Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, storia contemporanea: Brigantaggio post-unitario: guerriglia sociale od opposizione straniera alla nascita della nazione italiana?
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Brigantaggio post-unitario: guerriglia sociale od opposizione straniera alla nascita della nazione italiana?

di Francesco Caldari


Il processo di costituzione della nazione italiana ebbe inizio nel 1815, allorquando il Congresso di Vienna restaurò le vecchie dinastie che governavano gli Stati della penisola e delle isole, ristabilendo l'antico regime. Le tappe principali della connessione tra volontà di espansione del Regno di Savoia ed i sommovimenti risorgimentali patriottici e nazionalisti si identificano: nei moti del 1848 (Repubblica Romana e Repubblica di Venezia), nell'impresa dei Mille (che liberò il Regno delle Due Sicilie dal dominio borbonico ed a seguito della quale lo spodestato Francesco II si ritirò con la sua Corte nella fortezza di Gaeta, sino al 14 febbraio 1861, allorquando riparerà a Roma), passando per la proclamazione del Regno d'Italia e del Re Vittorio Emanuele (17 marzo 1861, capitale Torino) e giungendo a compimento nel 1870, allorquando le truppe italiane presero possesso di Roma proclamandola nuova capitale, ponendo fine al potere temporale del Papa.
Dopo la conquista del Meridione d’Italia, nel ’60 si sviluppò per circa un decennio soprattutto in Campania, Basilicata, Puglia, un fenomeno di lotta armata denominato “brigantaggio”, non nuovo come mero profilo criminale in quelle regioni, che assunse ora una forma politica di contrasto guerrigliero al nuovo regime dei Savoia.


Il brigantaggio post-unitario

I problemi dell’unificazione del Paese sono molti e complessi. Le terre conquistate dai Savoia sono ad economia prevalentemente agricola, caratterizzata da una proprietà semifeudale e da una notevole arretratezza tecnica. La situazione del Mezzogiorno, se possibile, è ancora più drammatica: parte della popolazione è formata da masse contadine che vivono in grotte o capanne di sterpi e fango, perseguitate dalla malaria e costrette al giogo di proprietari terrieri che sono di fatto dei feudatari.
Il brigantaggio – inteso come criminalità banditesca basata su sequestri di possidenti a scopo di estorsione e taglieggiamenti lungo le vie di comunicazione da parte di banditi – era usuale nel Sud. Come scrive l’italo-svizzero Marco Monnier nella sua opera coeva: “in queste contrade vi furono sempre briganti. Aprite le storie, e ne troverete sotto tutti i Regni, sotto tutte le dinastie. [...] Tutto favoriva il brigantaggio, e la stessa configurazione del Paese, coperto di montagne e le idee del Governo, che di quelle montagne non si dava cura, né gli apriva gallerie, né vi tagliava strade”. Sui motivi della nascita del fenomeno post-unitario gli studiosi sono concordi; alcune cause si ritrovano nei corsi e ricorsi storici di quelle terre: “la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche e secolari ingiustizie”, come dirà l’onorevole Giuseppe Massari nella sua relazione a seguito dei lavori della Commissione Parlamentare appositamente costituita nel 1863. Ovvero: “un mezzo di salvezza ed un mezzo di riabilitazione" come suggerirà il politico lucano Francesco Saverio Nitti, giacché tra quanti si davano al brigantaggio molti lo facevano solo per avere l’opportunità di vendicare un torto subito precedentemente da qualche compaesano, ovvero per brevi periodi di mancata diversa occupazione.
Altra ragione è legata a quel momento storico, ovvero lo scoramento di non vedere risolti anche solo parzialmente dal nuovo Governo i problemi che attanagliavano le regioni del Sud. Anzi, la sensazione da parte di quelle popolazioni di avere a che fare con l’ennesima forza occupante. Rilevante importanza ebbe una spinta esogena, proveniente dallo spodestato monarca, che si fuse con la volontà delle classi abbienti locali e del clero (“terrorizzato dall’aggressività liberale e direttamente colpito dalle leggi sul suo patrimonio” come scrive il giornalista Salvatore Scarpino) di mantenere i privilegi messi in pericolo dal nuovo regime piemontese. A sostenere il Borbone – in un quadro di relazioni internazionali di interessi politici ed economici degli Stati in rapporto alla formazione di un singolo Stato unitario nella penisola italiana – soprattutto l’Austria asburgica, ma anche Francia, Spagna e, in misura minore quando non marginale, Belgio, Prussia e Svizzera. Paesi a regime conservatore, condizionati da un forte partito clericale (in particolare “la monarchia asburgica […] interessata ad ostacolare ogni ulteriore affermazione in Europa del principio di nazionalità, considerato una diretta minaccia alla integrità territoriale del suo impero”, come suggerisce Luigi Tuccari), le cui iniziative andarono dall’ arruolamento di volontari, alla raccolta di armi e somme di denaro, a sbarchi sulle coste meridionali italiane che videro in vari ruoli la partecipazione di esponenti della nobiltà e del clero, avventurieri, ex militari, mercenari. Come annota Marc Monnier: “Napoli divenne il punto di mira di tutta l’Europa legittimista, la quale sperò un momento di riacquistare le province meridionali e l’Italia”.
Tra le terre del Sud le più favorevoli condizioni al generarsi, crescere e mantenersi del fenomeno si svilupparono sia nelle aree contermini alla frontiera pontificia, che soprattutto in Basilicata, che era “una terra - dice Francesco Saverio Nitti - molto grande […] non ha città fiorenti, né industrie, la campagna è triste e gli abitanti sono poveri”. Le campagne brigantesche lucane si svolsero nell’aprile e nel novembre 1861, e videro come protagonisti nella veste di “regista” il filoborbonico De Langlois, alle dipendenze del Generale Clary, segretario del Comitato Legittimista Romano degli spodestati Borboni, e quali operativi sul terreno, prima il solo indigeno Carmine Donatelli Crocco e quindi nella seconda campagna il capo “cafone” dei briganti ed il Generale catalano José Borjes, ingaggiato da Clary per la bisogna. Questi al momento dell’ingaggio aveva fornito all’iberico chiare istruzioni sul da farsi: avrebbe dovuto partire in nave da Marsiglia (che era uno dei principali centri legittimisti in Europa, in una rete che si sviluppava a Londra, Parigi, Tolone, Malta, Trieste fino a Costantinopoli), fornendo mediante telegramma “cifrato” la data precisa (l’indirizzo ed il testo concordato erano: “Signor Langlois, 2, via della Croce [Roma, ndr] – Giuseppina gode sanità, si rimette, parte il giorno …”), per giungere sulla costa calabra, dove ad attendere Borjes ed il suo Stato Maggiore sarebbero dovuti esser pronti 300 uomini, che però il generale … non trovò!
Avventura per certi versi parallela fu quella di un altro ufficiale catalano carlista, Rafael Tristany y Parera, il quale a sua volta si pose al servizio di Francesco II di Napoli, che lo nominò addirittura feldmaresciallo. Affiancò in Terra di Lavoro ed in Ciociaria il brigante Luigi Alonzi, detto Chiavone, con il quale ebbe fortissimi contrasti, che portarono infine alla uccisione di quest’ultimo.
È opportuno rammentare che Il Carlismo era un movimento politico conservatore di stampo cattolico-tradizionalista, che sorse in Spagna per difendere il diritto al trono dei discendenti di Carlo Maria Isidoro di Borbone-Spagna, primo pretendente carlista al trono di Spagna. Il movimento – il cui motto era “Dio-Patria-Re” - si caratterizzava per la difesa dei valori tradizionali, della religione cattolica e della monarchia assoluta.
Per altro a presentarsi alla Corte borbonica in esilio erano anche truffatori e megalomani: un albanese, sedicente discendente del principe Scanderberg, offrì i suoi servigi proponendo d’arruolare centinaia di albanesi e farli sbarcare in Italia.
Tornando a Crocco, questi, già soldato borbonico e garibaldino, fu prescelto da un Comitato Legittimista locale come capo della rivolta alla testa di 400-500 tra contadini e soldati sbandati del disciolto esercito di Francesco II, armati con fucili e pistole delle più varie provenienze, baionette, coltelli da macellaio, scuri e ronche. La sua scorribanda gli consentì la conquista di numerosi paesi nella provincia di Potenza, ove veniva via via proclamato Re il Borbone, ben presto terminando la sua prima avventura con lo scioglimento delle bande. Il solo parziale successo indusse i borbonici come abbiamo visto poc’anzi ad inviare sul posto il più appropriato generale Borjes, vero capo militare, accolto con riluttanza da Crocco, che comunque si associò e pose a disposizione i suoi uomini. Anche tale avventura dopo un mese di vittorie e conquiste locali, si concluse, stavolta con la fuga e l’uccisione di Borjes a Tagliacozzo, ad opera dei bersaglieri che erano sulle sue tracce mentre questi tentava di raggiungere lo Stato Pontificio.
La Commissione Parlamentare di Inchiesta guidata dall’onorevole Massari del 1863 ebbe il compito di riferire sulle cause e lo stato del brigantaggio in quelle che venivano indicate come “province napolitane”, e di suggerire provvedimenti per la repressione sul piano militare. La conseguente Legge Pica – la numero 1409 del 15 agosto 1863 – si può definire come la prima legislazione speciale italiana (rimase in vigore fino al 31 dicembre 1865): introdusse il reato di brigantaggio, i cui trasgressori sarebbero stati giudicati dai tribunali militari, e contemplò il reato di camorrismo, il "domicilio coatto" e – soprattutto – il “pentitismo”, premiando la delazione, l’abbandono del brigantaggio e la collaborazione con lo Stato sabaudo. Le pene comminabili andavano dalla fucilazione, ai lavori forzati a vita, ad anni di carcere. Anche grazie alla legge, all’inizio del 1864 il brigantaggio cominciò a perdere forza. Da una parte la ricca borghesia terriera conservatrice venne assimilata al potere centrale. Gli esponenti riconobbero infatti il nuovo ordine politico ed entrarono a far parte della classe dirigente, conquistando le posizioni di potere preesistenti. Dall'altra parte le forze di repressione militari e di pubblica sicurezza utilizzarono metodi di combattimento antiguerriglia nonché legislativi e tecnico-operativi più idonei, per i quali si distinse il Generale Emilio Pallavicini di Priola, che sarà poi definito “il vincitore del brigantaggio”.
Il brigantaggio post-unitario fu un triste capitolo della Storia Patria, non così ricco di interesse per gli studiosi contemporanei tranne poche eccezioni, che generò una inchiesta parlamentare, l’invio in quelle terre di un Corpo di Spedizione che raggiunse il numero di novantamila e più soldati, la prima legge nazionale sul "pentitismo” a firma dell’onorevole Pica, e che ebbe un numero di caduti – calcolato in 8.000 soldati - più alto rispetto a quello dei morti di tutte le altre guerre del Risorgimento, complessivamente considerate, mentre rimane non calcolato il numero di caduti nelle file dei briganti.


Nell'immagine, uno dei capi briganti più famosi: Carmine Crocco.


Bibliografia

A. Albònico, La mobilitazione legittimista contro il Regno d’Italia, Milano, Giuffrè, 1979
A. Facineroso, Le dimore del tempo sospeso - L’esilio borbonico nel primo decennio dopo l’Unità, Tesi di dottorato, Università di Catania, 2011
M Monnier, Brigantaggio storia e storie, Ed. Osanna, Venosa (PZ), 1987
M. Monnier, Notizie storiche sul Brigantaggio nelle province napoletane, G. Barbera Editore, Firenze, 1862
F.S. Nitti, Eroi e briganti, Ed. Osanna, Venosa (PZ), 1987
C. Pinto, Il brigante e il generale. La guerra di Carmine Crocco e Emilio Pallavicini di Priola, Laterza, Bari, 2022
S. Scarpino, La guerra “cafona”, Boroli Editore, Milano, 2005
L. Tuccari, Brigantaggio postunitario. Il legittimismo europeo a sostegno della reazione nel napoletano, in «Rassegna Storica del Risorgimento», LXXV, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma, 1988


Sitografia

http://www.carosotti.it/didattica-storia/relazione-massari-brigantaggio/
https://archivio.camera.it/inventari/profilo/commissione-d-inchiesta-sul-brigantaggio-1862-novembre-29-1863-luglio-23
https://www.historiaregni.it/le-istruzioni-di-clary-a-borjes/
https://www.mezzogiornoerisorgimento.it/falso-mito-della-causa-legittimista/
Documento inserito il: 18/11/2023
  • TAG: Brigantaggio post-unitario, Carmine Donatelli Crocco, Emilio Pallavicini di Priola, Josè Borjes, Rafael Tristany

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