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Il 'Cursus Honorum' Tacitiano [ di Carlo Ciullini ]

Ascesa politica di uno 'storico-senatore'

Di Publio (Gaio) Cornelio Tacito non è certa in modo assoluto l'origine narbonense: i romani nel 118 a.C. chiamarono Gallia Narbonensis (ma anche Provincia nostra, o semplicemente Provincia) la regione del sud francese (odierna Provence), in precedenza nominata Gallia Transalpina. Era presieduta da un proconsole dell'ordine senatorio.
Tuttavia è indubbia l'appartenenza familiare all'ordine equestre, se il Cornelio Tacito procurator Augusti della Gallia Belgica, di cui ci parla Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (VII 76) è effettivamente il padre dello storico.
La sua carriera politica, ad ogni modo, fu sin dall'inizio, a dispetto della carica equestre, indirizzata al cursus honorum senatorio, attraverso una spesso precoce scalata di tutti i gradini necessari di magistrato.
Colpisce la capacità tacitiana di unire alle straordinarie doti letterarie una grande abilità nel sapersi “condurre” politicamente attraverso i tempi e sotto principati diversi: furono imperatori, quelli per cui eglì agì, di indoli e caratteri ben differenti tra loro ma che sembrano ricamare, tutti assieme (esclusa naturalmente la tirannia domizianea, che tra l'altro si inasprì solo nella parte finale del regno dell'ultimo flavio), un periodo relativamente sereno dalla durata temporale inusuale.
E' la “felicitas temporum” di cui parla Tacito nel 3° capitolo dell'”Agricola”, in apparenza tanto lontana e diversa dall'epoca nella quale la dinastia Giulio-Claudia si segnalò per obbrobrio, misfatti, tirannia, non di rado follia, e i cui cupi e foschi accenti furono magistralmente dipinti dal genio di Tacito, durante la parte finale della sua vita.
Il velo dorato dell'apparenza, tuttavia, mediante il quale si adombrava una fittizia rinascita dello “spirito repubblicano” e un conseguente ritorno del Senato al suo antico prestigio, non nascose certo allo scrittore latino la concreta realtà delle cose: l'autocrazia del princeps costituiva l'unico, effettivo principio politico esistente, mentre l'autonomia decisionale del Senato restava un amaro ricordo.
Nessuno come lo storico-senatore Tacito seppe comprendere questa disillusa realtà; e a maggior ragione ci fa oggi sorridere la lettura della Gratiarum Actio di Plinio il Giovane, amico fraterno del narbonense, dalla quale, tra mille elogi ed esaltazioni della liberalitas di Traiano e della sua benevolenza nei confronti dell'istituzione senatoria, traspare in modo imbarazzante il totale, silenzioso asservimento della nobilitas imperiale al volere del principe.


Tacito iniziò sicuramente il proprio cursus honorum sotto Vespasiano, anche se l'anno esatto non è facilmente appurabile: e questo perchè la data stessa di nascita dello storico ci è ignota; ponendo l'anno 55 d.C. (quindi sotto Nerone) quale base di partenza, si può dedurre che l'inizio della vita politica di Tacito si determinò attorno al 75-76.
E' accertato, infatti, il conferimento da parte di Vespasiano stesso del latus clavus, con il quale poter intraprendere il ruolo di Tribunus laticlavius e accompagnarsi pertanto a una legione (i giovani prescelti per questo ruolo, ciascuno intorno all'età di vent'anni, erano al tempo di Tacito ventisette, uno per legione, perché le due stanziate in Egitto non prevedevano questa funzione, essendo tale regione, fin da Azio, prefettura imperiale e non senatoria).
Nel 78 ebbe luogo un evento fondamentale per la carriera di Tacito: si sposò infatti con la figlia di Gneo Giulio Agricola, appartenente a una illustre famiglia senatoria (già il padre dello stesso Agricola, Giulio Grecino, aveva ricoperto tale carica).
Tra l'altro, non è forse secondario l'aspetto che la famiglia della sposa fosse originaria della Gallia Narbonense, e più specificamente di Forum Julii (Frèjus): potrebbe, questo, essere buon indizio che Tacito fosse realmente di origine gallica, come oggi decretato dai più.
Nelle Historiae (I 1,3) tacito ci descrive in sintesi l'estrema essenza della sua carriera prima del consolato del 97: “dignitatem nostram a Vespasiano incohatam, a Tito auctam, a Domitiano longius provectam non abuerim”.
Sotto Tito, che subentrato al padre regnò per soli due anni (79-81), lo storico rivestì la carica di questore: spesso tale ruolo comportava uno svolgimento di servizio fuori Roma, ma al riguardo sappiamo poco o nulla circa i movimenti di Tacito.
Questo stato di incertezza continua anche per le ulteriori cariche ricoperte: sovente si è dovuto lavorare di supposizione, e presumere per Tacito l'abituale cursus riservato a chiunque percorresse la carriera senatoria. Con la morte di Tito ha inizio un quindicennio di tirannia domizianea che Tacito definisce nell'Agricola “grande mortalis aevi spatium.” (3,2).
Ormai trentenne (siamo intorno all'85 d.C.), lo storico ricoprì certamente la magistratura di edile o di tribuno della plebe: era legato infatti a una delle due cariche l'accesso al titolo di pretore, che egli andò ricoprendo nell'88, anno in cui sicuramente già rivestiva una prestigiosa carica religiosa, quella di XVvir sacris faciundis.
Si trattava di un ruolo di durata vitalizia, cui era conferito il compito d'importanza capitale, in seno alla vita istituzionale e sociale romana, di interpretazione dei Libri Sibillini; lo stesso Tacito ci racconta negli Annales (XI 11,1): “sacerdotio quindecemvirali praeditus ac tunc praetor”.
Proprio in qualità di quindecemviro attese alla preparazione, sempre nell'88, dei Ludi saeculares promulgati da Domiziano, ed egli stesso ci descrive il suo impegno: “quoque edidit ludos saeculares, iisque intentius adfui...”.
Dopo la carica di praetor Tacito ne rivestì un'altra per la quale dovette assentarsi con la famiglia da Roma per quattro anni, cioè fino al 93 almeno. Il narbonense, infatti, nel XLV capitolo dell'Agricola ci descrive il proprio dolore per non aver potuto assistere a tempo (siamo nell'Agosto del 93) agli ultimi giorni di vita del suocero, cui avrebbe voluto portare conforto.
I quattro anni lontano dall'Urbe furono probabilmente riservati al comando di una legione nelle province, con l'ultimo anno (92-93 d.C.) volto all'amministrazione di una provincia in qualità di legatus Augusti propraetor (una carica di rango pretorio, avendo ricoperto tale ufficio cinque anni prima).
Siamo nel 93: è il periodo in cui si acuisce e infierisce sempre più la tirannide di Domiziano, ed è anche il tempo del silenzio e della sopportazione di Tacito senatore e storico, che solo dopo la morte dell'ultimo esponente della domus flavia, nel Settembre del 96, comincerà a irrorare coi suoi capolavori i campi rinsecchiti della conoscenza e dell'analisi storica.
Nel 97, l'autore del “Dialogus”giunge infine a ricoprire la carica più prestigiosa: quella di console. Siamo sicuramente nella seconda parte dell'anno, ma non ne conosciamo con certezza il mese (Settembre? Ottobre?); la stessa carica consolare non è ben definita nella sua specificità: ci è ignoto, infatti, se Tacito rivestì il titolo di consul suffectus o designatus, e la differenza non è trascurabile.
Per consul suffectus, cioè “supplente”, si intendeva colui che prendeva il posto del console effettivo morto per cause varie (naturali o in guerra) e ne ricopriva la carica per il tempo rimanente fino alla scadenza annuale; il consul designatus invece era il magistrato che, già eletto in seno ai Comitia centuriata, non era ancora entrato in carica.
Nello stesso anno del suo consolato pronuncia l'elogio funebre per L.Verginio Rufo, figura stimatissima e profondamente ossequiata a Roma: un discorso questo, come ci ricorda Plinio in una sua lettera (Epist.II,1), che conferì a Tacito il crisma del più eloquente tra gli oratori.
A tre anni dopo (100 d.C.) risale il famoso processo per concussione intentato contro il Proconsole d'Africa, Mario Prisco: sia Tacito che Plinio il Giovane (che nella sua epistola [II,2] ci descrive dettagliatamente quell'epocale evento giudiziario) furono implorati dai provinciali malversati di far loro da patroni e d'imbastire l'accusa nei confronti delle nefandezze amministrative di Mario, il quale fu in effetti costretto all'esilio, anche se non subì la confisca dei beni.
Il decennio che va dal 100 al 110 circa, periodo nel quale Tacito attese alla composizione delle Historiae, non ci è ben noto per quanto concerne la vita politica dello scrittore: è presumibile, ad ogni modo, che egli non abbia mai lasciato la frequentazione del Senato e che, in qualità di esponente tra i maggiori dello stesso, abbia contribuito alla discussione inerente alla successione di Traiano.
Tra i lati oscuri e più difficilmente conoscibili del cursus honorum tacitiano, vi è anche quello relativo a un più che possibile governo di una provincia non altrimenti individuabile (Germania Superior? Inferior?), in qualità di legatus Augusti propraetor (stavolta, però, di rango consolare e non pretorio come nel 92-93): non è semplice specificare, in seno al primo decennio del nuovo secolo, in quale anno Tacito possa aver servito lo Stato ricoprendo tale funzione.
Tuttavia ci è d'aiuto (per esclusione) la certezza che nel 112 d.C. (più difficilmemte 113) lo storico abbia governato quale proconsole la provincia senatoria dell'Asia. Ce ne dà conferma l'iscrizione trovata in Anatolia, nella regione dell'antica Caria, presso il villaggio di Mylasa: “ANTYPATO KORNELIO TAKITO=proconsole Cornelio Tacito”.
L'intero cursus di rango senatorio appare così ricoperto nell'arco di quasi un quarantennio (75-115 circa): l'abilità grande, frutto dell'innata capacità di comprensione storico-politica di Tacito, grazie alla quale egli seppe attraversare il regno di sei prìncipi diversi, ci palesa una partecipazione civica di profilo alto e continuo; e forse fu proprio il suo apparire pienamente inserito nella vita sociale e politica dell'impero, a creare uno status prestigioso dal quale poter contemplare gli eventi storici che gli si dipanavano attorno, e poter gettare uno sguardo indagatorio sulle cause, presenti e ancor più nascoste, delle vicende dell'universo imperiale; e tutto ciò, paradossalmente, quasi come coperto, mascherato dal decus delle cariche via via vestite.
Si ha, di Tacito, l'impressione tutta particolare di un uomo che, per poter osservare, diremmo “spiare” le evoluzioni dei suoi tempi, si sia tenuto anziché nell'ombra o dietro l'angolo, volutamente al centro della scena socio-politica, onde stornare da sé ogni sospetto di opposizione ai vari regimi susseguitesi nel corso della propria esistenza.
Fu questa “maschera senatoria” indossata dall'autore delle “Historiae” a fare da grimaldello per l'apertura di porte altrimenti precluse (si pensi, ad esempio, alla possibilità di accedere agli archivi imperiali e agli Acta del Senato): la lealtà dovuta al sovrano era comunque mantenuta, e niente ne dava prova più dell'espletamento efficiente dei propri incarichi istituzionali.
Il reale intendimento, il concreto stato d'animo dello storico, invece, si agitava nell'animo suo e di riflesso nelle sue opere: ne conseguiva l'abbandono di ogni illusione circa un possibile, futuro ritorno allo spirito della libertas repubblicana, e un asservimento del Senato al predominio e alla volontà del princeps.


Riferimenti bibliografici:

PLINIO IL VECCHIO, “Storia Naturale”, per I MILLENNI-Einaudi editore,Torino,1982-86

TACITO PUBLIO CORNELIO,“Agricola”,Bur,Milano,2004

TACITO PUBLIO CORNELIO,“Historiae”,Garzanti,Milano,2005

PLINIO IL GIOVANE, “Lettere ai familiari.Carteggio con Traiano”,Bur,Milano,1994

SYME R.,“Tacitus”,Paideia,Brescia,1967(Ia edizione)
Documento inserito il: 18/12/2014
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