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I conflitti tra patrizi e plebei nell’antica Roma

del Prof. Giovanni Pellegrino

Mentre affrontava la lunga serie di guerre per il controllo della Penisola, Roma dovette anche fare i conti con le tensioni interne derivanti dalle rivendicazioni dei plebei.
Un conflitto sociale che i plebei affrontarono in modo originale e che anche la classe dirigente patrizia, tutto sommato seppe gestire in modo da rinnovare le istituzioni repubblicane assicurando stabilità allo Stato.
Una condizione fondamentale per raggiungere questo risultato fu data proprio dalle conquiste romane.
Tali conquiste infatti soddisfacevano il fabbisogno di nuove terre da distribuire alla plebe.
Per tale ragione la politica espansionistica godeva del consenso sia dei patrizi che dei plebei.
Dobbiamo anche dire che la politica espansionistica favoriva i plebei, anche perché il continuo impegno bellico offriva ai plebei un’occasione di ascesa economica e sociale, grazie al servizio prestato nell’esercito.
Fin dall’inizio i plebei avanzarono due rivendicazioni fondamentali e strettamente collegate: la terra e la rappresentanza politica.
Nella prima fase dell’età repubblicana il territorio dello Stato allora ancora ristretto, apparteneva per lo più alle gentes patrizie e ai loro clienti.
Con l’ inizio dell’espansione nel Lazio e poi in Italia, si resero disponibili nuovi terreni che entrarono a fare parte del cosiddetto agro pubblico, cioè territorio appartenente alla comunità.
Buona parte dell’agro pubblico veniva assegnata in utilizzo alle famiglie aristocratiche dei proprietari terrieri.
Una fondamentale richiesta della plebe fu quella di vedersene assegnate quote più ampie.
Occorre poi considerare che nei periodi di guerra, le spese per l’armamento erano molto gravose per i ceti meno abbienti e che i piccoli proprietari dovevano lasciare incolti i loro terreni per combattere.
Pertanto spesso i più poveri erano costretti ad indebitarsi e correvano il rischio di diventare schiavi del creditore, poiché risultava difficile pagare il debito.
Per questo le rivendicazioni economiche della plebe comprendevano la diminuzione dell’entità dei debiti, il diritto di utilizzo delle terre statali ed il godimento delle distribuzioni gratuite di frumento in caso di carestia.
Ma le più forti rivendicazioni plebee erano di ordine politico.
Benché pienamente inseriti nella vita della città, cui offrivano un contributo fondamentale di lavoro e di forza militare, i plebei erano esclusi dal governo e dalle magistrature.
In ultima analisi i plebei chiedevano un ruolo nella gestione del potere.
Per sostenere le loro rivendicazioni essi si servirono di due originali forme di lotta.
La prima fu la secessione ovvero il rifiuto di collaborare alla vita della comunità politica.
Nel corso delle secessioni i plebei si ritiravano in un luogo decentrato rispetto alla città rifiutando di partecipare alla vita della comunità.
Dobbiamo dire che soprattutto nei periodi di guerra, la secessione fu un’arma formidabile di pressione dal momento che sottraeva all’esercito gran parte dei suoi soldati.
La plebe utilizzò anche un’altra forma di lotta accanto alla secessione, ovvero la creazione di veri e propri organi di contropotere, cioè organismi plebei inizialmente non riconosciuti dallo Stato, che col tempo diventarono vere e proprie istituzioni modificando l’organizzazione della repubblica.
Tra questi organismi di contropotere due ebbero particolare importanza: l’assemblea della plebe, le cui deliberazioni erano detti plebisciti, ed il tribunato della plebe, divenuto istituzione dello Stato nel 471 a.C.
I tribuni della plebe erano magistrati che difendevano gli interessi dei plebei ed erano considerati sacri e inviolabili, dal momento che non potevano essere arrestati né condannati.
Inoltre, coloro che li avessero offesi o minacciati, potevano essere uccisi impunemente.
I tribuni della plebe godevano di due poteri molto importanti: il diritto di veto, che dava loro la possibilità di bloccare le decisioni di qualsiasi autorità, consoli compresi, ed il diritto di ausilio, cioè di intervenire in aiuto di un plebeo ingiustamente condannato o perseguitato dai magistrati.
I plebei pur essendo di condizioni sociali ed economiche molto diverse, riuscirono ad avere e a mantenere nel tempo un alto grado di solidarietà.
Questo fatto permise loro di raggiungere una serie di conquiste di tipo politico che resero le istituzioni della repubblica più giuste ed egualitarie.
La principale conquista della plebe nel corso del V secolo a.C., fu l’introduzione di una legislazione scritta, ovvero la legge delle XII tavole (451-450°.C.).
L’istituzione di leggi scritte fu di fondamentale importanza in quanto tutelava i cittadini da pratiche giudiziarie arbitrarie e da soprusi, dato che le norme del diritto erano trasmesse solo oralmente e all’interno del ceto patrizio.
Venne stabilita l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e per fare in modo che tutti ne venissero a conoscenza, le XII tavole di bronzo vennero esposte nel Foro.
Altra importante conquista della plebe fu l’istituzione di una nuova magistratura quella degli edili.
Gli edili erano due magistrati eletti per un anno dall’assemblea della plebe, i quali si occupavano della manutenzione di strade, templi, edifici pubblici.
In seguito gli edili assunsero anche funzioni di polizia urbana, vigilando sui mercati i prezzi gli spettacoli pubblici.
Inoltre i plebei ottennero anche l’abolizione del divieto di matrimonio tra patrizi e plebei nel 445 a.C.
Dobbiamo dire che si trattava di un divieto odiatissimo dai plebei perché impediva loro qualsiasi di possibilità di accesso alle gentes patrizie.

Nell'immagine, una delle dodici tavolette di bronzo redatte tra il 451 ed il 450 a.C..

Documento inserito il: 23/02/2024
  • TAG: Antica Roma, plebei, patrizi, edili, agro pubblico, tribuni, plebiscito

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