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Origine e sviluppo del feudalesimo

Alla morte di Carlo Magno, l’impero carolingio si frantumò, portando alla creazione di una miriade di distretti autonomi, che vennero denominati feudi; questi territori venivano generalmente concessi da un sovrano ai suoi servitori più fedeli. Questa pratica era particolarmente in uso presso i germanici e risaliva all’epoca delle prime conquiste effettuate dai re barbarici Alarico, Odoacre, e Teodorico. Questa consuetudine, trovò la sua massima applicazione nell’Italia longobarda con l’istituzione dei ducati e nella Francia carolingia con la creazione delle contee e delle marche. I successori di Carlo Magno, non riuscirono ad esercitare un adeguato controllo sull’operato dei conti e dei marchesi e mantenere così l’unità dello Stato al contrario, fecero di tutto perché si creassero i presupposti per il disfacimento dell’Impero; infatti, per riuscire ad assicurarsi le forze militari necessarie per poter prevalere sull’avversario nella corsa alla Corona imperiale, essi non esitarono a concedere dei benefici ai propri Vassalli : la riscossione delle imposte a titolo personale, l’arruolamento delle truppe, lo sfruttamento delle saline e delle miniere e l’amministrazione della giustizia, che veniva resa ai sudditi nel corso di un pubblico giudizio detto placito. L’esercizio di tutti questi poteri veniva definito immunità, ed in cambio di tutto ciò, i dignitari, fossero essi laici o religiosi, si riconoscevano fedeli al sovrano e gli rendevano omaggio giurandogli fedeltà nel corso di una cerimonia solenne. Il giuramento impegnava il vassallo a non fare mai guerra al suo signore, a fornirgli in caso di bisogno aiuto militare e finanziario, ospitandolo presso la propria corte quando questi si trovava a passare nel suo feudo e a fornire viveri al suo esercito in caso di necessità. Da parte sua il re si assumeva il dovere di proteggere il proprio vassallo in qualsiasi situazione, ma si riservava di privarlo di tutti i benefici concessi se questi avesse violato il suo giuramento. Ricapitolando, il potere feudale si fondava quindi essenzialmente su tre istituzioni: l’omaggio, il beneficio e l’immunità. Una variazione importante rispetto all’epoca carolingia, fu che l’usufrutto su un territorio, da temporaneo divenne vitalizio. Successivamente, Carlo il Calvo, nel Capitolare di Querzy dell’877, stabilì che quando il possessore del feudo moriva, tutto passava ai figli o ai legittimi successori. In tale modo, i nobili laici tramandavano la propria signoria da padre in figlio, mentre nei feudi amministrati da ecclesiastici, i vescovi e gli abati ne beneficiavano per tutta la durata del loro mandato. A loro volta i feudatari potevano concedere benefici ai propri fedelissimi, sottoponendoli agli stessi obblighi di fedeltà e mutuo soccorso in caso di necessità. Questi nuovi beneficiari erano detti Valvassori, che potevano cedere a loro volta parte dei diritti acquisiti ad altri loro conoscenti dettiValvassini. Questa subinfeudazione proseguiva finché era possibile offrire a qualcuno un beneficio anche minimo, ottenendo in cambio appoggio e fedeltà. Veniva così a crearsi sul territorio di un unico grande feudo, un rapporto di vassallaggio che legava fra loro diverse persone, ognuna delle quali aveva diritto a determinati benefici, sottostando in cambio a diversi obblighi. Verso la fine del X secolo, tutta l’Europa centro-occidentale e l’Italia centro-settentrionale apparivano smembrate in una moltitudine di feudi di varia estensione, ed i Regni sorti dallo sfaldamento dell’Impero dei Franchi, erano in balia dei feudatari che mal tolleravano l’autorità del re. In ognuno di questi regni, il sovrano aveva almeno nominalmente il potere supremo e rappresentava il vertice della gerarchia feudale. I gradi intermedi erano rappresentati dai grandi vassalli, dai valvassori, che in Francia erano conosciuti con il nome di baroni, mentre in Italia erano detti capitanei; ultimi per importanza erano i valvassini ed i militi, che molto spesso erano dei vassalli privi però di benefici. Tutte queste categorie di persone formavano la nobiltà, governavano i feudi, esercitavano la pratica delle armi ed abitavano in castelli situati all’interno delle loro proprietà. L’altra classe feudale era quella dei dipendenti, così detta perché formata da uomini soggetti alla nobiltà e divisi in due categorie: contadini ed artigiani. I primi erano molto numerosi ed il loro nome derivava da contea o contado ed erano generalmente dei servi della gleba, facevano quindi parte del fondo agricolo sul quale lavoravano e vivevano seguendone il destino; erano praticamente di proprietà del feudatario, anche se la loro condizione non era in nulla simile a quella degli antichi schiavi. Questi coloni feudali avevano infatti il diritto di possedere dei beni, che potevano essere poi ereditati dai loro figli, oltre al diritto di crearsi un famiglia. Alcuni di loro, che coltivavano le terre del signore, vivevano nel borgo, un agglomerato di case costruite a ridosso delle mura del castello; lì vivevano anche gli artigiani che producevano tutti gli strumenti, i manufatti e gli attrezzi necessari agli abitanti del feudo. Nei fondi rustici più o meno lontani dal castello vivevano quei coloni detti censuari, sottoposti cioè al pagamento delle imposte. In cambio del godimento dei prodotti forniti dal fondo da essi coltivato, i contadini dovevano assicurare al loro signore determinati servizi detti corvées: coltivare gratuitamente i suoi poderi, effettuare il servizio di sorveglianza al castello e al territorio circostante, prestare il servizio militare come truppe ausiliarie in caso di guerra ed inoltre effettuare la manutenzione di tutte le opere murarie e delle strade del feudo. Oltre a tutto ciò erano gravati da banalità, erano cioè obbligati ad utilizzare pagando un tributo solo i mulini, i forni ed i torchi di proprietà del feudatario. Egli era solito riscuotere diversi tributi occasionali di varia natura: il ripatico, che veniva corrisposto da chi camminava sulla riva di un fiume; il pontático, pagato da chi passava su un ponte; l’erbatico, dovuto da chi tagliava o calpestava l’erba di un prato; altri tributi come ad esempio il rotático o il polverático, dovevano essere corrisposti al signore per danni causati alle strade dalle ruote dei carri e per il fastidio arrecatogli dalla polvere sollevata dai veicoli. Non era abitudine del feudatario sfruttare spietatamente i propri sudditi; era considerato come un patriarca, nel quale i sottoposti vedevano un protettore e nel castello l’insostituibile centro della vita economica e sociale del feudo. La terza classe, il clero, era costituita da uomini liberi dediti alle pratiche religiose. Il clero regolare soggetto alla regola di San Benedetto da Norcia, viveva nei monasteri, mentre il clero secolare esercitava il proprio ministero tra gli abitanti delle città e delle campagne. Pur godendo di vari privilegi, il clero di grado inferiore viveva a contatto diretto con i sudditi feudali condividendone spesso le dure condizioni di vita. La condizione dei monaci era invece diversa, essi passavano la maggior parte della loro vita pregando e lavorando all’interno dei loro monasteri, nei quali, in età feudale si mantenne viva la cultura e continuarono ad operare anche le scuole istituite in epoca carolingia. L’alto clero era costituito da vescovi ed abati che appartenevano alla nobiltà feudale, godendo di tutti i diritti e di tutti gli obblighi che ne derivavano. In genere i feudi ecclesiastici erano meglio organizzati di quelli laici, essendo i vescovi-conti assistiti nell’opera di amministrazione da funzionari di grande esperienza e di cultura superiore, provenienti dal clero. Erano pochi i non nobili liberi da servitù feudali; si trattava nella maggior parte dei casi di individui proprietari di modesti poderi, esenti da tributi e chiamati allodii.


Nell'immagine, il castello medievale di Prata Sannita

Documento inserito il: 22/12/2014
  • TAG: origine feudalesimo, sviluppo feudi, capitolare querzy, valvassori, valvassini, servi gleba, coloni censuari, tributi feudali, allodii

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