Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, medio evo: Tradizione nordica e cristianesimo celtico: la storia antica e medievale d’Irlanda, Galles e Cornovaglia
>> Medio Evo > In Europa

Tradizione nordica e cristianesimo celtico: la storia antica e medievale d’Irlanda, Galles e Cornovaglia

di Davide Arecco


Dai tempi pre-cristiani ai Regni dell’antica Irlanda medievale

Nella manualistica scolastica, abbastanza all’improvviso, e come se non avesse un passato in vero alquanto florido, l’Irlanda sembra entrare nella storia, nel XVI secolo, quando si ricordano gli ignobili soprusi perpetrati dai Tudor inglesi prima, e dai fanatici puritani poi, sino a poco dopo metà Seicento, quando la Restaurazione dei cripto-cattolici Stuart mutò, finalmente, le cose. Terminate le confische e la repressione protestanti precedenti, la terra e la cultura irlandesi fornirono contributi di grande valore alla storia e al sapere dell’Inghilterra moderna: la Massoneria nacque infatti in Irlanda – e Scozia – per diffondersi nelle Isole britanniche, Austria e Piemonte (prima che in Francia). Una grande figura come il chimico e teologo di Cork Robert Boyle (1627-1691) fece grande l’Università di Oxford e la Royal Society londinese nella seconda metà del XVII secolo, prima di Newton. Nella storia poi settecentesca dell’Irlanda, si fecero strada grandi attori storico-sociali, come il deista John Toland (agente librario del principe Eugenio di Savoia in Olanda), il politico e polemista (tra i padri dell’ideologia tory) Jonathan Swift e il romanziere Oliver Goldsmith (autore del celebre Il vicario di Wakefield nel 1766).
La storia irlandese prende avvio nell’età della pietra, testimoniata da poesia e mitologia native e da ritrovamenti archeologici. Intorno all’8000 circa a.C., arrivarono, sull’Isola, le popolazioni del mesolitico e col ritiro dei ghiacciai ambiente e clima diventarono più ospitali. I ritrovamenti di selci, nelle Contee di Antrim, Down, Louth e Dublino, delimitano la zona di quegli insediamenti, a coste e rive di fiumi. Con l’arrivo di una cultura neolitica, verso il 4500 a.C., fu introdotta l’agricoltura e si fabbricarono i primi vasi in ceramica, nonché attrezzi in pietra levigata, case lignee rettangolari e tombe megalitiche: monumenti in pietra di notevoli dimensioni, tra cui tumuli di passaggio – le così dette passage tombs – a Newgrange, Knowth e Dowth, quasi sempre allineati secondo criteri di tipo archeo-astronomico e attestazione dunque di una civiltà già assai evoluta sul piano sia scientifico sia tecnologico e costruttivo. Durante poi l’età dei metalli, attorno al 2000 a.C., giunsero dalla Boemia (l’attuale Austria) i primi popoli celtici, protagonisti di fondamentali scambi culturali con abitanti di Hallstatt e Tene, come testimoniano moltissimi utensili, in oro e bronzo, rinvenuti negli scavi di età successiva e databili a quell’epoca, caratterizzati dalla classica forma a torque. Nel VII secolo a.C., fu introdotta in Irlanda la lavorazione del ferro, ad opera di gruppi di Celti. Sorsero diversi regni, tra cui Tuisceart, Airgialla, Ulaid, Mide, Laigin, Mumhain e Coiced Ol nEchmacht, governati, in forma congiunta, da aristocrazia guerriera (potere secolare) e casta sacerdotale (potere spirituale), erudita e versata nelle scienze, rappresentata dai Druidi. La stessa lingua celtica si sviluppò e perfezionò, non senza articolarsi in rami, come quello geodelico. Cultura e sapere maturarono in modo continuativo e costante, anche introducendo inflessioni linguistiche grazie ai contatti commerciali con i gruppi di Celti rimasti sul continente nord-europeo. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce – di questa epoca, cruciale per la storia irlandese – i resti di fortezze ed altri reperti e manufatti, a Drumanargh, espressione di una cultura celtico-britannica, associata alle figure mitiche e semi-leggendarie di capi politici dell’antichissima Irlanda, autori (come Tuathal) di spedizioni militari in Hibernia, nonché di viaggi di esplorazione geografica ricordati in seguito anche da Tacito.
Il secolo IV resta, ancora oggi, il più misterioso della storia irlandese. Il V vide varie scorrerie ed incursioni in Britannia, da parte degli irlandesi, non diversamente da Sassoni, Pitti e Scoti. Tra V e VI secolo, infine, si insediarono in Irlanda i Gaeli, popolo di origine celtica. La cultura religiosa di quest’ultimo incontrò la nuova fede cristiana dei primi missionari cristiani: il paganesimo celtico ed il messaggio portato dall’opera di evangelizzazione, a partire dal 400, condusse, così, alla nascita del particolarissimo ed altamente originale cristianesimo irlandese, diffusosi quasi solamente nelle Isole britanniche, da allora in poi.
Re Niall dei Nove ostaggi (morto intorno al 453) fu il capostipite della dinastia Ui Neill. Essa regnò su gran parte dell’Irlanda settentrionale, occidentale e orientale, tra V e VI secolo. Si impose, con il Clan dei Ui Neill (da cui O’Neill), una successione dinastica patrilineare, e molte terre furono annesse al Regno della famiglia. Sulle coste ad ovest della Britannia, intanto, continuarono le azioni piratesche dei Pitti scozzesi, che, prima dei Norvegesi, fondarono nuovi regni, nella Cornovaglia ed in Galles. Secondo gli storici, furono anche loro – per lo più soldati, mercenari o mercanti – a recare dalla Britannia, in Irlanda e Galles, il nuovo messaggio della fede cristiana. Altre fonti attestano la presenza di missionari attivi nell’Irlanda meridionale, ancora prima della venuta di San Patrizio. E il successo e l’impatto della nuova religione si sarebbe rivelato con il tempo profondo e duraturo.
San Patrizio, patrono d’Irlanda, giunse in base alla tradizione sull’isola nel 432. Presto, dotti e monaci cristiani protagonisti dell’opera di conversione al cristianesimo si affermarono nelle corti, in veste di eminenti studiosi, ed oltre alla fede introdussero l’uso del latino come lingua scritta. Sapere, fede e cultura irlandesi ebbero nei monasteri dell’Alto Medioevo la loro roccaforte, mentre erano in atto, sul continente, le invasioni barbariche. Preghiera, stesura di manoscritti storico-religiosi, arti di lavorazione dei metalli (gli antenati degli alchimisti furono i fabbri e metallurgi), sculture raffinate, fabbricazione di gioielli e monili, costruzione di abbazie e conventi, croci celtiche scolpite in pietra: sono tutti esempi, concreti, della grandiosa fioritura irlandese, nell’Alto Evo. Un periodo, oltremodo prospero e vitale, interrotto dalle invasioni vichinghe di villaggi e monasteri, tra IX e X secolo. Fra l’altro, anche se di rado lo si rammenta, furono i Danesi a fondare diversi centri cittadini irlandesi, a nord dell’Isola, tra cui Donegal e Drogheda (quest’ultima teatro, poi, dei massacri di cattolici inermi per mano dei ribelli puritani di Cromwell a metà del XVII secolo).
La prima incursione vichinga avvenne, nel 795, presso l’Isola di Lombay, al largo di Dublino: se essa fu abbastanza veloce, e condotta da un gruppo di guerrieri poco numeroso, nel corso dei due secoli seguenti i saccheggi e gli incendi di monasteri irlandesi crebbero di tono ed intensità. All’800 circa risalgono altresì le così dette Round Towers, edifici a pianta circolare ancora oggetto di accese discussioni fra storici ed archeologi riguardo al loro scopo ed uso. Frattanto, verso l’anno 840, molti Vichinghi cominciarono a stabilirsi, in maniera stabile, sulla costa, costruendo città murate, di solito in corrispondenza con gli estuari dei fiumi per trascorrervi i mesi invernali. I principali insediamenti furono a Limerick, Waterford, Wexford, Cork, Arklow e Dublino. I Vichinghi si amalgamarono con la popolazione locale, dando origine ad un’etnia mista chiamata Gall-Gaels (Gall era il termine con cui erano chiamati gli stranieri, intendendo appunto i Vichinghi). I discendenti di Ivar Beinlaus (uno dei fondatori di Dublino secondo la tradizione) regnarono sull’Isola di Irlanda sinché Brann Boru ed il Re del Meath Maelsechlainn non li sconfissero, nella Battaglia di Clontarf (aprile 1114). Successo bellico che però non garantì un rafforzarsi del potere politico centrale, cosicché, nel XII secolo, tutta l’Irlanda continuava ad essere divisa in molti piccoli regni. Il potere era esercitato dai capi di alcune dinastie, impegnate nel costante tentativo di ottenere la supremazia sull’Isola. Il sovrano di Leinster, Diarmait Mac Murcheda (in antico inglese Diarmuid Mac Morrough) venne esiliato dall’High King, costretto a riparare in Aquitania, ottenendovi da Re Enrico II l’appoggio dei Normanni allo scopo di riconquistare il suo perduto regno. Il grosso delle forze normanne sbarcò così in Irlanda nel 1669 ed in solo poco tempo venne ripreso il Leinster, controllando anche Waterford e Dublino. Fu nominato erede del Regno Richard di Clere, secondo Conte di Pembroke. A quel punto, Enrico II, paventando il sorgere di uno Stato normanno rivale, in Irlanda, si decise a prenderne possesso. Cominciò, in tale modo, l’invasione inglese dell’isola.
Nel 1171, al comando di una nutrita flotta navale, Enrico prese terra a Waterford ed occupò le aree irlandesi. L’anno dopo, la bolla pontificia Laudabiliter, promulgata da papa Adriano IV, avallò la sua presa del potere, assegnando i territori al figlio Giovanni, nominandolo Dominus Hiberniae, o Lord of Ireland. Divenuto prematuramente monarca Giovanni – che succedette, inaspettatamente, al fratello – la Lordship (o signoria) d’Irlanda diventò dipendente in modo diretto dalla corona inglese, con gran dispetto dei popoli locali. Nel XIII secolo, venne pertanto introdotto il sistema giuridico di Inghilterra, anche se la legge inglese era applicata, rigorosamente, solo a Dublino e dintorni, ossia la Collina di Tara e la Royal County (vale a dire la Contea di Meath più o meno coincidente con l’area chiamata The Pale). Nel corso del Trecento, oramai, la popolazione anglo-normanna si era integrata con quella nativa irlandese, al punto che la corona, nel tentativo di riprendere il controllo, cercò di stabilire delle differenziazioni, fra nativi e colonizzatori, e il risultato furono gli Statuti di Kilkenny, alquanto discriminatorii, verso tradizioni e costumi irlandesi. Da allora – a parte l’epoca felice degli Stuart, dal 1603 al 1714: non a caso, le due grandi rivolte giacobite del XVIII secolo, nel 1715 e poi nel 1745, poterono contare sull’aiuto dei ribelli irlandesi – nessun sovrano inglese fu amato da genti e uomini d’Irlanda, non a torto visto alla stregua di un mero occupante.


Misteri storici insoluti di Dublino e dell’antica Isola di Irlanda

Fiabesca ed unica al mondo, l’Irlanda è tra le regine del folklore nord-europeo. Dietro ai suoi incantevoli paesaggi, si nasconderebbero gli accessi segreti al mondo altro del Piccolo Popolo, alla terra di Faerie. La leggenda arturiana di Tristano e Isotta, musicata da Wagner, nel XIX secolo, non a caso è ambientata in quel regno fatato. Una dualità, ben rappresentata da Dublino, da secoli vivace centro culturale e capitale dell’Isola, ma, altresì, luogo di oscuri enigmi e affascinanti misteri. Molti sono, infatti, quelli che riguardo l’Isola di Smeraldo – appellativo della stessa Irlanda – e le nascoste magie della Tigre celtica (l’altro nome di Dublino).
Canzone tradizionale irlandese diventata l’inno – non ufficiale – della città di Dublino, Molly Malone racconta del fantasma di una prostituta che si aggirerebbe tra le case di Grafton Street. Altra storia esoterica rimanda la cripta di Saint Michan’s Church, uno degli edifici religiosi più antichi di Dublino, ove si trovano alcune mummie incredibilmente ben conservate, malgrado avessero ben più di otto secoli. La causa del procedimento di mummificazione rimane tutt’oggi ignoto, non cagionato da operazioni artificiali, ma da qualche misteriosa peculiarità dell’ambiente delle segrete.
Il Brazen Head, inaugurato nel 1198, è uno dei pub più antichi di Dublino, infestato, secondo le leggende, da presenze misteriose e fenomeni inquietanti. Neanche la Cattedrale di San Patrizio è stata risparmiata dalla mitografia. Qui, magnifico esempio di arte gotica, dov’è ospitata fra l’altro la tomba di Swift, vagherebbe ancora sotto le navate della chiesa lo spettro del suo decano. Leggende, come quelle concernenti Dublin Castle, castello duecentesco, di cui restano oggi solo poche rovine, tuttavia affascinanti per il legame con Bram Stoker, il quale vi lavorò da giovane. Infatti, l’autore di Dracula si ispirò al maniero – Caisleàn Bhale Atha Cliath, in antico gaelico – per descrivere la tetra dimora del famoso vampiro. Altro castello abitato da fantasmi sarebbe Malahide Castle, sito a Nord di Dublino e tra i più antichi di tutta l’Irlanda.
Sulla collina di Montpelier, a Sud di Dublino, si erge un rudere bruciato e abbandonato, scelto nel XVIII secolo da illuministi radicali ed occultisti neo-pagani, per esercitarvi pratiche arcane e riti sinistri: si tratta dell’Hellfire Club, sorta di circolo massonico orientato in direzione magica, e creato appositamente, nel 1725, sopra una tomba a corridoio neolitica. Animatori del tempio e del cerchio, libertino e nero, dell’Hellfire Club, furono, durante il secolo dei Lumi, il Duca di Wharton e Francis Dashwood, spiriti irregolari e anti-conformisti, liberi muratori attratti dalla teurgia tardo-ellenistica e dalle mai dimenticate scienze occulte. Il volto nascosto, anche in Irlanda, dei Lumi.
Il Trinity College di Dublino – l’Università più antica di Irlanda, istituita alla fine del secolo XVI, tra le più prestigiose di tutta l’Europa – vive anch’essa, quasi da sempre, nel solco del binomio cultura-occultismo. Oltre a ospitare la Old Library (il nucleo più antico della collezione manoscritta di epoca medievale) e la sua Long Room, ove studiò nel Settecento anche Edmund Burke, il College presenta non pochi lati oscuri. Se la maestosa Old Library – con le sue alte scaffalature in legno, ed oltre duecentocinquantamila libri antichi – è il cuore pulsante della vita accademica, tra i suoi mille scaffali si aggirerebbero alcuni pallidi spettri, in mantello nero, tra i quali il fantasma del professor Edward Ford, assassinato nel 1734 in circostanze mai chiarite. Un delitto irrisolto, che richiama alla mente dello storico un altro omicidio, rimasto celebre, quello seicentesco del docente di astronomia al New College dell’Università di Oxford Robert Grove (1610-1663), matematico ed astrologo poco amato dai colleghi oxoniensi, uomo di scienza dalle inclinazioni realiste, ricordato, nel tramonto del secolo XVII, dai Life and Times dell’antiquario, classicista e storico Anthony Wood (1632-1695).


Il Book of Kells, il libro miniato dell’Alto Medioevo irlandese

Fra i tesori nazionali dell’Irlanda, vi è il Book of Kells, manoscritto, minuziosamente decorato, redatto fra VIII e IX secolo, e contenente (nella prima parte) i quattro Vangeli, e (nella seconda) un corredo iconografico-illustrativo, di sole immagini, decisamente ermetiche e criptiche, volutamente oscure e ancora oggi autentico rompicapo per studiosi ed interpreti. Secondi alcuni di loro a mistero si aggiungerebbe, poi, ulteriore mistero, in quanto nel Libro di Kells mancherebbe una pagina, però non nel senso di strappata, o persa, ma proprio mai scritta. Poteva trattarsi di una profezia censurata, o di una descrizione dai contenuti considerati troppo pericolosi. Una leggenda libraria vuole che, oggi, essa sia ancora nascosta e dimenticata fra le mura del Trinity College dublinese.
Il Book of Kells fu un tipico e straordinario prodotto culturale, e dell’Alto Medioevo irlandese e del sapere monastico. Nel Libro compare fra l’altro la croce celtica, caratteristica del cristianesimo irlandese, simbolo dell’antica religione druidico-britannica riadattata alla fede cristiana dei primordi ed incorporata nel nuovo messaggio spirituale che, dall’Europa latina e mediterranea, stava – piano piano, ma inesorabilmente – conquistando anche le terre e regioni settentrionali del continente.
Il Book of Kells, in gaelico Leabhar Cheanannais, noto anche come il Grande Evangelario di San Columba, fu realizzato dai monaci irlandesi intorno all’800: un exemplum di cultura insulare, di pregevole bellezza ed eccellenza tecnica, nella redazione. Il Libro è una vera e propria opera d’arte del Medioevo irlandese, con il testo in latino dei quattro Vangeli, note introduttive ed esplicative, illustrazioni e miniature, riccamente colorate. Un gioiello, quindi, anche visivamente. E’ conservato oggi nel Fondo antico della Biblioteca del Trinity College a Dublino (Ms. 58). Il Libro è certamente il rappresentante più illustre del gruppo dei codici manoscritti prodotti dal sapere monastico, tra fine del secolo VI e principi del IX, analogo ad altri tesori librari, scritti nei monasteri inglesi e scozzesi, anglosassoni e iberno-scozzesi, nell’Inghilterra settentrionale di allora. Accanto ad esso, possiamo, infatti, ricordare, in questa sede, il Cathach di San Columba, l’Orosio ambrosiano, l’Evangelario di San Gallo, il Libro di Durrow (al quale il manoscritto di Kells è strettamente collegato), i Vangeli di Durham, quelli di Echternach, Lindisfarne, Lichfield ed il Libro di Armagh. Tutte letture decorate e materializzazione di una tradizione religiosa insulare, dalle radici storiche che si perdono nel remoto passato celtico-britannico, quando retaggio pagano e fede cristiana si incontrarono, in Irlanda, sino a fondersi sincretisticamente e non senza iniziali traumi. Ne ritroviamo echi nel ciclo arturiano, specie nel personaggio di Merlino.
Il Book of Kells deve il suo nome alla località di Kells, nella contea irlandese di Meath. Venne redatto probabilmente nell’Abbazia di Kells, ove venne custodito, per larga parte del Medioevo, che fu eretta anch’essa nel secolo IX, al tempo delle incursioni vichinghe, e delle prime guerre tra Angli e Danesi. A redigerlo furono i monaci scozzesi provenienti dall’Abbazia di Iona, una delle Ebridi. Il manoscritto venne composto, da loro, nello Scriptorium di Kells, e forse, stando a studi paleografici recenti, anche nel Nord dell’Inghilterra (a Lindisfarne), e ad ovest, al confini con le terre controllate dai Pitti. Il manoscritto fu senz’altro presente a Kells, tra XI e XII secolo, peraltro spostato più volte durante le scorrerie vichinghe del X secolo (testimonianze in merito nelle Cronache dell’Ulster, per l’anno 1006). In epoca medievale, il Book of Kells fu venerato come una vera reliquia.
Il cronachista francese, di origini bretoni, Geraldo di Cambrai, nel XII secolo, descrisse, nella sua Topographia Hibernica, un grande Evangeliario, da lui ammirato, a Kildare, vicino a Kells, nel monastero probabilmente di Glendalough, dove, nel V secolo, era stato anche Girolamo di Stridone, grande biblista e teologo, traduttore e alfiere del primissimo monachesimo cristiano alto-medievale, trasferitosi da Roma in Britannia. Quanto all’Abbazia di Kells, durante il XII secolo, divenne chiesa parrocchiale, continuando a conservare il Libro manoscritto. Nel Seicento, durante la Guerra dei Tre Regni, e lo scontro fra lealisti monarchici fedeli a Re Carlo I Stuart e parlamentari repubblicani alle dipendenze di Cromwell, al momento dell’occupazione dell’Irlanda da parte dell’esercito puritano il codice miniato venne trasferito per sicurezza a Dublino: Henry Jones – il futuro vescovo di Meath – depositò il Book of Kells nel fondo bibliotecario del Trinity College. Era il 1661. Da allora il Libro è rimasto nella prestigiosissima sede universitaria della capitale irlandese. Lì, sempre nel Seicento, lo studiò numerandone i fogli il vescovo e studioso di cronologia James Ussher, amico e collaboratore in seguito di Boyle e Newton. L’opera venne quindi rilegata più volte tra XVIII e XIX secolo.
Il manoscritto di Kells è un codice pergamenaceo, in cuoio, redatto in maiuscola insulare, con più prefazioni, volte a descriverne i contenuti. Il libro contiene come detto i quattro Vangeli. Non si può escludere che esso sia stato scritto utilizzando materiale preparatorio andato poi perduto nell’XI secolo. Oltre ai testi evangelici, esso presenta le Breves causae, gli Argumenta e le tavole canoniche di Eusebio di Cesarea. In origine, doveva contenere le poi perdute lettere geroliminiane indirizzate a papa Damaso I (cioè il leggendario Novum opus della tradizione). Le Breves causae sono i sommari della versione della Vetus Latina dei quattro Vangeli. Moltissime, in generale, sono le concordanze con il Libro di Durrow, al punto che lo storico può legittimamente pensare a una produzione di area monastica, organizzata e coordinata in comune, fra più centri religiosi e con precise direttive. Forse, lo scriba di Kells seguì come modello proprio il Libro di Durrow. Quanto alle tabulae eusebiane, si tratta di testi anteriori al canone della Vulgata stessa. Comunque, quest’ultima venne seguita in sede di scrittura del testo, non senza varianti riprese dalle traduzioni della Vetus Latina. Veniamo ora alle decorazioni. Una prima veduta generale di esse ne evidenzia l’ampia tavolozza cromatica. Abbiamo infatti porpora, lilla, rosso, rosa, verde e giallo. Molti più colori quindi che nella quadricromia usata per il Libro di Durrow. Due pagine ritraggono gli evangelisti, tre li raffigurano in chiave simbolica, una presenta una miniatura della Vergine con il Bambino e un’altra Cristo, assiso in trono. Vari testi assai significativi, come il Pater Noster, hanno iniziali decorate, frutto di arte e maestria rinvenibili anche nella coeva oreficeria anglo-irlandese dell’Alto Evo.
Le decorazioni hanno nel Book of Kells un ruolo ed un peso tali che sono esse stesse testo. La raffigurazione della Madonna possiede un alto valore iconico, con affinità stilistiche con i rilievi del coperchio della bara di Saint Cuthbert. Il Vangelo di Matteo mostra, nel principio, la genealogia di Cristo, con il monogramma Chi Rho – le due lettere greche sovente usate nei manoscritti medievali, per abbreviare il nome di Gesù – ingrandito e finemente decorato secondo gli stilemi artistici inglesi ed irlandesi del primo Medioevo britannico. Gli aspetti invece legati alla raffigurazione degli angeli sono accostabili alla tradizione iniziata dal Libro di Durrow. Altre due miniature illustrano e ornano gli episodi della Passione: Cristo ha, a destra, i discepoli e gli apostoli, ed a sinistra, sotto di sé, nere figure tra cui Satana, mentre sulla scena volteggiano le creature angeliche. Il Libro di Kells, durante il Medioevo, veniva utilizzato durante la Messa: le Cronache dell’Ulster ne confermano l’impiego, di natura liturgica. Solamente in seguito – nel corso dell’età moderna e per preservarlo, stante la sua unicità – il codice miniato manoscritto diventò un testimone della tradizione monastica irlandese ed un patrimonio di valore incalcolabile del sapere bibliotecario nazionale, gelosamente custodito.


L’antica eredità celtico-britannica in Galles e Cornovaglia

L’identità nazionale gallese emerse dalla tribù celtica dei Britanni, i quali si installarono nelle zone occidentali dell’Inghilterra, vicino alla Cornovaglia, per sfuggire alle invasioni prima romane e poi sassoni e danesi. Il Galles, dal V secolo in avanti, resistette alla conquista della Britannia, messa in atto dalle popolazioni di stirpe germanica – dagli Angli, principalmente – e mantennero, pertanto, una precisa cultura legata alle tradizioni originarie della civiltà celtico-druidica.
Il Galles fornì un rifugio, fatto di pressoché inespugnabili foreste, all’orgoglio dei Britanni, i quali, scarsamente romanizzati, conservarono una forma di indipendenza, politica ed etnica, legata a lingua e tradizioni, anche antichissime, nelle aree boscose, più ad ovest dell’Inghilterra. La nazione celtica degli antichi Britanni sopravvisse, dunque, negli odierni territori gallesi, la cui storia è molto nebulosa – i primi Celti e Druidi non conservavano memoria scritta della loro storia e cultura – fino perlomeno al XIII secolo. La scomparsa, nel 1282, di Llywelyn ap Gruffud, principe di Galles e Re del Gwynedd, a partire dal 1246, coincise con il completamento della conquista del Galles, da parte di Re Edoardo I d’Inghilterra, e da allora l’intero Principato gallese venne annesso all’Inghilterra ed incorporato all’interno del codice giuridico inglese – basato sulla antica common law, osservata, fra Medioevo e prima età moderna – mediante leggi risalenti a metà del XVI secolo.
Galles e Irlanda conservano nel loro patrimonio tradizionale echi e tracce di presunti viaggi – compiuti rispettivamente da Madoc (secondo il mito figlio di Uther Pendragon e fratello di Re Artù) e da San Brendano (l’abate monastico irlandese, vissuto nel VI secolo, ed autore di una navigazione tramandataci da un’opera latina anonima, e da numerosi ed eterogenei manoscritti, dal X secolo – in America, oltre l’Oceano Atlantico quindi, molti secoli prima del nostro Cristoforo Colombo. Quella dei Celti in America, analoga all’altra di Vichinghi ed Islandesi primi a giungere nel Nuovo Mondo, intorno all’anno Mille circa, è una leggenda storica che si diffuse molto presto. Ancora nel corso del Settecento francese, un grande esploratore e navigatore del secolo dell’Illuminismo, il naturalista La Vérendrye, intraprese viaggi e spedizioni geografiche oltreoceano nel sogno di reperire, in America, le prove della scoperta del continente occidentale assai prima del XV secolo, da parte dei Celti delle Isole britanniche o dei Norreni.
Celtiche furono anche storia e cultura della Cornovaglia, la contea inglese sud-occidentale del Regno Unito, lunga e vasta penisola protesa verso l’Atlantico, comprendente anche il Devon e parte del Somerset. L’idioma della Cornovaglia, spazio celtico dell’Antica Britannia, era imparentato con il gallese e con il bretone. La stessa lingua celtica della Cornovaglia si sviluppò nel brittonico e nel cornico. Una fonte importantissima, per la storia della Cornovaglia e dei suoi Duchi leggendari, è la Historia Regum Britanniae del vescovo e storico inglese medievale Goffredo di Monmouth, il quale fu come noto anche l’iniziatore della tradizione arturiana, strettamente connessa alla storia celtica di monarchi ed eroi inglesi del V-VI secolo.
Nella Cornovaglia pre-romana, erano presenti miniere di stagno e, durante l’età del bronzo, si sviluppò la cultura del vaso campaniforme. Dallo stagno, importato dalla Britannia, al centro di una importante rete di scambi, commerciali e marittimi, nell’Europa continentale, già a partire dal 1600 a.C., venivano ricavati bronzo e rame. Ne venne un periodo storico di accentuata ricchezza, la base per la così detta cultura del Wessex. Importanti costruzioni della antica Cornovaglia vennero erette a Men-an-Tol, sempre in epoca pre-romana. Intorno al XII secolo a.C., numerosissimi abitanti della Cornovaglia si spostarono poi in Britannia meridionale. Con l’inizio sull’odierna Inghilterra dell’età del ferro, attorno al 750 a.C., si cominciarono a realizzare attrezzi agricoli di ferro ed asce. In questo periodo, raggiunse altresì il suo apice la costruzione di fortezze collinari. Tra il X e il VI secolo a.C. la cultura delle popolazioni celtiche si diffuse, in tutte le Isole britanniche. La nostra prima fonte sui Celti di Cornovaglia e Britannia antiche è la Biblioteca storica di Diodoro Siculo (I secolo a.C.), in buona parte, una parafrasi degli scritti geografici di Pitea di Marsiglia – viaggiatore in Britannia, nel IV secolo a.C. – materiale a cui va aggiunto il resoconto di Strabone, sui commerci navali tra Fenici ed abitanti della Cornovaglia. Isole dello stagno – appellativo anche dell’antica Inghilterra – di fatto la Cornovaglia e la Britannia celtiche entrarono così in relazione e con le civiltà del Mediterraneo e con le colonie cartaginesi in Spagna. Si diffuse allora la leggenda della discendenza degli abitanti di Cornovaglia dai Fenici, nonché quella opposta, che vedeva nel Celti i lontani progenitori dei Fenici stessi.
Formata da tribù di lingua e tradizione celtiche, la Cornovaglia era denominata allora Kernow, o Curnow (del resto quella dei Cornovi era appunto una tribù di origine celtica). I suoi primi abitanti vissero nelle attuali contee dello Staffordshire settentrionale, dello Shropshire, e del Cheshire, così come nelle Midlands occidentali. In particolare, i Celti di Cornovaglia si stanziarono tra Shropshire e Powys, al confine tra Galles e Inghilterra. Un contingente di soldati della Cornovaglia fu mandato nelle zone sud-occidentali della Britannia, per regnare su quei territori e insieme respingere invasori irlandesi, come accadde nel Galles del Nord. Un movimento, quindi, verso Ovest, nella direzione di Tintagel – una delle città fortificate della leggenda arturiana, relativa, in particolare, a Merlino – un movimento collegabile ad indicazioni presenti nella Geografia tolemaica. Ad ogni modo, i Cornovi erano probabilmente una sotto-tribù del più grande popolo dei Dumnoni (e Dumnonia era appunto il nome latino della Cornovaglia e dell’antico Regno del Dorset).
Al tempo della dominazione romana, la Cornovaglia vide la costruzione e di Exeter e della via che poneva in collegamento Padstow con Fowey e Lostwithiel: la strada per traffici fra l’Armorica e la Gallia da una parte, e le aree della Britannia occidentale dall’altra. Dopo il ritiro dei Romani dalle Isole britanniche, nel 410, gli Anglosassoni conquistarono larghe fette dell’Inghilterra, centrale ed orientale, ma la Cornovaglia si rivelò impenetrabile ai Barbari e rimase governata da re britannici ed élite celtiche, di tradizione druidica. I suoi monarchi furono i Dumnoni del Devon, che costituirono un Regno di Cornovaglia, all’inizio unico e indistinto. Sino a metà del secolo VIII i re di Dumnonia furono altresì sovrani di Cornovaglia, e viceversa. Nella leggenda arturiana del gallese Gorlas, Duca di Cornovaglia tra gli elettori di Re Aurelio (padre o zio di Artù) vi sono alcuni riferimenti storici al contesto in questione. Una figura storicamente certa è quella del monarca Mark di Cornovaglia, con corte a Truro, signore di parte del Devonshire e del Galles occidentale. Tale epoca è stata definita la Età dei Santi, la fase storica di massima affermazione ed espansione del cristianesimo celtico, anche in campo artistico ed architettonico, in Irlanda, Scozia e Bretagna. Influenza politica, non solamente religiosa, esercitarono santi quali Piran, Meriasek e Geraint, grazie ai quali la Cornovaglia rafforzò i propri legami istituzionali e culturali con Irlanda e Galles, Scozia e Bretagna. Fu l’epoca aurea della cultura monastica, con Santi che furono anche Re (o, comunque, legatissimi ai sovrani locali): certo il segno ineludibile di una forte e orgogliosa alleanza andata maturando in Cornovaglia fra il trono e l’altare, la regalità temporale e l’autorità religiosa, secondo riti e cerimoniali (già celtico-druidici) di sacralizzazione del potere.
Nel VI secolo, il Regno di Cornovaglia era un importante centro politico e religioso nell’ovest dell’Inghilterra, finendo con l’assorbire quello di Dumnonia. La sovranità venne estesa, anche a Sud del canale della Manica, in Bretagna. Frattanto, gli anglosassoni del Wessex si stavano avvicinando da Est. I Britanni di Galles e Cornovaglia li sconfissero, tuttavia, nel 721, nella Battaglia di Hehil, di cui parlano gli Annales Cambriae. Altro combattimento campale saliente fu quello di Galford (838), nel quale i soldati di Cornovaglia, questa volta alleatisi con la Grande Armata dei Danesi, vennero sconfitti dall’esercito di Re Egberto del Wessex, come riportato dalle antiche cronache anglosassoni del Medioevo inglese. Gli Annales Cambriae ricordano anche un’altra grande battaglia, combattuta, nell’875, dal Re Doniert (o Dungarth) di Cornovaglia. L’alleanza definitiva, tra Angli ed abitanti di Cornovaglia, fu suggellata intorno all’anno 880 al tempo del regno di Alfredo il Grande, il monarca che difese il Wessex (e l’intera Inghilterra) dai Vichinghi, nel IX secolo. I confini fra la Cornovaglia e la Britannia furono poi fissati una volta per tutte da Re Atelstano sulle rive del fiume Tamar, come riferito – attorno al 1120 – dal monaco benedettino, cronista e storiografo del Wiltshire, Guglielmo di Malmesbury, autore delle Gesta Regum Anglorum, forse la maggiore opera storica sulla Britannia dopo la Historia ecclesiastica gentis Anglorum scritta tra VII e VIII secolo in Northumbria, da Beda il Venerabile, monaco e scrittore anglosassone legato alla Chiesa romana.
Tra il X e il XV secolo, la Cornovaglia finì progressivamente sotto il controllo inglese, prima dei Sassoni e quindi dei Normanni. Le antiche tradizioni furono nondimeno mantenute. I Normanni, nel 1066, deposero l’ultimo ealdorman di Cornovaglia, Cadoc, sostituendolo con un loro sostenitore (il Conte Robert di Mortain). Da allora sino al XIV secolo i Conti di Cornovaglia furono soprattutto Bretoni (il più famoso fu il Duca di Cornovaglia Edoardo il Principe nero, comandante nella Guerra dei Cent’anni, vissuto tra Woodstock e Westminster). Nel Trecento, la cultura della Cornovaglia si conservò e mantenne viva trovando il proprio centro nevralgico al Glasney College (terza più antica Università anglo-britannica). In seguito, nel XVI secolo, la Cornovaglia fu vista come una nemica dai Tudor, i quali ne negarono le speciali condizioni di cui aveva sempre goduto, imponendo nuove tasse a cui rispose, nel 1497, una ribellione dei minatori di Cornovaglia, contro il Re Enrico VII. La rivolta dilagò nel paese, sino alle porte di Londra, sedata solo nella Battaglia di Deptford Bridge. La Cornovaglia, in larghissima parte cattolica, fu pure poco propensa a accettare la Riforma protestante imposta all’Inghilterra, da Enrico VIII. L’Act of Uniformity scontentò quindi la regione, pure perché scritto solo in inglese, e non nel tradizionale cornico dei Celti. Ignobile fu la repressione, voluta dai re tudoriani. Le cose migliorarono, paradossalmente, durante le Civil Wars del 1644-1660: infatti, in un Sud-Ovest in generale filo-parlamentare e quindi schierato con il New Model Army di Cromwell, la Cornovaglia, rimasta in cuor suo cattolica e tradizionalista (ed anche per questo legata ad Irlanda e Scozia), volle restare fedele alla corona Stuart. Per ben tre volte, le forze repubblicane invasero la regione, dove furono altresì combattute le due battaglie di Lostwithiel (tra il 1642 ed il 1644, con le milizie repubblicane costrette dalla vittoria finale realista a lasciare la zona), e ove venne posto sotto assedio in seguito anche Pendennis Castle, a Falmouth, nel 1646.


Nell'immagine, miniature dal Libro di Kells.


Bibliografia

AA.VV., Storia religiosa dell’Irlanda, Centro Ambrosiano, Seveso, 2001.
J.G. Alexander, Insular Manuscripts. Sixth to Ninth Century, Miller, London, 1978.
E.H. Alton – P. Meyer, Evangeliorum Quattuor Codex Cenannensis, Urs Graf Verlag, Berna, 1959.
T.J. Brown, Northumbria and the Book of Kells, in The Anglo-Saxon England, Cambridge University Press, Cambridge, 1972.
G.R. Calkins, Illuminated Books of the Middle Ages, Cornell University Press, New York, 1983.
P. Crawford, Gran Bretagna. Viaggio nella storia naturale di Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda, Starlight, Milano, 1995.
N. Davies, Isole. Storia dell’Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell’Irlanda, Mondadori, Milano, 2007.
C.R. Dodwell, The Pictorial Arts of the West (800-1200), Yale University Press, New Haven, 1993.
C. Farr, The Book of Kells. Its Function and Audience, British Library, London, 1997.
J. Guter, I monasteri cristiani, Arkeios, Roma, 2008.
G. Henderson, From Durrow to Kells. Insular Gospel Books (650-800), Thames and Hudson, New York, 1987.
F. Henry, Irish Art during the Viking Invasion, Irish Province of the Society of Jesus, Dublin, 1968.
L.J. Hopkins-James, Celtic Gospels, Their Story and Their Texts, Oxford University Press, Oxford, 1934.
G. Huws, Wales, Clio Press, Oxford, 1991.
J.E. Jones, Modern Wales, Cambridge University Press, Cambridge, 1994.
L.R. Laing, The Archaeology of Late Celtic Britain and Ireland (400-1200), Taylor and Francis, Milton Park, 1975.
I. Lapper, The Tower of London, Osprey, Oxford, 2000.
K.L. Maund, Ireland, Wales and England in the Eleventh Century, Boydell Press, Woodbridge, 1991.
K.L. Maund, The Welsh Kings. The Medieval Rulers of Wales, Tempus, Cheltenham, 2000.
B. Meehan,The Book of Kells. An Illustrated Introduction to the Manuscript in Trinity College, Thames and Hudson, New York, 1994.
D. Mountfield, Inghilterra, Euroclub, Bergamo, 1980.
C. Nordenfalk, Celtic and Anglo-Saxon Painting. Book Illumination in the British Isles (600-800), Braziller, New York, 1977.
P. Payton, Cornwall. A History, Cornwall Editions, Fowey, 2004.
W. Reeves, The Life of St. Columba, Founder of Hy, University Press for the Irish Archaeological and Celtic Society, Dublin, 1857.
M. Sommer, I Fenici, Il Mulino, Bologna, 2010.
F.M. Stenton, Anglo-Saxon England, Clarendon Press, Oxford, 1947.
J. Sweeney, Irish Illuminated Manuscripts of the Early Christian Period, New American Library, New York, 1965.
G. Walter, La Rivoluzione inglese, Iduna, Milano, 2020.
D.H. Williams, The Welsh Cistercians, Carmelite Monastery, Caldey Island, 1983 (ristampa 1984).
D.H. Williams, Atlas of Cistercian Lands in Wales, University of Wales Press, Cardiff, 1990.


Keywords:
storia gallese, Vichinghi, storia dell’archeologia, Trinity College di Dublino, folklore popolare, Cornovaglia, leggende, Piccolo Popolo di Faerie
Documento inserito il: 23/08/2025
  • TAG: tradizione celtica, storia irlandese, Libro di Kells, manoscritti insulari, Vangeli, anglosassoni, Northumbria, Medioevo, Durrow, monachesimo

Articoli correlati a In Europa


Note legali: il presente sito non costituisce testata giornalistica, non ha carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità dei materiali. Pertanto, non può essere considerato in alcun modo un prodotto editoriale ai sensi della L. n. 62 del 7.03.2001.
La responsabilità di quanto pubblicato è esclusivamente dei singoli Autori.

Sito curato e gestito da Paolo Gerolla
Progettazione piattaforma web: ik1yde

www.tuttostoria.net ( 2005 - 2023 )
privacy-policy