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Chi ha scritto il Vangelo secondo Matteo? [ di Michele Strazza ]

Di un Vangelo secondo Matteo vi era traccia già tra la fine del I secolo e l’inizio del secondo. Se ne ha, infatti, notizia da riferimenti contenuti in vari autori del tempo. Lo citano Clemente Romano nel 95 d.C., nonché Ignazio d’Antiochia nel 115 d.C. Allusioni sono anche contenute nell’Epistola di Barnaba tra il 100 e il 130 d.C. e nella Didaché (100 d.C.).
Per quanto non fosse indicato il nome di Matteo come autore, è indubbia la considerazione che il Vangelo avesse nella chiesa primitiva. Solo dalla metà del II secolo si cominciò a indicare tale Vangelo come “secondo Matteo”, attribuendolo all’apostolo di Gesù.
La tradizione antica identificava senz’altro l’autore del Vangelo di Matteo con il pubblicano Matteo chiamato da Gesù a seguirlo. E’ interessante notare come, invece, nel vangelo di Marco e in quello di Luca allo stesso pubblicano è attribuito il nome di Levi, originario di Cafarnao, e non di Matteo. Si è, ipotizzato, per evitare contraddizioni che l’evangelista avesse due nomi o si è ricorsi ad altre interpretazioni. La tradizione, comunque, ritiene il pubblicano Matteo l’autore del relativo vangelo. E tale attribuzione richiama un passo di Papia di Gerapoli dei primi decenni del II secolo, riportato da Eusebio di Cesarea: “Matteo raccolse i logia in lingua ebraica, e ciascuno li interpretò come poteva”.
La testimonianza di Papia, riportata da Eusebio, è estremamente importante, in quanto proveniente da un vescovo, vissuto tra il primo e il secondo secolo, che aveva conosciuto direttamente i successori degli apostoli. Cosa intendesse, poi, Papia con il termine “detti”, è stata oggetto di vivaci discussioni tra gli studiosi. La critica più recente ritiene che il termine si riferisca sia agli insegnamenti di Gesù che alle narrazioni vere e proprie, indicando, così, l’intero Vangelo di Matteo.
Sembrerebbe, dunque, stante la testimonianza di Papia, che Matteo avesse scritto il suo vangelo in ebraico, raccogliendo detti e narrazioni (la c.d. fonte “Q”) precedenti. In realtà, quando Papia parla di “lingua ebraica” non si riferisce alla lingua ebraica vera e propria perché l’ebraico dei tempi di Gesù, ma anche di quelli di Matteo, non è la lingua del Vecchio Testamento, ormai entrata in disuso, bensì l’aramaico.
Matteo avrebbe, perciò, scritto il suo Vangelo in aramaico (forse composto da 5 libri), tant’è che il testo greco di quello che è considerato il primo Vangelo contiene numerosi elementi aramaici, sia nello stile che nel vocabolario, poi passati al testo greco.
Vi era, dunque, un testo aramaico del primo Vangelo, andato perduto per le diverse vicende, anche belliche, dell’epoca. Ma le testimonianze di molti scrittori cristiani ne attestano la sicura esistenza e non v’è dubbio che tale testo sia stato utilizzato per la redazione dei tre vangeli sinottici. Per quanto riguarda la datazione, si presume che il testo in aramaico sia stato composto molto indietro, intorno al 40-50 d.C.
E’ molto probabile che sia stata un esigenza divulgativa, quella di far conoscere il vangelo ai convertiti del mondo greco-romano, ad avere spinto qualcuno a tradurre il testo in greco, facendolo diventare il Vangelo secondo Matteo giunto sino a noi.
Mentre, infatti, negli anni 30-40 la maggior parte dei nuovi cristiani era ancora costituita da giudei, successivamente, soprattutto dopo il 50, la stragrande maggioranza dei fedeli era proveniente dal paganesimo. Anche la predicazione si adeguò a tali nuove esigenze. Ad una catechesi in lingua aramaica, infatti, se ne affiancò una in lingua greca, sostituendola, poi, del tutto.
A che data risale, dunque, il testo greco? L’ambiente politico e sociale descritto, la conflittualità tra Gesù e i farisei, sembrerebbero indicare che la stesura in greco sia avvenuta prima della distruzione di Gerusalemme da parte dei romani, cioè prima del 70 d.C. Nel Vangelo secondo Matteo, inoltre, sono presenti elementi provenienti dal Vangelo secondo Marco, scritto intorno al 62 d.C., per cui il testo greco si collocherebbe tra il 62 e il 70 d.C.
Naturalmente su tali date la discussione è completamente aperta e le ipotesi sono molteplici e divergenti. Infine, come già riferito, l’autore del vangelo greco di Matteo rimane sconosciuto.
Su un punto molti studiosi sembrano concordare: tra il Matteo in aramaico e il Matteo canonico vi era una traduzione in greco del testo aramaico. Tale traduzione, però, tenendo conto anche della testimonianza di Papia, sembra essere esistita sotto forme divergenti come si evince dai testi del Matteo canonico, di Marco e Luca che, pur utilizzando la stessa fonte in greco, sono divergenti.
Per quanto riguarda le fonti, il Vangelo canonico di Matteo, come gli altri vangeli, utilizza le varie fonti preesistenti, con l’aggiunta, però, secondo il Vaganay, di alcune fonti proprie. E lo fa in quattro parti precise: 1) nella parte dedicata all’infanzia di Gesù (fonte “E”, come Enfance); 2) nelle citazioni del Vecchio Testamento, nella loro accezione profetica, per le quali è ipotizzabile l’esistenza di una raccolta di argomenti apologetici, in uso nelle prime comunità (fonte “T”, come Testimonia); 3) nella narrazione di passione e resurrezione di Cristo (fonte “P”); 4) nelle “aggiunte redazionali” (fonte “R”), cioè nelle brevi formule di collegamento tra le varie parti del vangelo.
Bisogna, a questo punto, precisare che molti studiosi ritengono che Matteo non si sia affatto rifatto ad alcun testo precedente in aramaico in quanto il vangelo di Matteo andrebbe considerato una composizione scritta da subito in greco, senza alcuna traduzione da testi precedenti, e avendo, come fonte primaria, il Vangelo di Marco in lingua greca.
Sulla scia di Papia, comunque, anche gli altri autori cristiani riportano la stessa notizia sul Vangelo di Matteo. Così Ireneo di Lione il quale, intorno al 180, riferisce che «Matteo pubblicò presso gli Ebrei, nella loro lingua, uno scritto di Vangelo, mentre Pietro e Paolo predicavano a Roma e fondavano la Chiesa».
Per Origene, quello di Matteo è il primo dei quattro Vangeli. Così, infatti, scrive nel 233:
Come ho appreso dalla tradizione riguardo ai quattro Vangeli, che sono anche i soli accettati dalla Chiesa di Dio che è sotto il cielo, per primo è stato scritto quello secondo Matteo, che prima era un pubblicano, poi apostolo di Gesù Cristo; egli l’ha redatto per i credenti provenienti dal giudaismo, e composto in lingua ebraica.
Ed Eusebio di Cesarea conferma, ancora una volta, la notizia:
Matteo infatti, che predicò in un primo tempo agli Ebrei, quando dovette andare anche presso altri mise per iscritto nella lingua dei suoi antenati il suo Vangelo per i fedeli che lasciava, sostituendo così con lo scritto alla sua presenza.
Nel IV secolo l’attribuzione a Matteo è ormai un fatto acclarato, come si evince dalle citazioni contenute in diversi autori cristiani.
In conclusione, se il Matteo che scrisse il vangelo fosse veramente il pubblicano del racconto non è affatto certo. L’unica cosa sicura resta l’ambiente storico di nascita del vangelo, da identificare certamente con quello palestinese, per cui il testo era destinato innanzitutto ai giudei. Non solo, infatti, lo sconosciuto redattore è impegnato nella dimostrazione che Gesù sia il Messia dell’Antico Testamento, ma il continuo riferimento a usi e costumi giudaici, dati per conosciuti e acquisiti dai lettori, dimostra come quello scritto fosse indirizzato alla predicazione proprio presso i giudei.


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
AA.VV., I quattro vangeli, Milano, RCS Libri, 2005.
Carmignac J., La nascita dei Vangeli sinottici, trad. it., Milano, Ed. Paoline, 1986.
Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica III, IV, V.
Ireneo di Lione, Adversus Haereses III.
Lagrange M.J., Evangile selon St. Matthieu, Parigi, 1927.
Documento inserito il: 11/04/2016
  • TAG: vangelo, san matteo, quattro vangeli, eusebio cesarea, epistola barnaba, papia

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