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Secoli dimenticati e saghe vichinghe: la storia antica e medievale di Norvegia, Islanda e Danimarca

di Davide Arecco


L’Impero del Nord: il Regno feudale norvegese dal 872 a fine Settecento

I primi insediamenti in terra di Norvegia rimontano a circa l’8000 a.C. Ne sono testimonianze i dipinti rupestri, ritrovati presso Alta, opera di cacciatori, che venivano dalle zone meridionali delle terre norvegesi e si spostavano verso Nord, al principio dell’estate. La Norvegia diventò importante, nello scacchiere europeo, quando, attorno al 700, i Vichinghi crearono, nei loro territori, ventinove Regni, unificati successivamente, dal Re Harald I Harfagre, nell’anno 872. Quel Reame durò sino al 1139, dopo avere conquistato l’Isola di Man (odierno Galles), la penisola di Kola, la Groenlandia e l’Islanda. Il cristianesimo fu introdotto in Norvegia da Re Olav Haraldsson (995-1030). Alla morte, senza eredi, nel 1319, di Re Hakon, la sua unica figlia si maritò con il secondogenito di Re Magnus III di Svezia e dall’unione dei due Regni derivò così l’Unione di Kalmar, alla quale aderiva anche la Danimarca.
Verso il 1262, la Norvegia raggiunse la sua massima estensione territoriale. Le lingue parlate erano state, sino a quel momento, l’antico norreno – sino al 997, la lingua degli intrepidi guerrieri e navigatori vichinghi – il norn (dal 1016), il faroese delle Isole Far Oer (dal 1030), ed il norvegese (dal 1217). Inizialmente e per un certo periodo, il centro maggiore fu Trondheim. Le capitali furono dapprima Sarpsborg – o più semplicemente Borg, dal 1016 al 1030 – quindi Kungalv (dal 1111 sino al 1150 all’incirca), Bergen (dal 1217 al 1314) e infine Oslo (dal 1314 in avanti). La Norvegia fu tra le ultime terre europee ad abbandonare le fiere tradizioni pagane nazionali, ancora vivissime, lungo tutto l’Alto Evo. Sino al 1015, la religione preminente fu infatti l’antico paganesimo norreno (quello di tante saghe eroiche islandesi), quindi dal 1015 sino al 1054 il cristianesimo calcedoniano latino e, dal 1054 alla prima metà del XVI secolo, il cattolicesimo della Chiesa romana, poi soppiantato dalla fede protestante proveniente dalle aree tedesche.
L’Impero norvegese, altrimenti chiamato Regno ereditario di Norvegia, fu un reame di fama e di notevolissima importanza, sino almeno al XIII secolo. L’espansione imperiale norrena avvenne al prezzo di lunghe guerre civili nazionali, protrattesi, per più di un secolo, dal 1129 al 1240 circa. Il Regno feudale di Norvegia comprendeva, allora, pure i territori svedesi dello Jutland e possedimenti di oltreoceano, scoperti e colonizzati dai navigatori, marinai ed esploratori norvegesi, tra cui le Isole Far Oer, l’Islanda, gli insediamenti orientali e occidentali groenlandesi e il Regno delle Isole. Fu dal 1240 che l’affermazione del Reame di Norvegia sui mari del Nord raggiunse il proprio apice. Picco che coincise con il periodo successivo al Regno di Sigurd I, guida dei crociati norvegesi, tra il 1107 e il 1110, nelle battaglie di Lisbona e delle Isole Baleari, nonché nell’assedio di Sidone, a fianco del Re Baldovino I e del Doge della Repubblica veneziana: una crociata vittoriosa che permise successo ed espansione degli stessi Regni di Norvegia e Danimarca, la cui storia è intrecciata da sempre. Con i Danesi, i Norvegesi si stabilirono, infatti, nelle Isole britanniche, e controllarono il Mare d’Irlanda, per mezzo delle formidabili Città-Stato vichinghe, fortificate lungo le coste dell’Inghilterra. Proprio i Vichinghi – norvegesi, danesi ed islandesi – furono non solo abili costruttori, e tenaci combattenti, ma altresì i massimi protagonisti delle esplorazioni geografiche, a cavallo dell’Alto Medioevo. Non lo si vuole rammentare quasi mai, tuttavia il loro contributo alla storia e delle scienze geografiche e delle tecniche nautiche fu di assoluto valore e rilevanza primaria.
Prima di loro, la storia della Norvegia ha origini assai remote, e di fatto comincia con l’ultima glaciazione, fra il 12.000 e il 10.000 a.C. La preistoria norvegese coincide, in pratica, con l’età della pietra nordica. Gli scavi archeologici hanno provato, infatti, che durante i mesi estivi i cacciatori del sud esponenti della cultura di Amburgo si muovevano verso settentrione lungo la costa norvegese in un tempo remoto nel quale gli altipiani erano ancora ricoperti dai ghiacci e il livello marino basso di oltre mezzo metro, rispetto a quello odierno. Vennero installati insediamenti stagionali, temporanei, con tende di pelle. Ritrovamenti archeologici, nella grotta di Bremsnes, presso Kristiansund, nonché a Fosna, a nord di Trondheim, hanno portato alla luce tracce e manufatti sopravvissuti ad un lontano ed oscuro passato. Resti di insediamenti scandinavi anche antichissimi, risalenti alla fine dell’ultima glaciazione, tra cui soprattutto incisioni rupestri, caratterizzano, d’altro canto, l’età della pietra e del ferro in tutta la penisola scandinava.
Dal I al IX secolo dell’era volgare, furono soprattutto i guerrieri e navigatori vichinghi a fare parlare di sé in Europa (e non solo settentrionale). Tra l’800 e il 1100, furono loro a scoprire tanto la Groenlandia, quanto, soprattutto, l’Islanda, conquistando inoltre interi territori dell’Inghilterra, della Francia e dell’Irlanda. I Vichinghi norvegesi (e danesi) non furono soltanto il terrore dei mari, lungo le coste delle Isole britanniche, in particolare, ma si spinsero anche sino a Bisanzio, in Grecia, Nord Africa e, con tutta probabilità, continente americano. Le nostre maggiori informazioni al riguardo ci vengono in particolare modo dalle opere storiche ed erudite dello storico islandese medievale Snorri Sturluson, redatte intorno al 1220 (l’Edda è solo una di queste), segnatamente dall’Heimskringla, in cui storia e mito, poesia e leggenda uniscono in maniera inscindibile i propri piani narrativi entro un mosaico documentario di grande fascino e utilità sul piano storiografico.
L’età scandinava del bronzo, dal 1800 al 500 a.C., portò, in Norvegia, importanti innovazioni, nell’agricoltura. Prese piede l’aratro, furono edificati insediamenti stabili – specie nelle zone fertili del Fiordo di Oslo, ed in quello di Trondheim – venne esplorato e reso navigabile il Lago Miosa e si costruirono abitazioni nell’attuale distretto di Jaeren (nel Rogaland). Il clima era allora, nell’Europa nordica, più caldo di oggi, e ciò rese possibile un aumento costante della popolazione, e l’estensione delle coltivazioni. Verso il 1000 a.C., scesero da Nord genti di lingua uralica, che si mescolarono ai norvegesi, generando in tale maniera gli antenati del popolo Sami. Durante poi la successiva età del ferro scandinava, tra 500 a.C. e 800 d.C., si ebbe la così detta ‘fase celtica’, che durò, sino all’Era di Vendel (l’età merovingia), tra VIII e IX secolo. Ce ne restano salienti testimonianze archeologiche e descrizioni storico-geografiche, come i Getica di Giordane, in cui sono citate moltissime genti della Norvegia: i Raumaricii, gli Aeragnaricii e i Grannii, gli Augandzi, i Taetel e i Rugi, o Aetelrugi, gli Arochi e i Ranii. Da tutti loro sorsero i Regni norvegesi che cominciarono a prosperare nell’860. La loro unificazione fu un processo lungo e articolato, frutto di scontri e battaglie anche cruente.
Naturalmente, l’epoca vichinga della storia di Norvegia è la più conosciuta. Si tratta infatti del periodo compreso tra VIII e XI secolo. Fu allora che si verificò la prima costituzione del successivo Regno norvegese. Di solito, gli storici dell’Alto Medioevo fanno iniziare l’epoca vichinga nel 793, con il saccheggio del Monastero inglese di Lindisfarne (simbolo e cuore del cristianesimo celtico di Britannia) da parte, appunto, dei Vichinghi, così denominati non in quanto popolo – ve ne furono in Norvegia, Danimarca ed Islanda, infatti – ma nel senso di pirati, e predoni del mare. In quello stesso periodo, stando alle fonti scandinave medievali, nacquero in Norvegia ventinove Regni, autonomi e, sostanzialmente, indipendenti l’uno dall’altro. Nello Halogaland, il titolo di sovrano era quello dello Jarl (da cui Earl, vale a dire conte, in inglese). Di tali Regni, i maggiori erano l’Agder, l’Alfheim, il Nordmør og Romsdal, l’Hedmark, l’Hordaland (dal nome delle orde vichinghe norvegesi), il Sogn, il Solor, il Vestfold, il Romerike, il Sondmor e il Praendalog (o Trondelag).
In base alla tradizione storica norvegese ed islandese medievale, di poco successiva, nell’anno 872 Re Harald Harfagre, il figlio del monarca Halfdan il Nero, conquistò ed unificò la Norvegia, nel sud e nell’ovest. I suoi successori regnarono, sia pure con brevi interruzioni, sino al 1319. Influenze inglesi ed irlandesi contraddistinsero la cultura della Norvegia, ove il cristianesimo prese piede, per mano del Re Olav Haraldsson, caduto nella Battaglia di Stiklestad (29 luglio 1030) e canonizzato in seguito dalla Chiesa, dopo essere stato sepolto nella Cattedrale di Nidaros, a Trondheim. Da allora, la sua tomba fu meta di regolari pellegrinaggi. La stessa arcidiocesi di Nidaros venne istituita in sua memoria nel 1153, centro e cuore pulsante della cristianità nordica.
Al principio del Duecento il Regno di Norvegia incorporava l’area tra l’Isola di Man e il Mare di Irlanda, sino all’estremo lembo ad est costituito dalla penisola di Kola. Islanda e Groenlandia, nel 1262, vennero acquisite dal Reame norvegese – un vero e proprio Impero del Nord, a tutti gli effetti – quali dipendenze territoriali. L’evento successivo più importante fu l’Unione di Kalmar, nel 1396-1397, con la Danimarca. Con quell’atto, la Norvegia ed i suoi territori diventarono una provincia del Regno per l’appunto di Danimarca-Norvegia. Il rappresentante della corona era un governatore, dal nome di Statoldo (passato, alla fine del secolo XVI, nel linguaggio repubblicano olandese). Durante il periodo dell’Unione con la Danimarca, la storiografia ha l’abitudine di individuare nella storia del popolo norvegese tre epoche successive: l’età della Riforma protestante (1536-1596), il periodo dei conflitti bellici culminati nelle così dette Guerre del Nord (1596-1720), il tempo e della rinascita e della pace (1721-1770). Nel corso del secolo XVIII, con la diffusione anche nel ‘gelato settentrione’ della nuova scienza sperimentale moderna e della cultura europea, di matrice illuministica, anche la Norvegia conobbe una lunga fase di accentuata prosperità, divenendo un regno importante, altresì in seno ai giochi di potere della balance of powers dell’Europa continentale. Infine, il forte risveglio dei sentimenti nazionali e le premesse storiche per l’indipendenza, tra il 1770 e il 1814 (anno in cui si aprì il Congresso di Vienna), s’accompagnò a una marcata crescita del sapere agricolo sulla quale agì l’influsso di idee fisiocratiche francesi settecentesche, di Quesnay, Dutens (editore di Leibniz), Mirabeau, Condorcet, de Nemours e Turgot. Anche per tramite loro, attraverso il network di scambi accademici, giunsero in Norvegia echi e influenze di carattere politico della Rivoluzione americana (1776-1783) e dell’Illuminismo di Filadelfia, iniziatore del quale – tra il Vecchio e il Nuovo Mondo – era naturalmente Franklin, giornalista ed inventore, diplomatico e massone, libertino ed amico dei philosophes tra i più famosi del XVIII secolo.


La Terra di Ghiaccio e Fuoco: origini storiche e segreto dell’insularità islandese

La lontananza e dall’Europa continentale e da zone densamente popolate, unita a difficoltà nel solcare le forti correnti del Mare di Norvegia e al clima freddo, hanno escluso l’Islanda, a lungo, dai movimenti migratorii, perlomeno sino alle innovazioni tecnologiche, che hanno consentito viaggi di lunga durata. Tra i primi esploratori dell’Isola di ghiaccio e fuoco (così detta, dai suoi vulcani), vi fu il navigatore, cartografo, viaggiatore e geografo greco Pitea, nel IV secolo a.C. Le prime mappe e le fonti islandesi si richiamano alla leggendaria Isola di Thule (della tradizione iperborea e nordica). I primissimi abitatori europei dell’Islanda furono invece monaci irlandesi seguaci di San Brendano di Clonfert, l’abate e navigatore d’Irlanda del VI secolo, fondatore di monasteri in Scozia, nelle Orcadi e nelle Shetland, a cui la tradizione manoscritta medievale, di matrice ecclesiastica, ha attribuito la Navigatio Sancti Brendani, opera diffusissima, in Europa nord-occidentale, accanto ai resoconti di viaggio bretoni di San Malo, ed al successivo Speculum Historiae di Vincenzo di Beauvais (secolo XIII). Descrizione, in vernacolo anglo-normanno, di un nuovo paradiso edenico, con riferimenti di demonologia ad angeli caduti e creature fantastiche, la Navigatio del religioso monastico irlandese – a cui una leggenda ha attribuito anche l’arrivo in America e Groenlandia, e la scoperta delle Canarie – ebbe fortuna dal VII secolo, e circolò nel Veneto italiano, dal Duecento, molto apprezzata poi dai bollandisti francesi di fine Seicento (tra cui Mabillon e Montfaucon), che scesero nel Granducato di Toscana mediceo e nello specifico nella Firenze di Magliabechi anche allo scopo di cercare prove e documenti manoscritti di storia religiosa su San Brendano sepolti in archivi e biblioteche.
Oltre che in Islanda, gli anacoreti irlandesi giunsero inoltre nelle Isole Far Oer, perlomeno nei primissimi anni del IX secolo, stabilendovisi, in modo permanente. Quando nel X secolo gli eremiti anglo-britannici lasciarono l’Islanda, ebbe inizio, a seguito delle esplorazioni di Naddoddr e Gardar Svavarsson – di fatto pirati, di fede ancora pagana – la colonizzazione norvegese dell’isola. Il potere politico e giudiziario veniva allora amministrato dai capi religiosi e soldati. Dopo la conversione del Re di Norvegia al cristianesimo nel 999, l’Islanda diventò un territorio soggetto alla nuova religione e un’altra leggenda vuole che quanti si rifiutavano di sottomettersi alla Chiesa per restare fedeli alle antiche tradizioni del paganesimo nordico e vichingo decisero a malincuore di abbandonare la patria e di tentare la sorte, in terre al di là dell’Oceano occidentale, arrivando così, nel 1000, per primi, sul continente americano, a Terranova nell’odierno Canada.
Per l’Islanda, intanto, sotto il dominio norvegese e cristiano, iniziò l’epoca degli Sturlunghi: il così detto Vecchio Patto creò, nel 1262, una confederazione, promulgando un codice legislativo, poi entrato a tutti gli effetti in vigore nel 1281. L’accordo istituzionale e diplomatico sanciva ancora una volta l’annessione delle terre islandesi al Reame di Norvegia. Nel XIV secolo, l’Islanda del Sud fu poi devastata da tre eruzioni dell’Hekla. La peste trecentesca giunse, frattanto, importata dai marinai norvegesi, e flagellò il paese, come nel resto d’Europa, colpendo soprattutto traffici marittimi e rotte commerciali, sino a fare quasi cessare i rifornimenti dalla terraferma. Inoltre, e sempre alla fine del secolo XIV, l’Unione di Kalmar stipulata nel 1397 tra Danimarca, Norvegia e Svezia portò l’Islanda (sino a allora provincia norvegese) sotto il controllo danese. I beni ecclesiastici furono confiscati, in breve, dallo Stato danese, con le riforme del 1550. La fine del secolo XVI vide in Islanda una feroce carestia, causata da quattro gelidi inverni consecutivi, e a bloccare lo sviluppo economico dell’Isola si aggiunsero pure i vincoli dei monopoli commerciali. A metà intanto del XVI secolo, si affermò in Islanda la Riforma protestante, segnatamente la confessione evangelica. Nuovi disastri naturali, tra XVII e XVIII secolo, flagellarono la fredda ed orgogliosa terra islandese. Nel 1636 il vulcano Hekla eruttò per sette mesi consecutivi, per risvegliarsi nel 1693. Vi furono ancora eruzioni, nel 1660 e nel 1755, da parte del Katla. Nel 1727 fu la volta dell’Oraefi e nel 1783 del Lakagigar (per dieci mesi di fila). Ne derivarono danni ingenti per pascoli e coltivazioni, con un’ulteriore riduzione della – bassa già di per sé – popolazione locale. La Pace di Kiel, nel 1814, confermò la sovranità della Danimarca sull’Islanda.
In realtà, pochi anni prima dell’Unione di Kalmar, fra il 1375 e il 1380, l’Islanda era diventata già danese. Nel 1383, Re Olaf di Danimarca venne riconosciuto, dagli Islandesi, come monarca. Gli successe, quattro anni dopo, Margherita I di Danimarca, la vera promotrice dell’Unione di Kalmar, dieci anni più tardi. Una regina dura e spietata, morta nel 1412. Nel XV secolo, una nuova epidemia di peste colpì Norvegia e Islanda. I mercanti danesi che controllavano la rete commerciale islandese videro i tedeschi anseatici dell’area di Amburgo e Rostock divenire importanti attori storico-sociali, nel corso di tale fase di profondi cambiamenti: cominciò, infatti, il così detto Secolo degli Inglesi – a partire dagli anni Trenta del secolo XVI – con il trasferimento in acque islandesi di numerosissimi pescatori provenienti dalle Isole britanniche. Decaduta nel 1536 l’Unione di Kalmar, l’Islanda entrò a far parte del Regno di Danimarca e Norvegia. Da un lustro circa, i traffici commerciali con la zona di Amburgo e Rostock avevano raggiunto una sorta di apice e fu in questo periodo, anche attraverso i mercanti, che si diffuse, in Islanda, il protestantesimo luterano, destinato a rimanere in auge sino al 1701. Il sovrano danese Cristiano III laicizzò e statalizzò i beni del clero. La tradizione luterana, che giungeva da Trondheim, per iniziativa soprattutto di Engelbrekt Engelbrektsson, si impose dal 1537 anche in Islanda, oscurando per un certo tempo quella evangelica, ed anche quella cattolica. Questa, grazie a Jon Arason (il Vescovo di Hjaltadal) riguadagnò tuttavia presto terreno, a scapito delle fedi protestanti. Fu Arason, tra l’altro, ad introdurre, nel 1540, persino in leggero anticipo su Gutenberg, la prima pressa da stampa, in Islanda, incentivando la produzione, culturale e tipografica, dei libri di teologia e diritto, storia letteraria e scienze naturali. Anche sull’Isola di ghiaccio e fuoco, pertanto, l’oggetto-libro prodotto dall’invenzione della stampa a caratteri mobili mise capo al passaggio dalla redazione manoscritta al codice pubblicato, riducendo la possibilità di errori di copisti ed amanuensi e moltiplicando dunque la diffusione di accresciute conoscenze e saperi.
Il periodo susseguente alla Riforma, ossia dal 1701 al 1830, fu difficile, per gli Islandesi. E il clima e la povertà si facevano sentire, aspramente. La diminuzione della popolazione fu drastica. Il 1700 vide l’ascesa al trono danese di Federico IV, monarca illuminista che varò una serie di riforme e cercò di contrastare le vecchie e nuove malattie epidemiche (nel 1707 ve ne fu una di vaiolo), con la creazione, dall’alto, di apposite strutture sanitarie e la promozione di studi medico-anatomici. Nel corso poi sempre del Settecento si affermò anche in Islanda, giuntovi dai territori tedeschi del Sacro Romano Impero, il pietismo germanico di Philipp Jakob Spener, riformatore religioso protestante ed avverso al rigorismo luterano istituzionale, che a Francoforte aveva contrapposto al dogmatismo dei precetti di fede una valorizzazione della vita devota interiore. Nel 1741, due teologi, cioè l’islandese Jon Porkelsson e il danese Ludwig Harboe si dedicarono all’educazione dei giovani. All’epoca, vari rudimenti del sapere venivano ancora appresi sui testi delle saghe norrene ed islandesi medievali. A metà intanto del secolo XVIII, tornò a riaccendersi il mai sopito interesse danese per l’Islanda. I due studenti dell’Università di Copenhagen Eggert Olafsson e Bjarni Pàlsson, nel 1752, vennero inviati in Islanda, per stendervi una circostanziata relazione: politica, diplomatica, commerciale, marittima, religiosa, storica, geografica e scientifico-naturalistica (erano gli anni dei viaggi botanici di studio degli apostoli linneani). Essa prese quasi subito il titolo di Libro dei viaggi, e fu tradotta in latino ed in molte lingue europee, per tutta la restante parte del secolo dei Lumi. Ancora oggi, quel libro resta la maggiore fonte in assoluto, sull’Islanda settecentesca. Gli storici italiani non lo hanno preso quasi mai considerazione, purtroppo, come del resto soltanto assai di rado hanno saputo volgere a Nord la loro attenzione di studiosi.
Il governo danese si insediò, in Islanda, a Bessastaoir, nei pressi di Reykjavik. Le funzioni di carattere amministrativo vennero affidate ad un balivo, danese sino al 1749 ed islandese da allora in poi. In quell’anno fu nominato, infatti, Skùli Magnusson, il quale si dedicò al miglioramento delle condizioni di vita del proprio popolo. Le nuove idee di Magnusson, ispirate all’Illuminismo, furono approvate dalla sessione parlamentare del 1751, e venne altresì fondata una congiunta compagnia di natura commerciale, su base volontaria. La monarchia fece diverse concessioni, di terre e di fattorie, favorendo una decisa ripresa dell’Isola di ghiaccio e fuoco. Crebbero laboratori scientifici e vennero introdotte nuove tecniche (nautiche e astronomiche, agricole, cartografiche e matematiche). Diversi strumenti ed attrezzi migliorarono la vita lavorativa dei connazionali di Magnusson. Si svilupparono in particolare l’artigianato, la filatura, tessitura e conciatura delle pelli, nonché la produzione, sia del sale, sia dello zolfo. Temi che ancora attendono di essere studiati dagli storici della tecnica. Grazie a tali attività concrete e ad un lungimirante piano di interventi statali su scienza ed economia, in molte vecchie terre islandesi giunsero – per la prima volta, dai tempi lontani dei monaci irlandesi, del VI e VII secolo – nuovi coloni e abitanti dai paesi nordici e dal continente europeo. Vecchi edifici furono ricostruiti secondo le migliori e più aggiornate tecnologie industriali, l’architettura rinacque a nuova vita e molti villaggi conobbero una densa e decisiva fase di urbanizzazione, divenendo, in tal modo, finalmente autentiche città. La municipalità della futura capitale Reykjavik fu riconosciuta nel 1786, a conferma dell’assoluta importanza strategica nell’Islanda del Settecento dell’alleanza illuministica fra potere e sapere, politica e cultura. Un asse che vide le fondamentali riforme dall’alto, all’insegna dell’assolutismo illuminato europeo, tipico della metà del XVIII secolo.


Una potenza settentrionale: i Danesi dalla preistoria sino alla fine del XVII secolo

La Danimarca venne colonizzata, dai popoli scandinavi, intorno al V secolo. Nel corso del VII secolo, furono avviati i primi contatti con la Britannia post-celtica. Durante poi il IX secolo i Danesi conquistarono la Norvegia e alcuni territori tedeschi settentrionali. Dopo solo pochi anni, fu la volta di quasi tutta l’Inghilterra, sino alla morte di Re Canuto II, nel 1042. In seguito, a inizio Trecento, la Danimarca concentrò la propria politica espansionistica nell’area del Mar Baltico, conquistando nel primissimo Quattrocento le terre svedesi. Soltanto nel XVII secolo i danesi si convertirono alla fede protestante, entrando, nuovamente, in conflitto con la vicina Svezia. Divenuta quindi una monarchia assoluta, la Danimarca del Seicento vide lo sviluppo marcato della cultura scientifica e del sapere di natura alchemica (il medico e libertino lombardo Francesco Giuseppe Borri fu ospite ricercato, nella corte di Re Federico III, a Copenhagen). Sin qui una storia per sommi capi abbastanza nota – ma, ad ogni modo, mai troppo – e tuttavia ancora da approfondire più in dettaglio.
Tra i primi manufatti dell’età del bronzo, nella Danimarca preistorica, va ricordato il celebre carro solare di Trundholm – Solvognen, in antico danese – fabbricato con il metodo della cera persa ed oggi custodito tra le collezioni archeologiche del Museo Nazionale di Copenhagen. Risale al XV secolo a.C., strettamente connesso alla tradizionale e antichissima mitologia scandinava. Importante anche la famosa sepoltura di Egtved, monumento funebre anch’esso di epoca bronzea. Nel corso poi dell’età del ferro, i territori danesi erano abitati dai popoli di origine germanica, come attestato dalla sepoltura di Grauballe, dal noto Calderone di Gundestrup e dai carri di Dejbierg, conservati, oggi, al Museo Nazionale Danese. A quell’epoca risalgono altresì le prime testimonianze conosciute circa le migrazioni celtico-britanniche in Danimarca, ed in molte zone dell’Europa nord-occidentale. Il loro passaggio si riflette, di fatti, in diversi dei primi toponimi. La produzione tecnica danese rimase, per altro, orgogliosamente autoctona. Senz’altro un ruolo storico fondamentale e determinante fu quello avuto dalla cultura di Jastorf dello Jutland e dell’attuale Germania del Nord che tra il IV e il I secolo a.C. condusse il mondo scandinavo ad un elevato grado di splendore sul piano artistico.
Nel I secolo, la Danimarca era abitata dai Teutoni (popolazione pertanto germanica) e Cimbri, i quali iniziarono a stabilirsi nella penisola dello Jutland, già a partire dal II secolo a.C. I Teutoni e i Cimbri si spostarono in Danimarca, in cerca di terre coltivabili e aree torbose, nonché per sfuggire a tempeste marine, frequenti nelle acque del Mare del Nord. All’alba dell’Alto Medioevo, giunsero in Danimarca gli Iuti, come testimoniano la produzione artigianale dei Corni aurei di Gallehus e alcuni kurgan o tumuli sepolcrali dipinti al centro (in certi casi anche di età post-glaciale) fra i caratteristici paesaggi collinari danesi. Vanno ricordate al riguardo pure le Pietre di Jelling con la tomba di Gorm il Vecchio su tutte.
Nella prima metà del secolo VI, i Danesi sono menzionati da fonti gotiche, franche ed, inoltre, bizantine. Procopio ricorda le migrazioni degli Eruli, dalla regione danubiana, in direzione Nord, al tempo appunto dei Danoi, popoli di cui narra pure la Storia gotica di Giordane, nella quale i Danesi vengono identificati con i discendenti dei Sitoni scandinavi. Altre fonti sui Re della Danimarca sono lo storico Gregorio di Tours e il poeta Venanzio Fortunato. Da loro la terra dei Danesi è descritta ed individuata tra la Scania e l’Halland, regioni appartenute alla Danimarca, sino al 1658. Come stanno a testimoniare le Pietre di Jelling, la Danimarca venne unificata e cristianizzata, verso il 965, dal Re Aroldo I, secondo monarca riconosciuto, nella storia danese alto-medievale. Al principio del secolo IX, poi, Canuto il Grande regnò sopra un unico dominio, rappresentato da Inghilterra, Danimarca e Norvegia, per quasi tre decenni. Attorno all’anno Mille, i Regni di Danimarca, Norvegia e Svezia si costituirono in via definitiva, proprio nel momento storico in cui i Vichinghi – taluni convertitisi al cristianesimo, dopo quasi due secoli di violente scorrerie, sulle coste dei paesi nordici – abitavano le terre danesi. In generale la Danimarca avrebbe dominato le regioni del Mar Baltico sino alla fine del XVII secolo.
Fra VIII e X secolo, i Vichinghi danesi e norvegesi fondarono molte colonie, commerciando e compiendo incursioni e saccheggi, in pressoché tutta l’Europa settentrionale. Autentici esploratori e maestri e nell’archeoastronomia e nelle tecniche di costruzione navali (notevole timore incutevano i loro drakkar, dalla polena zoomorfa), i Vichinghi furono tra i primissimi a scoprire l’Islanda, nel IX secolo, durante un viaggio verso le Isole Far Oer, arrivando, probabilmente, anche nel Vinland, cioè a Terranova, sul continente americano, quasi cinque secoli prima di Colombo. I Vichinghi danesi si segnalarono inoltre per la loro presenza ed attività fra Inghilterra e Francia settentrionale, varie parti delle quali vennero, da loro, e conquistate e controllate, per un lungo periodo. Furono i Vichinghi a fondare il Danelaw, in Inghilterra (nell’878), e la Normandia in Francia. E’ stato rinvenuto infatti un numero maggiore di monete anglosassoni nella Danimarca di quell’epoca piuttosto che in Britannia, dove i Celti si erano rifugiati in Galles e Cornovaglia, a fronte dell’avanzata della Granda Armata di Danimarca, che impose ed estese un vasto dominio sulle terre di Northumbria e East Anglia. Allora, con Danelaw, veniva denominata, dai Vichinghi, la metà nord-occidentale dell’Inghilterra. I Danesi, stabilendovisi in maniera permanente, fecero valere la loro legge e il loro governo. In precedenza, la Britannia era stata composta dai sette regni anglosassoni indipendenti fra loro (la famosa eptarchia), vinti ed occupati dai vichinghi danesi ad eccezione del Wessex di Re Alfredo il Grande.
Inoltre, muovendo verso ovest, danesi e norvegesi raggiunsero le Isole Shetland nell’Atlantico e ne fecero una loro colonia, per oltre cinque secoli. I Vichinghi si stabilirono anche in Groenlandia, nel medesimo arco di tempo, rimanendovi dal 1000 circa sino a metà del Quattrocento. La scoperta, relativamente recente, di accampamenti costieri, per traffici e commerci marittimi stagionali, presso l’Isola di Baffin, conferma quanto riportato sino all’anno 986 dalla saga vichinga di Leif Erikson, in cui Helluland è il nome attribuito appunto all’Isola. Sono state ritrovate corde europee, varie tracce di metalli, e opere in muratura. Le probabili incursioni di Vichinghi danesi in America e quelle certe nell’odierna Germania settentrionale e nel Mediterraneo occidentale non furono come noto durature (per quanto assai importanti e sovente sottostimate, per ragioni di pregiudizio ideologico). A partire, dunque, dal Duecento, i paesi nordici dominanti furono in ogni caso la Norvegia la Danimarca (che fece notevoli conquiste, sino al 1219), ed appena più marginalmente la Livonia (che proteggeva, fra l’altro, l’Estonia). Nel corso del XIV secolo, diverse province svedesi – Scania, Blekinge e Halland, in altre parole la regione dello Skaneland – facevano parte della Danimarca. Questa fu potentissima, in area baltica, sino almeno al 1644, e dovette cedere alcuni suoi territori solo a seguito della Guerra di Torstenson. Si distinse in particolare la Regina Margherita I di Danimarca, durante l’Alto Evo. In quel tempo, Copenhagen arrivò inoltre a dominare l’Estonia danese e i due Ducati di Schleswig e di Holstein, vicino a Kiel e dunque in area tedesca.
Dopo l’infelice Regno di Cristoforo II durante il primo Trecento si innescarono diversi dissidi con la Chiesa. Crebbe moltissimo il potere nobiliare dei Conti danesi, per più anni autentici signori delle terre danesi, custodi di un ordine, gerarchico e piramidale, basato sul codice aristocratico e sul sistema feudale (non dissimile da quello norvegese, precedente e coevo). Dopo la morte di Gerardo III di Holstein-Rendsburg, sotto il nuovo Re, Valdemaar, la Danimarca conobbe una stabilizzazione politico-istituzionale interna, e riprese diverse terre andate nel frattempo perdute. Nel corso del XIV secolo si distinse, inoltre, la figura dell’eroe nazionale Niels Ebbesen, nobile e militare, originario di Skanderborg. Il sopraggiungere, anche in Danimarca, della Peste nera fu, paradossalmente, un aiuto, per l’azione politica di Valdemaar, il quale espanse il Regno danese, entrando in conflitto coi centri della Lega anseatica (principalmente Amburgo e Rostock). Fu Valdemaar a conquistare, fra l’altro, l’Isola di Gotland e l’importante città, commerciale e marittima, di Visby: un porto strategico, per la circolazione economica e navale, nel Mare del Nord. A quel punto, messa alle strette, la stessa Lega anseatica si alleò con gli svedesi. La Danimarca, in principio, non ne risentì e conquistò molte navi, riscattate subito, a peso d’oro. Furono i particolarismi locali danesi, con gli aristocratici contrapposti alla monarchia centrale, a mutare corso alle cose, nelle acque dello Jutland e nel Baltico in generale: per alcuni anni la Lega ebbe, infatti, il controllo delle fortezze di Scania e Zelanda. La Danimarca si unì a quel punto alla Norvegia del sovrano Hakon VI, in un Regno unificato, comprendente anche le Isole Far Oer, l’Islanda, la Groenlandia e la Finlandia: tutte terre collegate alla corte di Copenhagen, da abili mosse strategiche, sul piano politico e diplomatico. Si giunse così all’Unione di Kalmar, nel 1397. Questa rimase in vigore per oltre un secolo e garantì pace e stabilità in Scandinavia, riuscendo altresì a neutralizzare sul nascere le ambiziose e sempre ricorrenti mire svedesi.
La Danimarca fu retta dal 1412 sino al 1439 dal nuovo monarca, Eric di Pomerania. Egli entrò in conflitto con i Conti di Holstein e la città anseatica di Lubecca, difesa dalla Lega. Ne venne, così, un danno non da poco per l’industria mineraria scandinava. Il regionalismo continuava inoltre a fare danni, in Danimarca, ostacolando la creazione di una forte monarchia assoluta nazionale, necessaria per sedare liti provinciali e stabilizzare il paese sul piano interno ed estero, sino a quando Cristoforo di Baviera non salì al trono, nel 1440, eletto sovrano di tutti i Regni nordici. Il dominio danese, non di meno, per quanto riassestatosi tra il 1442 e il 1448, fu ogni volta osteggiato dalla Svezia, parte di una Unione – quella di Kalmar – alla quale Stoccolma aveva aderito senza, in realtà, rispettarla mai, forse ritenendola un mero concetto giuridico-legale privo di vere applicazioni e ricadute, rivendicate al contrario giustamente dalla Danimarca. A Copenhagen, i successivi Regni di Cristiano I ed Hans, tra XV e XVI secolo, non riuscirono malgrado i tentativi ad invertire tale rotta. A partire da allora, i conflitti e le guerre fra danesi e svedesi sarebbero state continue, ancora ad inizio del Seicento, nella prima fase – danese, appunto – della Guerra dei Trent’Anni (1618-1648), conclusasi, si sa, solo con la Pace di Westfalia.


Nell'immagine, mappa tardo-cinquecentesca della Scandinavia.


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Parole chiave:
storia dei paesi nordici, Norvegia, Islanda, Danimarca, monachesimo irlandese, saghe norrene, regni feudali, preistoria, antichità, Medioevo, età moderna, secolo dei Lumi


Documento inserito il: 04/09/2025
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