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Un premio nobel contro gli stupri di guerra [ di Michele Strazza ]

Il Premio Nobel per la Pace 2018 è stato assegnato a Denis Mukwege e Nadia Murad per il loro impegno contro l'uso della violenza sessuale come arma di guerra, una realtà spesso ignorata dalla comunità internazionale.
In particolare il dott. Denis Mukwege, soprannominato "l'uomo che ripara le donne", dal 1998 ha curato 40.000 vittime di atroci stupri nella Repubblica democratica del Congo dove una guerra, ufficialmente terminata nel 2002, prosegue, invece, con scontri interni tra l’esercito regolare e gruppi armati per il controllo di miniere d'oro, diamanti e rame presenti nel Paese africano.
"Lo stupro è una vera e propria strategia", ha spiegato Mukwege., il ginecologo che, nel suo ospedale Panzi a Bukavu, nella parte orientale del Congo, ha operato decine di migliaia di vittime di violenza carnale, medicandone altrettante nei villaggi.
Da quando è iniziata la guerra civile in Congo si calcola che centinaia di migliaia di donne siano state violentate sia dai ribelli che dall’esercito regolare. Secondo le statistiche del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) vengono commessi ogni mese circa 1.100 stupri.
Le violenze sessuali hanno iniziato ad essere praticate in maniera massiccia a partire dalla prima guerra del Congo (1996-1997), terminata con la caduta del dittatore Mobutu Sese Seko, e sono continuate con la seconda guerra del Congo (1998-2002), colpendo donne e bambine dai 4 mesi agli 80 anni. Gli accordi di Sun City, in Sudafrica, pur concludendo il conflitto, non hanno sopito le rivalità e numerosi gruppi armati hanno continuato a percorrere i territori congolesi uccidendo e stuprando. Dal 2004 in poi è poi aumentata la percentuale degli stupri praticati da civili, rendendo le donne sempre più vittime di una intera società che le considera inferiori all’uomo.
In Congo la verginità è considerata requisito indispensabile per il matrimonio e lo stupro, pertanto, rappresenta una condanna definitiva per una ragazza e per la sua famiglia che, con il matrimonio, acquisisce la dote pagata dal futuro marito. Di qui la tendenza, purtroppo presente, di padri che spingono la figlia violentata ad intraprendere la strada della prostituzione.
Gli stupri nella Repubblica Democratica del Congo costituiscono ormai una vera e propria arma da guerra utilizzata da ambedue gli schieramenti in modo sistematico come strumento di terrore nei confronti della popolazione civile per annientarla ed umiliarla. Le atrocità non hanno risparmiato nessuno. Anche bambine e donne anziane sono state violentate e orribilmente mutilate.
In molti casi le violenze sono state perpetrate da soldati affetti da Hiv con il proposito deliberato di infettare le popolazioni.
Le atrocità commesse hanno raggiunto un livello inaudito. Molte donne sono state rapite e utilizzate come schiave sessuali per svariati mesi. Altre, incinte, sono state sventrate, altre ancora sepolte vive nella convinzione tribale di rendere la terra più fertile.
La presenza di circa 20.000 “caschi blu” sul territorio congolese non ha rappresentato alcuna remora per le violenze, indicando, ancora una volta, l’inutilità delle cosiddette “missioni di pace” internazionali. Anzi, non è mancato chi, come qualche missionario, abbia accusato i soldati Onu di essere stati i responsabili di alcuni episodi di violenza carnale.
Gli enormi giacimenti minerari presenti nei territori ad est della Repubblica Democratica del Congo, in special modo oro e diamanti, hanno sollecitato innumerevoli appetiti, alimentando un conflitto che dal 1998 al 2002 ha prodotto cinque milioni di morti e dove tutte le forze in campo sono dedite a massacri e violenze. Vi prendono parte anche i gruppi armati responsabili del genocidio ruandese del 1994 ed ora rifugiati in Congo.
In questo inferno senza fine i volontari delle organizzazioni internazionali non governative sono gli unici “angeli” a portare un po’di aiuto nel completo disinteresse e nel silenzio complice degli Stati occidentali.
Uno di questi “angeli” è proprio il ginecologo Denis Mukwege. Tantissime le donne passate nel suo ospedale, nato nel 1998 come “maternità” ma poi diventato un centro specializzato nella ricostruzione chirurgica e in tutte le patologie collegate allo stupro (fistole urogenitali o digestive, lacerazioni del perineo).
All’ospedale di Panzi molte donne si recano da sole per evitare che la violenza venga conosciuta nella comunità o che il marito possa ripudiarle. Nel nosocomio di Mukwege i racconti si susseguono nella loro tristezza. “Le tue gambe non ti servono a niente, ora te le brucio”, ha detto il marito a M. dopo essere tornata a casa stuprata. Invece di consolarla suo marito l’ha accusata di non essere riuscita a scappare via. L’ha ricoperta di benzina e le ha dato fuoco.
Anche a Goma dall’aprile del 2003 è operativo un ospedale chirurgico che si occupa di donne violentate. Impiantato dalla dottoressa canadese Gwendolyn Lusi, il nosocomio del DOCS (Doctors on Call for Service) in soli due anni ha curato 5.000 vittime. Si tratta di pazienti che, per le violenze subite, hanno riportato la rottura della membrana che separa la vagina, la vescica e il retto. Una rottura provocata dagli stupri multipli e da lesioni inflitte con baionette, coltelli, bastoni, asce. “Talvolta infilano la canna di una pistola e poi sparano”, racconta Francesca Morandini, Protection Officer dell’Unicef.
Sono tantissimi i bambini nati dalle violenze. In Congo l’aborto è illegale, per quello clandestino ci vogliono soldi. Nel campo di Buhimba sono tante le donne con bambini al seguito. D.T. ha 22 anni, bella, scheletrica, disprezza il suo piccolo: “Che me ne faccio? Voglio solo morire. Due stupri sono troppi. Due anni fa in casa mia, a Masisi, con mia madre: a lei hanno spezzato le gambe. L’anno scorso qui vicino… non ho fatto che urlare “uccidetemi!”.
Non tutte la pensano così. A. è un raggio di luce. Ha 33 anni e sei figli, l’ultimo è il frutto di una violenza. E’ stata rapita vicino al campo con altre nove donne, poi, bendata e legata, è stata tenuta prigioniera e stuprata. Una giornalista gli chiede cosa prova per il suo bambino. Sgrana gli occhi e risponde: “Devi capire, è il mio bambino. L’ho chiamato Chance affinché, almeno lui, abbia la fortuna di conoscere un mondo migliore”.
La Chiesa cattolica è da tempo in prima linea nell’opera di assistenza e denuncia della violenza. A novembre del 2010 Mons. Mélchisédech Sikuli Paluku, Vescovo di Butembo-Beni, insieme a tutto il clero locale, ha espressamente sottolineato come nel Nord Kivu sia “in gestazione un genocidio”, puntando l’indice contro i giacimenti minerari e il traffico d’armi.
Il premio nobel al dott. Denis Mukwege rappresenta, indubbiamente, il tentativo di riaccendere le luci, da parte della comunità internazionale, sulla terribile tematica degli stupri di guerra. In epoca contemporanea la violenza sessuale nei conflitti bellici ha, infatti, registrato una mutazione sostanziale da quando era considerato semplice “bottino di guerra”, diventando parte intenzionale e consapevole di un più vasto progetto di annientamento del nemico, nelle sue più intime identità, con l’obiettivo di distruggerne ogni aspetto materiale e spirituale. Il corpo delle donne è diventato, esso stesso, nuovo campo di battaglia e strumento di realizzazione di aberranti fini politici, connotando l’alba del nuovo millennio di quelle tinte fosche che l’umanità pensava, erroneamente, di aver superato.


Bibliografia
Agenzia Fides, 8 settembre 2010; 27 novembre 2010; 10 dicembre 2010.
Alberizzi M., Congo, nella clinica delle donne violentate, in “Il Corriere.it”, 5 agosto 2006.
Amnesty International, Democratic Republic of Congo: Mass rape highlights failures in protection and justice, 27 agosto 2010.
Gristelli J., Congo: le viol, arme de guerre, in “Libération”, 8 marzo 2007.
Nigrizia, dicembre 2010.
Strazza M., Fenomenologia dello stupro: evoluzione dei significati della violenza sessuale nelle guerre, “Humanities. Rivista di Storia, Geografia, Antropologia, Sociologia”, A.VI, n.12, dicembre 2017.
Zuccalà E., Congo, l’inferno nel nostro corpo, in “Corriere della Sera”, 9 febbraio 2006.
Documento inserito il: 25/10/2018
  • TAG: congo, stupri, guerra civile, premio nobel, denis mukwege, nadia murad

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