Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, medio evo: Gervasio da Tilbury e la strega condannata al rogo
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Gervasio da Tilbury e la strega condannata al rogo

Articolo di Katia Bernacci


Gervasio di Tilbury fu un intellettuale inglese nato probabilmente a Tilbury, nell’Essex, verso il 1150 d.C.. Versatile e curioso, ricevette una formazione classica in latino e diritto canonico, studiando e insegnando a Bologna, uno dei centri giuridici più prestigiosi del Medioevo. La sua carriera lo portò a viaggiare tra Inghilterra, Francia, Italia e Sicilia, servendo sovrani come Enrico il Giovane d’Inghilterra e Guglielmo II di Sicilia, fino a diventare maresciallo del regno di Arles sotto l’imperatore Ottone IV.
La sua opera più celebre è senza dubbio gli Otia Imperialia, scritta per intrattenere e istruire l’imperatore Ottone IV. Il titolo, che significa “Passatempi imperiali”, riflette il carattere ludico del testo, suddiviso in tre parti principali. La prima parte tratta di storia e politica, con riflessioni sul potere, la monarchia e la giustizia. La seconda parte è dedicata a racconti geografici e mitologici, dove si intrecciano leggende religiose, storie di miracoli, creature fantastiche e tradizioni popolari. La terza parte esplora la cosmologia medievale, affrontando temi come la struttura dell’universo, il tempo, i sogni e i fenomeni soprannaturali.
Nel Medioevo, la meraviglia non era soltanto stupore o fantasia, era un vero e proprio linguaggio dell’inspiegabile, un modo per interrogarsi sul senso del mondo e tentare di comprenderlo. In questo sentimento si immerse profondamente Gervasio di Tilbury, raccogliendo visioni, racconti e prodigi che oggi ci offrono una chiave di lettura preziosa per quell’epoca. Un tempo in cui, tra slanci spirituali e ricostruzioni storiche, la quotidianità sembra essersi dissolta, lasciando spazio a un universo simbolico dove il reale e l’immaginario convivono senza confini netti.
Particolare attenzione, nelle raccolte di Gervasio, è data ai misteri che ancora oggi interessano i lettori, come la licantropia: «Si dice che in Inghilterra vi siano uomini che, per volontà divina o per maledizione, si trasformano in lupi durante le notti di luna piena, conservando però la coscienza umana» o la presenza di re Artù sull’Etna: «In Sicilia è il monte Etna che gli abitatori del paese chiamano Mongibello. Costoro assicurano che ai dì nostri il gran re Artù apparve nella solitudine di questa montagna».
Tra le mille incredibili storie raccontate dallo scrittore, spesso inverosimili, alcune aprono anche una finestra sulle necessità umane, altre invece si piegano ai tempi e alla cultura di quel momento storico, come nel caso del fantomatico racconto della strega.
Nel 1178, durante un viaggio al seguito dell’arcivescovo Guglielmo di Reims, il giovane Gervasio di Tilbury si trovò coinvolto in un episodio che avrebbe lasciato un segno indelebile nella sua memoria. Mentre cavalcava con il seguito ecclesiastico, notò una giovane contadina che passeggiava tra le vigne. Colpito dalla sua grazia, si avvicinò e le rivolse qualche parola, finendo il discorso con una proposta amorosa. La ragazza, arrossendo, rifiutò con fermezza, dichiarando che cedere ai piaceri del corpo sarebbe stato un peccato mortale, una condanna eterna per l’anima.
Gervasio credette che la giovane aderisse a una setta eretica, probabilmente i Catari, che consideravano il corpo una prigione dell’anima e condannavano ogni forma di desiderio carnale, non ci pensò quindi due volte e condusse la giovane dall’arcivescovo, che tentò di farla abiurare. Di fronte alle sue argomentazioni, la fanciulla indicò la sua padrona come più adatta a discutere di teologia.
La donna, anziana e residente a Reims, stupì il clero con la sua profonda conoscenza delle Sacre Scritture e la sua eloquenza. Nonostante ciò, entrambe furono condannate al rogo come eretiche. Poco prima dell’esecuzione, la padrona compì un gesto misterioso: gettò un gomitolo di filo dalla finestra, tenendone un capo, e gridò: “Prendi!”. Sotto gli occhi increduli dei presenti, il filo si tese e la donna si sollevò in aria, seguendo il gomitolo, fino a scomparire nel nulla.
La giovane, rimasta sola, rifiutò di rinnegare le sue convinzioni. Fu condotta al rogo e affrontò il martirio con serenità, senza mostrare alcun segno di dolore mentre le fiamme la avvolgevano. Tornato in Inghilterra, Gervasio raccontò questa vicenda all’abate Ralph del monastero cistercense di Coggeshall.
Secondo alcune interpretazioni, le due donne appartenevano davvero all’élite spirituale dei Catari, i cosiddetti “perfetti”, che rifiutavano il matrimonio, non mangiavano carne e credevano che lo spirito fosse opera di Dio, mentre la materia provenisse dal demonio. I “perfetti” praticavano il consolamentum, un rito che liberava l’anima dal ciclo della reincarnazione. La Chiesa cattolica li accusava di eresia, di riunioni segrete e di pratiche sessuali immorali, anche se molte di queste accuse erano probabilmente frutto di propaganda.
Dal racconto di Gervasio purtroppo, come dicevamo, emergerebbe la giovinezza del cronista, ma anche la sciocca credulità di un’epoca costretta dalle tensioni sociali alla ricerca di un capro espiatorio, ancora una volta trovato nell’elemento più debole della società: la donna, la strega. In questo particolare caso però, sembrerebbe che questo racconto non sia frutto della penna dell’autore quanto di ricostruzioni più tarde, come sosterrebbe la studiosa S.M. Barillari, nel suo saggio “Protostoria della strega. Le fonti medievali latine e romanze”, che analizza le origini della figura della strega nel Medioevo, ma non attribuisce a Gervasio un ruolo diretto nel rogo della strega catara.
Non solo nel Medioevo si cercava di stupire, la Rete globale oggi consente di ribattere informazioni che diventano a volte virali e spesso entrano nel tessuto delle vicende date per certe, usando il meccanismo della mezza verità, senza rispettare la realtà storica.


Nell'immagine, streghe al rogo in una stampa del 1555.


Documento inserito il: 14/09/2025
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