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L'epopea macedone: Gaugamela 331 a.C. [ di Andrea Rocchi ]

"Nulla ho conservato per me e per indicare i miei tesori, uno dovrebbe indicare i vostri. D'altra parte, perché accumulerei tesori, dal momento che mangio e dormo come voi? Molti di voi fanno una vita più piacevole della mia, perché di notte io spesso devo vegliare affinché voi possiate dormire tranquilli". (Alessandro Magno)

Il contesto storico in breve.
Alessandro il Macedone, colui che meritatamente fu appellato come “Magno, il Grande”, fu in grado dal 336 al 323 a.C. di dar vita ad uno dei più importanti e potenti imperi ellenistici della storia forgiato su battaglie memorabili, su conquiste leggendarie, il tutto tinto di colorazioni mitiche e fantastiche. Figlio di Filippo II di Macedonia, discendente secondo la tradizione letteraria addirittura dall’eroe Achille, è stato indubbiamente un superbo conquistatore, stratega e motivatore di uomini, ma anche una sorta di precursore di quegli imperi “pro tempore”, in grado di rimanere tali, fintanto che vive colui da cui tutto ebbe origine, in questo caso lo stesso Alessandro ma tanto per tirare in ballo posteriori esempi tra i più famosi, possiamo citare gli immensi imperi messi in piedi da Attila degli Unni o da Gengis Khan dei Mongoli, imperi tramontati o divisi in unità territoriali alla morte dei loro creatori.
Alessandro provò a dare continuità alle sue grandi conquiste attraverso la fondazione di diverse città, via via che avanzava nella sua campagna di conquista, promuovendo l’assimilazione della cultura ellenica unita alla conservazione degli usi e costumi dei popoli locali e persino delle forme di governo (la satrapia) che per secoli avevano guidato tutte quelle genti ora suddite del grande impero Macedone. Alla sua morte però in quel di Babilonia, i diadochi (i successori), ovvero i “compagni” generali di Alessandro, si spartirono prima l’impero dando vita alle grandi dinastie che anticiparono l’avvento della potenza di Roma (Macedoni, Seleucidi, Tolemaici), in seguito da buoni fratelli ed ex commilitoni iniziarono a scannarsi reciprocamente, indebolendosi a tal punto che i Parti in Oriente e i Romani in Occidente fecero man bassa di tutti i loro possedimenti segnando di fatto la fine dei grandi imperi di stampo ellenistico.
Riassumendo brevemente la cronistoria dell’Alessandro prima di Gaugamela, lo vediamo salire al trono di Macedonia nel 336 a.C. in seguito all’assassinio del padre Filippo, successivamente impegnato a consolidare il proprio potere nei territori confinanti scontrandosi con i sempre riottosi e indipendentisti Greci e con i più “barbari” Traci, Triballi, Illiri etc etc, infine lo scontro con il potente impero persiano (retto nel periodo da Dario III), già iniziato da Filippo a suo tempo. Sbarcato in Asia Minore, Alessandro incontrò le truppe mercenarie al soldo persiano comandate da Memnone di Rodi nei pressi di Granico, sconfiggendole, poi dilagò nei territori circostanti “liberando” Sardi, Efeso, Mileto e Alicarnasso e finalmente pronto per lo scontro campale entrò in Siria e nei pressi di Isso sbaragliò l’esercito di Dario. Siamo nel 333 a.C. Rifiutata la pace, il Macedone decise di assicurarsi le retrovie, provvedendo a mettere in piedi un efficiente sistema di approvvigionamento e vettovagliamento dell’esercito che così sarebbe stato in grado di riprendere la conquista dell’Asia al più presto; per tale scopo serviva l’annessione del ricco e fertile Egitto che lo accolse come un liberatore piegandosi al suo potere senza che fosse versata una sola goccia di sangue. In onore di ciò Alessandro fondò Alessandria d’Egitto. Nel 331 a.C. l’esercito macedone era pronto per prendersi l’Asia e superati senza eccessiva fatica i fiumi Tigri ed Eufrate si schierò innanzi all’esercito persiano nella piana di Gaugamela, odierno Irak settentrionale ad est di Mossul di fronte all’antica Ninive.
L’esercito messo in campo da Alessandro Magno contava su contingenti macedoni e greci comandati esclusivamente da ufficiali macedoni scelti da Alessandro in persona; da Parmenione, anziano generale di Filippo al turbolento Clito il Nero agli amici di infanzia, ovvero Efestione, Tolomeo, Perdicca e Seleuco, Leonnato e Cratero. Le truppe si componevano essenzialmente di reparti di cavalleria e di fanteria pesante ma già dai tempi e per scelta di Filippo, si era abbandonata la staticità del tradizionale esercito oplitico greco a favore di una maggiore mobilità e dinamicità unite ad una tattica di battaglia atta a spaccare lo schieramento nemico in più fronti per facilitare la manovra in avanti dei fortissimi falangiti macedoni. In sintesi la riforma di Filippo, (già affrontata in un altro approfondimento), consegnò al figlio Alessandro un esercito in grado di combinare la peculiare caratteristica del popolo Macedone, ovvero la cavalleria pesante, con la peculiare caratteristica del popolo greco, ovvero la fanteria pesante, il tutto condito dall’arruolamento di uomini non più per coscrizione cittadina, ma per ingaggio professionistico (paga, addestramento, equipaggiamento a carico del re) con possibilità di ulteriore appagamento, costituito da premi e bottino di guerra; per questi soldati (pezetairoi) non fu previsto però il ricco e costoso equipaggiamento tipico degli opliti greci che includeva ad esempio la pesante corazza in lino pressato e il grande scudo circolare (oplon) spesso decorato, bensì fu sperimentato con successo una metodologia di equipaggiamento meno dispendiosa ma ugualmente efficace che prevedeva corazze in bronzo e picche (sarisse) lunghe fino a cinque metri e mezzo e tenute a due mani oltre scudi legati all’avambraccio sinistro, molto più piccoli di quelli usati dagli opliti classici ed elmi di protezione. I “pezetairoi” sono la classica falange macedone accanto alla quale furono posti contingenti di “hypaspistai”, una sorta di scudieri nel senso di “portatori di scudo” in grado di difendere il fianco destro scoperto della falange nel mentre la stessa avanzava sui campi di battaglia; questi “scudieri” rappresentavano l’elite dell’esercito macedone e avevano il duro compito di evitare l’accerchiamento della falange che per quanto “velocizzata” da Filippo, era pur sempre uno schieramento valido solo nello scontro frontale. Gli “hyspaspistai”, equipaggiati di lance più corte e leggere, grandi scudi circolari, spade e valide protezioni per il corpo venivano impiegati anche per compiti delicati quali l’assalto a determinate fortificazioni o azioni particolarmente rischiose. Ecco dunque che, per tirare le somme, l’esercito macedone messo in campo da Alessandro si manifestava come una meravigliosa, militarmente parlando, combinazione di truppe atte a fronteggiare qualunque nemico, da un lato la cavalleria pesante macedone in grado di effettuare cariche devastanti oltre le cavallerie alleate di supporto più leggere e mobili, dall'altro i contingenti di fanteria costituiti dalla falange e dai portatori di scudo più gli alleati equipaggiati alla leggera con armi da tiro e da lancio. Viene da se che un esercito di professionisti addestrato alla guerra non poteva quasi mai contare su grandi numeri, non per nulla a Gaugamela troviamo schierati "appena" 41.000 fanti e 7000 cavalieri di parte macedone contro un nemico di ben quattro volte superiore.

Un esercito multietnico.
Il Re dei Re poteva d’altro canto annoverare uno schieramento assai eterogeneo ma pur sempre validissimo se impiegato su larghe e sgombre pianure, non per nulla, il campo di battaglia presso Gaugamela fu spianato dagli stessi persiani per favorire sia le cariche dei famigerati carri da guerra sciti, che montavano sull’asse delle ruote, esternamente una sorta di falce in grado di tagliare in due chiunque avesse avuto la sfortuna di trovarsi sulla traiettoria, sia dei carri da guerra indiani e come se non bastasse, dei terribili elefanti sempre indiani. I Persiani inoltre potevano contare su un insieme ben assortito di fanti orientali, arruolati nelle satrapie tra le fasce medio basse della popolazione, poco protetti ed armati di ogni sorta di arma, coltellacci, spade, lance, oltre folti schieramenti di arcieri e schermagliatori vari. Discorso a parte merita la fanteria degli “Immortali”, armata di arco, lancia e scudo rappresentava la Guardia del Re e soleva essere schierata dinanzi e sui fianchi del carro del Grande Re stesso. Infine sistemate sulle ali dello schieramento, le cavallerie, in cui l’impero Persiano eccelleva potendo attingere da un serbatoio a dir poco inesauribile di popoli presso i quali il mestiere del combattere a cavallo era una vera e propria arte; ecco dunque Cappadoci, Battriani, Persiani, Susi, Sciti, Medi ed Armeni giusto per citarne alcuni, cavalieri che potevano combattere con l’ausilio di archi, lance e mazze a seconda della tradizione del popolo di appartenenza. A ciò dobbiamo aggiungere gli immancabili mercenari tra cui possiamo trovare nel corso della storia dell’Impero persiano non pochi esempi di falangi greche arruolate negli eserciti del Re dei Re. La forza dell'esercito persiano a Gaugamela era comunque nei numeri, alcune esagerate fonti antiche parlano di oltre un milione di uomini, furono sicuramente non meno di 200.000 uomini, di cui oltre 40.000 cavalieri con circa 200 carri da guerra e una quindicina di elefanti a supporto. Le pecche di un tale schieramento, già riscontrate ad Isso, consistevano in una certa miopia tattico-strategica da parte di Dario, resa ancor più evidente dal confronto con il genio del Macedone e nel fatto che spesso ai grandi numeri non corrispondeva disciplina ed addestramento alla guerra, quantomeno non in tutti i reparti.

Gli schieramenti a Gaugamela.
Gli schieramenti seguivano entrambi la tendenza tipica dello schieramento da battaglia classico del periodo, ovvero disporre le cavallerie sui fianchi e le fanterie nel centro contornate da truppe appiedate di supporto. Alessandro prese il diretto comando dell'ala destra costituita dalla potente cavalleria macedone degli "hetairoi", dalla cavalleria peonia di Areta e dalla cavalleria leggera ("prodomoi") mercenaria di Menida più alcuni reparti appiedati di supporto tra cui schermagliatori ed arcieri Agriani e Cretesi. L'ala sinistra era invece al diretto comando di Parmenione, il vecchio generale di Filippo; egli poteva contare sulle ottime cavallerie alleate dei tessali oltre che su reparti di traci. Il centro era giustamente occupato dalla famosa falange macedone il cui fianco destro era rigorosamente coperto dagli “hypaspistai”; la novità introdotta da Alessandro per l'occasione consisteva però nell'aver posizionato un'altro schieramento a falange di retroguardia, subito dietro i picchieri macedoni, unendo mercenari vari ed alleati greci. La strategia del Macedone, sulla carta, consisteva nell'attirare con i propri reparti a cavallo, le cavallerie avversarie all'esterno del campo di battaglia, su entrambi i lati, per permettere alla falange di travolgere il centro nemico. Una tattica tutto sommato facile ma che sul campo di battaglia, per opera di Alessandro subì un'improvvisa quanto incredibile variante... Di contro Dario III, piazzò il suo miglior comandante di cavalleria, Besso, alla sinistra, dinanzi all'ala destra macedone, con contingenti di cavalleria battriana, persiana e dell'Aracosia, alla destra invece agivano Mazeo e Atropate con cavalieri siriani, mesopotamici, e della Media. Il centro dello schieramento era occupato da Dario in persona con i suoi "Immortali", i mercenari greci e vari reparti di fanteria e cavalleria mista, pronti ad essere gettati nella mischia all'occorrenza, ma la vera forza dell'esercito persiano era costituita da una sorta di avanguardia composta dai terribili carri falcati sciti ed indiani, dagli elefanti e dalle cavallerie pesanti armene, cappadocie, scite e battriane.

La battaglia Gaugamela.
Alessandro il Macedone adottò una strategia particolare; in considerazione del rapporto di forze che lo vedeva sfavorito dinanzi al Re dei Re, serviva applicare una tattica d’attacco talmente precisa che avrebbe trovato nella perfetta tempistica e capacità di esecuzione dei disciplinati reparti ellenici la sua peculiarità. Alessandro si mosse a capo dei suoi "hetairoi" verso destra in una manovra che in apparenza poteva sembrare di aggiramento del fronte nemico, attirando contro di se gli sciti e i battriani dell'avanguardia persiana oltre i cavalieri di Besso al quale era stato comandato di contenere il movimento del Macedone con un assalto, a sua volta, di aggiramento. Si accese una mischia furibonda che si trascinava sempre di più verso l'esterno del campo di battaglia, intervennero anche la cavalleria peonia e quella mercenaria di Menida a supporto dell'azione di Alessandro che alla fine la spuntò scompaginando, con una serie di cariche, le fila dei cavalieri sciti e battriani che iniziarono a ripiegare disordinatamente. Temendo dunque l'aggiramento, Dario mandò all'attacco i carri falcati i quali impattarono, parte, contro gli arcieri e gli schermagliatori cretesi e agriani che Alessandro aveva fatto avanzare per proteggere la cavalleria da una simile eventualità, parte contro le unità di destra della falange. I macedoni, all'arrivo dei temibili carri aprirono i ranghi facendoli passare per colpire alle spalle i cocchieri disarcionandoli, risolvendo dunque la controffensiva di Dario in un fiasco clamoroso. Non si hanno notizie precise del ruolo nella battaglia dei 15 elefanti che agirono presumibilmente sul fronte centro-sinistro macedone dove la situazione era sicuramente meno rosea per i macedoni; la falange, al centro, era infatti avanzata quasi parallelamente ai fanti leggeri cretesi ed agriani sopra nominati, mentre a sinistra la cavalleria mesopotamica al comando di Mazeo aveva travolto l'ala di Parmenione mettendo il vecchio generale in una situazione di estremo pericolo dovuta all'eccessivo allontanamento della cavalleria tessala dai picchieri della falange che continuando ad avanzare mancavano totalmente di copertura alla loro sinistra. In questa apertura si infilarono, partendo dal centro, i cavalieri persiani e gli uomini del contingente indiano, che invece di aggirare la falange ed attaccarla alle spalle, come poteva essere consono, si diressero cavalcando per la campagna contro il campo macedone saccheggiandolo, tranne qualche unità che si rivolse contro la cavalleria di Parmenione, impegnandola su un secondo fronte. Le unità all'esterno sinistro della falange si fermarono cercando di tamponare l'avanzata persiana, in ausilio al vecchio generale. Nel frattempo, fallito l'attacco dei carri, Dario constatò l'inarrestabile avanzata di Alessandro sull'ala destra, dunque mosse dal proprio centro una formazione di cavalieri persiani, lasciando un varco al centro del suo schieramento, la fatidica mossa falsa che il figlio di Filippo II attendeva da quando aveva lanciato il presunto aggiramento; tempestivamente ordinò ai suoi "hetairoi" di cambiare direzione convergendo repentinamente a sinistra, trascinandosi dietro gli uomini di Menida, nel mentre tutti i contingenti appiedati e i "prodomoi" di Areta sgombravano l'ala destra dai restanti nemici e la falange teneva il centro. Dinanzi alla carica di Alessandro, si parava direttamente Dario, a bordo del suo ricco carro, circondato dagli "immortali", ma il Re dei Re optò, come ad Isso, per una precipitosa ritirata, provocando la conseguente rotta di tutte le unità di fanteria di riserva. Ad Alessandro si presentò l'opportunità di far fuori il sovrano persiano, li direttamente sul campo di battaglia, ma l'illusione durò poco in quanto un messaggero di Parmenione, lo avvisò dell'imminente sciagura sul fronte sinistro. Far arrestare la carica dei suoi "hetairoi", tenere al freno gli uomini ansiosi di gettarsi all'inseguimento del cocchio reale fu impresa non da poco, che permise però ad Alessandro di dirigersi a tutta birra verso la disastrata ala sinistra; nel contempo, il campo macedone alle spalle dello schieramento era stato occupato e saccheggiato dai cavalieri persiani ed indiani ma questi ultimi, nel loro impeto, non avevano contato i reparti falangitici lasciati in riserva nelle retrovie. Mercenari ed alleati divisero le loro forze dirigendosi parte a difesa del campo, parte a sostegno dei Tessali di Parmenione che stavano resistendo eroicamente ai tentativi di aggiramento attuati da Mazeo. L'entrata in scena di Alessandro fu il colpo di grazia al già demoralizzato esercito persiano, egli con i suoi "Compagni" percorse verticalmente il campo di battaglia, da destra a sinistra, travolgendo tutti i reparti nemici in rotta, poi finalmente apparve all'ala sinistra, nel mentre un titubante Mazeo ordinava la fuga ai suoi cavalieri. Il Macedone si gettò nuovamente all'inseguimento di Dario III mentre gli uomini di Parmenione occupavano il campo nemico, la battaglia di Gaugamela era vinta, l'Asia era conquistata su un tappeto di 1200 morti di parte macedone e circa 53.000 di parte persiana, era iniziata l'epopea di Alessandro il Grande.


Note e bibliografia
Alexander 334-323 BC: Conquest of the Persian Empire - John Warry
Documento inserito il: 21/12/2014

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