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Astronomia, scienza e cultura nell’Alto Medioevo: Alcuino di York e la rinascita carolingia del IX secolo

di Davide Arecco


Miti celesti in Inghilterra e in Francia all’epoca di Carlo Magno

Quando si recita la preghiera del «Padre nostro, che sei nei cieli», se il cristiano alza gli occhi in direzione del cielo notturno, ancora oggi lo scopre abitato, in larga parte, da costellazioni pagane: le due Orse, il Serpente, Ercole, la Corona, la Lira, le Pleiadi – nel Settecento la dimora di Dio negli spazi siderali, secondo Herschel, il maggiore astronomo anglo-tedesco del XVIII secolo – in tutto, una quarantina di figure mitologiche, trapiantate nel cosmo del nostro sistema solare, ognuna delle quali trova la sua origine nelle vicende talora complesse degli dei antichi: Zeus, Poseidone, Hermes, Apollo, Dioniso, Atena ed Afrodite. Esse finiscono per disegnare una geografia celeste che rimonta, perlomeno, al matematico greco Eudosso di Cnido, vissuto nel IV secolo a.C., e tra i primi fautori del modello geostatico dell’universo. Si tratta quindi, in sostanza, del cielo degli astronomi classici, Tolomeo compreso. Nella storia, tuttavia, la trasmissione di tale mappa celeste non si è presentata in veste di processo lineare e continuo. Da tale punto di vista, l’epoca carolingia del IX e X secolo ha rappresentato, nell’Occidente cristiano e latino, una fase storica assai critica. Nel rifiorire, infatti, di studi matematici ed astronomici, sopravvissuti all’antichità, la conoscenza delle costellazioni di età classica (ed ellenistica), rimasta ai margini del sapere scientifico, nei primi secoli dell’era cristiana, fu oggetto tra Francia ed Inghilterra di ampia ripresa e diffusione, oltrepassando e mettendo persino da parte la tradizionale avversione della nuova fede in Cristo verso le mitologie celesti pagane. Un corpus – da qui il plurale – estremamente vario, composito e sfaccettato, a cavallo tra l’astronomia e retaggi religiosi cristianizzati talvolta non senza fatica e salti mortali sul piano teologico.
E’ la storia ricostruita da un recente e bellissimo libro di Anna Santoni, il cui racconto ci porta per mano nei monasteri del regno dei Franchi: qui un poema astronomico come i Fenomeni di Arato di Soli, commentato e tradotto in latino, circolò diffusamente, presso la cerchia dei dotti – eruditi e teologi, monaci e chierici –, offrendo informazioni e notizie astronomiche, recuperate ed inserite nei quadri della cultura enciclopedica che, proprio durante l’Alto Medioevo cristiano, cominciava piano piano a delinearsi e prendere piede, in area monastica. A partire dal X secolo, gli studiosi di scienza dei cieli ricavarono e svilupparono, dalla tradizione aratea, la quale fornì un ingente contributo alle conoscenze celesti dell’epoca carolingia, svariati elementi: la descrizione delle figure, il catalogo di stelle e astri, la loro posizione reciproca nella volta celeste di un cosmo inteso ancora come chiuso e finito, nonché i rimandi ai miti classici, che mantenevano intatto nel cielo studiato dagli astronomi il ricordo incancellabile del potere delle antiche divinità. Pertanto, anche in astronomia, paganesimo e cristianesimo si incontrarono, riuscendo infine a trovare un faticoso ma necessario accordo. Tramite lo studio di segni celesti (fortissime erano, allora, le implicazioni di carattere astrologico, e nel testo di Arato e presso i suoi commentatori), dell’ordine e posizione di stelle e pianeti, venne elaborata ed affinata una astronomia more christiano, spesso trascurata o dimenticata, dagli storici della scienza, tutti o quasi troppo protesi a svalutare – in sede di ricostruzione e di interpretazione – quegli apporti invece notevoli che la cultura dell’Occidente alto-medievale seppe mettere a punto, tra il VI ed il X secolo. Un’epoca, nonostante conflitti e tensioni, per nulla buia, e tuttora da riscoprire, ricchissima di grandi figure storiche, e contraddistinta dal recupero, monastico, della cultura antica. Si trattò di una operazione, di salvaguardia e trasmissione del sapere ereditato dal passato, anche delle scienze, che si rivelò essere a dir poco cruciale e determinante per il futuro.
Questa storia culminò nella rinascita carolingia: una rinascita culturale, oltre che politica, che riguardò anche la scienza. Già ad Aquisgrana, erano arrivati dotti e studiosi, provenienti dall’Italia, dalle zone germaniche e dall’Irlanda. Nel 782, alla corte di Carlo Magno, si contavano molti uomini di cultura impegnati a istruire i giovani nobili. Sotto la guida di Alcuino di York, la Schola Palatina realizzò i propositi di Carlo, divenendo un centro culturale di conoscenze, per il regno dei Franchi e per l’Europa tutta. Vi si compilavano soprattutto antologie, in forma dialogica, tratte dalle opere dei più importanti autori antichi, anche con lo scopo di farne libri di testo, per gli alunni. La rinascita di epoca carolingia fu, quindi, una stagione storica, gravida di conseguenze sul piano intellettuale, che condusse e al risveglio e alla fioritura culturale dell’Occidente europeo. Carlo Magno (768-814) ne fu, a livello politico e istituzionale, il primo e massimo promotore. Grazie al suo potere, il re franco portò avanti una riforma, in più campi, anche del sapere, per cancellare la passata decadenza e poter ristrutturare il governo del suo regno. Il Re rivolgeva le proprie attenzioni, in particolare, all’Impero Romano – cristianizzato, quindi divenuto Sacro – del quale si proclamava continuatore ideale, tanto nel nome quanto sul piano dell’azione politica concreta.
Finalità e caratteristiche dell’Impero carolingio, nato dalla fusione di aree geografiche ed etnie assai diverse tra di loro, erano quindi volte a promuovere un’estesa e attenta opera di renovatio, che venne attuata, materialmente, anche per spingere i popoli di allora alla coesione, incoraggiando così la creazione di un patrimonio culturale comune. Fu la vera nascita dell’Europa. Col conseguimento dello status imperiale, nell’anno 800, il Regno franco si fuse con quanto restava dell’antico Impero romano e la cultura, fortemente contrassegnata dalla religione cristiana, legittimò la nuova età, pure attraverso la ripresa di elementi classici. Il collegamento con la Chiesa di Roma fu sottolineato, più volte e per diverse ragioni, in modo speciale per la diffusione della fede cristiana e di una cultura ad essa ispirata, senza contrasti o sovrapposizioni con l’Impero bizantino. Il principale alleato di Carlo Magno e dei suoi programmi, oltre al Papato, fu l’Ordine benedettino: furono create svariate decine di abbazie ed a corte affluirono i chierici più colti e preparati della cristianità. I monasteri, inoltre, si segnalarono positivamente come centri propulsori nevralgici della nuova cultura mediante rinnovati programmi di istruzione. Si registrò pertanto una fioritura, su scala europea, che trasformò e arricchì di nuove esperienze intellettuali l’antica eredità romana. Apporti basilari giunsero in tale senso dalla tradizione cristiana irlandese e anglo-britannica, così come dai Longobardi, senza dimenticare poi le influenze esterne, arabe e persiane. Ciò portò, parallelamente, anche a una riforma della Chiesa, già auspicata da Isidoro di Siviglia – vescovo spagnolo del VII secolo, ed enciclopedista tra i più grandi di tutta la cultura alto-medievale – con personale ecclesiastico operante nel regno secolare, sotto il profilo amministrativo, al servizio dello Stato. Affidare l’insegnamento e la trasmissione di sapere e cultura scientifica ai chierici rientrava appieno nei quadri dell’azione carolina. Il monarca franco fu, in effetti, il creatore, custode ed interprete della regalitas imperiale, nella quale politica e religione – detto altrimenti, potere temporale e potere sacerdotale – si intrecciavano ed univano, in una maniera strettissima e inestricabile: una vera aquila bicipite.
Sotto la direzione di Alcuino furono preparati testi e programmi scolastici ed impartite lezioni nelle scuole, frattanto sorte in ogni angolo dell’Impero, per lo più vicino a chiese e abbazie, aperte a tutti e senza preclusioni di censo. Un mecenatismo culturale che portò e alla standardizzazione della liturgia (fissando i testi sacri di riferimento) e alla ricreazione di una scrittura fluida, ispirata, sotto il profilo lessicale e grammaticale, al latino classico. Il credo cristiano fu imposto, da Carlo Magno, al clero occidentale, al quale venne affidata la docenza nelle scholae. Un’azione unificatrice che, nella sfera giuridica, vide Carlo promulgare i Capitolari, per integrare le leggi esistenti nei vecchi codici: le norme, come ribadito nell’806, dovevano avere lo stesso valore ovunque. La giustizia era affidata in forma di sentenze ai vari conti locali e alle giurie, con notevole rilievo dato ai testimoni. Tuttavia, il campo di maggiore splendore e vivacità fu quello della rinascita culturale. Carlo Magno, di fatti, diede massiccio impulso ad architettura, arti, filosofia morale, letteratura e poesia. Ebbe – tra i suoi intellettuali di corte – Paolo Diacono, Pietro da Pisa e Teodolfo d’Orleans. Furono incentivate, sia la retorica, sia la dialettica, studiate nella fattispecie sui testi di Cicerone e Lucrezio (quest’ultimo poi obliato dalla cultura basso-medievale, e riscoperto solo dalla nuova scienza di età moderna). Pietro da Pisa fu tra quanti - con Alcuino e Paolo Diacono – costruirono concretamente il programma delle sette arti liberali, dedicate all’approfondimento delle conoscenze, in ogni ramo dello scibile. In sede di scrittura, si modellò la grafia della minuscola carolina, rendendola chiara e leggibile. Occorreva, in effetti, uniformare gli indirizzi culturali dell’Impero, in maniera sistematica e consapevole, al fine di raggiungere nuovi obiettivi culturali ed artistici, tecnici e scientifici, a partire dalla restaurazione dei modelli antichi disponibili. Quanto all’economia, essa vide un nuovo sistema di monetazione, e trovò nella curtis il proprio fulcro.
La rinascita culturale promossa ed incentivata da Carlo Magno risultò dunque molto diffusa, e capillare, grazie soprattutto ai monasteri, che, in quel periodo storico, ampliarono, come mai prima, le biblioteche e gli scriptoria. Anche a livello architettonico, l’Imperatore si occupò di far restaurare i vecchi edifici e monumenti romani, ma la sua opera più ambiziosa rimane senza dubbio l’Abbazia di San Martino a Tours – dove si custodisce, fra l’altro, un antico manuale di grammatica, dell’anno 800 circa – con tutto il complesso di costruzioni annesse. Aquisgrana era, per Carlo Magno e Paolo Diacono, una sorta di terza Roma guidata dai Franchi, colorata di tratti millenaristici. Concezione in fondo non tanto diversa da quelle allora diffuse presso la Basilica dei Santi Apostoli a Bisanzio, o a San Vitale di Ravenna. Quasi ovunque, gli ingegneri e architetti longobardi erano richiestissimi, per studiare le proporzioni ed effettuare le misurazioni necessarie alle pratiche costruttive. Il sovrano ed Imperatore franco – che, ricordiamolo, parlava tedesco – godette, inoltre, di un importante seguito, nella cultura europea.Uno dei maggiori cicli letterari medievali, il così detto Ciclo Carolingio, era incentrato infatti sulle gesta di Rolando, lo storico condottiero sui confini bretoni di Carlo Magno, il quale a sua volta venne preso a modello di cavaliere per uno dei Nove prodi della tradizione.


Dalla cultura dell’età romano-barbarica a una nuova riforma del sapere

Uno dei maggiori artefici della rinascita carolingia, insegnante di grammatica e di arti liberali, fautore di un magistero pedagogico di taglio dialettico, nonché consigliere dello stesso Carlo Magno fu Alcuino di York (735-804), teologo e matematico venerato come santo dalla Chiesa d’Inghilterra e come beato da quella cattolica. Proveniente da una nobile famiglia della Northumbria, Alcuino di York studiò nella scuola cattedrale, creata dall’arcivescovo Egberto, apprezzatissimo dai maestri di scuola sin dai primi anni. Alcuino viaggiò a lungo, sul continente europeo e, ritornato in Inghilterra, nel 767 fu nominato direttore della scuola di York. Per tre lustri, la diresse, vi insegnò e, soprattutto, ne arricchì, ulteriormente, la già cospicua biblioteca, ricca di preziosi codici manoscritti (teologici, giuridici e medici principalmente).
Al ritorno da un viaggio a Roma, nel 781, Alcuino fece la conoscenza di Carlo Magno, presso Parma. Il futuro capo dei Franchi lo ammirava già grandemente e gli propose di recarsi in Francia, e di trasferirsi alla sua corte in qualità di maestro della Scuola palatina. La sede di quest’ultima era ad Aquisgrana, ma, di fatto, seguiva gli spostamenti della residenza reale. Una missione ecclesiastica – nel 786 – riportò, temporaneamente, Alcuino nella natia Inghilterra, inviatovi proprio da Carlo. Nel 794, lo studioso anglico partecipò al sinodo di Francoforte, ove ebbe un ruolo di estremo rilievo, nei decreti di condanna delle posizioni adozioniste – altra eresia che combatté, due anni dopo, fu quella nestoriana – nonché nell’ottenimento della sottomissione da parte dei riluttanti prelati spagnoli.
Nel 796, desideroso di ritirarsi dal mondo, Alcuino venne nominato, da Carlo Magno, abate di San Martino, a Tours. Qui si dedicò con sommo entusiasmo alla creazione di una scuola monastica, in cui raccolse libri ed attirò studenti dall’intera Europa, come in precedenza aveva fatto a York e ad Aquisgrana. Il suo motto era fodere quam vites melius est scribere libros. La via del sapere praticato dallo studioso nello spazio monastico era ai suoi occhi ancora migliore di quella dell’agricoltore. Al mondo contadino e alla coltivazione della terra, l’inglese preferiva la quiete claustrale di una cella o di una biblioteca, lontano dalle tentazioni del quotidiano. Valendosi dei suoi consigli, e stimandolo tantissimo, i re carolingi fecero dono, al monaco di York, di cinque abbazie: Ferrières, Flavigny, St. Josse-sur-Mer, Saint-Loup e Troyes, nonché di una a Berge nei pressi di Liegi.
Alcuino fu anche il consigliere di Carlo Magno, in occasione dello storico incontro avvenuto a Paderborn, nell’estate del 799, con papa Leone III. In quei colloqui, furono definiti gli accordi per la costituzione del Sacro Romano Impero. «Albinus, humilis Levita», amava definirsi Alcuino, che in gioventù fu diacono, per poi diventare, negli anni maturi e tardi, sacerdote. Il suo anonimo biografo, nel descrivere l’ultimo periodo della sua vita, dice che «celebrabat omni die missarum solemnia», e che con tutta probabilità fu monaco benedettino (per altri invece un membro ed esponente del clero secolare, anche quando egli esercitava la funzione di abate, a Tours). In generale, l’opera di Alcuino come educatore e religioso si inquadrava nel movimento carolingio di rinascita degli studi, la quale contrassegnò la sua epoca, aprendo le porte alla grande rifioritura intellettuale, che si sarebbe avuta tra il IX e il XII secolo. Grazie alle tante iniziative alcuiniane, la scuola anglosassone prese piede in Francia e raggiunse, oltre che la massima influenza in Europa occidentale, il proprio apice. La vasta eredità, scientifica e culturale, lasciata dal monaco e scrittore inglese Beda il Venerabile (672-735) venne ripresa ed ampliata da Alcuino, che la introdusse in Europa, sotto la protezione del Re Carlo, facendone un importante se non fondamentale e identitario fattore di civilizzazione.
La formazione che Alcuino aveva ricevuto a York – stando alle fonti – era stata duplice, ossia irlandese e continentale insieme. A partire, infatti, dal VI secolo i monaci provenienti dall’Irlanda si erano dati ad erigere scuole, monasteri e chiese, in tutta l’Europa. Secondo Beda, i missionari celtici avevano salvato ed introdotto la conoscenza e lezione dei classici, fatti incontrare col cristianesimo in Northumbria. Se quindi la scuola celtica fu una prima fonte di influenza, su Alcuino, egli scoprì e studiò la nuova fede di Roma alla Scuola di Canterbury, istituita da Teodoro e Adriano – inviati dal pontefice appositamente in Inghilterra, nell’anno 699 – nonché naturalmente a quella di York. Nella adesione alcuiniana alla tradizione romana (ora cristiana) ritroviamo in effetti tutti questi elementi, fra loro combinati in termini sincretistici ed oltremodo eclettici.
Il cursus studiorum nelle scuole monastiche doveva, secondo Alcuino, abbracciare e unificare le arti liberali e le sacre scritture. Le prime, come noto, era quelle del trivio (grammatica, retorica e logica o dialettica) e del quadrivio (aritmetica pitagorica, musica – secondo il magistero di Boezio – geometria euclidea e astronomia geocentrica di derivazione eudossiana e tolemaica). Una partizione che, nel caso delle seconde discipline, rivestì un ruolo importante per gli studi di natura scientifica, i quali ebbero anche grazie a ciò ricadute di primaria importanza nei secoli subito successivi. Quanto, poi, alle conoscenze scritturali, lo studio di queste ultime avveniva su testi patristici della tradizione latina. Il taglio, nella Schola palatina, era su più fronti quindi avanzatissimo e già moderno. Fu però solo con Alcuino, e attraverso la sua energica azione, approvata ed appoggiata da Carlo Magno, che tale piano di revisione degli studi si impose pienamente. Gli allievi lo amavano moltissimo, legati al maestro – sempre disponibile e umanissimo – da rispetto e vincoli, talvolta, persino di amicizia. Da molte lettere di Alcuino, si trova conferma di ciò: diverse missive furono da lui indirizzate proprio a loro. L’allievo prediletto, Arno, diventò in seguito l’arcivescovo di Salisburgo. Altri ebbero ruoli di prestigio in seno alla Chiesa, molto influenti ed ascoltati, in ambito culturale e scientifico, presso le corti degli Stati europei di allora. Eanbaldo fu arcivescovo a York, Adelardo fu l’abate di Corvey in Renania del Nord e Westfalia, Aldrich abate di Ferrières e Fredegiso successore di Alcuino stesso, a Tours. Una vera e propria scuola, su scala geografica europea, devota al suo maestro. Tra gli allievi a Tours, il monaco inglese ebbe anche Rabano Mauro, erudito carolingio e arcivescovo di Magonza, che nella sua scuola a Fulda portò avanti il lavoro intrapreso da Alcuino a York, Aquisgrana e – per l’appunto – a Tours. Tale lavoro rientrava, come detto, nel programma culturale del Re dei Franchi e la crescita e affermazione della medesima Scuola palatina fu parte integrante di un più vasto piano di riforme intellettuali, da attuarsi per diffondere il sapere, anche scientifico, in tutto il regno, grazie all’istituzione di altri centri educativi ancora. La gestione di questi era affidata alla Chiesa, e il clero doveva essere formato da uomini dall’elevata preparazione e cultura. Non a caso, i decreti capitolari emanati nell’anno 802 dall’Imperatore – una delle sue primissime iniziative, fra l’altro – posero la cultura e l’istruzione al vertice. A seguito del Concilio di Vaison ogni città o villaggio doveva avere una sua scuola, nella quale i sacerdoti avrebbero insegnato in forma gratuita. Furono le fondamenta, gettate da Alcuino con il sostegno di Carlo Magno, di una più vasta e permanente rinascita sul piano e intellettuale e scientifico. Se questa si affermò in particolare dopo l’anno Mille, per durare ancora, nel corso di tutto il XII secolo ed oltre, preludio alla Rinascenza avviata da umanisti e filologi, nella seconda metà del Quattrocento soprattutto, le basi – per teologia, medicina, diritto, studi umanistici, astrologia ed astronomia – vennero poste al tempo della rinascita carolingia e per tramite di essa, in un dialogo incessante ed euristico fra intellettuali e potere, cultura (sempre più interessata a scienze e tecniche) e politica (nel quadro di una società ovviamente ancora feudale).
Nei programmi culturali carolingi, sottoscritti e portati avanti da Alcuino, non soltanto le arti del Trivium, ma, anche e soprattutto, quelle del Quadrivium acquisirono crescente rilevanza, specie l’astronomia e la matematica. L’aritmetica riprendeva la traduzione latina dell’opera neo-pitagorica di Nicomaco del II secolo, data da Boezio (punto di riferimento anche per la trattatistica musicale) e la geometria si fondava, per lo più, oltre che su Euclide ed Eudosso, in particolare sulle conoscenze e nozioni agrimensorie, ereditate dal mondo romano. Matematica ed astronomia, in generale, erano scienze care agli ecclesiastici di età carolingia, necessarie per affrontare e risolvere i molti problemi calendariali del computo, ossia del calcolo della data di feste mobili, come la Pasqua. Un problema, alquanto complesso, che vide impegnati a lungo Alcuino ed i maggiori intellettuali dell’epoca. Fra i primi a prenderlo in esame, e a proporne una soluzione, Beda, nel suo trattato De ratione temporum, aveva anche composto una utile esposizione del cosiddetto calcolo digitale. Alcuino, dal canto suo, mostrò un interesse in specie didattico per l’insegnamento della matematica: nelle sue Propositiones ad acuendos juvenes, infatti, la parte maggiore dei problemi da lui studiati era del genere della così detta «matematica ricreativa», che si prefiggeva lo scopo di migliorare le abilità mentali dei giovani lettori, attraverso quesiti di varia e crescente difficoltà. Una tradizione, quella dei ludi mathematici, che sarebbe rimasta viva, ancora sino al XV secolo, quando Luca Pacioli la riprese, all’interno della sua Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità, stampata per la prima volta, a Venezia, nel 1494.
Finissimo teologo, nel medesimo tempo aperto e tradizionalista, cosmopolita e conservatore, Alcuino scrisse altresì opere esegetiche, morali e dogmatiche, tra le quali la dissertazione latina De animae ratione. Compose nove commentari alle Sacre Scritture. La sua più importante opera biblica fu, tuttavia, la revisione del testo della Vulgata. Anche Teodolfo vi si impegnò, producendo un testo sopravvissuto nel Codex Memmianus. A Tours vi sono quattro Bibbie preparate da Alcuino stesso o sotto la sua diretta supervisione, tra il 799 e l’801. L’idea era quella di riprodurre fedelmente il testo di San Girolamo. In ambito teologico, Alcuino seguì la tradizione agostiniana e affrontò le questioni trinitarie, e nel De fide fide sanctae et individuae Trinitatis e nelle XXVIII quaestiones de Trinitate, sempre convinto che le spiegazioni umane non fossero da sole sufficienti, di fronte a imperscrutabili misteri, come quelli della fede. A teologia ed etica, per ispirazione e scopi, rimasero legate altresì le sue vite dei santi, anche molto estese, come la Vita sancti Willibrordi. Fu lui a definire l’ortodossia cristiana in Francia, Italia, Isole britanniche e Galizia, principale agente, oltretutto, nella grandiosa opera di riforma liturgica, voluta da Carlo Magno. All’incoronazione di Carlo, il rito più diffuso, in Francia, era quello gallicano, ma, talmente modificato da tradizioni e usi locali da costituire un serio ostacolo all’unità ecclesiastica. Scopo principale dell’Imperatore era, così, quello di sostituire il rito romano a quello gallicano o, perlomeno, di arrivare a una revisione tale di quest’ultimo da renderlo, sostanzialmente, uno con quello romano. Alcuino, il quale proveniva da una realtà insulare, aveva, al pari del suo signore, le stesse ambizioni religiose e culturali unitarie.
Su probabile suggerimento carolino, il monaco inglese redasse un omiliario, cioè una raccolta di sermoni in latino, ad uso dei sacerdoti. L’opera di Alcuino che ebbe però la più grande e duratura influenza in questa direzione fu il Liber Sacramentorum, un messale compilato basandosi, in specie, sul Sacramentario gregoriano, aggiungendovi parti da altre fonti liturgiche. Altre opere liturgiche di Alcuino furono una raccolta di Messe votive, redatta per i monaci di Fulda, un trattato intitolato De psalmorum usu, un breviario per i laici e una breve spiegazione delle cerimonie battesimali. Scrisse, ogni volta, con prosa semplice ma vigorosa, che non faceva pesare la sua peraltro indubbia e grande erudizione, tanto sacra quanto profana.
Alcuino scrisse anche opere poetiche, tra cui la Oratio in nocte, il Certamen Veris et Hiemis, e il De Clade Lindisfarnensis Monasterii. I componimenti poetici di Alcuino spaziano da brevi versi epigrammatici, chiose per i libri, iscrizioni per chiese ed altari, a lunghe storie, in metrica, di eventi o biblici o ecclesiali. La più corposa è un poema in latino, sui pontefici e santi della chiesa di York, che arriva a quasi millesettecento esametri virgiliani. Alcuino si occupò pertanto veramente di ogni ramo del sapere e fu assieme a Beda il massimo enciclopedista dell’Alto Medioevo, capace di unire in una sintesi complessiva ampia ed organica religione e scienza, teologia dogmatica e cultura, sotto le insegne politiche del suo Re ed Imperatore. Visse un’epoca di passaggio, devoto e alla fede e alla trasmissione dello scibile, riuscendo insieme a Carlo Magno – di cui fu braccio destro ed animatore dei programmi di riforma sia intellettuale sia istituzionale – a mettere insieme più mondi: barbarico, romano, nordico-celtico e cristiano. Senza figure e personaggi della sua statura, il sapere antico non si sarebbe salvato e la successiva stagione degli studi sarebbe stata di certo assai diversa e molto più difficoltosa.


Nell'immagine, pagina manoscritta alto-medievale in minuscola carolina.


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Documento inserito il: 17/01/2025
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