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I Gladiatori. Gli atleti professionisti dell’antichità

di Valerio Di Giorgio


Pompei è uno degli esempi maggiormente rappresentativi della vita dei gladiatori, degli edifici a loro riservati, dell’organizzazione e dello svolgimento dei giochi. Tra gli edifici conservati nella città si trovano: l’anfiteatro, l’armeria, la caserma e le abitazioni. La prima attestazione del termine gladiatores, in ambito romano, è da far risalire a Tito Livio che, parlando dei duellanti campani, si riferiva però a fenomeni preesistenti di derivazione italica. Secondo le fonti, i Romani importarono questo genere di duello dagli Etruschi, dal III secolo A.c. Servio ci informa che i primi gladiatori erano chiamati bustuarii, rivelando il nome etrusco con cui questo popolo identificava i propri gladiatori, confermando poi, Cicerone, tale indicazione. Sulla base dei dati archeologici posseduti non è tuttavia possibile confermare l’ipotesi di una origine etrusca del fenomeno dei gladiatori. Tipicamente etrusca invece era la figura del “Caronte” connessa alla morte ed al sacrificio; tuttavia non sembra legata alla gladiatura che gli stessi Etruschi acquisirono dalla oplomachie che si svolgevano in Campania.

La figura del Caronte Etrusco, a Roma, fu sostituita con l’immagine del dio Mercurio, l’accompagnatore di anime che, assieme ad altre figure appartenenti alla mitologia romana, rendeva più avvincenti gli spettacoli che si svolgevano negli anfiteatri dell’impero. Dai reperti archeologici rinvenuti e possibile affermare con certezza che dal I secolo d.c. fu introdotta la celebre usanza di sottoporre al giudizio del pubblico la sorte del gladiatore perdente. Il termine gladiatura trae quindi le sue origini dalle cerimonie funerarie ed infatti questo spettacolo, nelle sue prime forme, non fu altro che un sacrificio di vite umane dove non interessava se il combattente fosse o meno valoroso, bensì che sacrificasse la propria vita in onore del defunto.

La prima “spettacolarizzazione” di questi eventi risale al 264 a.c. in occasione dei funerali di Giunio Bruto Pera e si tenne nel Foro Boario. E da li in poi il carattere funebre lasciò via via spazio allo spettacolo puro e semplice. Sempre dalla fonti sappiamo che nel 105 a.c. i consoli Publio Rutilio Rufo e Gneo Manlio Massimo inaugurarono uno spettacolo pubblico collegato ad un fatto di grande importanza: l’introduzione, da parte dello stesso Rufo, della gladiatura come vera e propria “scuola di specializzazione” per le truppe romane.

I giochi gladiatorii divennero dunque uno strumento indispensabile per i politici in carriera, tanto che alla fine del periodo repubblicano, per questi spettacoli, sempre più sfarzosi e sontuosi, fu addirittura necessario (visto il grande impatto che avevano sull’opinione pubblica) promulgare una legge che vietasse ai personaggi pubblici di organizzare spettacoli che precedessero di due anni l’elezione alla carica pubblica. Sotto il principato di Augusto, divenne obbligatorio per i magistrati organizzare, nell’anno del consolato, uno spettacolo di gladiatori. La spesa era per metà a carico della città e per metà pagata dagli stessi funzionari; sovente questi ultimi si rifiutavano di accettare il pagamento della metà da parte della città e finanziavano integralmente lo spettacolo, in modo che la popolazione locale apprezzasse maggiormente tale gesto. Anche gli imperatori utilizzarono questo formidabile mezzo di propaganda e fu proprio in età imperiale che il poeta Giovenale coniò il motto: panem et circenses per elogiare la politica del consenso attuata dagli imperatori verso il popolo.

Con l’avvento del Cristianesimo e la decadenza dell’Impero iniziò anche il declino della gladiatura, ed infatti l’imperatore Costantino, all’interno di un complessivo progetto di “cristianizzazione” del mondo romano, ne decretò l’abolizione, definendoli munera sine missione ossia combattimenti “senza grazia”, correva l’anno 325 d.c. l’ultimo combattimento di gladiatori si tenne nel 438 d.c. anche se, nonostante i vari divieti emanati dagli imperatori, continuarono a svolgersi clandestinamente fino al VI secolo d.c., tanto era l’amore che il popolo nutriva per questi spettacoli.

Passiamo ora all’analisi delle classi gladiatorie che hanno animato nei secoli gli anfiteatri dell’impero; come detto, con la fine della Repubblica e con la riforma attuata da Augusto, lo spettacolo perde progressivamente la sua funzione di rito funebre per passare sotto l’organizzazione e la tutela dello Stato.

I giochi diventano “business” e dietro di essi si muove un mondo fatto di caserme, acquisti, addestramenti ed il consequenziale giro d’affari. Mentre a Roma i giochi venivano organizzati sotto il diretto controllo dell’Imperatore, nelle province venivano gestiti dai governatori e, addirittura, dai sacerdoti del culto imperiale che erano autorizzati ad organizzare combattimenti per tener sempre viva la devozione verso l’Imperatore. Le legioni stanziate nelle zone di guerra avevano addirittura “al seguito” dei gladiatori per cosi dire “itineranti” che venivano fatti combattere nelle arene costruite all’interno dell’accampamento fortificato: il Castrum, ed infatti questi tipi di eventi erano chiamati Munera Castrensia. Ed è cosi che in età tardo-repubblicana prendono vita le prime scuole di gladiatura proprio all’interno delle caserme.

I manager di queste scuole erano chiamati Lanisti (lanistae) ed erano dei veri e propri “agenti sportivi” infatti il loro compito non si limitava al reclutamento, allenamento e mantenimento di questi leggendari atleti ma anche di “collocarli” sul mercato e puntare ad ingaggi ed emolumenti più elevati. Basti, al riguardo, considerare che i gladiatori che facevano capo ad un lanista formavano un team chiamato familia.

All’inizio i gladiatori erano principalmente prigionieri di guerra, successivamente le scuole furono aperte a tutti: liberi cittadini e schiavi. Nell’arena si potevano trovare uomini condannati per crimini comuni ai quali poteva essere applicata una delle seguenti tipologie di pene: 1) la damnatio ad ludum: il condannato erano destinato a combattere negli spettacoli e dopo tre anni di anni poteva essere congedato dai combattimenti, dopo cinque addirittura ritrovare la libertà; 2) damnatio ad bestias: il malcapitato veniva dato in pasto ad animali feroci e completamente disarmato; 3) damnatio ad gladium: il criminale veniva gettato nell’arena disarmato contro i gladiatori.

I liberi cittadini romani che ambivano a diventare “gladiatori professionisti” (spesso alla ricerca di danaro, fama e successo) stringevano con il lanista un vero e proprio contratto il c.d. auctoramentum che, siglato in presenza di un tribuno della plebe, definiva l’importo della retribuzione, la durata dell’ingaggio ed il numero di combattimenti prestabiliti; da quel momento gli uomini ingaggiati venivano chiamati auctorati. Ogni scuola aveva dei rigidi criteri di ammissione e gli aspiranti combattenti venivano chiamati novicii (cioè novizi). Quando il novizio entrava nella scuola veniva subito sottoposto ad una visita medica. Un aspirante guerriero che a prima vista fosse risultato “non idoneo” all’arena (visto il duro programma di allenamenti o lo scarso “appeal” verso il pubblico) veniva immediatamente allontanato.

Il gladiatore all’esordio veniva chiamato Tiro. I Tirones, cioè le reclute, venivano affidate a speciali allenatori (chiamati doctores), quasi sempre ex gladiatori sopravvissuti agli innumerevoli scontri e che, per varie ragioni, non potevano più combattere. Chi superava (in vita) il primo incontro diventava veteranus e riceveva una tavoletta in avorio che certificava ufficialmente l’ingresso nel mondo delle arene e sulla quale veniva inciso: il nome del combattente, del lanista, la data della prima vittoria ed i futuri successi. Un gladiatore esperto che si distingueva nei combattimenti per particolari capacità (astuzia, forza o abilità) poteva ricevere il titolo onorifico di primus palus per la sua categoria e, a fine carriera e ovviamente in vita, ottenere il tanto desiderato rudis ossia il diritto di ritirarsi dai combattimenti. Il rudiarius riceveva come simbolo del suo glorioso ritiro una spada di legno.

Vediamo dunque nel dettaglio le categorie di combattenti:

Mirmillone
In lingua latina il nome era myrmillo ma l’origine linguistica del sostantivo non è certa. Il termine viene associato ad un tipo di armamento ben definito comprendente uno scudo rettangolare, una protezione alla tibia sinistra (ocrea), un grande e pesante elmo (galea) e gli altri elementi comuni a tutti i gladiatori: il gladio, una protezione del braccio destro in cuoio o metallo (manica gladiatoria), un cinturone (balteus) a protezione dello stomaco ed un perizoma (subligaculum).
L’avversario tipico del Mirmillone è il Trace ed infatti la sua tipica armatura e la sua tecnica di combattimento nascono per fronteggiare esclusivamente questo avversario, risultando pertanto inadatte per lo scontro con altre classi di gladiatori.
In base ad alcune testimonianze storiche inoltre va evidenziato come il Mirmillone fosse talvolta opposto anche al Reziario. Nello scontro, il Mirmillone è chiaramente svantaggiato rispetto al Reziario, perché è facilmente vulnerabile proprio alla tibia sinistra che normalmente è protetta dallo schiniere; il Reziario, da parte sua, può facilmente ferirlo in quel punto è può sfruttare l’azione imprigionante della rete contro l’elmo munito di larghe falde ed alta cresta.
Dalla fine del I secolo d.c. al IV secolo d.c. la figura del mirmillone sarà sostituita da quella del secutor. Nel momento in cui fu creata questa classe gladiatoria, sicuramente l’obiettivo era di opporlo in modo indistinto a qualunque tipologia di classe gladiatoria. Lo stesso nome risulta descrittivo di un soggetto dotato di una formidabile capacità difensiva: il greco il termine Myrmos significa “formica e scoglio” mentre in latino murus (cioè muro).

Gallo
La prima attestazione dei Galli negli spettacoli gladiatori risale al II secolo a.c., mentre gli spettacoli cominciarono ad affollarsi di questa classe di combattenti dopo che Giulio Cesare (nel I secolo a.c.) conquistò definitivamente la loro terra d’origine, la Gallia. L’arma peculiare di questo guerriero è il gladio, una spada dotata di una lama molto lunga e priva di punta. A causa della loro sproporzionata lunghezza queste armi però erano poco resistenti.
Lo scudo era ovoidale e piatto a differenza invece degli scudi delle altre tipologie gladiatorie che erano convessi; la forma piuttosto stretta implicava un utilizzo distanziato dal corpo infatti il gallus combatteva cercando di non arrivare a distanze particolarmente ravvicinate, questo perché la conformazione dello scudo rischiava di fargli subire colpi alle gambe, alle braccia ed alla testa.
L’armatura gallica fu dimensionata per marcare ed esaltare la scherma celtica, basata su un’ampia tecnica di scudo e su fendenti di spada a punta tronca.

Trace
L’arma tipica di questo gladiatore è una spada (spatha) ricurva che prende il nome di: “sica supina”. Associata a questa arma (che assomiglia ad un becco ricurvo) in dotazione al guerriero vi era un elmo caratterizzato da larghe falde ed una lunga cresta. Lo scudo rettangolare e convesso (parma), è associato ad una coppia di gambali (cnemides) che coprono le gambe fino alle cosce. L’analisi dei reperti archeologici ci permette di appurare che l’armamento del trace più antico è costituito da una piccola lancia, uno scudo tondo bombato di dimensioni ridotte ed un pugnale dritto, i cossalia a protezione delle cosce e la manica indossata genericamente sul braccio destro.

Reziario
Compare nelle testimonianze dell’attività gladiatoria a partire dal I secolo a.c., viene rappresentato vestito con una tunica e munito di un tridente, rete, pugio e manica ed una piastra metallica applicata nel punto di contatto con la spalla, utile per la protezione del collo e del volto. L’armatura di questo combattente è specializzata per il duello contro i Mirmilloni ed i Sanniti. Il Retiarius è l’unico gladiatore tra i tanti che non presenta elementi da difesa se non la manica munita di una placca metallica (chiamata galerus). La sua “nudità” va spiegata con l’intenzione di invogliare l’avversario ad attaccarlo. La mancanza di protezioni rappresenta un’esca e, come tale, nasconde una trappola: la rete. Affinché la preda sia tratta in inganno, deve avvicinarsi a tal punto da essere catturata, ma non troppo perché possa sferrare il suo colpo mortale. Il tridente (fuscina) non è solo l’arma per colpire l’avversario, bensì il motivo per il quale questo è costretto ad avvicinarsi per sferrare il colpo. Con il tridente il reziario può colpire a distanza l’elmo, lo scudo o le gambe; il suo avversario invece è costretto, affinché vada a buon fine l’attacco, ad avvicinarsi tenendo la guardia alta, senza essere colpito dal lungo tridente e senza restare imprigionato nella rete. Il reziario per manovrare la rete ha bisogno di spazio e anche per caricare il tridente; se lo spazio tra lui e l’avversario fosse eccessivo, la rete giungerebbe in modo lento e renderebbe vano l’attacco. Queste condizioni comportano per il reziario una ricerca costante della posizione che non deve essere frontale (come nei casi dei duelli tra gli altri gladiatori) ma laterale in modo tale da non essere lento nei movimenti. Questo gladiatore, come detto, è dotato anche di una terza arma utilizzata per finire l’avversario: il pugio. Quest’ultimo strumento era in dotazione ai soldati romani coma arma ausiliaria e poteva avere anche funzioni di coltello. Serviva per uccidere l’avversario che oramai non poteva più continuare il duello oppure come ultima opportunità per non essere ucciso se si era per sia la rete che la fuscina.

Secutor
Il secutor, o contraretiarius, è l’avversario tipico del reziario. L’equipaggiamento che possiede è condizionato fortemente dalle armi del suo avversario: rete e tridente. Nonostante il secutor sia ben difeso, i colpi della fuscina sono assai persuasivi se indirizzati alla testa, provocando in taluni casi anche l’incoscienza. Per riuscire a sottrarsi ad essi è costretto a mantenere una distanza minima tra lui e l’avversario, anche per rendere vani i tentativi di apertura della rete che potrebbero provocare l’intrappolamento e la successiva sconfitta. A differenza degli elmi degli altri gladiatori, quest’ultimo è munito di calotta liscia sormontata da una cresta circolare e due piccoli fori oculari (oppure una grata) che non permettono il passaggio delle punte del tridente. Lo scudo è mantenuto in posizione obliqua davanti a sé, con il bordo superiore appoggiato sulla spalla sinistro e quello inferiore proteso in avanti, formando una sorta di scivolo. Questa posizione dello scudo permetteva di neutralizzare gli attacchi sferrati con il tridente e diretti alla tibia o alle gambe. La protezione della tibia era affidata ad una soluzione speciale, diversa rispetto alle protezioni che usavano gli altri gladiatori, destinata a contenere il forte impatto del tridente. Si trattava di una massiccia copertura di materiale organico, lana, cuoio che andava a creare una sorta di spesso schiniere sul quale poi era applicato lo schiniere metallico vero e proprio.

Provocator
Trattasi di una classe gladiatoria presente già nel I secolo a.c. Questo guerriero era armato con una sola ocrea sulla tibia sinistra, la spongia pectoria protezione del torace e la doppia piuma laterale sull’elmo. Le dimensioni ridotte e la leggerezza dello scudo suggeriscono che l’armatura del provocator derivi dall’ambito militare, da quelle milizie specializzate nel “provocare” la battaglia. Questo combattente era munito di un elmo a calotta liscia, privo di cresta e falda (ad eccezione di un piccolo ispessimento all’altezza degli occhi) ed un paranuca nella parte posteriore.
Impugna oltre al consueto gladio ed alla manica, una piastra metallica all’altezza della parte alta del torace, a protezione del cuore, che prende il nome di cardiophilax. Inoltre il guerriero indossava una fasciatura sulla gamba protetta dallo schiniere; questo particolare rivela la necessità di utilizzare tale protezione per sopperire all’utilizzo di uno scudo non tanto grande.

Hastarius
Se il retiarius è caratterizzato dalla rete e dal galerus, l’hastarius è quel gladiatore che presenta il medesimo equipaggiamento, ma con la lancia al posto del tridente ed il gladio al posto della rete. La lancia in dotazione a questo combattente era più lunga rispetto al tridente del reziario e quindi gli permetteva di essere ancora più agile, inoltre non correva il rischio che i “denti” del tridente si incagliassero nella lunga rete, provocando una sorta di suicidio. Con la lancia poteva colpire punti inarrivabili dal tridente e sicuramente riusciva a penetrare meglio nei piccoli fori oculari dell’elmo del secutor.

Eques
Si tratta di una figura occasionale nel panorama dei giochi gladiatori; di solito veniva utilizzato nelle hoplomachie cioè battaglie nelle quali veniva impiegati militari professionisti. Questi cavalieri sono armati di una piccola parma rotonda, un gladio, un elmo con tesa piatta e circolare e piumaggio corto ai lati degli elmi, sono inoltre sprovvisti di schinieri e combattono esclusivamente tra loro. Sono inoltre sempre vestiti di tunica; la presenza costante di questo abbigliamento va spiegata con il legame della società romana con il rango equestre che voleva distinguersi nettamente dagli altri ceti sociali che arruolavano gladiatori (schiavi o gente che metteva un prezzo alla propria vita). La parma (scudo) rotonda rievoca i modelli più antichi di scudo di cuoio utilizzati dalla cavalleria dell’esercito romano in età regia. Questi reparti (chiamati celeres) avevano due caratteristiche: combattere a cavallo con lancia e giavellotti o ingaggiare lotte corpo a corpo, andando ad aiutare i punti sul fronte che lo richiedevano. Quando in epoca imperiale la cavalleria non fece più uso di questo armamento, la gladiatura ne conservò l’utilizzo.

Samnis
Tito Livio è il primo autore che ci menziona i Sanniti in ambito gladiatorio (intorno al IV Secolo a.c.) a seguito della vittoria dei Campani sui Sanniti. Secondo la descrizione dell’autore, confrontata con altre fonti, questo combattente era dotato di uno scudo trapezoidale incuneato, una sola ocrea ed un elmo con doppia piuma, privo però della corazza protettiva (spongia pectoris); inoltre il Samnis è l’unico tra i gladiatori conosciuti a combattere con la lancia.

Hoplomachus
La ricostruzione di questa figura è fattibile mediante l’individuazione degli avversari dell’hoplomacus attestati nei reperti storico-letterari ed iconografici. L’avversario tipico è sicuramente il Trace. Secondo alcuni storiografi il termine hoplomacus deriva forse dallo scudo tondo di origine greca (oplon), utilizzato dalla falange greca. Un ulteriore attestazione, utile alla ricostruzione di questa categoria di gladiatori, raffigura, a partire dal I secolo d.c., l’Oplomaco armato con uno scudo di derivazione sannitica, cioè piccolo, tondo, ma molto convesso.

Essediarius
Nei reperti si può osservare l’armatura tipica di questa classe di gladiatori particolari: l’elmo è provvisto di un ampio paranuca circolare, una piccola tesa frontale ed una visiera; indossa due ocreae e piastre metalliche su ciascuna tibia, sovrapposte ad una spessa fasciatura; impugna uno scudo circolare ed un gladio. A differenza degli altri combattenti questo gladiatore iniziava il duello su un carro, al pari degli equites, per poi terminarlo appiedato. La presenza di “carristi” tra i gladiatori, sebbene fosse di origine barbarica questa specialità, suscitava risentimento nella categoria degli aurighi, che rappresentavano una specialità destinata ai ludi circensi. Dunque è possibile ipotizzare che, poiché gli equites combattevano con la tunica per non oltraggiare l’ordine equestre romano, anche gli essediarii fossero costretti a combattere con la tunica per non offendere il prestigio degli aurighi del circo. Le fonti sembrano indicare con certezza che gli oppositori degli essediarii erano gli essediarii stessi. L’auriga era munito di falcetto inserito nel corsetto. La presenza di questa arma va spiegata con la necessità da parte dell’auriga di recidere le briglie che legavano i cavalli in caso di necessità. Il naufragium era il termine con cui si indicava l’incidente tipico che avveniva durante le corse dei carri, quando la ruota del carro toccava la spina centrale dell’arena e si ribaltava. Con questo termine si indicava anche la collisione tra due carri nel momento in cui uno superava l’altro e le ruote entravano in contatto provocando l’incidente. Poiché le redini del carro giravano attorno all’auriga, il falcetto serviva per liberarsi della trappola che, molto spesso, si rivelava mortale.

Dimacherus
Questa classe di gladiatori, al pari degli scissores, è oggetto di una incerta ricostruzione a causa della frammentarietà delle fonti storiche. Sappiamo che era munito di una doppia arma: con la mano sinistra impugnava una falcula (cioè un falcetto) mentre probabilmente nella mano destra doveva impugnare o un gladio o una sica. Indossava inoltre un elmo a calotta liscia e doppie ocreae a protezione di entrambe le tibie ed una tunica.


Bibliografia:
SERRA P. – I Gladiatori Atleti del passato – Roma – 2014
AUGENTI D. – Spettacoli del Colosseo nelle cronache degli antichi – Roma – 2001
CONFORTO M.L. – Anfiteatro Flavio. Immagine, testimonianze, spettacoli – Roma - 1988
Documento inserito il: 11/02/2021
  • TAG: gladiatori, colosseo, impero romano, mirmillone, reziario, gallo, trace, secutor, provocator, hastarius, eques, samnis, hoplomachus, essediarius, dimacherus

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