Cookie Consent by Free Privacy Policy website Tutto storia, storia moderna: Continuità e trasformazione: scienze e tecniche dal tardo Medioevo alla prima età moderna
>> Storia Moderna> In Europa

Continuità e trasformazione: scienze e tecniche dal tardo Medioevo alla prima età moderna

di Davide Arecco


Le scienze nell’Occidente latino

Se l’Alto Medioevo vede un arretramento e quasi una paralisi nella crescita del sapere – dato che a sopravvivere solo pressoché solo la letteratura enciclopedica (Beda il Venerabile e Isidoro di Siviglia) e una matematica elementare – con il Basso Evo ed in particolare con il papato di Gerberto di Aurillac (pontefice con il nome di Silvestro II dal 999 al 1003) un nuovo incentivo viene dato alla diffusione di due strumenti: l’astrolabio (usato soprattutto dai naviganti) e l’abaco (con cui inizia la tradizione della aritmetica pratica). Il contesto è quello della così detta ‘Rinascita dell’anno Mille’, che coinvolge anche il XII secolo: circolano traduzioni latine, dall’arabo, di testi scientifici antichi, ad opera di Adelardo di Bath e di Gerardo da Cremona. La medicina risorge a una nuova vita con la Scuola salernitana, autentico punto di incontro di più culture, sotto la protezione degli Svevi.
Il rinato interesse per la matematica coinvolge anche gli studi di meccanica: infatti, Giordano Nemorario approfondisce, in statica, la nozione di momento (ossia: il prodotto del peso di un corpo per la distanza dal fulcro di tale corpo). Per chi sa individuare e cogliere importanti linee di conti-nuità, è l’alba di una nuova fisica.


Geometria e meccanica al Merton College di Oxford


In Inghilterra, le origini storiche del sapere bibliotecario risalgono al Medioevo e vanno di pari passo con i primi sviluppi scientifici. Nel Trecento, il Merton College di Oxford cominciò a raccogliere testi di statica antica – greca, ellenistica e latina – e vide l’emergere congiunto della cinematica, con il trattato sulle proporzioni delle velocità nei movimenti e gli studi sul continuo di Thomas Bradwardine, con le questioni sugli otto libri della Fisica aristotelica di Alberto di Sassonia (che lavorò anche sopra i quattro del De Coelo), con le regole per la risoluzione dei sofismi di William Heytesbury, col frammento De Motu di Richard Swineshead: tutte indagini che inaugurano la strada poi percorsa da Galileo, con i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, stampati nel 1638, a Leida, presso gli Elzeviri e dedicati come noto a dinamica terrestre e resistenza dei materiali.
Nella biblioteca e nelle aule del Merton College, il teorema dell’accelerazione uniforme fu preso in considerazione ed affrontato e nelle Regulae e nelle dimostrazioni di conclusioni di Heytesbury, nel libro dei calcoli sul moto locale di Swineshead, nella Summa di cose logiche e naturali di Dumbleton ed in un manoscritto De motu di autore incerto, ma ugualmente riconducibile agli ambienti mertoniani. Da loro la geometria bidimensionale (altezza e lunghezza) venne applicata per la prima volta – dai tempi di Euclide, Archimede ed Erone alessandrino – allo studio della fisica, e della cinematica in specie. Anche alla dinamica medievale, sempre nel confronto con la meccanica aristotelica, i maestri del Merton College diedero importanti contributi: Bradwardine formulò una legge dinamica del movimento rileggendo la fisica peripatetica e compose al riguardo un breve trattato euclideo sulle proporzioni, mentre Alberto di Sassonia si dedicò alla accelerazione di caduta (un tema trattato, poi, anche da Leonardo, nel Codice M), insieme ad esponenti inglesi della scuola nominalista di Marsilio di Inghen, che rividero i rapporti fra meccanica (esaminata anche da Guglielmo d’Olanda) e cosmologia geocentrica.
I calculatores del Merton College di Oxford furono i primi a portare nell’Occidente medievale latino metodo e approccio della fisica matematica, applicando, attraverso diagrammi, disegni e figure, lo strumento geometrico ai problemi di meccanica razionale, e studiando l’andamento dei fenomeni naturali, rappresentati graficamente mediante rette (crescenti, decrescenti, costanti) o spezzate. I mertoniani, lettori e commentatori dei classici ellenici e arabo-latini manoscritti, raccolti tra le mura del college oxfordiano, erano, al contempo, tradizionalisti ed innovatori: tradizionalisti perché a venire matematizzate erano le qualità o essenze dei fenomeni e non ancora le quantità, innovatori per l’uso della rappresentazione matematico-geometrica: la chiave che avrebbe poi permesso il sorgere della scienza moderna.
La Scuola di Merton adottò uno spiccato approccio logico-matematico a problematiche di filosofia naturale, basandosi, anche, sulle opere precedenti di Walter Burley e di Gerardo da Bruxelles. I calculatores studiarono ogni singola entità fisica osservabile: forza e calore, densità e luce, temperatura e potenza. Essi calcolarono, in forma matematica, le proprietà fisiche di corpi e fenomeni, sviluppando la trigonometria araba e in meccanica razionale il teorema della velocità media, poi ripreso e perfezionato da Galileo, come legge di caduta dei gravi. I mertoniani usarono peraltro numeri e figure per spiegare il perché delle cose, più che il loro ‘come’. Indagarono la velocità istantanea e stabilirono, quindi, che un corpo che si muove a velocità costante percorre, nel medesimo arco temporale, la stessa distanza di un corpo accelerato se la velocità da esso raggiunta corrisponde alla metà di quella finale del corpo accelerato. Le fonti manoscritte della scienza medievale di Oxford dimostrano in maniera incontestabile come le principali proprietà cinematiche del moto uniformemente accelerato – rese note in seguito da Galileo – siano state scoperte e dimostrate in realtà dagli allievi della Scuola di Merton. Le caratteristiche della fisica greca vennero sostanzialmente sostituite – almeno, per quanto riguardava il moto – dalle quantità numeriche che hanno, da allora, dominato la scienza occidentale. Il loro contributo scientifico si diffuse con rapidità, tra Francia, Italia e resto d’Europa. Giovanni da Casale e Nicola Oresme scoprirono come rappresentare i risultati delle ricerche condotte al Merton, con l’ausilio di nuovi grafici geometrici, accentuando la matematizzazione del mondo fisico: il tratto distintivo e peculiare della scienza occidentale da allora in avanti, per secoli. Linee di continuità su cui gli storici dovrebbero riflettere.
Nel Tractatus de proportionibus (1328), Bradwardine ampliò la teoria euclidea delle proporzioni di Eudosso, dando così avvio al concetto di crescita esponenziale, sviluppato nel XVIII secolo in Svizzera da Bernoulli ed Eulero, su basi matematiche a quel punto in parte leibniziane. I mertoniani fecero i primi studi sull’interesse composto e le loro argomentazioni geometriche in materia di velocità media e computo del tempo, inoltre, aprirono indirettamente le porte alla moderna idea analitica di limite. Nello specifico, Bradwardine approfondì la teoria della proporzione doppia o tripla, esposta, da Boezio, nella sua Institutio arithmetica all’inizio del VI secolo, l’equivalente della nostra proporzione nesima.
In generale la meccanica elaborata al Merton fu assai più eclettica e coraggiosa rispetto alla tradizione severamente aristotelica che prese piede a Oxford fra XV e XVI secolo, la cui unica alternativa fu – ma in ambito ermetico-alchemico e esoterico-occulto – il Liber duodecim portarum del monaco agostiniano George Ripley (1415-1490). Quando un mago copernicano come Bruno giunse in Inghilterra, nell’aprile del 1583 (restandovi sino al 1585), trovò a Oxford quasi solo una rigida filosofia peripatetica e una pedante retorica: le arti del trivio, grazie alla scolastica, avevano infatti preso il sopravvento su quelle del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica), che erano state il fiore all’occhiello della cultura scientifica mertoniana trecentesca. Peraltro, che, anche nella Oxford del Trecento, scienze come la meccanica fossero subordinate alla teologia non deve, storicamente, stupirci: Bradwardine, che la coltivò more geometrico ed in stretta connessione con la logica, era lui stesso un teologo, ed un arcivescovo, influenzato al pari di Buridano a Parigi dagli scritti di Giovanni Filopono (VI secolo). La lettura delle opere antiche era del resto a Oxford all’origine dei contributi mertoniani sul moto uniformemente accelerato e sulla opportunità di rappresentare graficamente, tramite coordinate, i problemi della cinematica. Le conoscenze e ottiche e meccaniche elaborate ad Oxford dai membri del Merton College furono introdotte in Italia dall’occamista Paolo Veneto al ritorno dal suo viaggio inglese compiuto fra il 1390 e il 1393. Forse il primo viaggio europeo, in Inghilterra e proprio ad Oxford, in particolare, a segnare la storia della scienza. Paolo Veneto ne trasse frutto allo Studio di Padova dal 1408 in poi.


I secoli XIII e XIV

Il contesto è quello delle università (in età moderna, saranno invece centrali le accademie). La tradizione del sapere scientifico è quella manoscritta (la stampa si affermerà, come detto, solamente con il tardo Quattrocento). Con il Duecento si registra l’impatto dell’aristotelismo (Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino, in particolare), che favorisce negli spazi universitari lo studio della logica, della retorica e della dialettica: le scienze del trivio, a scapito di quelle del quadrivio (astronomia, aritmetica, geometria e musica). Lo scenario, rispetto al continente, è leggermente diverso oltre la Manica: in Inghilterra, Roger Bacon fa sì filosofia (più che scienza, modernamente intesa), tuttavia, accentuando l’esperienza e la sua importanza, pur senza rinunciare ancora ad uno sfondo metafisico di riferimento (sarà la grande svolta dei moderni da Galileo in poi). Sempre in Inghilterra, si occupa di ottica geometrica e fisiologia della visione Roberto Grossatesta. Alla medicina, senza dimenticare il precedente arabo di Avicenna (letto ancora tra Umanesimo e Rinascimento), si dedica e con frutto Mondino dei Luzzi, anche naturalista. Quella del primo Trecento è - peraltro - una medicina ancora legata, strettamente, alla pratica astrologica e da quest’ultima non è dissimile l’astronomia praticata allora: è il caso di Pietro d’Abano e Cecco d’Ascoli (contemporaneo e avversario di Dante), eredi in questo di Michele Scoto: tutti loro riportano in sostanza le cause delle malattie a congiunzioni astro-logiche, studiate a loro volta con l’astronomia (geocentrica) dell’epoca.
Fra Due e Trecento, molta scienza è ancora trattata nell’ambito della letteratura enciclopedica (quella che un giorno si chiamerà geologia ad esempio dal monaco Ristoro d’Arezzo). I viaggi sono già molto importanti (ricordiamo Marco Polo), soprattutto per motivi commerciali e di traffici, per terra e per mare, anche se la navigazione resta, prudentemente, localizzata in larga parte in un mare chiuso come il Mediterraneo, mantenendosi sotto costa. Le tecniche – ancora timidamente, e senza quel diretto legame con la scienza che sarà determinante in seguito – sono vive soprattutto nell’area veneta: Giovanni Dondi dell’Orologio e Giovanni Fontana consacrano infatti le proprie vite ad una concezione pratica del sapere e nella fattispecie alla costruzione di strumenti. Uno stop, fra il 1347 e il 1348, giunge peraltro con la peste, che investe tutta l’Europa: la Morte Nera finisce per decimare la popolazione, nemico invisibile contro cui la medicina (in assenza di procedure e norme igienico-sanitario) nulla può. Naturalmente anche scienza e tecnica ne risentono molto.


L’età del Rinascimento

Solo tra Quattro e Cinquecento, il mutamento storico-culturale investe radicalmente anche la scienza: in molti trattati troviamo esplicitati la difesa delle arti meccaniche, l’elogio della vita attiva e delle mani, in contrapposizione con le semplici e sole parole dello sterile verbalismo aristotelico; iniziano insomma ad affermarsi la fabrica sul discorso, le cose sulle parole. Artigiani e matematici, artisti e pratici possono convivere nella stessa persona. Il nuovo non fa più paura: è terra di fascino da esplorare con nuovi strumenti, anche mentali: le colonne d’Ercole del sapere vanno varcate. Sia gli astronomi sia i viaggiatori ed esploratori scoprono terre prima incognite, cose mai viste in epoca precedente, che la scienza avverte sempre più il bisogno di spiegare guardando al come dei fenomeni (e non più al loro perché, alla loro ‘essenza’). Si inizia ad esaltare la Natura, vista come una realtà fenomenica, intesa sempre più alla stregua di una macchina (con padre Mersenne nascerà, durante il primo Seicento, il meccanicismo), da studiarsi con l’ausilio della matematica, per esigenze di preci-sione ed accuratezza.


Un focus: matematica e arte

All’alba della prima età moderna sono marcate, marcatissime le tangenze fra la storia dell’arte e la storia della matematica, e questa è fortemente legata allo sviluppo avuto dal Duecento. Nel XIII secolo, infatti, sullo sfondo di un mondo e di mercanti e di botteghe artigiane, si erano affermate le scuole d’abaco. Il tipo di insegnamento, in esse impartito, era stato quello dell’imparare facendo (e vedendo fare il maestro). A questa tradizione erano appartenute opere manoscritte, tra le quali il Liber quadratorum di Leonardo Pisano, detto Fibonacci (vale a dire: figlio di Bonaccio). Da subito, il taglio era stato pratico, empirico, speditivo. Da allora, le scuole d’abaco si erano diffuse a Verona – dal 1284 – e soprattutto in Toscana. Lo sviluppo era stato qui parallelo a quello delle botteghe, nello specifico fiorentine: spazi propedeutici – come sottolineato da Carlo Maccagni – alla costruzione e diffusione di un nuovo sapere, concreto più di tutto.
Dal latino di Leonardo Pisano si era passati al volgare dei ‘trattati d’abaco’ (di cui, oggi, sono sopravvissuti circa trecento esemplari, di solito in singola copia). Rispetto al primo Duecento, molti problemi affrontati e risolti – secondo una casistica assai ampia, anche se resta difficile considerarli veri e propri manuali – erano aumentati di numero. Fra Tre e Quattrocento, il taglio si era fatto, via via, sempre più enciclopedico ed aveva finito per inglobare, nel discorso, anche la teoria pitagorica dei numeri e quella euclidea delle proporzioni (affrontata in Italia da Biagio Pelacani da Parma pure riprendendo la nuova meccanica geometrica di Oxford).
Con il XV secolo, la matematica prese sempre più in considerazione anche gli aspetti di segno ricreativo: un grande architetto come Leon Battista Alberti – vero uomo universale del Rinascimento, autore altresì di scritti pedagogici e umanistico-letterari – redasse i Ludi matematici, mentre non troppo dissimile fu, al riguardo, il manoscritto De viribus quantitatis di frate Luca Pacioli, l’autore, poi, della Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proporzionalità, stampata a Venezia, nel 1494 (libro in cui per la prima volta viene anche teorizzata la partita doppia, e quindi fondata la moderna ragioneria).
Pacioli, nativo di Borgo San Sepolcro, aveva uno stile para-euclideo: forse più influente che originale (la definizione è di Carl Boyer), criticato per i suoi plagi dal Vasari, piuttosto ridondante e retorico, scriveva per chi non sapeva e il suo intento primario era quello di far conoscere le scienze matematiche. Pacioli era attento e allo scenario filosofico-culturale e alle questioni terminologiche, mirava a estendere e coordinare la conoscenza delle proposizioni euclidee, aveva interessi pratici in merito a lettura ed applicazioni di certi problemi. In generale, la sua opera doveva molto a quella di Leonardo Pisano – soprattutto la parte circa la sezione aurea (o numero d’oro), trattata nella Divina proportione – nonché all’Euclide di Boezio (V secolo). Scarse erano peraltro, in Pacioli, le verifiche materiali.
La matematica pratica, da Fibonacci al Pacioli, era figlia ed espressione del mondo prima dei comuni e poi delle prime corti. In essa, vi era la vivacità di un’epoca nuova. Anche per via del fatto che quella tradizione matematica era vissuta soprattutto di manoscritti (ed in fondo di pochi testi a stampa), non moltissimo di essa sopravvisse e si perpetuò, negli sviluppi successivi: su tutto, specie il metodo per eseguire la divisione. Esso sì, fece scuola.
E’ assai importante, semmai, rimarcare i nessi storici fra matematica ed arte, di straordinaria rilevanza. La scoperta della prospettiva si deve come noto al Brunelleschi (del quale non ci è rimasto nulla di scritto), ma la sua codificazione attraverso leggi scientifiche fu opera solo di Piero della Francesca. E’ il cosiddetto Umanesimo matematico, di cui ha parlato un grande storico dell’arte rinascimentale, André Chastel.
Umanesimo matematico che trova i suoi spazi d’adozione in Italia e in area tedesca, con Albrecht Durer, pittore e matematico, a sua volta attentissimo alle tecniche di incisione.
Sul finire del secolo XV, si ha la decisiva riscoperta a stampa e di Euclide e di Vitruvio. Nel 1485 esce, postumo, il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti (1404-1472), il quale, con il suo De pictura, codifica poi un modello di ‘prospettiva artificiale’. Se in Pacioli avevamo potuto trovare pratica e speculazione fuse insieme (ad esempio nella armonia nelle forme), in Piero della Francesca (1416-1492) il livello si alza ulteriormente.
Pittore e matematico, nello stesso tempo, Piero scrive il De perspectiva pingendi, il Libellus de corporibus regolaribus ed in volgare un Trattato d’abaco, che si richiama – aggiornandola – alla tradizione matematica duecentesca precedente. Il valore delle opere di Piero della Francesca era nel medesimo tempo didascalico e culturale. A differenza di Leonardo da Vinci, conosceva i classici e ne poteva sfruttare la grande lezione. Nel suo abaco troviamo anche l’algebra, coltivata poi in Italia e Francia soprattutto nel XVI secolo.
Negli scritti matematici di un artista come Piero della Francesca, vi è un intreccio di scienza e tecnica – era infatti euclideo ed abachista, insieme – che va molto oltre il mero manualismo. Piero è nella storia inoltre del disegno con le sue assonometrie, sperimenta linguaggi scientifici in maniera anche spericolata e più in generale ha, lui dotto, interessi pratici per la costruzione di globi astrono-mici e geografici, cupole e volte. Fu infatti anche un architetto.
Del Quattrocento senese, pure lui artista e matematico contemporaneamente, è da ricordare in oltre Francesco di Giorgio Martini. La sua Praticha di gieometria, manoscritta (oggi custodita alla Biblioteca Laurenziana di Firenze), fu da lui scritta in particolare ad uso degli architetti (e letta con annotazioni da Leonardo). Le fonti di Francesco di Giorgio Martini erano Euclide ed Alberti, quindi classici antichi e autori più recenti, congiuntamente.
Da parte sua, Leonardo – forse il massimo simbolo del nesso arte-scienza nel Rinascimento – illustrò la Divina proportione di Pacioli, edita, a Venezia, nel 1509, in cui si ritrovano pure parti in-tere di Piero della Francesca. Con il XVI secolo l’interesse dei matematici, specie italiani e francesi, si spostò maggiormente, da aritmetica e geometria, all’algebra. Maturò lo studio delle equazioni di grado superiore al secondo e si passò, pian piano, dall’algebra retorica degli antichi (che impiegava descrizioni) a quella sincopata (che faceva ricorso a formule abbreviate) ed infine a quella – da noi tutti conosciuta – simbolica, in uso soprattutto dal primo Seicento francese. Nello stesso periodo, in Inghilterra, fra XVI e XVII secolo, rinacque anche, con John Napier e Henry Briggs, l’interesse per logaritmi e trigonometria. Quest’ultima, piana e sferica sin dai tempi di Tolomeo, era basilare per la navigazione e la cartografia, altra scienza strettamente legata alle misurazioni di tipo matematico e alla grande stagione delle scoperte ed esplorazioni geografiche.
Documento inserito il: 29/03/2024
  • TAG: Medioevo, storia della scienza e della tecnica, storia moderna, Oxford, arte, matematica, Rinascimento

Articoli correlati a In Europa


Note legali: il presente sito non costituisce testata giornalistica, non ha carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità dei materiali. Pertanto, non può essere considerato in alcun modo un prodotto editoriale ai sensi della L. n. 62 del 7.03.2001.
La responsabilità di quanto pubblicato è esclusivamente dei singoli Autori.

Sito curato e gestito da Paolo Gerolla
Progettazione piattaforma web: ik1yde

www.tuttostoria.net ( 2005 - 2023 )
privacy-policy