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Monarchi inglesi, regni celtici e miti del Nord: leggendari sovrani della Britannia antica e medievale

di Davide Arecco


Dinastie, guerre, comandanti e usurpatori: storie politico-militari anglo-britanniche

Nel 1670, dopo il riflusso puritano e la fine delle aspre contese fra parlamento e corona, John Milton pubblicò la prima edizione – una seconda sarebbe stata stampata tra il 1677 ed il 1678, una terza nel 1695, e una quarta ed ultima nel 1818 – della sua History of Britain. Per la stesura, l’autore del Paradise Lost si basò in larga parte ed esplicitamente sulla storiografia precedente, approntando una collezioni di testi e materiali documentari, che andava from the first traditional beginning sino alla conquista normanna, dopo la Battaglia di Hastings (14 ottobre 1066), vinta contro Re Aroldo II dal Duca Guglielmo il Conquistatore. Nei VI Libri della History of Britain (dedicati rispettivamente all’epoca antica, all’occupazione romana, all’ascesa dei Sassoni, all’eptarchia inglese, al processo di unificazione del Regno da Egberto e Edgar ed infine ad Edoardo I), Milton mescolava storia fondata sugli antichi ranghi di successione monarchica e fonti da lui commentate, circa gli antichi sovrani di Britannia, non senza paralleli con il XVII secolo e la Restaurazione, sul trono, degli Stuart. Milton, nella stesura della sua History, ammise il carattere leggendario di molti dei primi Re inglesi, al pari della (talora irrimediabile) inconciliabilità tra fonti e documenti, che fanno riferimento ad un remoto passato perso tra le nebbie della storia più antica e ancora ammantato di riferimenti mitici. Favole di ascendenza popolare tramandate dai bardi gaelici, prima di venire messe per iscritto, che, peraltro, il poeta londinese – non solo scrittore, ma anche statista e teologo, dalla grande erudizione – tenne in considerazione giustificandone l’uso in sede di ricostruzione storiografica e preferendole alle opere di retori a lui più vicini nel tempo.
Nella History of Britain miltoniana, la cui prima redazione risale al 1649-1650, viene citata ed impiegata la lista di sovrani leggendari della Britannia antica presente principalmente nella Historia Regum Britanniae, scritta da Goffredo di Monmouth, intorno al 1136: una storia romanzata e basata sui manoscritti dei primi storici medievali (Gildas, Nennius, e Beda il Venerabile), sulle genealogie gallesi e sulle Vitae Sanctorum, non senza un certo lavoro di immaginazione, per raccordare le parti più oscure e meno documentate della storia inglese antica. In taluni casi, Goffredo aveva ricostruito il profilo dei sovrani britannici su figure storiche, realmente esistite, ma entro un quadro narrativo di stampo leggendario. Il racconto del Vescovo di Monmouth era cominciato con l’esilio del Principe troiano Bruto, da cui secondo lo schema della Historia Brittonum nenniana sarebbe derivato il nome della stessa Britannia. Inoltre, Bruto sarebbe disceso da Enea, leggendario Principe dei Dardani (un popolo balcanico, di tribù illiriche, provenienti dall’Asia Minore). Quanto ai monarchi precedenti a Bruto, li troviamo in un documento che racconta dei viaggi di Noè e della sua progenie in Europa, a suo tempo attribuito allo storico ed astronomo babilonese Berosso ed oggi ritenuto un falso ad opera del monaco benedettino quattrocentesco Annio da Viterbo, autore dei XVII Libri degli Antiquitatum variorum volumina e non sempre molto scrupoloso in sede di valutazione delle fonti testuali.
Anche le Triadi gallesi – gruppo di testi manoscritti, fra di loro collegati, riportanti in maniera frammentaria notizie ed informazioni su folclore e mitologia del Galles primevo – furono una fonte, riguardo ai primi e leggendari monarchi britannici, utilizzata da Goffredo di Monmouth. Gli storici rinascimentali John Bale e Raphael Holinshed presero l’elenco dei sovrani celtici fornita dal testo – apocrifo, come detto – dello pseudo-Berosso trasformandoli in Re di Britannia e Gallia. Milton, nel Seicento, ricordò tali tradizioni manoscritte, nelle pagine delle sua History of Britain. Sono pertanto sopravvissute, e giunte sino a noi, liste di sovrani dagli incerti contorni. Nessuna è originale e molto poche sono probabilmente quelle davvero attendibili. Sono tutte piuttosto simili, ma nessuna uguale alle altre sino in fondo. Gli storici settecenteschi dell’Inghilterra – tra cui ad esempio David Hume e Rapin Thoyras, influenzati dalle necessità di rigore metodologico e documentario della storiografia illuministica – hanno considerato queste liste (quasi sempre meri elenchi, con semplici nomi) al pari di insiemi, giustapposti ed assemblati, di imperatori e re, signori della guerra ed eroi della mitologia celtica. Tali liste, per quanto spurie, e basate su perduti resoconti leggendari, hanno contribuito, non di meno, a costituire la cosiddetta Materia di Britannia, ossia la raccolta di materiali tradizionali – antichi, medievali e pre-moderni, sia in prosa sia in versi – della storia d’Inghilterra.
Nel corso del secolo XV, Annio da Viterbo affermò di aver ritrovato frammenti berossiani che riportavano dettagli circa i primi insediamenti celtici, dopo il Diluvio biblico – ancora tra Seicento e Settecento, per teologi anglicani e uomini di scienza quali Boyle e Burnet, un punto di riferimento a dire poco irrinunciabile, per ricostruire la storia sacra e profana del mondo, tra mito e Rivelazione – per mano di Samote, figlio di Jafet, e nipote di Noè. Annio, un filologo ed erudito molto fantasioso, pubblicò tali notizie, nei suoi Antiquitatum variorum volumina (1498). Per lui, il regno samotiano si sarebbe trovato in Europa, fra la catena montuosa dei Pirenei e la Valle del Reno. I cinque monarchi della Britannia celtica o samotea, citati da Annio, ricavandoli dal manoscritto dello pseudo-Berosso, vennero definiti Re britannici, insediatisi dopo il Diluvio universale, dalle cronache rinascimentali di Holinshed (1577), il quale da parte su aggiunse all’elenco Albione e Bruto.
Alcune precisazioni a proposito di Samote (o Samoth nelle antiche lingue nordiche) detto pure Dis: i primissimi autori di storie della Britannia antica, portatori di una concezione religiosa, di tipo mosaico e quindi biblico, concordarono, pressoché tutti, sul fatto che l’Isola, prima del Diluvio, non fosse mai stata abitata. Lo affermano per esempio le cronache di Holinshed, che a loro volta citano, tra le diverse fonti autorevoli, lo storico e presbitero urbinate naturalizzato inglese Polidoro Virgili, vissuto tra XV e XVI secolo, docente alle Università di Pavia, Bologna e Padova, uomo di corte dei Montefeltro, giurista, diplomatico e teologo della curia pontificia con potenti contatti a Parigi, prima di trasferirsi in Inghilterra (a Lincoln, Hereford, Brent, Wells, Oxford, Bath e Londra, qui a contatto con i maggiori esponenti dell’umanesimo erasmiano inglese: Fox, Warham, Pace, Linacre, Latimer, More, Lilye e Colet). La Historia anglica di Polidoro Virgili, stampata in ventisei Libri a Basilea tra il 1534 ed il 1555 conservata oggi manoscritta nella Biblioteca Vaticana, trattava della conquista ad opera dei Normanni (Libri I-VI), dei Regni di Guglielmo I e II (i successivi Libri), di Enrico VIII e Giacomo IV Stuart di Scozia (nei restanti), arrivando sino al 1513. Opera di stratificata erudizione, la Historia anglica virgiliana combinava più fonti documentarie: il De bello gallico cesariano, vari richiami di ordine mitologico alla antichissima storia egizia ed israelitica, nonché estratti dal codice pseudo-berossiano e da Goffredo di Monmouth (in questo secondo caso facendo tesoro delle riserve critiche dell’antiquario londinese cinquecentesco John Leland). L’opera, relativamente agli antichi e leggendari sovrani di Britannia, fu come detto riutilizzata anche da Holinshed per le sue cronache (a margine, ricordiamo che Polidoro fu anche autore a Parigi nel 1499 del trattato De Inventoribus, fra dissertazione sulle nuove tecniche quattrocentesche e più tradizionale repertorio enciclopedico circa tra l’altro astrologia matematica e arti divinatorie: motivo per cui il libro finì all’Indice nel 1576).
L’interesse umanistico virgiliano, per la prima storia inglese, non si limitò solo alla stesura del testo della Historia anglica pure usando per i sovrani britannici il manoscritto dello pseudo-Berosso di Annio, ma si manifestò, altresì, in una edizione critica del De excidio et conquestu Britanniae del monaco e storiografo anglico Gildas (vissuto a Strathclyde fra il 493 ed il 570), pubblicata nel 1525, ed in parte nel Liber de Prodigiis, dialogo del 1531 con l’amico Robert Ridley, nativo di Cambridge e docente all’epoca di teologia (Divinity) presso l’Università di Oxford.
Annio da Viterbo, il cui pseudo-Berosso venne impiegato dunque da più dotti e storiografi, tra XV e XVI secolo, vide, anche lui, in Samote il primo colonizzatore di epoca post-diluviale, il primo monarca delle regioni celtiche dell’antichissima Britannia, appena uscita dalla preistoria. Stando ad Annio, Samote pervenne nell’odierna Inghilterra occidentale, circa un secolo e mezzo scarso dopo il Diluvio biblico, mentre secondo Milton vi giunse dopo due interi secoli. Ancora una volta, le nostre fonti non concordano, in questo neanche in relazione al mito originario di fondazione. Nel corso del XVIII secolo, il glottologo e linguista William Lemon parlò di oltre trecento anni. Lemon portava avanti il discorso avanzato nella Britannia Antiqua Illustrata (1676) dall’antiquario e storico Aylett Sammes (assertore, nel secolo XVII, dell’influenza dei Fenici sui Gallesi), che aveva datato l’arrivo di Samote in Britannia nel 2068 a.C. Sulla scorta di Annio, John Bale e William Harrison scrissero, riguardo al Regno samothiano, che si protrasse per oltre tre secoli. In particolare, nel suo Illustrium maioris Britanniae scriptorum (del 1548), Bale scrisse che il regno dei Samothiani (inclusi tutti i Re antecedenti Albione), terminò nel 1736 a.C., retrodatando dunque al 2071 a.C. l’arrivo di Samote in Britannia e l’inizio della sua dinastia. Bale precorreva così la datazione data dal Sammes, condivisa, inoltre, dal drammaturgo e letterato Anthony Munday nella sua cronaca, con una leggera variante di datazione (2075 a.C.). A monte di tale tradizione, a sua volta fondata sull’apocrifo berossiano, sta il discusso lavoro esegetico di Annio, primo a vedere in Samote il figlio di Jafet e il nipote di Noè. Gli storici seguenti, tra i quali Holinshed, identificarono invece Samote con Meslech, un discendente di Jafet, citato nella Bibbia (Genesi, 10, 2). In generale, quanti si collocarono lungo la linea, storica ed interpretativa, di Annio, Bale e Holinshed si trovarono tutti d’accordo nell’affermare che da Samote l’odierna Inghilterra prese il nome di Samotea, e che i primi abitanti vennero chiamati per l’appunto Samoteani (o Samothiani). Alcune leggende storiche sorte in epoca rinascimentale cercarono inoltre – giocando sull’assonanza fonetica, e forzando l’etimologia – di far discendere gli stessi Samoteani, cioè i presunti antenati dei Britanni celtici, dalla Samotracia. Ipotesi, evidentemente, sia assurda, sia fantasiosa e del tutto inattendibile nonché fuorviante.
La tradizione – prima orale (affidata ai bardi celtico-gaelici), poi manoscritta, infine a stampa – assegna a Samote un figlio, Mago (nome assai probabilmente da riferire ai poteri esoterico-occulti della casta sacerdotale dei Celti di Britannia e forse proprio da allora entrato in uso, oppure stando a altri interpreti da ricollegarsi ai Re Magi della tradizione cristiana, posteriore). Bale spese a riguardo tesori di energia, per riconnettere Mago ai toponimi britannici, che presentano lo stesso suffisso (ad esempio, Noviomagus Reginorum). Secondo la leggenda, figlio poi di Mago fu Sarone, fondatore di un misterioso culto religioso druidico a parere di Sammes. Forse, a Sarone pensò Tolkien, per il suo Sauron, stregone e re degli orchi. Figlio di Sarone fu Druis, creatore, come suggerisce l’etimologia, dell’Ordine dei Druidi. Da Druis venne Bard, padre appunto dei Bardi (ricordiamo, al riguardo, che i Celti di Britannia diffidavano della scrittura e preferivano affidare le gesta eroiche dei loro Re alla tradizione dei canti orali, motivo per il quale abbiamo talvolta di loro testimonianze tardive). Infine, vi fu Albione – non riportato da Annio da Viterbo, ma da altre fonti – discendente del dio Nettuno e descritto come un gigante, capace con l’aiuto del fratello Bergion (sovrano d’Irlanda e delle Orcadi) di detronizzare il samoteano Bardo. Naturalmente, secondo la leggenda, fu da lui che l’Isola prese il nome di Albione. Bale ha datato la detronizzazione di Bardo, la cui leggenda appare anche in opere come quella succitata di Goffredo di Monmouth, al 1736 a.C.
Molti di tali personaggi – figure più leggendarie che storiche, in vero – erano già conosciuti, ancora prima di venire indicati nelle Antiquitates variae, accettate dai cronachisti inglesi medievali, in ragione della loro inclinazione a rileggere – anzi, a riscrivere – la storia monarchica britannica, in rapporto con il testo sacro biblico e la tradizione mosaica (la stessa operazione effettuata, poi, tra il 1693 ed il 1694, da Newton, nella sua Original of Monarchies manoscritta). Ad ogni modo, di fatto, la lista dei leggendari sovrani della antica Britannia, fornita da Annio, è stata ripresa negli Illustrium Maioris Britanniae Scriptorum del Bale (1548), nella Historia Cantabrigiensis Academiae di Caius (1574), nella descrizione e storica e geografica dell’Inghilterra ad opera di William Harrison (1577), nelle cronache di Holinshed (1587), e in quella più breve e succinta di Munday (1611), approdando, così, nel Seicento della nuova scienza inglese. A fianco di quest’ultima, e nel solco della tradizione, anche la produzione storiografica degli accademici vissuti nel XVII secolo in Inghilterra conobbe il suo primo grande sviluppo di epoca moderna, incorporando senza soluzione di continuità gli elenchi di Annio da Viterbo, molto popolari e diffusi, tra cronachisti e storici, antiquari ed antichisti inglesi, nel secolo degli Stuart. Prima ancora di Milton, vari storiografi di area britannica – Speed, Camden e il Raleigh della Historie of the World (1616) furono i primi a espungere con severo rigore critico e metodiche razionalistiche la lista di Annio, dal racconto storico nazionale. Non di meno, in ambienti extra-universitari, non soltanto la leggenda faticò a morire, ma – ricavata, ancora una volta, dal testo dello pseudo-Berosso – continuò a circolare abbastanza ampiamente una lista supplementare dei Re celtici, del tutto differente dopo Bardo I. Questa sorta di elenco separato conteneva quei sovrani che avrebbero continuato a regnare sulle popolazioni celtiche dell’Europa continentale, se non anche in Britannia. Tale seconda lista, anniana pure essa, comprende – dopo Samote e Mago, naturalmente – Sarronio, Druio (dobbiamo qui tener conto delle varianti latine e gallesi nei nomi dei sovrani stessi), Bardo, Longo, Bardo Junior, Luco, Celto I, Ercole (o Eracle), Celto II, Galate, Arbone, Lugdo (dal quale forse provenne la tolkieniana Lugburz, il Castello di Sauron), Beligio, Iasio, Allobrox, Romo, Paris, Lemano, Olbio, Galate II, Nanne, Remis, Franco, Pitto (palese richiamo ai Pitti delle foreste e dei boschi scozzesi) e, solo a quel punto, il Bruto di Goffredo di Monmouth. Veramente una (ancora più misteriosa) lista alternativa di nomi di monarchi semi-leggendari, molti dei quali probabilmente mai esistiti davvero: autentica reinvenzione della tradizione, in nome dell’orgoglio nazionale.
Va infine ricordato, ai fini della presente ricostruzione di storia della storiografia britannica, il poema anglo-normanno trecentesco intitolato Des grantz geanz – traducibile come I grandi Giganti, o Sui grandi Giganti, forse con un rimando al tradizionale camminare sulle spalle dei Giganti – nel quale si possono rinvenire ulteriori varianti al già mosso e variegato quadro sin qui dipinto. Stando, infatti, al poema, un gruppo di coloni ellenici, di sangue reale, guidati dalla regina Albina, si stabilì in una Britannia, prima di allora, disabitata. Albina diede il suo nome all’Isola, che fu, poi, chiamata Britannia da Bruto. In sostanza – attraverso un richiamo alla storia greca antica, rintracciabile anche nell’incipit della History of Britain miltoniana – il poema Des grantz geanz prova mediante tecniche evemeristiche a razionalizzare le leggende, tanto quelle bibliche sui Giganti quanto quelle inglesi su antichi Re e Prìncipi della Britannia celtica. Albina è descritta come molto alta, presentata come una regina umana, discendente da un monarca greco, ma non in veste di creatura mitica. Lo stesso mito di Albina è stato ritrovato in alcuni manoscritti successivi del Romanzo di Bruto di Robert Wace (un chierico e scrittore normanno, alla corte di Eleonora di Aquitania e di Enrico II d’Inghilterra), in cui funge da Prologo. Il romanzo è una versione ampliata del secolo XII della Historia di Monmouth.


I sovrani britannici secondo la storia monarchica nazionale di Goffredo di Monmouth

Nella sua Historia Regum Britanniae, Goffredo di Monmouth stila un lungo elenco dei Re di Britannia. La lista prende avvio con Bruto e si conclude con Cadwallader, ultimo sovrano nazionale di una etnia celtica, primo dell’arrivo degli Anglo-Sassoni. Della Dinastia di Bruto di Britannia (XII secolo a.C.), fanno parte Locrino, Gwendolan e Maddan. A seguito del conflitto tra i figli di questi – Mempricio e Malin – ed alla incoronazione di Mempricio, salgono sul trono di Britannia Ebranck, Bruto II Greenshield, Leil, Rud Hud Hudibras, Bladud, Leir (il futuro Re Lear, in Shakespeare), il Duca di Alba Maglauro e quello di Cornovaglia Henwin, Cordelia, Morgan I e Cunedag, l’iniziatore della prima dinastia di Cornovaglia. Questa include dopo di lui Rival, Gurgust, Silvio, Jago (ripreso poi dall’Othello shakespeariano), Kimarco e Gordodug. A seguito della guerra civile di cinque Re – Ferrex, Porrex I, Pinner di Loegria, Rudauco di Cambria (l’antico nome celtico del Galles), Staterio di Alba – si afferma la seconda dinastia di Cornovaglia con Cloten e Dunvallo Molmuzio. Dopo una nuova guerra, stavolta tra i due fratelli Belino il Grande e Brennio, il primo divenne Re dei Britanni, e il secondo governò sulle terre inglesi, sino a Nord dell’Humber. Seguirono molti altri Re: Gurguit, Guithelin, Marcia, Silvio II, Kinario, Danio, Morvido, Gorboman, Archigallo, Elidyr, Archigallo II, Eliduro, Ingenio, Pereduro, Gorboman II, Morgan II, Enniauno, Ydwallo, Runo (si noti l’assonanza, qui, con le rune celtiche e in genere nordiche), Gerenno, Catello, Millo, Porrex II, Cherin, Fulgenio, Eldred, Androgeo e quindi Uriano.
La Historia Regum Britanniae e il Brut y Brenhinedd riportano a questo punto altri elenchi di sovrani estratti a sorte (Elihud, Cledauco, Cloteno, Gurginzio, Meriano, Bledudo, Cap, Oeno, Silvio III), per giungere alla Dinastia di Beldgabred e Archmail. Quindi altri sovrani estratti a sorte (Eidol, Rodiano, Redechio, Sawyl Penuchel, e Pir), sino all’affermazione della Dinastia di Capoir (Dinello, Heli, Lud, Cassivellauno, Tenvanzio, Cunobelino, Guiderio, e dopo un interregno di quasi vent’anni Arvirargo, Meurig, Coel e Lleirwg Mawr). Terminata una nuova fase ultra-ventennale di interregno, il leader della resistenza anti-romana Sulgenio (Argentocoxos) fu Re dei Britanni, dal 208 al 211. A lui, succedette un periodo di caos: estintasi in area celtica la Dinastia dei Severi (sul trono dal 212 al 216) e dopo un nuovo interregno di ben undici anni il titolo di Re fu usurpato dai romani Carausio e Alletto, per due lustri (286-296), quindi si alternarono sul trono britannico – dal 305 sino al 388 – la Casata dei Votadini (con: Coel Hen, Trahern e Massimiano), e quella dei Gewissi (rappresentata da Eudaf Hen ed Ottavio). Solo a quel punto, il potere regio venne concentrato nelle mani della Casata dei Dumnoni (dei Regni di Cornovaglia, Devon e Dorset), con i monarchi Caradoc e Dionoto.
Conclusasi una ulteriore fase di interregno (388-407), la Casata di Britannia si stabilizzò, sul trono inglese, con Flavio Claudio Costantino II e Costante. Quindi un altro interregno (409-425) e il ritorno della Casata dei Gewissi, con le discusse e complesse figure di Vortigern e Vortimer (echi di loro anche nel ciclo arturiano, e nelle vicende leggendarie di Merlino, immortalate sempre ad opera di Goffredo di Monmouth) nel V secolo. Si affermò a quel punto il casato bretone, con Aureliano (o Aurelio), Uther Pendragon, Artù e Mordred, tra V e VI secolo. Morto Artù, dopo avere sconfitto gli eserciti ribelli del figlio Mordred – come raccontato, un secolo dopo la Historia di Monmouth, dalla saga di Thomas Malory – la Casata dei Dumnoni riprese il potere regale con il Re Costantino III. Le succedette nuovamente quella di Bretagna (con Gwydre e Aurelio Conano), seguita dalla Casata del Dyfed con Vortiporio (in gaelico Gwrthefyr) e da quelle di Gwynedd con Maelgwn Hir, del Wessex con Cerdic (prima del lungo periodo di interregno anglo-sassone, durato dal 554 al 615) ed infine di nuovo del Gwynedd, coi sovrani britannici Cadvan (o Cadfan), Cadwallon e Cadwallader (in lingua celtica antica, Cadwaladr Fendigaid). Quanto vi è di vero, e quanto di inventato, in questo elenco di Goffredo di Monmouth? Molto, probabilmente, secondo il metro degli storici odierni, senz’altro poi per il primissimo periodo della storia britannica antica. La lista copre, di fatto, un lunghissimo arco cronologico, dal 1125 a.C. al 682 d.C. Le lacune colmate con il lavoro di fantasia ed immaginazione non devono essere state certo poche, insieme al lavoro di cristianizzazione del passato pagano.
La narrazione di Monmouth si conclude, dunque, con Cudwallader. Alla sua morte i monarchi britannici non furono più i sovrani di tutta l’Inghilterra, a causa della riduzione dei loro dominii, ad opera degli Anglo-sassoni, in particolare dei Vichinghi danesi. I Britanni di origine celtica – oltre al Galles ed alla Cornovaglia – regnarono sul Wessex, mentre la Mercia, l’East Anglia e lo stesso Kent si trovarono a dovere fronteggiare le orde sassoni provenienti dal mare nord-orientale. Nelle terre di Cornovaglia, Galles e Wessex, furono ad ogni modo i Re celtici a diventare Bretwalda ed in seguito sovrani inglesi. Gli eredi celtici al trono sopravvissero, poi, all’affermazione degli Angli, nel Regno del Gwynedd, riconoscendo l’autorità dei monarchi dell’Inghilterra solo nel corso del Duecento. Re, prìncipi e signori del Gwynedd governarono nelle zone nord-occidentali della Britannia, sino all’età di Dafyd ap Gruffydd (1282-1283). Solo la sua scomparsa segnò la fine della Casata di Bruto con la quale anche Milton, a metà Seicento, faceva iniziare la storia inglese. Lo stesso Owen Tudor, ossia il nonno del futuro Enrico VII d’Inghilterra, discendeva per linea materna dai Re del Gwynedd (e la cosa non sfuggì, nel XVI secolo, al matematico e medico elisabettiano John Dee, quando nobilitò la dinastia tudoriana con riferimenti storici britannici e arturiani). L’unione di Enrico con Elisabetta di York – a Londra, il 18 gennaio 1486 – da un lato pose fine alla Guerra delle Due Rose tra Lancaster e York, e dall’altro marcò, pertanto, anche la fusione delle casate reali: celtico-britannica ed anglo-normanna, sotto un’unica corona, quella d’Inghilterra (il cui nome deriva come noto dagli Angli).


Re dei Britanni e sovrani storici dell’Inghilterra antica e alto-medievale

Fonti sulla Britannia anglo-sassone, anche per Milton e per gli storici anglo-scozzesi, tra XVII e XVIII secolo, furono tra gli altri Gildas e Beda. Nella fattispecie, il titolo di Re dei Britanni venne usato, talvolta a posteriori, per indicare il monarca più potente, fra i Celti di Inghilterra, del Galles e della Scozia meridionale, la cui identità etnica è mantenuta, oggigiorno, in Cornovaglia e Bretagna, ossia a Nord ed a Sud del Canale della Manica. Il titolo fu utilizzato o attribuito, sia prima, sia dopo l’occupazione romana della Britannia, sino alla conquista normanna, ed ancora in seguito. Lo stesso titolo venne impiegato, inoltre, per indicare alcuni Duchi di Bretagna durante il IX secolo, all’epoca delle guerre anglo-danesi, intendendo, in quest’ultimo caso, i Re dei Bretoni. Limitandoci, in questa sede, ai soli monarchi che regnarono nell’antica Britannia – con l’eccezione, tuttavia, di Riotamo, il quale potrebbe avere governato anche sulle terre settentrionali del continente europeo – ricordiamo che almeno venti Re, fra i Britanni insulari, sono stati indicati dalle fonti con il titolo, leggendario e storico, insieme, di sovrani dei Britanni, mentre anche ad altri sono stati assegnati titoli simili. Solo il Galles – o meglio, parti dei suoi territori – rimase peraltro sempre sotto il dominio dei Britanni e il termine medesimo a loro riferito venne utilizzato come sinonimo di Cymri, gli antichi gallesi.
Per via di ciò, e a causa del potere declinante di questi ultimi, a favore dei Re d’Inghilterra, fra tarda antichità e Alto Medioevo, si innescò un graduale processo di sviluppo degli stessi titoli, con i quali tali sovrani spesso più leggendari che storici venivano riconosciuti: Re dei Britanni, nel secolo XI, e Principi di Galles, dal XIII. Anche se molti dei Re dei Britanni ebbero la base del loro potere nel Gwynedd (cioè il Galles del sud), abbiamo anche monarchi di altre zone a partire dal VII secolo, ad esempio, dalla Dumnonia, vale a dire l’Inghilterra del sud-ovest, nonché dall’area di Strathclyde, nella Scozia sud-occidentale. Quasi quaranta, pertanto, sono i sovrani storici ai quali fu assegnato il titolo riconosciuto di Re dei Britanni, quasi sempre con una base regionale del loro potere. Si tratta di Cunobelino (menzionato da Svetonio e poi trasformato in Cymbaline, da Shakespeare), Vortigern (citato dalla Historia ecclesiastica gentis Anglorum di Beda), il già ricordato Riotamo (menzionato da Giordane, e attivo in Gallia), Ambrosio Aureliano nel Wessex (ne parla Gildas), Maelgwn Hir ap Cadwallon (collocato nel Gwynedd dalla Vita Sancti Brendani e dalle tante storie di età carolongia), Urien ap Cynfarch (che il ciclo di Taliesin pone a Rheged), Selyf ap Cynan (collocato dalle Triadi gallesi e dagli Annali dell’Ulster nel Powys), Ceredig ap Gwallog e Cadwallon ap Cadfan (di cui si legge in Beda), Idris Gawr e Owain (rintracciabili negli Annali dell’Ulster), Cadwaladr (citato dalla Historia Brittonum compilata dal monaco gallese Nennio nel IX secolo), Geraint di Dumnonia (lo si trova menzionato nella Anglo-Saxon Chronicle), Rhodri Molwynog (rammentato dagli Annali del Galles), Merfyn Frych ap Gwriad (indicato dal Crittogramma di Bamberga), Mawr ap Merfyn (nella contea di Seisyllwg), Anarawd ed il suo primogenito Idwal Foel (che compare tra l’XI e XII secolo, nella Gesta Regum Anglorum di Guglielmo di Malmesbury), Hywel Dda del Deheubarth, Domnall, Maredudd ab Owain (citato dal Brut y Tywysogion, cronaca di storia gallese dal taglio annalistico ed ideale continuazione della Historis di Monmouth, complementare al Libro Rosso di Hergest e ricca di informazioni su eclissi celesti, fenomeni geologici ed eventi del calendario liturgico verificatisi in Inghilterra, Irlanda e Scozia tra il VII e XI secolo), Llywelyn ap Seisyll, Iago ab Idwal, Gruffydd ap Llywelyn, Bleddyn, Cynfyn, Rhys ap Tewdwr nel Dehenbarth, Cynan, Owain Gwynedd (un chiaro patronimico), Rhys ap Gruffydd, Llywelyn Fawr, Dafyd (al tempo di Merlino e Artù – altre figure a cavallo tra storia e leggenda – e dunque nel V secolo, circa), Llywelyn ap Gruffydd (che stipulò due trattati, uno con l’Inghilterra, ed uno con la Scozia), quindi – dopo un interregno, durato per l’intera seconda metà del Duecento – altri Re rimasti ignoti sino a Owain Glyndwr, incoronato nel 1404. La maggior parte delle notizie su questi ultimi sovrani viene soprattutto dal Brut y Tywysogion. Fonte a esso affine, e tutto sommato paragonabile, per quanto forse appena meno circostanziata, è il celebre Libro Rosso di Hergest, uno dei più importanti manoscritti della letteratura gallese medievale.
Il manoscritto del libro racchiude e componimenti poetici e parti in prosa. Venne scritto, fra il 1382 e il 1410, da più amanuensi, uno dei quali fu Hywel Fychan fab Hywel Goch, di Buellt. Di lui, si sa che lavorò per conto di Hopcyn ap Tomas ab Einion (1329-1404) di Ynysforgan a Swansea, ed è altresì possibile che il manoscritto sia stato redatto proprio per lui. Il nome è suggerito infatti dalla rilegatura in pelle rossa, e dalla associazione con Hergest Court (in gaelico, Plas Hergest), nei pressi di Kington nell’Herefordshire, vicino alle Marche gallesi, residenza fiorente, dalla seconda metà del Quattrocento sino agli inizi del secolo XVII. La storia del manoscritto dice che esso fu acquistato da Thomas Wilkins, chierico ed antiquario del Galles, quindi donato alla sua morte (1699) al fondo dei codici del Jesus College di Oxford. Oggi, lo si ritrova conservato alla Bodleian Library (Ms. 111). Il Libro Rosso di Hergest, disposto a colonne, è molto importante anche per i suoi contenuti. La prima parte del manoscritto contiene testi in prosa: una versione del Mabinogion (l’altra si trova nel Libro Bianco di Rhydderch, famoso e fondamentale codice gallese medievale che raccoglie opere in prosa ed esempi di antica poesia), narrazioni storiche (tra cui una traduzione in gaelico della Historia del Vescovo di Monmouth), racconti ed altri testi (inclusa una serie di Triadi gallesi). La seconda parte del libro di Hergest contiene invece poesia, specie del tempo della così detta Poesia dei Prìncipi (gli equivalenti come detto prima dei sovrani britannici). Né mancano rimedi botanici, che rimandano al filone della farmacopea e della terapeutica a base erboristica medievali, rimedi a loro volta associati allo speziale ed alchimista Rhiwallon Feddyg, capostipite di una scuola di medicina che sopravvisse per oltre cinque secoli, quella dei medici di Myddfai, villaggio appena fuori Llandovery. Alla storia e tradizione del Libro Rosso di Hergest si richiamò Tolkien per mutuarne il titolo del Libro Rosso di Westmarch, la leggendaria fonte medievale delle sue storie ambientate nella Terra di Mezzo.


Nell'immagine, cartina della Britannia tardo-antica tra IV e VI secolo.


Fonti primarie a stampa

R. Baker, A Chronicle of the Kings of England, Ballard, London, 1733.
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Beda il Venerabile, The Ecclesiastical History of the English People, a cura di J. McClure-R. Collins, Oxford University Press, Oxford, 2009.
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Parole chiave:

storia dell’Inghilterra, antichità, Alto Medioevo nord-europeo, re inglesi, storia della storiografia medievale, leggende, mitografia, casati, agiografia, ciclo arturiano e bretone


Documento inserito il: 19/09/2025
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