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Storia dell'uomo dalle origini ai giorni nostri. Cinquantunesima puntata

di Alberto Sigona


La Crisi del ‘29

Intanto negli Stati Uniti (considerati gli unici “veri” vincitori della Prima Guerra Mondiale), nel 1929 si scatena una gravissima crisi economica destinata ad avere ripercussioni in tutto il Mondo (giacché molti Stati usufruivano di prestiti americani per riprendersi dal conflitto e vi intrattenevano rapporti commerciali(1)). Essa fu scatenata soprattutto da speculazioni finanziarie(2) (si ricorda in primis il crollo della Borsa di Wall Street(3)) e da sovrapproduzione di beni durevoli (alla produzione di massa, infatti, non corrispondeva un consumo di massa) originate da un eccessivo ottimismo, da scarsa padronanza di tecniche economiche (ovvero della cosiddetta economia politica) e da regolamentazioni finanziarie insufficienti. E fu così che moltissime aziende e banche fallirono, la disoccupazione crebbe a livelli vertiginosi, tantissime famiglie si ridussero sul lastrico, i consumi crollarono... per un gravissimo dramma economico-sociale destinato a restare per sempre nella storia col nome di “Grande Depressione”.

Quindi, a partire dal '33, per rilanciare gli Stati Uniti e migliorare la situazione economica della popolazione, il Presidente Franklin Roosevelt decide di varare diverse riforme sociali (vengono sovvenzionate le famiglie in difficoltà, aumentati i salari agli operai, erogati prestiti ai contadini...); di dare il via ad una serie di lavori pubblici concepiti non solo per migliorare le infrastrutture ma anche per combattere la disoccupazione dilagante; di regolamentare il mercato azionario (al fine di scongiurare nuovi disastrosi crolli di borsa), ecc...: era il New Deal (nuovo corso), che vedeva lo Stato, per la prima volta negli USA (e poi in altre Nazioni), mediante un coinvolgimento molto più diretto e sistematico nell’economia rispetto al passato, divenire protagonista della scena economica accanto ai privati... Roosevelt, in sostanza, aveva anticipato alcuni principi keynesiani, ovvero inerenti alla rivoluzionaria filosofia economica del britannico J. Keynes (tra gli economisti più influenti del XX secolo), che nel 1936, nel libro “The General Theory of Employment, Interest and Money”, avrebbe teorizzato la possibilità dell'intervento pubblico statale nell'economia. In tal modo si venne a creare un circolo virtuoso che avrebbe consentito agli Stati Uniti di tornare in pochi anni una grandissima potenza economica (giungendo “preparati” alla Seconda Guerra Mondiale).

In termini di politica internazionale la crisi economica esacerbò il nazionalismo di alcuni Stati e mise in discussione il parlamentarismo liberale, ritenuto inadeguato alle esigenze della popolazione. Pertanto aumentarono vertiginosamente i seguaci dei movimenti che denunciavano i mali di quel sistema politico. Così in Europa il decennio degli anni Trenta vide l'avanzata incontenibile dell'estremismo, aprendo la strada a regimi autoritari che promettevano ordine, lavoro e riscatto nazionale, e quando scoppierà il nuovo conflitto mondiale sopravvivevano soltanto poche democrazie (citiamo soprattutto Gran Bretagna, Francia, Belgio, Olanda, Svizzera, i Paesi Scandinavi e la Cecoslovacchia).


Nell'immagine, una lunga fila di disoccupati in una città statunitense.


Note:

(1) Gli USA assorbivano il 40% delle esportazioni degli Stati con maggior volume di commercio internazionale, perciò quando gli americani rallentarono vertiginosamente gli acquisti, l'economia di tanti Paesi, dalla Francia al Giappone, ne risentì marcatamente.

(2) Allora il sistema bancario si affidava a un modello “misto”, nel quale il medesimo istituto si occupava sia della raccolta e dell'impiego di capitali presso la clientela retail, che comprendeva le piccole attività commerciali e le famiglie, sia del sistema di finanziamento dedicato alle imprese, con implicazioni e rischi assai maggiori. Questo sistema che sostanzialmente non differenziava tra banche di credito ordinario e banche d'affari fu una delle cause della grande crisi del '29 e porterà in futuro ad altri disastri finanziari ed alla crisi mondiale del 2007-2009.

3 La Borsa newyorchese offriva un guadagno molto più alto di qualsiasi tipo d'investimento. Tutti quanti, dai plutocrati ai semplici lavoratori, rimettevano le proprie entrate a un mercato di valori che non cessava di rigettare guadagni. Perciò quando la Borsa crollò, il sistema finanziario trasmise la crisi al resto dell'economia. Le banche fallite polverizzarono i risparmi dei propri clienti (che andarono in rovina) e inoltre non poterono più garantire prestiti né ai cittadini privati né alle industrie: di conseguenza finirono in rovina migliaia di persone ed aziende (ed i propri lavoratori), trovatesi di colpo sul lastrico. Quindi crollarono i consumi, e la crisi coinvolse anche il settore agricolo, per un circolo vizioso senza fine.

Documento inserito il: 13/10/2025
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