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Considerazioni sulla religione romana

del Prof. Giovanni Pellegrino


In questo articolo prenderemo in considerazione gli elementi principali della religione romana.
La religione romana era caratterizzata da un fortissimo senso di deferenza nei confronti della dimensione divina.
Infatti l’antica religione romana riconosceva come dominio della divinità ogni elemento naturale e ogni aspetto della vita umana.
Di conseguenza le entità divine manifestavano la loro presenza e la loro volontà attraverso determinate azioni.
Capacità di osservazione ascolto paziente ed obbedienza erano da sempre i tratti distintivi dell'“homo religiosus” romano.
Le divinità dei Romani erano potenze operanti non figure mitologiche come gli dei del Pantheon greco.
Il processo attraverso il quale a Roma si arrivò all’adozione dell’apparato mitologico ellenico è complesso e articolato.
Si è ritenuto tipicamente romano il termine numen divenuto in seguito quasi sinonimo di deus.
Tale parola originariamente indicava il “segno” di una divinità.
Questa terminologia a livello sacrale è connessa con la pratica di consultazione della divinità dalla quale si ci aspetta una risposta positiva o negativa.
Per dirla in altro modo dalla divinità i Romani si attendevano un cenno di assenso o di diniego.
Visto che dominio della divinità era per i Romani tanto la natura quanto l’essere umano l’uomo romano si trovava al centro di un complesso reticolo di entità divine sia individuali sia socio familiari tra le divinità individuali riteniamo opportuno citare il “genius” nume tutelare di ciascun individuo.
Tra le divinità socio familiari è opportuno citare i Lari e i Penati considerati i protettori della casa e i Manes dei defunti ovvero gli spiriti dei morti. Per i Romani ogni cosa dal volo degli uccelli all’evento isolato poteva assumere valore di segno da parte della divinità.
Tale segno doveva essere correttamente interpretato dall’augure la cui attività di osservazione ed interpretazione in Roma non sembrava legata alla pratica della magia.
L’attività di interpretazione dell’augure prende il nome di mantica.
Per dirla in altro modo l’augure aveva la funzione di accertare il potere della divinità ma non aveva il potere di tipo magico.
Alla comprensione della volontà divina corrispondeva un impegno costante per la comunità e i suoi rappresentanti nell’osservanza scrupolosa di un rituale religioso.
Attraverso tale rituale i Romani si prefiggevano di placare la divinità in modo da consentire agli uomini libertà di azione.
Accadeva quindi che le feste dell’anno agricolo (feste per la fertilità del raccolto e quelle della salvaguardia dei confini) divennero un compito di fondamentale importanza dello stato.
Contestualmente sembra che alcuni dei “numina” assunsero caratteristiche nuove. Per fare degli esempi Giove il nume celeste divenne la divinità tutrice della giustizia ovvero della corretta prassi dell’agire umano mentre Marte da divinità agricola assunse il ruolo di Dio della guerra. Non dimentichiamo che a Roma l’ordinamento centuriato aveva trasformato semplici agricoltori in soldati.
Si formò quindi una triade divina costituita da Giove Marte e Quirino che in origine era una divinità locale sabina e solo successivamente venne identificato con Romolo deificato.
Quando i Romani entrarono in contatto con il Pantheon greco avvenne una complessa operazione di sincretismo religioso.
I Romani entrarono in contatto con le divinità greche in parte attraverso gli Etruschi e in parte direttamente.
In seguito a tale sincretismo religioso si crearono dei doppioni per cui Giove fu assimilato a Zeus mentre Giunone che forse in origine era solo la versione femminile del genius fu assimilata a Era.
Venere fu assimilata a Afrodite, Marte ad Ares Vulcano dio del fuoco ad Efesto.
Inoltre dalla Grecia fu importato il culto di Apollo e nel 496 a.C. quello delle divinità misteriche Demetra (identificata con Cerere de Italica della germinazione) Core e Bacco.
Bacco venne chiamato a Roma “liber“ cioè figlio.
Analogamente al culto di Dioniso in Grecia da cui deriva il culto di Bacco e sin dalle origini riservato ai soli iniziati.
Tuttavia ben presto tali riti entrarono in conflitto con la religione ufficiale di Roma a causa del rifiuto da parte degli adepti di riconoscerne i valori culturali.
Pertanto il Senato dietro iniziativa di Catone emise una legge perché si procedesse allo scioglimento del culto e alla conseguente distruzione dei templi.
In seguito a tale legge vennero anche confiscati i beni vennero arrestati i capi e perseguitati gli adepti.
Nel terzo secolo a.C. fu introdotto a Roma il culto del dio della medicina Asclepio e alla fine della seconda guerra Punica il culto orgiastico della dea Madre Cibele.
Prenderemo ora in considerazione alla fine di tale articolo alcuni rari documenti poetici del latino prelettario giunti fino a noi.
Tra questi documenti troviamo i testi di alcune preghiere proprie della religione romana in parte dedicate agli antichi culti agricoli.
Quello che probabilmente è il più antico tra questi componimenti poetici è il “Carmen Arvale” che risale al V secolo a.C.
Tale componimento è importante sia come testimonianza dell’originaria civiltà contadina romana sia come preziosa indicazione sulla lingua arcaica romana.
Alcuni studiosi ritengono tuttavia che la versione a noi tramandata non sia quella originaria ma una riproduzione di un testo contenente vari errori.
Questa preghiera contenuta nel “Carmen Arvale” veniva innalzata nella processione degli “ Ambarvalia” una cerimonia che aveva luogo nei campi per propiziare l’abbondanza del raccolto e tenere lontano i mali e le rovine.
Le divinità invocate appartengono tutte alla sfera familiare o agricola.
Un altro componimento appartenete al latino preletterario di tipo religioso sono i “Carmina Saliaria”.
Tali Carmina Saliaria sono meni antichi del “ Carmen Arvale”.
Tali Carmina sono canti pertinenti al culto dei sacerdoti Sali.
Questi sacerdoti la cui istituzione secondo la leggenda risaliva al re Numa Pompilio presiedevano al buon andamento delle guerre e svolgevano cerimonie in primavera e in autunno inizio e fine della stagione delle campagne militari.
Tali sacerdoti derivavano il loro nome da “Salio” ( saltare) perché eseguivano danze rituali basate sul salto.
Essi si dividevano in due compagnie ognuna delle quali era composta da dodici membri.
Le due compagnie erano quelle dei Palatini e quella dei Collini che praticavano rispettivamente il culto di Marte e il culto di Quirino.
Dei Carmina Saliaria ci restano solo singole parole o espressioni citate come curiosità linguistiche da eruditi come Varrone per i quali spesso il significato di quelle espressioni era già oscuro legato ad un antichissimo rituale.
Famosa e così estesa da suscitare considerazioni di più vasta portata è la preghiera del pater familias che doveva essere recitata durante il rito della Lustratio.
La Lustratio era il rito di purificazione dei canti per propiziare un buon raccolto.
Ogni cinque anni i riti di purificazione riguardavano l’intera città.
Dobbiamo dire che la lingua della preghiera del pater familias è decisamente più moderno di quella dei testi precedenti.
Pertanto tale testo non suscita particolari problemi di comprensione.
Detto ciò riteniamo concluso il nostro discorso sulla religione romana.
Documento inserito il: 23/03/2022
  • TAG: impero romano, religione, dei, paganesimo

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