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Compendio di storia del romanzo poliziesco - quarta puntata

a cura del prof. Giovanni Sigona (1951-2025)


3. Gli epigoni di Conan Doyle

Naturalmente furono molti, in Europa e negli Stati Uniti, gl’imitatori di uno scrittore della levatura di C. Doyle, ma solo pochi di essi mostrarono vero talento, ritagliandosi un posto di rilievo nella storia della narrativa poliziesca. Autore di primo piano fu il londinese Richard Austin Freeman (1862-1943), anche lui medico come il creatore di S. Holmes, ed è certo che nella delineazione del carattere del suo personaggio più importante, l’investigatore dottor John Thorndyke (definito da diversi critici e studiosi di letteratura poliziesca come il più grande investigatore forense della narrativa dopo Sherlock Holmes), si sia ispirato ad un suo professore di medicina legale vissuto a Londra, così come C. Doyle subì profondamente l’influenza del celebre docente di Edinburgo Joseph Bell, che era solito ripetere ai suoi allievi: <<Dovete usare gli occhi, le orecchie, le mani , il cervello, l’intuizione e, soprattutto, le vostre capacità deduttive. Dovete dedurre da vari fatti, adeguatamente collegati fra loro, il male che affligge il paziente>>. Nel 1907 pubblicò il suo primo romanzo, “L’Impronta scarlatta”, ambientato come la maggior parte delle sue storie nella vecchia Londra, in cui la vicenda si svolge secondo i dettami del giallo “scientifico”, con un intreccio avvincente, ricco di suspense e di mistero. Ad esso fecero seguito altri 20 romanzi e circa 40 racconti, in uno dei quali introdusse per primo la tecnica della “storia rovesciata”; cioè il lettore conosce fin dall’inizio l’identità dell’assassino e pertanto la tensione narrativa poggia sostanzialmente sulla scoperta delle modalità del delitto. Degli statunitensi va fatto il nome di Mary Roberts Rinehart (1876-1958), scrittrice prolifica ed i cui romanzi più famosi “La scala a chiocciola" e “L’uomo della cuccetta n.10” restano fra gli esempi più validi del giallo all’inglese o d’investigazione.


4. Il Re del Giallo

Un posto a sé stante occupa l’inglese Edgar Wallace (1875-1932), che in circa 25 anni di attività letteraria, dopo essere stato un giornalista di successo, diede alle stampe 150 romanzi, 400 racconti e 30 commedie con una prolificità straordinaria che non ha riscontri nel panorama della letteratura poliziesca.
Furono soprattutto i suoi romanzi gialli, tradotti in tutte le lingue, a dargli grande popolarità e guadagni favolosi: sul finire degli anni Venti un quarto di tutte le opere di narrativa stampate e vendute in Inghilterra portavano la sua firma ed i suoi proventi si aggiravano sulle cinquantamila sterline l’anno. Aveva esordito nel 1905 con “I quattro giusti”, forse il suo capolavoro: a detta di Alberto Tedeschi <<E’ davvero significativo che E. Wallace abbia iniziato la sua produzione nel campo del giallo con un romanzo intitolato “I quattro giusti” e che più tardi non solo abbia continuato a raccontare le avventure dei “suoi” Giusti ma abbia ripreso il tema, su toni diversi, in alcuni romanzi che sono fra i suoi migliori come quello che rimane, secondo molti, il suo capolavoro, “Il mago”, con il validissimo seguito “Il ritorno del mago”>>.
In questo modo, con le aspre critiche alla Giustizia ufficiale del tempo, lo scrittore confutava le accuse di chi gli rimproverava di avere una visione troppo edulcorata e superficiale della società in cui viveva, di essere troppo conformista e dedito solo al guadagno ed alla ricerca della fama. In proposito è doveroso citare le parole del critico Alberto del Monte, che nella sua “Breve storia del romanzo poliziesco” afferma che: <<La prolificità del Wallace, che è divenuta quasi leggendaria, è però inversamente proporzionale alla qualità dei suoi romanzi, caratterizzati dalla trasandatezza formale, dall’improbabilità degl’intrecci, dalla gratuità delle soluzioni. Il Wallace rivela l’influsso del romanzo “feuilleton”e del “thriller” e adotta uno schema che si ripete monotonamente in quasi tutte le sue storie (…) e denuncia, nell’apparente varietà, l’uniformità dell’inventiva dello scrittore>>. In un’altra pagina lo stesso critico arriva al punto di dire che tutti i suoi libri <<hanno generalmente l’edulcorata ingenuità della letteratura amena d’ispirazione sentimentale: la convenzionalità vi domina incontrastata ed essi segnano il momento di assoluta evasione nella tradizione poliziesca>>. In effetti sono giudizi troppo severi che però non sminuiscono l’importanza di questo geniale creatore d’intrecci molto avvincenti, grazie ad una fantasia fertilissima e ad una straordinaria facilità d’espressione e pertanto in grado di esercitare un notevole influsso su moltissimi scrittori, almeno su coloro che si sono mantenuti fedeli al giallo all’inglese, utilizzando di frequente schemi e situazioni di chiara impronta wallaciana. Il Nostro, comunque, non fece mai mistero del fatto che considerava i suoi libri solo un mezzo per arricchirsi e disprezzava apertamente la letteratura (<< La roba buona può andar bene per i posteri ma io non scrivo per i posteri, scrivo per il giornale di domattina>> dichiarava) ma di fronte a romanzi come “L’arciere fantasma”, “Il cerchio rosso”, “Contrabbando”, “L’enigma dello spillo”, “Il mistero delle tre querce”, “Il segno del potere” - che fanno testo nella storia della narrativa poliziesca - o a commedie quali “Il laccio rosso” e “On the spot” (ispirato alle gesta di Al Capone), che ebbero uno straordinario successo di pubblico, ogni critica malevola viene messa a tacere e la sua figura conserva un gran risalto nella storia del “giallo”.


Nell'immagine, Richard Horatio Edgar Wallace (Greenwich, 1º aprile 1875 – Beverly Hills, 10 febbraio 1932).

Documento inserito il: 17/08/2025
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