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Italia: interventisti e neutralisti

All’inizio delle ostilità, l’Italia dichiarò, la propria neutralità, ma il Paese era diviso in due schieramenti opposti: gli interventisti ed i neutralisti. Il primo schieramento era diviso al suo interno in diverse correnti: a destra vi erano i nazionalisti, che vedevano nella guerra l’unico modo per fermare il dilagante socialismo; a sinistra i repubblicani, che erano convinti che soltanto sconfiggendo l’impero austro-ungarico si potesse creare un’Europa composta da Stati sovrani e indipendenti, ed i socialisti riformisti che, con i sindacalisti rivoluzionari, vedevano con sospetto il militarismo dell’impero tedesco; in ultimo una corrente liberale, che riteneva fondamentale riunire all’Italia Trieste e Trento, ed una corrente cattolica, l’unica a ritenere che si dovesse intervenire a fianco dell’impero asburgico, cattolico e conservatore. Un ruolo a parte l’ebbero alcuni artisti, molti dei quali appartenenti al movimento Futurista.
Anche nello schieramento neutralista esistevano varie componenti: i socialisti, che rappresentavano soprattutto la classe operaia del Paese, i cattolici, radicati soprattutto nelle campagne, ed un’altra corrente liberale facente capo a Giolitti, che rappresentava ampi strati della borghesia, la quale temeva che una guerra avrebbe potuto creare le condizioni per una rivoluzione. Mentre il Governo guidato da Salandra prendeva accordi segreti con i rappresentanti di Gran Bretagna, Francia e Russia, nelle piazze italiane, noti personaggi interventisti tenevano i propri comizi. Con il loro linguaggio acceso, che sfiorava in alcuni casi l’invettiva, essi facevano leva sul nazionalismo e sul militarismo per conquistare ala propria causa i piccolo-borghesi e gli studenti. In quest’opera di convinzione, si distinse in modo particolare Gabriele D’Annunzio, soprannominato il poeta-soldato. Nell’aprile del 1915, l’Italia stipulò con le potenze della Triplice Intesa gli Accordi di Londra, che prevedevano in caso di vittoria, la consegna all’Italia delle città di Trento, Trieste e Gorizia, dell’Istria, della Dalmazia Settentrionale, del porto albanese di Valona in Albania, delle isole egee del Dodecaneso e di alcune colonie tedesche in Africa. Come rappresentante di maggior spicco della corrente neutralista in Parlamento, il 13 maggio del 1915, il capo del Governo, Salandra, presentò al re le proprie dimissioni.Davanti alla nuova ondata di manifestazioni di piazza organizzate dagli interventisti, che presero poi il nome di radiose giornate di maggio, i neutralisti non riuscirono a fornire una risposta adeguata; perfino Giolitti rifiutò di assumere la carica di capo del Governo, tanto che il re investì nuovamente della carica il dimissionario Salandra. Il 24 maggio, sull’onda dell’entusiasmo popolare, l’Italia diede inizio alle ostilità contro l’Austria-Ungheria. Malgrado le incertezze del Partito Socialista, che da un lato si dichiarava contrario al conflitto, ma dall’altro non faceva nulla per osteggiarlo, i militanti e la gran parte dei suoi dirigenti, continuavano a rimanere ostili all’entrata in guerra dell’Italia. L’ostilità al conflitto aumentava con l’aumento dei morti e dei feriti da questo procurati e si manifestò in maniera evidente nelle violente manifestazioni contro la guerra che si ebbero a Torino nella seconda metà del 1917. Il papa, Benedetto XV fu contrario al conflitto fin dall’inizio, e fino all’ultimo tentò di ricondurre alla ragione i capi delle potenze europee che si accingevano a risolvere con le armi le proprie divergenze. Quando il 24 ottobre 1917 l’esercito italiano subì lo sfondamento del fronte nel settore di Caporetto, il generale Luigi Cadorna, comandante in capo delle forze armate, non trovò di meglio che scaricare la colpa del rovescio militare sulle spalle dei socialisti e dei cattolici, responsabili secondo lui di aver diffuso il disfsattismo tra le file dell’esercito e nel Paese, accusando i soldati di viltà, senza tener conto che a causa dei suoi errori, qurantamila soldati italiani erano morti nell’estremo tentativo di arginare il nemico dilagante, mentre altri trecentomila erano stati catturati. Un nuovo governo che fece appello all’unità nazionale e la sostituzione di Cadorna con il generale Armando Diaz, permisero all’Italia, con il nemico ben dentro al territorio nazionale, di trovare la necessaria coesione per poter affrontare nella giusta maniera i successivi e vincenti sviluppi bellici. La fine del conflitto, vide i due scheramenti degli interventisti e dei neutralisti, ancora sulle loro posizioni, che sotto certi aspetti si erano perfino più radicalizzate. Gli accordi di pace non avevano dato all’Italia tutti i territori promessi, tanto che i più accesi nazionalisti parlavano di pace mutilata. I neutralisti definivano invece la guerra appena conclusa e che era costata la perdita di circa dieci milioni di esseri umani, come un’inutile strage, accusando gli interventisti di aver trascinato l’Italia in un conflitto non voluto dalla maggior parte della popolazione e del Parlamento. A questa accusa, gli interventisti tacciavano gli avversari di disfattismo. In particolare due personaggi dominarono la scena dalla parte interventista: Gabriele d’Annunzio, il Vate e l’ex direttore del quotidiano socialista, l’Avanti, Benito Mussolini.


Nell'immagine, il poeta-soldato Gabriele D'Annunzio, uno dei massimi sostenitori dell'intervento dell'Italia a fianco delle potenze dell'Intesa.
Documento inserito il: 25/11/2014

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