intorno ai veri confini della Romagna, 1845.
(6) G.B. Comelli, op. cit., p. 6.
7) R.G. Lucchi, Le origini geologiche della Romagna, 1987 p. 1.
(8) P. Zangheri Il posto della Romagna nel quadro della biogeografia in “Studi Romagnoli” 1950 p. 347.
(9) Per la conoscenza di questo confine naturale si veda pure A. Ruggeri, Gli ultimi capitoli della storia geologica della Romagna in “Studi Romagnoli”, 1950, pp 303-312.
(10) G.E. Mansuelli, Formazione delle civiltà storiche nella pianura padana orientale. Aspetti e problemi in “Studi Etruschi”, 1965, pp. 27-28.
(11) G. Bermond Montanari, Gli studi sulla protostoria dell’Appennino romagnolo da L.B. Ugolini ad oggi in L’archeologo scopre la storia, “Quaderni bertinoresi”, 1996, p. 27.
(14) N. Alfieri, Alla ricerca della via Flaminia “minor” in “Rend. Accad..Sc. Ist. Bologna” 1975-76, pp. 51-67.
(15) G. Susini, Sulla via Flaminia II in A.A.V.V. Studi in memoria di Fulvio Grosso, 1981, p. 603.
(16) M. Bollini, Semirutarum Urbium Cadavera in “Rivista Storica dell’Antichità”, 1971, p. 163. Esiste una testimonianza riguardante la possibilità che sia Faenza che Imola facessero parte della giurisdizione milanese, ma non è da tutti accettata.
(17) Zozimo, Historia Romana V 36. (18) Notitia Dignitatum Occidentis XLII 61..
(19) A. Benati, La provincia delle Alpi Appennine, un faticoso problema storiografico, in A.D.S.P. Romagna, 1978-1979, p.119.
(20) P.M. Conti, L’Italia Bizantina nella “descriptio Orbis Romani” di Giorgio Ciprio in “Mem. Accad. Lunigianesi di Scienze G. Cappellini”, 1970, pp 1-17. (La consulenza per i testi latini e greci è della prof. Edi Minguzzi, n.d.A).
(21) C. Diehl, Etudes sur l’administration Bizantine dans l’ésarcat de Ravenne, 1886, p. 54.
(22)Liber Pontificalis ed. Duchesne, I p. 498.
(23)Paolo Diacono, Hist. Lang. VI 49, ed. Waitz.
(24)Paolo Diacono, Hist Lang. VI 54.
(25)Agnello, Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis ediz. Holder–Hegger; Vita dell’arcivescovo Sergio, p. 380.
(26)A. Gaudenzi, Il monastero di Nonantola, il ducato di Persiceto e la chiesa di Bologna in (22) “Bullettino dell’istituto storico italiano”, 1901, p. 19.
(27) A. Benati, I confini altomedioevali fra Imola e Bologna in “Studi Romagnoli”, 1975, p. 52.
(28) A. Simonini, Autocefalia ed Esarcato in Italia, 1969, p. 144.
(29) O. Bertolini, Sergio arcivescovo di Ravenna ed i Papi del suo tempo in “Studi Romagnoli”, 1950, p. 54.
(30) G. Fasoli, Alla ricerca di un toponimo in A.A.V.V. Monte Battaglia, Giornata di studi 21 luglio 1973, p.1 ss.; G. Sgubbi, Alla ricerca del toponimo Quinto dove nel 536 fu ucciso il re dei Goti Teodato in “Bollettino Camera di Commercio Ravenna”, luglio-settembre 2002. Circa l’epoca in cui si sarebbe svolta la battaglia a cui allude il toponimo, la Fasoli propone il combattimento del 542, che ebbe come protagonista il goto Totila. Da parte mia invece avevo ipotizzato una battaglia avvenuta nel 536 nel corso della quale sarebbe stato decimato l’esercito di Teodato; a questo punto mi pare che si possa aggiungere anche una possibile battaglia fra Longobardi e Bizantini.
(31) Vi sono buone ragioni per ritenere che il percorso via Longa–crinale Senio–Santerno corrisponda al tragitto terrestre ricordato nel Periplo dello Pseudo Scilace. Cfr. G. .Sgubbi, Solarolo dalla più remota antichità all’anno mille, 1992, pp. 21 ss.; G. Sgubbi, Alla ricerca del tesoro di Spina nel santuario greco di Delfi, 2001, pp. 11-13; G. Sgubbi, Studi Solarolesi ed altri scritti di varia antichità, 2002, pp. 3-5.
(32) G. Pasquali, Dal “magnum forestum” di Liutprando ai pievati del duecento. Ricerche e studi, 1993.
(33) V. Fumagalli, I luoghi della agricoltura in A.A.V.V. Le sedi della cultura in Emilia Romagna, “Altomedioevo” 1983, p. 106.
(34) A Palmieri, Un probabile confine dell’esarcato di Ravenna nell’appennino Bolognese in A.D.S.P. Romagna 1913 p. 38-59.
(35) A. Vicinelli, L’inizio del dominio pontificio in Bologna in A.D.S.P. Romagna, 1920-1921, p. 23.
(36) ibid., p. 348
(37) ibid., p. 65.
(38) ibid., p. 224.
(39) N. Graziani, La Romagna regione storica d’Italia, 2002, p. 8.
(40)G.B. Comelli, op. Cit., p. 11
(41)ibid., p. 12.
(42)ibid., p. 14.
(43)A. Benati, I confini altomedioevali fra Imola e Bologna “Studi Romagnoli”, 1975, pp. 35-63.
(44)G.F. Cortini, La diocesi d’Imola in ” Forum Corneli “, 1931, pp. 2-9.
(45)G. .Magnani, Sesto Imolese tra cronaca e storia, 1994, p. 7.
(46) P. Fabbri, Profilo storico dei confini della Romagna in “La Piè”, 1999, pp. 33-40.


Nell'immagine, il fiume Sillaro, che segna il confine naturale tra l'Emilia e la Romagna.Documento inserito il: 18/12/2014
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