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Totalitarismi e autoritarismi: il caso tedesco, italiano ed iberico [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

Se il Settecento è stato il secolo dell'Illuminismo e l'Ottocento quello delle rivoluzioni, il Novecento (da un punto di vista prettamente politico, filosofico e storico) è stato quello dei totalitarismi. I totalitarismi sono stati il male dell'intero XX secolo con le loro ideologie distorte di potere, violenza, morte e distruzione. Subito vengono in mente il nazionalismo tedesco, il comunismo stalinista ed il fascismo italiano, anche se quest'ultimo, issatosi al potere prima degli altri, ha alcune peculiarità che lo rendono “solo” un regime autoritario.
Vediamo nel dettaglio cosa sono stati i totalitarismi.

Totalitarismo: definizione e caratteristiche
Il sito della “Treccani” alla voce “totalitarismo” riporta “sistema politico autoritario, in cui tutti i poteri sono concentrati in un partito unico, nel suo capo o in un ristretto gruppo dirigente, che tende a dominare l’intera società grazie al controllo centralizzato dell’economia, della politica, della cultura, e alla repressione poliziesca”. Ma quando di diffonde questa parola? Si dice che sia stato Giovanni Amendola, esponente del pensiero democratico-liberale e antifascista, nel giugno 1923 (neanche un anno dopo la presa del potere del fascismo), ad usarlo per la prima volta, sulle pagine del quotidiano “Il Mondo”, fondato nel 1922 dallo stesso Amendola, in due momenti distinti, il 12 maggio ed il 28 giugno successivamente alle elezioni. In pratica, il partito fascista aveva presentato due liste, una di maggioranza ed una di minoranza, facendo in modo che non si potessero presentare altre liste. Per Amendola ciò significava che il partito fascista era “totale”, disprezzando le opposizioni e i loro diritti, scavalcando la democrazia facendo in modo di imporre il suo dominio assoluto.
Ma il fascismo è da considerarsi come autoritario anziché totalitario ed il motivo è semplice: il nazismo e il comunismo lo hanno superato, da destra e sinistra, per alcune grandi differenze sostanziali come ad esempio il fatto che Hitler e Stalin non dovevano rispondere delle loro azioni ad un capo di stato, in quanto loro stessi erano capi dello Stato e nessuno poteva impedire loro di fare qualcosa. Cosa che invece Mussolini non poté fare, in quanto lui fu solo il capo del governo mentre il capo dello Stato era re Vittorio Emanuele III.
Molti studiosi si sono “sbizzarriti” nel definire cosa è stato il totalitarismo. Unendo molti pensieri, le caratteristiche di un regime totalitario sono le seguenti:
- presenza di regime (Stato) che controlla capillarmente la vita delle persone;
- assenza di un'opposizione parlamentare e politica;
- presenza di un solo partito legalizzato che accentra in sé tutto;
- presenza di un leader carismatico cui tutti devono essere fedeli;
- controllo totale sull'economia;
- fuso della violenza e del terrore nel confronto della popolazione;
- uso massiccio di mezzi di comunicazione e della propaganda.
Il totalitarismo può essere considerato “perfetto” se rispecchia tutte le precedenti ipotesi, mentre nel caso in cui anche una sola ipotesi non venga soddisfatta si parla di “imperfetto”.
Lo Stato totalitario “manipola” le menti delle persone chiudendo i giornali di opposizione e tutto ciò che potrebbe turbare l'ordine. Inoltre i giornali sono asserviti e pubblicano solo notizie di regime, facendo vedere, ed esaltano, tutte le cose positive, mentre le radio trasmettono solo propaganda politica.
Vengono create delle paure ad hoc propagandate all'ennesima potenza: il pericolo ebraico e comunista in Germania, il pericolo capitalista in Unione sovietica, il pericolo comunista in Italia. Il regime totalitario diffonde la paura, ma garantiva ai cittadini la protezione da questa.
Tutte queste “paure” condizionano la vita delle persone, soprattutto se queste fanno parte del “nemico”. Il regime nazista è stato quello che ha inculcato più paure nella popolazione e con le “leggi di Norimberga” del 15 settembre 1935 (legge sulla cittadinanza del Reich; legge per la protezione del sangue e dell'onore tedesco) ha sancito che le persone di fede ebraica fossero nemiche dello Stato e per loro si aprirono anni difficili di convivenza con il regime che terminarono con l'apertura dei campi di sterminio ed il loro internamento durante il corso del secondo conflitto mondiale. Stessa cosa fece lo stalinismo, con l'internamento nei gulag di oppositori e nemici del popolo. A differenza del nazismo, i gulag sovietici vennero dismessi solo dopo la morte di Stalin (fino al periodo di destalinizzazione) e durarono quasi trent'anni contro i sette dei nazisti.
I totalitarismi nel passato ebbero vita facile in quanto nessuno dall'esterno si oppose. Non mosse mai un dito la Società delle Nazioni, l'organizzazione internazionale nata grazie ai Quattordici punti di Woodrow Wilson che aveva il compito di garantire la sicurezza e la pace nel Mondo e la passività delle popolazioni davanti a questa dittatura. I trattati di Versailles cercarono di fare in modo che non ci fossero più guerre in Europa e nel Mondo, ma la Società delle Nazioni non poté garantire i nuovi equilibri. Ed i motivi furono prettamente due: il non ingresso degli Stati uniti d'America (la prima potenza politica ed economica al Mondo) e il fatto di non disporre di un proprio esercito per controllare le deliberazioni e ciò che facevano gli Stati membri. E la crisi della Società delle Nazioni si fece palese nel 1936 dopo il riarmo tedesco e la vittoria italiana in Etiopia, che diede il via alle sanzioni economiche contro l'Italia.

Nazionalsocialismo, il totalitarismo più totalitarista
L'Impero prussiano si sciolse il 9 novembre 1918 a seguito della sconfitta nella Prima guerra mondiale contro le forze della Triplice intesa. L'impero prussiano nacque nel 1871 grazie a Otto von Bismark, ma divenne una forza militare ed imperiale con la salita al trono di Guglielmo II Hohenzollern dopo la morte del padre Guglielmo I nel 1888.
La fine della guerra aveva riconosciuto la superiorità pratica e legale dei regimi liberali e democratici contro l'autorità degli Imperi centrali e la paura del pericolo comunista per la borghesia europea.
Uscita sconfitta dalla Prima guerra mondiale ed attore passivo durante il trattato di Versailles (28 giugno 1919), la Germania fu stravolta politicamente ed economicamente. I quattro Capi di Stato e di Governo dei Paesi vincitori decisero che la Germania doveva essere punita maggiormente rispetto agli altri: la Francia volle punirla per il passato, la Gran Bretagna voleva renderla innocua militarmente ma discretamente ricca economicamente per controbilanciare la Francia, gli Stati Uniti la volevano ridimensionata, ma non annientata, per farla rientrare nell'alveo delle democrazie sovrane al più presto.
Si decise che l'Alsazia e la Lorena sarebbero dovute tornare alla Francia; lo Schleswig sarebbe stato dato alla Danimarca, come furono date alla Polonia parte di Posnania, Prussia occidentale (creando la questione di Danzica) e Slesia. Fu smembrato, anche se limitato, l'impero coloniale tedesco. Si decise di ridurre drasticamente l'esercito tedesco a sole 100 mila unità contro i 2 milioni di inizio guerra. La Germania dovette pagare 132 miliardi di marchi d'oro ai vincitori.
Il Paese, già duramente colpito durante la guerra, si trovò a corto di tutto e con alcune lotte all'interno dei suoi confini. Complice anche la rivoluzione d'ottobre in Unione Sovietica, le forze comuniste iniziarono a dare battaglia alle forze moderate e conservatrici e si temette che la Germania potesse diventare un paese comunista. E la nascita di una repubblica “sovietica” in Baviera fu accolta con preoccupazione, anche se lontano dal leninismo.
Dal 1919 al 1929, si succedettero molti cancellierati che riuscirono a far tornare la Germania nello scacchiere mondiale, facendola piano piano uscire dalla ghettizzazione cui era stata gettata dieci anni prima con grossi sacrifici per la popolazione. Il crollo di Wall Street del 1929 fu un'ascia sul paese e piombò nel caos politico, economico e sociale.
Chi godette (politicamente) del marasma tedesco furono alcune forze reazionarie. Una di queste fu il DAP, il Partito dei Lavoratori Tedeschi, guidato da Anton Drexler e Michael Lotter, nato nel 1920 ma scioltosi l'anno dopo. Il 24 febbraio 1921 il partito si trasformò in Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi e le redini furono prese da un 32enne di Braunau am Inn, Adolf Hitler. Hitler si impose come restauratore di questo partito che aveva visto nascere e, grazie alla sua abilità oratoria e di persuasione, riuscì negli anni a trasformare un partito con poche migliaia di preferenze in un partito di governo. Tra i nomi di spicco comparirono Gottfried Feder, Dietrich Eckart, Gregor Strasser, Julieus Streicher, Friedalind Wagner, Alfred Rosemberg, Putzi Hanfsteigel, Hélèn Bechstein e i Bruckmann, oltre ai fedelissimi di Hitler Hess, Goring e Rohm.
Il motivo? Semplice: Hitler cavalcò l'onda negativa che c'era allora nel Paese e le continue crisi governative. La sconfitta nella Grande guerra, il pericolo comunista, la nascita di un grande Stato pangermanico e la paura dell'ebraismo furono i cavalli di battaglia della politica del giovane Hitler.
La forza del nazionalsocialismo tedesco si vide con l'istituzione, a Norimberga, della “giornata tedesca”. Nel frattempo, l'11 gennaio 1923 la Francia aveva occupato la Ruhr come “baratto” visto che la Germania non riusciva a pagare i debiti di guerra. Nel Paese intanto stava dilagando una crisi economica molto forte: disoccupazione galoppante, inflazione alle stelle e marco debolissimo contro il dollaro (in poco tempo da 4 a 1 a 7000 a 1). Era necessario fare qualcosa, secondo i nazisti.
Lo stesso Hitler, la sera tra l'8 ed il 9 novembre 1923, giorno del quinto anniversario della nascita della Repubblica di Weimar, guidò un putsch contro il governo bavarese filomonarchico di destra di von Rahr. La sede del colpo di stato fu una birreria della città principale della Baviera per poi marciare verso Berlino (imitando ciò che fece l'anno prima Mussolini in Italia). Il golpe fallì ed Hitler fu condannato per alto tradimento e si prese cinque anni. Uscì dal carcere dopo solo nove mesi e durante la sua prigionia scrisse il celebre “Mein Kamp”, un libro in cui espresse le sue teorie ed i suoi sentimenti di amore per il nazionalismo e l'odio per l'ebraismo e le razze che non fossero quella ariana.
La fortuna di Hitler fu quella di aver trovato un partito disorganizzato ed disomogeneo. E per uno con le sue “qualità”, fu facile prendere il sopravvento e portarlo alla vittoria, complice anche un nuovo apparato organizzativo che portò il NSDAP ad aumentare il proprio consenso e poi prendere il potere. Il 27 febbraio 1925 “rinacque” il nuovo partito, Hitler ebbe vita facile nel trasformarlo in un partito di governo. Purtroppo, per lui, in Germania si stava piano piano uscendo dal baratro e fino al 1929 si assistette ad una sorta di miracolo economico. Miracolo economico che fu interrotto bruscamente dalla crisi di Wall Street: la crisi della borsa americana fu il trampolino di lancio di Hitler verso la salita al potere. Si tornò a prima del 1923: situazione politica instabile, crisi sociale e economica. Il NSDAP dall'essere il nono partito più votato nelle elezioni del maggio 1928 iniziò una vera scalata e nelle elezioni del 14 settembre 1930 passò da 12 a 107 deputati, per poi arrivare addirittura ai 230 delle elezioni del 31 luglio 1932, con una ricaduta a 196 in quelle del 6 settembre 1932. Quella che fu una sconfitta, fu una vittoria: con un'alleanza nazisti-destra nazionale in chiave anticomunista, Adolf Hitler il 30 gennaio 1933 ebbe l'incarico di Cancelliere. A differenza del fascismo, il nazismo aveva preso il potere in maniera legale e legittima. Aveva inizio quello che fu dichiarato il “millenario Reich tedesco”. Il regime nazionalsocialista portò alla nascita del Terzo reich, successivo al Primo reich (962- 1805) e al Secondo (18 gennaio 1871 – 9 novembre 1918). Il Terzo reich non durò mille anni, ma solamente dodici.
Ma la parola “legalità” sparì poco dopo in Germania: il 27 febbraio 1933 fu incendiato il Reichstag, il parlamento tedesco. Adolf Hitler fu il deus ex machina di tutta la vicenda e sfruttò l''incendio per dare la colpa ai comunisti accusando un ragazzo disagiato vicino al partito socialista olandese, condannato poi a morte. Grazie a queste false accuse, ottenne un decreto ad hoc dove furono sospesi tutti i diritti civili, l''incarcerazione preventiva di tutti i dirigenti comunisti e tutti quelli che erano contro lo NSDAP o emigravano o venivano arrestati. La colpa fu addossata ai comunisti e il giorno dopo, con il decreto del Reichstag, si decise di limitare i poteri ai cittadini e iniziò una rappresaglia contro i comunisti e i socialisti. Molti politici “di sinistra” non poterono presentarsi alle elezioni politiche del 5 marzo successivo. La vittoria fu netta anche se il partito, il 5 marzo, ottenne il 43,9% dei voti.
Dopo le elezioni Hitler, confermato cancelliere, rese operativo il “decreto dei pieni poteri”, secondo passo verso la dittatura usando mezzi legali: Hitler fece arrestare o impedì ai deputati comunisti e socialdemocratici di fare politica, minacciando anche ministri di centro della coalizione. Il partito socialdemocratico tedesco venne sciolto, messo fuori legge e si decise di abolire la separazione dei poteri tra governo e parlamento.
Il 23 marzo 1933 ottenne la legge delega con il quale poteva avere il potere legislativo per i successivi quattro anni ed iniziò l'epurazione all'interno del partito e nel Paese.
Nel giugno 1934 ci fu la “notte dei lunghi coltelli”, l'epurazione delle Squadre d'assalto, oppositori politici ed ex compagni di Hitler. Il 14 luglio tutti i partiti politici vennero messi fuori legge, salvo il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi. Tra le vittime (oltre 70 persone) l'ex Cancelliere del Reich Kurt von Schleicher, il leader delle SA Ernst Röhm e Gregor Strasser, tutti molto vicini a Hitler dalla presa del potere fino al giorno prima.
L'ultimo passo del “trionfo” hitleriano avvenne il 2 agosto 1934, quando il leader dei nazisti, con la morte di Paul von Hindenburg, fino ad allora Capo del reich (la forma di Stato che si ebbe a partire dal 18 gennaio 1871 al 23 maggio 1945), decise di accorpare a sé tutti i poteri dello Stato, diventando dittatore: Hitler era la Germania, la Germania era Hitler.
Hitler accusò le democrazie liberali europee di essere borghesi, indolenti, materialistiche, deprimenti ed incapaci di accattivarsi le masse.
Il credo del nazismo fu il Führerprinzip (il principio del capo), con il quale lo stesso Hitler si poneva a capo dell'intera Germania e tutta la Germania era responsabile di fronte a lui, con lui libero di agire come voleva senza dover rispondere a nessuno.
Ovviamente tutto ciò che Hitler faceva o diceva era tutto per il bene della Nazione e chi era contrario veniva eliminato. Il Führerprinzip divenne “operativo” il 2 agosto 1934 quando si nominò capo dello Stato oltreché cancelliere, proclamandosi Führer, capo indiscusso, dopo la morte di von Hindermburg, ma questa idea “covava” in Hitler già ai tempi del DAP.
Il Führerprinzip era da intendersi come un ordine militare da eseguire e per questo motivo fu una scusante durante il processo di Norimberga. Come dire: un ordine di un superiore si esegue, di qualunque natura esso sia.
Legato al principio del capo, c'era anche il “coordinamento” (Gleichschaltung), dove tutta la popolazione fu calibrata in base al pensiero nazionalsocialista, eliminando le libertà individuali e la società fu burocratizzata e controllata aspramente: un allineamento di tutti i tedeschi verso il credo nazista.
Hitler trasformò la Germania a sua immagine e somiglianza, sostituendo l'allora classe dirigente con personalità a lui molto vicine e fidate che avrebbero svolto i loro compiti certo che nessuno sarebbe andato contro il suo volere: il Gleichschaltung cadde dall'alto e coordinò la vita politica, economica e sociale dei tedeschi. E fino al 1938 in Germania il consenso verso il nazionalismo fu ancora maggiore rispetto al fascismo in Italia.
Del resto Hitler, tra il 1933 ed il 1938:
- aveva preso i pieni poteri (24 marzo 1933);
- aveva fatto ritirare la Germania dalla Società delle Nazioni (14 ottobre 1933);
- aveva eliminato i nemici interni al partito (notte dei lunghi coltelli, 30 giugno 1934);
- era diventato Führer (2 agosto 1934);
- aveva ripristinato la leva militare e ristrutturato l'esercito (marzo 1935);
- il nemico ebraico era stato delimitato (leggi di Norimberga, 15 settembre 1935; notte dei cristalli, -10 novembre 1938);
- occupazione e riarmo della Renania (con esercito francese al confine, 1936);
- aveva gestito in maniera perfetta le Olimpiadi di Berlino (1-16 agosto 1936);
- aveva iniziato a creare e sancire legami con altri regimi autoritario e dittatoriali in chiave anticomunista (patto anti-Comintern, 6 novembre 1937);
- aveva preso il comando supremo dell'esercito che nel frattempo era diventato il secondo per numero di armamenti dopo quello degli Stati uniti (1938);
- aveva annesso l'Austria (Anschluss, 13 marzo 1938);
- ebbe l'autorizzazione ad occupare, legalmente, i Sudeti (conferenza di Monaco, 28-29 ottobre 1938);
- aveva dato vita al Protettorato di Boemia e Moravia e alla Slovacchia (16 marzo 1939);
- aveva firmato il patto d'acciaio con l'Italia ed il patto di non aggressione con l'URSS (22 maggio e 23 agosto 1939, patti Ciano-Ribbentrop e Molotov-Ribbentrop).
I nazisti, inoltre, non nazionalizzarono l'economia e non la riformarono, ma bloccarono i salari e attuarono una politica di intervento pubblico. Nacque anche il Consiglio generale d'economia con la riunione dei principali industriali tedeschi (Thyssen, Krupp, Bosch). Nel 1937 nacque la Volkswagen, fu costruita una fitta rete di strade, autostrade e ferrovie per uso completamente strategico.
Nel 1938 l'esercito tedesco contava circa 13 milioni di effettivi su una popolazione di 85 milioni di persone: in base al trattato di Versailles, l'esercito tedesco non doveva superare i 100mila effettivi, ma già nell'ottobre 1934 (un anno e mezzo dopo la salita al potere di Hitler) i militari impiegati erano 300mila e diventarono 500mila l'anno dopo. La Wehrmacht arrivò a contare oltre 2,6 milioni di effettivi, 3200 mezzi corazzati, 4000 aerei, tre corazzate marine, dieci incrociatori e 57 sommergibili.
Il riarmo fu una questione che preoccupò molto l'Europa, ma sia la Francia che la Gran Bretagna solo nella primavera del 1939 capirono che la politica dell'appeasement nei confronti di Berlino era stata inutile e sbagliata. Questa politica era stata voluta da Inghilterra e Francia per soddisfare le mire tedesche dopo che (soprattutto Londra) aveva definito” iniquo” il trattato di Versailles contro la Germania. E a Monaco Chamberlain e Daladier diedero “bandiera bianca” a Hitler, facendo però capire che sulla Polonia ed il suo destino non avrebbero risposto in maniera debole.
Il punto di non ritorno fu l'invasione della Polonia ed il successivo scoppio della Seconda guerra mondiale l'1 settembre 1939: da iniziale (e vittorioso) blitzkrieg, il conflitto terminò l'8 maggio 1945 con la sconfitta del nazifascismo e la divisione della Germania in zone di influenza.
Un punto di forza del regime nazista è stato quello di instaurare la paura nei tedeschi: paura dentro e fuori le mura amiche. E i “nemici” del nazismo, e quindi di tutta la Germania, erano gli ebrei, gli slavi, i comunisti, i rom, gli omosessuali, persone che indebolivano la Germania e che erano da eliminare.
Da dove nasce l'odio dei nazisti, in particolare da parte di Adolf Hitler, verso il popolo ebraico? Questo odio è nato tra le righe della “bibbia” del partito nazionalsocialista, il “Mein Kampf” (“La mia battaglia”). “Mein Kampf” è il saggio pubblicato nel 1925 attraverso il quale Adolf Hitler espose il suo pensiero politico e delineò il programma del partito nazista. Una prima parte del testo venne dettata dal futuro Führer durante il periodo di reclusione di 9 mesi (la pena iniziale era di cinque anni per cospirazione) nel carcere di Landsberg am Lech seguito al tentativo fallito del colpo di Stato di Monaco tra l'8 ed il 9 novembre 1923 (il putsch di Monaco).
Hitler nel saggio rivelò il suo odio per ciò che riteneva fossero i due mali del mondo: il comunismo e l''ebraismo. Un altro suo “pilastro” (espresso in maniera chiara nelle pagine di “Mein Kampf”) fu il concetto di arianesimo, parlando di “razza ariana”, un gruppo popolazioni che hanno in comune tra loro alcuni tratti somatici (ad esempio colore degli occhi e dei capelli) e che hanno creato, e portato, la civiltà nel Mondo. Hitler parlò di un tipo di uomo libero, forte, valoroso e che doveva essere da esempio per tutti quelli che non lo rappresentavano.
Il “Mein Kampf” è la punta dell'iceberg della politica razziale della Germania nazista: l''Uomo nuovo tedesco doveva essere ariano, nativo del Reich tedesco e puramente tedesco. Questo uomo era considerato “superiore” a tutti gli altri, in particolare all'uomo (e donna) di religione ebraica, che doveva essere prima fatto emigrare, poi ghettizzato, poi deportato lontano dalla Germania ed internato nei campi di concentramento dove sarebbe stato annientato.
Gli ebrei, nel pensiero dei nazisti, avevano subordinato il Mondo ed avevano ucciso Cristo, dovevano essere perseguiti. Gli ebrei divennero un capro espiatorio cui far pagare tutti i mali della Germania, anche perché secondo il loro punto di vista la finanza ebraica aveva sperperato tutti i risparmi della popolazione tedesca. Hitler non vedeva di cattivo occhio solo gli ebrei, ma anche una serie di persone da lui ritenute “inferiori” come i rom, i sinti e gli omosessuali, tutte “razze” e persone diverse e da eliminare. La “fortuna” di “Mein Kampf” derivò anche dall'aver avuto un'importante spinta editoriale grazie al fanatico nazista (e razzista) Julius Streicher, editore de “Der Stumer”, rivista dove non si risparmiarono mai attacchi agli ebrei.
Fino all'ascesa al potere di Hitler, avvenuta nel gennaio del 1933, furono vendute 241 mila copie di “Mein Kampf”: un successo clamoroso per un saggio controverso e che negli anni successivi alla guerra non fu mai pubblicato, le copie in commercio furono distrutte e la Baviera ne acquistò i diritti vietandone la pubblicazione. Proprio quest'anno i diritti d''autore sono diventati pubblici essendo passati 70 anni dalla morte dell'autore (si dice che una nuova versione sarà pubblicata il prossimo anno).
La politica razziale antisemita tedesca all'inizio fu moderata giusto per rendersi amica l''opinione pubblica e solo nel 1935 mostrò i connotati persecutori. Il motivo? Vennero pubblicate le “leggi di Norimberga”. Il nazismo è stato un regime basato sul primato razziale, oltre che sull'antisemitismo: l'unica razza degna per il nazionalsocialismo era quella ariana. Questa era quella dominante mentre quella ebraica era considerata inferiore, in quanto diversa. Il nazismo propugnava la teoria che un paese era forte se era guidato da una razza forte e combattiva, quella ariana e germanica. Il nazismo è stato contro la democrazie e contro il plurilinguismo, due elementi che rendevano debole un paese.
L'obiettivo di tutta la politica nazista erano gli ebrei e non appena Hitler divenne Fuhrer, non esitò a contrastarli rendendo loro la vita difficile. La cittadina di Norimberga, in Baviera, sin dal 1933 era il luogo delle adunate del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi e fino al 1938 si tenne l'adunata di tutto il partito diventando teatro della propaganda nazista portata all'ennesima potenza con numerosi ed imponenti elementi scenografici (tipici dei regimi dittatoriali).
Diventando Führer, Hitler divenne contemporaneamente cancelliere e capo dello Stato: non doveva rispondere a nessuno del suo operato, ma tutti erano responsabili dinnanzi a lui. Il fascismo non fu totalitario perché Mussolini doveva rispondere del suo operato al re e quando il Gran consiglio del fascismo lo sfiduciò il 25 luglio 1943, re VE3 lo fece immediatamente arrestare. Il 15 settembre 1935, come detto, vennero promulgate le “leggi di Norimberga”, regolamenti ufficiali dove si stabilirono le privazioni per la popolazione ebraica abitante nel Terzo reich. Comprendevano la “legge sulla cittadinanza del Reich”, per la quale le persone di origine ebrea non erano più cittadini tedeschi, perdendo tutti i loro diritti e doveri, e le “leggi sulla protezione del sangue dell'onore tedesco”, con le quali vietavano matrimoni tra persone tedesche ed ebree e fra persone ebree e da quel momento, tutte le persone di religione ebraica vennero estromesse da ogni aspetto della vita sociale della Germania.
Il 7 aprile 1933 iniziarono le prime epurazioni degli ebrei, che dal 25 aprile gli ebrei non poterono più insegnare nelle scuole pubbliche così come i giornalisti di religione ebraica non poterono fare il loro lavoro e si decise che chi non aveva almeno due generazioni tedesche alle spalle non poteva lavorare nello Stato. Nel settembre 1935 gli ebrei non erano più cittadini tedeschi e persero tutti i loro diritti civili, furono vietati i matrimoni tra ebrei e tra “ariani” ed ebrei, si puniva chi veniva sorpreso in relazioni extraconiugali. Tra luglio e ottobre non poterono più esercitare medici, avvocati e “commercialisti” di origine ebraica.
A partire dal 15 settembre 1941 tutti gli ebrei dovettero indossare sui loro abiti la stella di David. L'episodio più importante dell'attività e di repressione contro gli ebrei avvenne nella notte tra 9 e il 10 novembre 1938, la “notte dei cristalli” (Kristallnacht). Voluta da Joseph Goebbels, quella notte le SS distrussero oltre 800 case, oltre 170 negozi e quasi 200 sinagoghe in tutta la Germania. Si contarono 91 vittime e migliaia di feriti. Fortemente criticata, è stato il punto di non ritorno dell'odio nazista verso gli ebrei. Durante le violenze, la polizia non mosse un dito e i vigili del fuoco ebbero il solo compito di spegnere gli incendi: le SS per una notte ebbero il potere assoluto di distruggere tutto ciò che richiamava all'ebraismo.
La causa che scatenò il pogrom fu l'attentato compiuto all'ambasciata tedesca di Francia da parte di Herschel Grynszpan, un diciassettenne tedesco di origine polacca di fede ebraica che visse molti anni in Francia, che sparò contro il giovane diplomatico nazista Ernst Eduard von Rath, diplomatico nazista, come vendetta per manifestare il suo odio contro la Germania che perseguiva gli ebrei. Goebbels usò l'attentato come pretesto per scatenare contro gli ebrei il pogrom passato alla storia con il nome di “notte dei cristalli”.
Grynszpan, venne arrestato subito dopo l''attentato ed imprigionato in Francia ma, della sua sorte non si seppe nulla: si pensa sia morto intorno al 1942 deportato in un campo di concentramento, mentre altre fonti dicono che sia sopravvissuto e scappato ad est dopo la fine della guerra. Il governo tedesco nel 1960 lo ha dichiarato morto e la sua città natale, Hannover, gli ha dedicato una lapide sul muro della sua casa (grazie alla testimonianza del padre di Grynszpan, Sendel, durante il processo ad Adolf Eichmann, si scoprì che l'omicidio del diplomatico fu pensato e realizzato dagli stessi nazisti in quanto si scoprì che von Rath era amico di alcuni ebrei e si diceva fosse omosessuale.
Il pogrom è figlio della ”arianizzazione” che aveva colpito la Germania: a partire dalla primavera 1938, iniziarono le “arianizzazioni economiche”, tutti gli ebrei titolari di attività dovevano cedere in maniera coatta a persone tedesche tutto e chi aveva venduto non poteva più aprire un'altra attività.
Il successo del nazismo (vittoria elettorale) è stato dovuto al crollo della borsa di Wall Street che mise in ginocchio un paese che stava piano piano riaffacciandosi nel panorama internazionale, alla devastazione post conflitto con un Paese distrutto economicamente, socialmente e politicamente, all'aver posizionato l'ebraismo come colpa di tutti i mali del Mondo e della Germania. alla paura dilagante del comunismo e ai trattati unilaterali di Versailles del 28 giugno 1919.
La politica estera nazista fu da sempre aggressiva e mirata all'espansionismo e toccò l'apice durante la prima fase della Seconda guerra mondiale quando arrivò ad occupare la Francia, il Belgio, i Paese Bassi, la Danimarca, la Polonia occidentale e la Norvegia. Con la fine del conflitto la Germania perse tutto e fu debellata e divisa.
Nel nazismo lo Stato doveva essere sottomesso al partito unico, mentre nel fascismo lo Stato è parte integrante del partito unico che ne è al servizio.
La Germania, fra il 1933 ed il 1939, attuò un severo programma di nazificazione che coinvolse tutti gli apparati statali: polizia, magistratura, economia, gioventù. Senza contare tutto l'apparato di spionaggio interno ed esterno. E quello interno fu il più ansiogeno, visto che il minimo errore nel porsi o nel parlare avrebbe potuto compromettere un'intera esistenza.
Anche i giovani e i giovanissimi vennero inquadrati (come fece per altro il fascismo) in un sistema che li abbracciava dai 6 ai 18 anni dove furono loro inculcati tutti i principi del nazismo, compreso il Führerprinzip. E fu inculcato il principio della razza superiore ariana germanica, la purezza germanica e l'antisemitismo.
La Chiesa cattolica e quella protestante non crearono mai problemi al nazismo in quanto non furono toccate dalle sue azioni, il nazismo addirittura creò un ministero ad hoc (Ministero affari ecclesiastici) per controllare i protestanti, in maggioranza rispetto ai cattolici.
Il nazionalsocialismo è stata un'invenzione di Hitler, volendo unire il nazionalismo con il socialismo: il rispetto del singolo individuo verso la sua Nazione unito al rispetto della collettività verso l'individuo anche se il secondo ha un carattere universale. Due concetti stridenti ma che caratterizzarono la storia europea tra il 1933 ed il 1945.
A differenza dei regimi autoritari, il nazismo usava le masse in un tentativo rivoluzionario di modellare la società, mentre in Austria, Portogallo e Romania vennero riconosciute tutte le basi tradizionali dell'autorità.
Le costituzioni europee liberali degli anni Venti miravano a subordinare la politica al primato del diritto, mentre per Hitler il diritto doveva essere subordinato alla politica. Non a caso tra il 1933 ed il 1936, il regime fece pubblicare, solo sulla loro Gazzetta ufficiale, oltre quattromila tra decreti, statuti e ordinanze. La magistratura fu asservita al regime in quanto i decreti andarono a soverchiare il desiderio di coerenza ed indipendenza della stessa magistratura ed il sano sentimento di razza prevaricava i criteri giuridici formali.
Il nazionalismo hitleriano puntava a riunire in un unico spazio vitale tutte le popolazioni di lingua, cultura e pensiero tedesco: dall'Alsazia alla Lorena, dai Paesi Bassi alla Polonia, dalla Norvegia alla Svezia, dalla Danimarca a Lettonia e Lituania, dalla Cecoslovacchia all'odierna Ucraina passando per le zone tedesche dell'Italia. Il sogno di Hitler era di creare un popolo unico, uno stato guida ed un capo assoluto (ein Volk, ein Reich, ein Fuhrer).
Il nazismo trasse molto dal pensiero e dagli scritti di Friedrich Nietzsche, filosofo tedesco ideatore del concetto di “Oltreuomo” e con posizione antisemite, anche se non aderì per motivi anagrafici (morì nel 1900).
Per i nazisti, la grande Nazione doveva essere in buona salute, aggressiva, intelligente, forte militarmente e coraggiosa. La grande Nazione doveva sottomette a se quella debole che non poteva competere con lei.
Il nazismo praticò l'odinismo, lo spiritualismo, l'esoterismo e le rune: il simbolo del nazismo, la svastica era una runa. La bandiera del partito era la svastica nera dentro cerco bianco in mezzo ad una bandiera rossa, ovvero il simbolo del nazismo, il bianco del nazionalismo ed il rosso del socialismo.
Dal punto di vista economico, il nazionalsocialismo era preoccupato per il destino della Germania, costretta a pagare ingenti danni di guerra ai paesi vincitori della Prima guerra mondiale e da una crisi interna che aveva portato ad un'impennata dell'inflazione e all'aumento della disoccupazione. Grazie ad una serie di politiche autarchiche, tutta la popolazione poté disporre di beni di largo consumo e l'inflazione fu azzerata, così come la depressione economica. L'industria pesante, dovuta anche al riarmo, moltiplicò gli introiti e fu uno dei settori di maggior prestigio.
Nel 1932 la disoccupazione in Germania era altissima (6 milioni di casi) e quattro anni dopo si ridusse a 1,5 milioni di senza lavoro per poi arrivare al 1938 con tutti i tedeschi con un posto di lavoro e tra il 1932 e il 1937 la produzione industriale aumento del 102%.
L'artefice del “miracolo economico” tedesco fu Hjalmar Schacht, economista già direttore della Banca centrale tedesca a ministro dell'economia tra il 1935 ed il 1937: nel 1938 la disoccupazione in Germania era del 3%, mentre in Gran Bretagna era del 13%, in Belgio al 14% e nei Paesi Bassi al 25%.
Con la morte di Hitler (30 aprile 1945), la caduta di Berlino (2 maggio 1945) e la firma della resa senza condizioni (8 maggio 1945), iniziò un doloroso processo di denazificazione. A volerla (e ad imporla) furono gli Alleati che decisero di togliere dal paese tutto ciò che potesse ricordare il tragico periodo nazista: dalla stampa alla società, dall'economia alla politica e non solo. Questo processo (detto Entnazifizierung) fu controverso in quanto non durò molto, fu accantonato con l'inizio della Guerra fredda e molti personaggi vicino al NSDAP furono reintegrati nella macchina del nuovo Stato, la Germania federale. Molti cittadini tedeschi però furono psicologicamente provati e ancora oggi si vergognano del loro passato. L'apologia di nazismo è punita con la reclusione, come l'uso di alcune parole usate nei dodici anni di dittatura sono state vietate. E' permessa la formazione di partiti politici di estrema destra, ma questi devono sottostare ad un rigido controllo, come non richiamare al nazismo o avere svastiche o simboli che riconducono al nazismo. Dopo 70 anni è caduto il tabù sul “Mein Kampf” e solo nel 2015 in Germania possono uscire copie del libro di Hitler, ma commentati da storici.

Berlino, le Olimpiadi del 1936 e la propaganda che si specchia su se stessa
La propaganda nazista toccò uno suoi punti più alti con l'organizzazione dei Giochi olimpici di Berlino 1936 in Germania. Le Olimpiadi di Berlino hanno fatto la Storia (con la S maiuscola) dei Giochi: vennero staccati oltre 4 milioni di biglietti. L'organizzazione fu impeccabile e le strutture furono costruite in maniera perfetta. Alla fine della manifestazione, la Germania arrivò prima nel medagliere con 33 ori, 26 argenti e 30 bronzi per un totale di 89 medaglie, superando gli Stati Uniti d'America con 56 e l'Ungheria 16, di cui dieci ori.
Ma le Olimpiadi di Berlino del 1936 sono state molto particolari, in quanto hanno rappresentato il massimo esperimento di politica unita alla propaganda: a Berlino si tennero le prime Olimpiadi in un Paese non democratico e furono il massimo splendore della Germania nazista di Adolf Hitler.
Berlino vinse già nel 1912 l'assegnazione dei Giochi olimpici per l'edizione del 1916, sconfiggendo Alessandria d'Egitto e Budapest. Il CIO assegnò alla Germania il compito di organizzare le VI Olimpiadi estive, nel 1912, ma non poteva di certo prevedere che due anni dopo sarebbe scoppiata la Prima guerra mondiale e che sarebbe finita solo nel 1918. Ergo, le Olimpiadi berlinesi vennero annullate anche se si cercò fino all'ultimo di disputarle pensando che la guerra potesse finire nel mentre. Per l'edizione del 1920 la città berlinese dovette lasciare l'organizzazione alla belga Anversa, in quanto la Germania era stata isolata dal Mondo dopo la fine del conflitto. Nel 1925 la Germania poté rientrare nel panorama politico mondiale, prima nella Società delle Nazioni e poi nel CIO, ma solo nel 1931 il Comitato ridiede alla capitale tedesca l'organizzazione dei Giochi.
Nel 1930 si dovette decidere la città che avrebbe ospitato l'evento nel 1936: le città allora candidate erano le tedesche Berlino, Colonia e Francoforte sul Meno, Barcellona, Roma, Budapest, Alessandria d'Egitto, Buenos Aires, Dublino e Helsinki. In short list andarono Berlino, Barcellona, Alessandria d'Egitto e Budapest.
Finalmente Berlino poté ospitare i Giochi, che tornavano in Europa dopo quattro anni.
La capitale tedesca era pronta da anni, tanto che già nel 1913 venne inaugurato il Deutsches Stadion, un impianto avveniristico per il tempo, ribattezzato poi “Stadio olimpico” (Olympiastadion in tedesco). Costruito per ospitare 40 mila spettatori (un record per il 1912), prima dell'inizio dei Giochi del 1936 subì un pesante restyling e poté arrivare ad ospitare fino a 110 mila spettatori. Nel 1931 Heinrich Brüning era il Cancelliere tedesco dell'epoca e la notizia dell'assegnazione fu presa con felicità dai tedeschi: la Germania, anche se solo per due settimane, avrebbe avuto gli occhi del Mondo su di sé e avrebbe avuto modo di lasciarsi alla spalle il suo passato “ingombrante”.
Ma dal gennaio 1933 qualcosa stava cambiando in Germania: iniziarono le persecuzioni contro le persone di religione ebraica, i rom, gli omosessuali e tutte le opposizioni politiche, calpestando come nulla fosse i più basilari diritti umani. Il mondo sportivo entrò in subbuglio, chiedendo al CIO che i Giochi venissero spostati in un'altra Nazione. Il Mondo iniziò a dire che la Germania non era degna di ospitare un evento come le Olimpiadi, in quanto era contro lo spirito dei Giochi (libertà di accesso alle manifestazioni senza distinzioni di razza, credo religioso e pensiero politico).
Si iniziò a parlare di boicottaggio e gli Stati Uniti furono i primi a muoversi in questo senso. Il Presidente americano in carica, Franklin D. Roosevelt, era intenzionato a non far partecipare la squadra olimpica tanto che nel Paese ci furono alcune associazioni che gli chiesero di non partecipare ai Giochi, come la “Unione degli Atleti Dilettanti” (AUU). Per capire meglio la situazione, Roosevelt inviò nel giugno 1934 in Germania il capo del CIO americano, Avery Brundage. Al suo ritorno, Brundage disse a Roosevelt che in Germania c'erano i presupposti per ospitare i Giochi, in quanto nel Paese i diritti politici e civili non erano calpestati e tutto era in regola. Si scoprì solo dopo che Brundage era un politico ultraconservatore, razzista e che trovò in Germania pane per i suoi denti, anche se i nazisti stessi durante la sua visita lo “accerchiarono” e gli fecero vedere ciò che loro volevano. Alcune università non inviarono alle selezioni olimpiche (trials) atleti afroamericani ed ebrei. Il CIO americano indisse un'elezione nel suo board per stabilire se il Paese a stelle e strisce avesse dovuto prendere parte o meno ai Giochi tedeschi: vinsero i “si” 58 contro i 56 “no”. Gli States partirono per l'Europa nell'estate 1936.
Nel Mondo comunque si cercò di boicottare l'evento con altre contro-manifestazioni, ma l'avvenimento olimpico era catalizzatore di molti interessi e queste piccole “contro-Olimpiadi” non ebbero una forte eco.
La principale idea di boicottaggio arrivò dalla Spagna, da Barcellona. Barcellona era arrivata seconda nell'assegnazione ed il comitato organizzatore delle (mancate) Olimpiadi, in contemporanea con i Giochi di Berlino, organizzò l'”Olimpiade del popolo”, una contro-Olimpiade contraria a razzismo, nazismo ed antisemitismo cui parteciparono atleti provenienti da 22 Paesi, quindi un numero nutrito.
Organizzare i Giochi significa avere, come detto, gli occhi del Mondo addosso, di essere il centro dello stesso. Hitler all'inizio fu contrario all'organizzazione di quei Giochi, ritenendoli in tempi non sospetti “una cosa da ebrei”. E si sa che durante il periodo nazista l'amore tra il Partito e lo sport non è stato eccezionale, al contrario che in Italia, per fare un esempio a noi vicino. Per il Fuhrer ospitare i Giochi pareva una cosa da fare per forza, giusto perché tempo prima qualcuno prima di lui aveva voluto ciò. Un peso di due settimane, insomma.
Chi invece capì l'importanza dei Giochi fu il ministro hitleriano alla Propaganda, Joseph Goebbels. Ministro dall'11 marzo 1933 e già dal 1929 addetto alla propaganda del NSDAP, il politico nativo dell'attuale Mönchengladbach intuì subito che organizzare i Giochi non significava solo avere il Mondo a Berlino, ma anche far capire al Mondo di che pasta fosse fatta la Germania ed aumentare il consenso nel Paese. Goebbels presentò ad Hitler il suo piano ed il Fuhrer capì che la propaganda nazista ne avrebbe beneficiato, facendo apparire il regime dittatoriale più crudele della Storia dell'umanità come un luogo di pace, amore e prosperità. Così in effetti avvenne.
Sin dal 30 gennaio 1933, con la salita di Hitler a Cancelliere, il partito nazista ebbe il controllo su tutti gli strumenti di informazione, dall'editoria alla pubblicistica, dalla radio al cinema.
La propaganda nazista toccò l'apice con tre elementi: per la prima volta la televisione riprese gli avvenimenti sportivi; venne pubblicato un bollettino informativo, l'”Olympia Zeitung”, che usciva in decine di migliaia di copie giornaliere durante le due settimane dei Giochi per informare l'andamento delle gare, il medagliere e gli eventi; il cine-documentario “Olympia” ad opera della regista Leni Riefenstahl, il primo esempio di documentario sulla vita degli atleti e dei tedeschi durante i Giochi, ritenuto ancora oggi un capolavoro.
Oltre a ciò, il governo nazista non badò a spese, costruendo impianti all'ultimo grido, un villaggio olimpico per uomini a Döberitz, nell'odierno Brandeburgo, distante però venti minuti da Berlino e simile a villette e cottage, mentre le donne furono fatte stabilire a Friedrich Friesen Hans.
L'architetto delle grandi strutture berlinesi fu Werner March, erede di una dinastia di archistar: il padre, Otto, costruì lo stadio olimpico nel 1913 e lui lo modernizzò e lo migliorò. Lo stadio doveva essere il tempio del successo del nazismo sportivo dove arrivò, per la prima volta, l'ultimo tedoforo ad accendere il braciere con la fiaccola proveniente da Olimpia.
Come detto, fu la prima Olimpiade con la presenza della televisione: fu creato un programma incentrato sui Giochi e ci furono molte ore di diretta, una novità nella storia dei Giochi nati quarant'anni prima in forma pionieristica. In Germania, allora, solo poche famiglie potevano permettersi una televisione ed allora furono create delle sale ad hoc dove poter veder le gare, previo pagamento all'ingresso.
Il regime spese miliardi di marchi in strutture, palazzi, ristrutturazioni ed investì anche nella preparazione degli atleti per far vincere loro la maggior parte delle medaglie al grido del “dilettantismo di Stato”, dove al livello amatoriale veniva aggiunto un elevato livello economico: poterono allenarsi senza badare a spese nella preparazione, una cosa che nessuno Stato allora era in grado di fare e poteva permettersi. Potere della propaganda e della retorica: le Olimpiadi berlinesi furono un evento mediatico diventando uno spettacolo di propaganda che mai era stato realizzato fino ad allora e che difficilmente sarebbe stato eguagliato e/o superato.
Goebbels capì fin da subito l'importanza dell'ospitare i Giochi in quanto avrebbe significato per la Germania un prestigio senza eguali, facendo tacere una volta per tutte i (conclamati) eventi razzisti e antisemiti. Per quindici giorni la Germania fu un Paese organizzato, perfetto, tollerante, florido e forte, senza nessuna traccia di persecuzione. Ma tutto fu di facciata, in quanto la Germania, dietro, covava mire espansioniste europee e mondiali: per due settimane molti rom furono allontanati con forza da Berlino per “nasconderli”.
Quaranta Paesi si collegarono via radio alle Olimpiadi e fu creato l'”Olympia Zug”, un insieme di dodici camion che girarono per il Paese durante le Olimpiadi con allestimento di mostre, proiezioni di immagini di atleti, foto di propaganda, le immagini delle adunate di Norimberga, le svastiche e le immagini degli impianti.
Ma l'apice di Berlino 1936 fu il cine-documentario “Olympia” uscito due anni dopo e realizzato da Leni Riefenstahl. Dopo un passato da attrice, la Riefenstahl divenne regista e debuttò con La vittoria della fede, nel 1933. Ma è con i film propagandistici che la Riefenstahl si fece conoscere nel Mondo: il primo fu “Il trionfo della volontà” del 1935, incentrato sul raduno di Norimberga dell'anno prima e che vedeva il ritorno della Germania tra i grandi del Mondo. La regista aveva registrato le adunate di Norimberga e le manifestazioni militari ed era naturale che il compito di fare il film dell'evento spettasse a lei.
Il suo film-documentario più famoso è appunto “Olympia”. Diviso in due parti di 123 e 94 minuti, in questo film trasudarono misticismo, eroismo ed il culto della bellezza.
Per la Riefenstahl, il nazismo fu un fenomeno estetico di grandissimo impatto, tanto che la stessa regista fu impressionata dalla verve oratoria di Hitler. “Olympia” fu un capolavoro dove il culto della bellezza e del corpo umano raggiunse livelli mai raggiunti prima. Girato in bianconero, sono presenti primi piani molto intensi, folla che festeggia le vittorie olimpiche, un nuovo modo di girare film e realizzare angolature. Tutto in un tripudio di bandiere tedesche e naziste come sfondo.
Ad Hitler, che in tutto il documentario compare in tutto soli due minuti totali, non piacque lo spazio riservato a Jesse Owens, mentre la regista gli dedicò spazio solo per il fatto che l'atleta afroamericano aveva un fisico tonico e sportivo.
Ai Giochi parteciparono circa 4 mila atleti (poco più di trecento atlete) in rappresentanza di 49 Paesi. Si tennero 129 gare di diciannove sport diversi.
Ma il vero eroe e protagonista dei Giochi olimpici di Berlino è stato senza dubbio James Cleveland Owens, meglio conosciuto come “Jesse”. Il motivo: la vittoria di quattro medaglie d'oro fra cento metri, duecento metri, salto in lungo e staffetta 4x100. Ma la cosa che lo contraddistinse fu il fatto che era afroamericano, facendo nascere la leggenda che Adolf Hitler non volle premiarlo “per disprezzo”.
Il dittatore tedesco si arrabbiò (così narra la vulgata) per il fatto che nessun ariano avesse vinto una medaglia, cosa che invece fece Owens. Al momento della premiazione, che vide Owens salutare militarmente la bandiera americana e Long fare il saluto romano, Hitler si rifiutò di avvicinarsi all'atleta di Oakville.
Owens tempo dopo disse che il Fuhrer invece gli si avvicinò e cercò di salutarlo, solo che lui non poté salutarlo romanamente in quanto militare.
La storia del mancato saluto di Hitler è passata alla storia, mentre, invece, al suo ritorno in Patria Owens non fu mai ricevuto dall'allora Presidente Roosvelt (quello pro-boicottaggio).

Fascismo, padre “imperfetto” del totalitarismo
Partiamo con un inciso: il regime fascista non è stato un regime totalitario. Nonostante fosse nato prima di nazismo e stalinismo, il regime politico instaurato in Italia da Benito Mussolini è stato da “esempio” per tutti quei regimi dittatoriali che si instaurarono successivamente e dove non andavano al governo, i regimi filonazifascisti avevano un peso specifico: dal franchismo all'autoritarismo di António de Oliveira Salazar e Ioannis Metaxas in Spagna, Portogallo e Grecia, dall'austrofascismo di Engelbert Dollfuss agli autoritarismi in Ungheria (Horthy), Romania (Guardia di ferro) e Bulgaria (re Carol II che sospese la costituzione) fino al governo di Tiso in Slovacchia agli ùstascia in Croazia. Dopo la fine della guerra si instaurarono dittature di respiro autoritario in Sudamerica tra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Ottanta (Brasile, Guatemala, Cile, Argentina).
Il fascismo, rispetto allo stesso nazismo (o anche allo stalinismo), non è da considerarsi totalitario per alcune ragioni.
Innanzitutto Benito Mussolini doveva rispondere delle sue azioni al Capo dello Stato, re Vittorio Emanuele III. L'esempio più lampante è stata la mattina del 25 luglio 1943 poco dopo essere sfiduciato dal Gran consiglio del fascismo che lo esautorò dal ruolo di capo del governo e lo fece arrestare, sostituendolo con Badoglio.
Un altro punto di differenza è l'assenza di un partito unico che prevaricava nella vita dei cittadini o intensamente come il nazismo, il partito era il mezzo dello Stato e non fu praticato lo sterminio di massa. Non vennero perseguiti gli ebrei, gli omosessuali, i rom e i disabili: tutti questi soggetti vennero catalogati dai nazisti come Untermensch, da eliminare per il bene nazionale, mentre durante il fascismo molti ebrei erano iscritti al partito, la presenza di rom era limitata mentre gli omosessuali ebbero delle diffide, ma non furono mai confinati o arrestati.
Il fascismo non nacque con caratteristiche razziali come il nazismo, ma le acquisì solo nel 1938 con la promulgazione delle leggi razziali. L'Italia divenne razzista solo dopo essersi avvicinata al nazismo, in quanto fino ad allora non ci fu mai un problema religioso nella penisola. Il 14 luglio 1938 venne pubblicato “il Manifesto della razza” e tra il 1° settembre ed il 10 novembre furono promulgate le leggi razziali contro la popolazione ebraica. Tra i provvedimenti presi si ricordano l'esclusione dalle scuole pubbliche di allievi e di insegnanti di origine ebraica (nasceranno scuole ad hoc per loro), il divieto di matrimoni misti tra italiani e persone di fece non cattolica, limitazioni imprenditoriali verso aziende guidate da ebrei (massimo 100 dipendenti per azienda) e il divieto di iscrizione alle organizzazioni fasciste, La propaganda stampa e radiofonica martellò molto il paese in merito a queste politiche, oltre ad altri “successi” del fascismo.
Il fascismo fu un regime autoritario piuttosto che totalitario. Un regime totalitario stabilisce un controllo assoluto su politica, società e cultura mentre una dittatura, come quella instaurata da Mussolini in Italia, che punta ad “annientare” la società a lei avversa, tende ad avere un controllo squisitamente politico. I totalitarismi sono sempre stati caratterizzati dal fatto di avere mobilitato le masse e di averle strumentalizzate grazie a leader carismatici: il fascismo non è da considerarsi come una concezione totalitaria perché, ad esempio, a differenza sua il nazionalsocialismo e il comunismo abolirono all’interno dello Stato tutto ciò che poteva rallentare il loro progetto “totalizzante”.
Già con il primo discorso di Mussolini alla Camera per ottenere la fiducia fece capire come sarebbe stato l'imprinting del regime: “Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. Era il 16 novembre 1922, Mussolini il 31 ottobre, dopo il successo della “marcia su Roma” aveva ottenuto l'incarico di formare un governo ed aveva giurato dinanzi al re. La Camera votò la fiducia con 316 voti a favore, 116 contrari e sette astenuti.
Il fascismo considerava i diritti dei singoli la causa del disordine sociale e per questa ragione “l’uomo era il mezzo dello Stato e lo Stato doveva essere un’organizzazione stabile non caotica che doveva interessare tout court la società e al cui controllo si era impossibilitati di sottrarsi”.
Benedetto Croce disse che il fascismo era una piccola parentesi della storia italiana, in quanto l'Italia doveva essere una democrazia liberale e non un regime autoritario ed illiberale. La svolta “destrorsa” europea era dovuta al fatto che gli europei furono colpiti dalla follia che prese il sopravvento sulla ragione.
Dall’inizio degli anni Venti in Italia, in contemporanea con l’avvento del fascismo, si diffuse un qualcosa di nuovo finalizzato al bene di una popolazione che sarebbe dovuta diventare il mezzo dello Stato, la “forma più alta e potente di personalità” per il raggiungimento dell’Uomo nuovo. Con questa definizione si voleva creare un ideale di uomo che doveva scrollarsi di dosso il suo passato “viziato dal materialismo e dal liberalismo tipico di un’”italietta democratica e antifascista” dei primi anni del Novecento per entrare in una nuova era, la cosiddetta “Era fascista”, iniziata con la salita al potere del Duce, fino a diventare protagonista tout court di questo periodo.
Uno dei mezzi per arrivare a questo Uomo nuovo era la colonia elioterapica, un nuovo luogo di socialità in cui si curavano malattie temibili per quegli anni, oggi quasi tutte debellate ma che ai tempi della “marcia su Roma” mietevano vittime soprattutto in età puerile, come la tubercolosi, il vaiolo, la difterite e i linfatismi. L’istituzione delle colonie elioterapiche andò ad unirsi alla cultura dello sport: gli altri regimi dittatoriali europei furono il primo esempio di connessione tra la propaganda politico-sportiva e di self-care.
È proprio durante il Ventennio fascista che l’Italia scoprì il “colonialismo” elioterapico. Durante il regime instaurato da Mussolini, l’azione previdenziale, ed assistenziale, dello Stato assunse un’importanza preminente. Di conseguenza, il termine “colonie elioterapiche” diventa importante nel Ventennio, poiché, nella concezione dei gerarchi fascisti, avrebbe dovuto rappresentare il mezzo per arrivare all’Uomo nuovo, caratterizzato da “una triplice perfezione: moralmente sano, fisicamente sviluppato, intellettualmente alto”.
Nell’idea fascista, l’Uomo nuovo doveva essere coraggioso, forte, virile e capace di scrollarsi di dosso il suo passato “viziato dal materialismo” per assumere questa nuova italianità rappresentata dal campione “alla Carnera”, il ”volto atletico della Patria”. Il concetto di Uomo nuovo fascista fu preso da quello del Neu Mensch nazista: Hitler voleva che l’”ariano” uscisse dal soffocamento della modernità, mentre Benito Mussolini voleva che il “suo” uscisse da un passato “materialista” per diventare coraggioso, forte, virile e non più immerso nella mediocrità.
Un forte contributo lo diede anche il culto dell’educazione “fascista” considerata “morale, fisica, sociale e militare e [era] rivolta a creare l’uomo armonicamente completo”. Leandro Arpinati sosteneva che il campione doveva essere “sentinella avanzata che nelle competizioni internazionali rappresenta la Patria e ne tiene alto il prestigio e la bandiera”. Il regime fascista diede importanza alla cura del corpo e della salute dei propri cittadini, i quali avrebbero contribuito a costituire un forte esercito per la difesa della Patria. Per fare ciò era indispensabile curare sin dall’inizio i bambini malati e gracili in previsione dell’Uomo nuovo. Il luogo adatto a ciò fu la colonia estiva di vacanza, che divenne teatro di un nuovo tipo di socialità.
Importantissimo l’interessamento verso la figura della madre. Il regime vietava l’aborto e tutto ciò che andasse contro le politiche fasciste di forte aumento demografico. Non a caso a partire dal 1933 venne istituita la “giornata della madre e del bambino”; da tenersi ogni anno il 24 dicembre con la premiazione delle madri più prolifere di ogni Provincia con un’adunata nazionale a Roma dinnanzi a Benito Mussolini. Lo scopo, naturalmente propagandistico, fu di affiancare alle madri italiane il culto della Madonna e del bambin Gesù, come sinonimo di esaltazione della forza delle madri italiche. Anche le bambine, che un domani sarebbero diventate madri, furono “fascistizzate”: fu loro insegnato che dovevano vedere nei loro mariti il Duce, e quindi dovevano diventare “degne di Mussolini”, e la loro educazione, impartita loro sia a scuola che in colonia, quindi per 12 mesi l’anno, fu impostata sui valori della religione cattolica, della famiglia e del patriottismo.
Si incentivò (cosi come fece il nazismo) le ragazze e le giovani donne a frequentare corsi di economia domestica (“donna angelo del focolare domestico”) e di puericultura, ma soprattutto si inculcò in loro il desiderio di fare tanti figli per la Patria. Addirittura per disincentivare le persone a non sposarsi, venne istituita la “tassa sul celibato”, dove tutti gli uomini di età compresa tra i 25 e 65 anni non sposati dovevano pagare una tassa in base al reddito dalle 70 lire (fino ai 50 anni) alle 50 lire (fino ai 65).
L’idea del fascismo di creare un nuovo soggetto “nazionale” fu un insieme di idee che mutarono col trascorrere degli anni adattandosi alla realtà: è sbagliato affermare che esiste un “codice fascista”, ma è giusto dire che attraverso le colonie elioterapiche il consenso delle masse e la propaganda avrebbero portato, o avrebbero dovuto portare, alla creazione e allo sviluppo dell’Uomo nuovo.
Mussolini ebbe una visione carismatica del potere: tutti dovevano immedesimarsi nella sua politica, nella sua persona e tutti dovevano essere partecipi del suo mito: “il mito di una persona” era in grado di tenere serrate le fila nei momenti di difficoltà e la figura del Duce fu il mezzo per la trasmissione di un inequivocabile messaggio di vigore, forza vitale, giovinezza e fascino eterosessuale, senza contare che l’ideologia fascista di virilità aveva come capisaldi il culto della giovinezza, il senso del dovere, l’antifemminismo e il mito della guerra. L’Uomo nuovo fascista era totalmente diverso dal cittadino dello stato liberale nel carattere e nello stile di vita: coraggio unito a forza, virilità e “italianità” fascista.
Negli anni Trenta la questione dell’Uomo nuovo divenne particolarmente importante nella politica del regime e il Partito Nazionale Fascista (PNF) divenne più che mai lo strumento di inquadramento e di indottrinamento degli italiani, intervenendo anche nella vita privata di ciascun individuo, poiché aveva come compiti “la difesa e il potenziamento della Rivoluzione Fascista [e] l’educazione politica degli Italiani”. Contribuiranno a plasmare l’Uomo nuovo la Gioventù Italiana del Littorio e gli universitari fascisti attraverso la scuola, e in particolare, con la “carta della Scuola” voluta ed introdotta dal Ministro dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, che, in 29 articoli, fissava il nuovo sistema didattico fascista. L’uomo italiano del tempo doveva essere rieducato e ricostruito in base ai dettami fascisti, diventando “concreto” e non più utopistico, diventando patriottico, duro ma modesto, in contrapposizione al modello opposto vigente fino ad allora, considerato errato da Mussolini.
Sulla base dell’Uomo nuovo, il regime fascista volle arrivare a costruire anche la “Donna nuova”, capace di affermarsi e di esprimersi ad alto livello nello sport senza che nessuno si scandalizzasse più come un tempo.
E pensare che Mussolini non considerava molto Hitler (si disse che il futuro Führer chiese un autografo via cartolina al Duce ma questo si rifiutò) e con l'omicidio di Dollfuss, il Duce mosse verso il Brennero ed il confine austriaco l'esercito per difendere l'”amica” (e fascista) Austria. I rapporti con Francia e Inghilterra in quel periodo erano stati dettati dal trattato di Stresa per delimitare l'allora forza espansionistica (si era nel 1935) nazista in Europa.
Per molti tratti, il fascismo è da considerarsi comunque una dittatura dove il potere era nel mani di un singolo individuo che deteneva non solo il destino della Nazione, ma tutti i poteri e non poteva essere contestato.
Il fascismo si impose come un movimento autoritario ed anticapitalista, antiliberale e antidemocratico, nazionalista, reazionario, populista e corporativo e si poneva come un'alternativa ai due elementi caratterizzanti il Mondo all'inizio degli anni Venti, il capitalismo americano ed il comunismo sovietico. A differenza degli altri partiti, il PNF aveva al proprio interno una struttura militare ed aveva uno spirito rivoluzionario.
L'unico partito legale era il Partito Nazionale Fascista, non c'era libertà sindacale ma libertà imprenditoriale, le due Camere erano state sostituite da entità nominate (ed il 23 marzo fu istituita la Camera dei Fasci e delle Corporazione, mentre il Senato era, in base allo Statuto albertino, di nomina regia), la libertà individuale era limitata e non c'era la stessa paura che vissero tedeschi e sovietici.
Con la nascita della Camera dei Fasci e delle Corporazioni spariva il concetto di elezione ed i deputati venivano nominati tra i membri del Gran Consiglio del Fascismo, del Consiglio Nazionale del Partito Nazionale Fascista e delle associazioni corporative. Queste poche, ma importanti, differenze hanno permesso che il regime hitleriano superasse “da destra” lo stesso fascismo e che l'”allievo” Hitler superasse il “maestro” Mussolini.
Il fascismo nacque il 23 marzo 1919 come Fasci di Combattimento per confluire nel Partito Nazionale Fascista il 10 novembre 1921 con il congresso di Milano. Ispiratori del movimento mussoliniano furono i futuristi, gli arditi, il nazionalismo ed il sindacalismo rivoluzionario di Georges Sorel e Pierre-Joseph Proudhon, oltre al mito della Roma imperiale e della vittoria mutilata. Mussolini “nacque” come socialista rivoluzionario, diventando nel 1912 direttore del quotidiano di riferimento del PSI, “L'avanti!”, dirigendolo fino al 1914. Quell'anno Mussolini fu espulso dal partito a seguito del suo interventismo nella Prima guerra mondiale, mentre la linea del partito era di rimanere neutrale. L'anno dopo Mussolini, giornalista, fondò un quotidiano in cui poté esprimere il suo consenso verso l'intervento italiano, il Popolo d'Italia (che con la salita al potere del fascismo divenne l'organo ufficiale del partito).
Nel 1920, i Fasci di combattimento contarono duemila sezioni e circa 300mila iscritti. Il Partito Nazionale Fascista si presentò alla elezioni del 15 maggio 1921 sotto le insegne dei “Blocchi nazionali” (una coalizione formata da liberali, fascisti, conservatori e nazionalisti) con idee di destra e di estrema destra: ottenne poco meno del 20% dei voti eleggendo 105 deputati, di cui solo 35 membri dei Fasci di combattimento. La situazione politica in Italia allora era molto caotica: sei governi (con quattro Primi ministri diversi) tra il giugno 1919 ed il 31 ottobre 1922, senza contare le proteste operaie, gli scioperi e le fabbriche occupate che portarono al “biennio rosso” (1919-1921).
In principio il fascismo si era imposto come risolutore dei problemi sociali ed economici del Paese grazie anche all'apporto avuto dalla classe imprenditoriale nazionale di allora che non vedeva di buon occhio le politiche “rosse” che favorivano scioperi, occupazioni ed agitazioni, ma il top lo raggiunse con il mito della “vittoria mutilata” e dopo il trattato di Versailles con il quale l'allora Italia liberale aveva ottenuto con i trattati di pace meno di quanto richiesto.
Il 28 ottobre 1922 si tenne la celebre “marcia su Roma” delle camicie nere (decretata quattro giorni prima a Napoli) e la sera stessa l'allora re Vittorio Emanuele Emmanuele III conferì a Benito Mussolini l'incarico di formare il governo. Fu molo contestata la decisione del monarca di non firmare lo stato di assedio e tre giorni dopo Mussolini giurò davanti al sovrano. Il primo (ed unico) governo Mussolini era composto non solo da fascisti, ma anche da popolari, liberali, democratici sociali e due militari (Armando Diaz e Paolo Emilio Thaon di Revel). Prese vita il “ventennio”, fino al 25 luglio 1943.
Nell'aprile 1923 i popolari tolsero l'appoggio al governo Mussolini, mentre solo l'anno dopo (con l'omicidio Matteotti) lasciarono anche i liberali. Nonostante il loro passaggio all'opposizione, il governo ebbe sempre la maggioranza parlamentare.
Nel 1923 venne approvata una nuova legge elettorale, la “legge Acerbo”, che prevedeva un unico collegio nazionale ed un premio di maggioranza molto elevato per la coalizione vincente. Veniva accantonato il vecchio sistema proporzionale per abbracciare un maggioritario plurinominale e la lista vincitrice, se avesse ottenuto il 25% delle preferenze, avrebbe avuto i due terzi dei seggi totali, mentre in caso contrario i seggi venivano ripartiti in base proporzionale. La vittoria andò al “Listone” che ottenne il 65% dei consensi e 374 seggi. Trentanove seggi andarono ai popolari e ventiquattro ai socialisti unitari di Matteotti. La “legge Acerbo” fu usata solo per le elezioni del 6 aprile 1924, mentre per quelle del 1929 e del 1934 furono usati dei plebisciti ed i cittadini maschi maggiorenni dovettero scegliere sul “si” o sul “no”, se approvavano la lista scelta dal Gran consiglio del fascismo. Parlare di elezioni già indirizzate non era un eufemismo. Le elezioni politiche del 1924 non furono un vero plebiscito come si immaginava Mussolini, ottenendo “solo” il 65% dei voti: un grande risultato, ma il Duce pensava di ottenere molti più voti.
Le elezioni politiche del 1929 e del 1934 furono invece dei plebisciti, in cui l'elettore (sempre maschio oltre i 21 anni) doveva porre un semplice “si” o un “no” alla domanda della scheda elettorale, se approvano o meno la lista. Il “si” vinse in tutte e due le tornate con un ampissimo margine. I deputati vennero scelti in questo modo: le organizzazioni fasciste e le associazioni sceglievano ottocento persone fidate da candidare, il GCF sceglieva i 400 da candidare creando così delle liste bloccate. Lo stesso GCF doveva (o poteva) dare una propria opinione in ambito politico, economico e sociale, ma sempre previa autorizzazione del capo del governo, tanto che poteva decidere sulla successione al trono oltreché sulle prerogative e sulle attribuzioni della Corona.
Nei primissimi tempi di potere fascista, si distinse accanto a Mussolini un docente di giurisprudenza napoletano che fu il braccio “giuridico” del Duce, Alfredo Rocco.
Rocco, nazionalista della prima ora, scrisse il codice penale ancora oggi in vigore e fu uno dei promotori delle “leggi fascistissime”. Queste leggi, nate dopo il quarto attentato a Mussolini nel giro di un anno (novembre 1925), furono fatte per difendere lo stato e preservarlo.
La “legge” più nota fu quella del 24 dicembre 1925, con la quale si stabiliva che il capo del governo doveva essere nominato dal re e davanti a lui era responsabile personalmente e dal punto di vista politico, i ministri dovevano essere nominati dal re su indicazione del Capo del governo e i ministri erano coordinati nella loro attività dallo stesso Presidente del consiglio. Il capo del governo e i ministri non era responsabili dinnanzi al parlamento, una novità assoluta e mai applicata prima d'allora. Inoltre l'ordine del giorno delle discussioni in parlamento doveva essere valutato dallo stesso primo ministro: scomparve, di conseguenza, il dibattito parlamentare per volontà dello stesso Mussolini. Tutto era nelle mani del partito unico, l'unico legale e tutte le decisioni dovevano passare da lui e di conseguenza dal capo del governo, capo supremo del partito. Il 25 novembre 1926 venne istituito il Tribunale speciale che doveva giudicare i reati politici: gli imputati erano solo ed esclusivamente (ovviamente) antifascisti, coloro che complottavano contro la sovranità dello Stato.
Sergio Romano scrisse che con Rocco lo Stato italiano divenne nuovo, autorevole, efficiente, capace di affrontare i problemi del dopoguerra, autoritario, conservatore, tecnocratico, pronto ad adattarsi allo sviluppo e alla modernità, rendendolo importante a livello internazionale.
Il deputato socialista Giacomo Matteotti aveva espresso la presenza di brogli elettorali in un discorso alla Camera (30 maggio 1924): questo causò la sua morte dopo essere stato rapito il 16 giugno 192. Il suo cadavere fu ritrovato il 16 agosto successivo.
Dal 3 gennaio 1925, con il celebre discorso di Mussolini alla Camera, il fascismo divenne una dittatura con tutti i crismi del caso: opposizione fatta tacere, fine del multipartitismo, limitazione delle libertà personali, cessazione dei sindacati, inquadramento coatto di giovani e adulti nel sistema fascista.
Il 27 giugno precedente, le opposizioni parlamentari disertarono i lavori dell'Assemblea spostandosi sull'Aventino (uno dei sette colli di Roma) dando vita alla celebre “secessione” Gli scopi della protesta erano la caduta di Mussolini, il ripristino della legge e l'abolizione della milizia di partito. Il re non esautorò Mussolini e ripresero le violenze squadriste.
La polizia politica segreta era la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN) e controllava la fascistizzazione della popolazione e la loro vita privata cercando di reprime il dissenso sotto ogni forma. La MVSN fu creata il 13 gennaio 1923 durante la prima riunione del Gran Consiglio del Fascismo ed era il “contenitore” di tutte le squadre d'assalto fasciste dove trovarono la legalità. I membri dovevano giurare davanti al re, ma erano responsabili davanti a Mussolini ed il loro compito era quello di salvaguardare la rivoluzione fascista. La MVSN è paragonabile a ciò che furono le SS sotto il nazismo che “lavoravano” accanto all'esercito regolare (la Wehrmacht).
Come il nazismo, anche il fascismo nacque in opposizione al bolscevismo, si sviluppò lo squadrismo, un'organizzazione legata al primo fascismo in opposizione a tutto ciò che era vicino al “rosso”: lo squadrismo fascista distrusse sedi locali di partiti e giornali (attacco alla sede de “L'Avanti!” del 15 aprile 1919), cooperative e sindacati di sinistra, nonché esercitò violenza gratuita e commise crimini verso coloro che si opponevano al fascismo (il tristemente noto uso dell'olio di ricino). Nessuno dalla parte fascista disse nulla in merito, mentre i comunisti ed i socialisti iniziarono a combattere contro gli squadristi ed i ras, i capi del fascismo in ogni città. La divisa ufficiale degli squadristi era la camicia nera, indossata in opposizione alla camicie rosse garibaldine. Le maggiori violenze squadriste si ebbero in Emilia-Romagna e Toscana, territori (soprattutto il primo) dove era forte da sempre il socialismo e dove era stata altrettanto forte la violenza nel cosiddetto “biennio rosso”.
Lo squadrismo era una massa eterogenea di persone dove erano presenti persone entusiaste di attuare la rivoluzione fascista e altri cui stava a cuore solo praticare la violenza gratuita contro il nemico “rosso” o distruggere ciò che gli capitasse a tiro. Federico Chabod definì questi ultimi “professionisti della violenza”.
Se il background nazista era il “Mein Kampf”, quello fascista si rifaceva al filosofo siciliano di stampo attualista Giovanni Gentile e al suo pensiero, mentre le opere di riferimento furono il “Manifesto degli intellettuali fascisti” (1925), il saggio “La dottrina del fascismo” (1932) ed il “Dizionario di politica”, un'opera monumentale di quattro volumi pubblicato nel 1940.
Il fascismo ha però inculcato nella popolazione una sorta di controllo anche mediante attività ludiche obbligatorie (i littoriali) o le adunate del “sabato fascista” o feste che prima della salita al potere non c'erano (“befana fascista”, natali di Roma, treni popolari) o solo gesti (il saluto romano come saluto ufficiale e l'uso del “Voi”).
Il mito della guerra e degli arditi caratterizzarono in toto tutto l'apparato fascista: non a caso il fascismo si impose anche per risolvere la questione della “vittoria mutilata” ed il ritorno dell'Italia fra le grandi potenze politiche, economiche e diplomatiche del mondo. La guerra d'Etiopia, che sancì la nascita dell'Impero italiano, le sanzioni da parte della Società delle Nazioni permisero a Mussolini (e al fascismo) di godere del massimo consenso. E il Mussolini moderatore alla conferenza di Monaco tra nazismo e Inghilterra e Francia per la questione dei Sudeti lo pose come uno dei personaggi più influenti d'Europa.
A partire dagli anni Trenta, il fascismo ebbe visioni espansionistiche e tra il 1936 ed il 1939 nacque e si sviluppò l'Impero fascista: dalla vittoria nella guerra d'Etiopia al possesso del Dodecaneso e dell'Albania. Per il fascismo (ma anche per il nazismo) il concetto di Impero significava rivendicare di essere una grande potenza ed avere un impero significava avere terre dove lavorare e coltivare, aree dove fare nuovi insediamenti e costruire fabbriche per produrre materie prime.
Sin dall'inizio il fascismo ebbe un certo ruolo internazionale: dalla risoluzione con l'uso della forza della crisi di Corfù (29 agosto-27 settembre 1923, in risposta all'eccidio di Giannina del 27 agosto) al passaggio di Fiume sotto il Regno d'Italia il 27 gennaio 1924 (trattato di Roma, con il trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 che aveva dato vita allo Stato libero di Fiume dopo l'accordo con la Jugoslavia e la cessazione alla stessa della Dalmazia), al trattato di amicizia con Cecoslovacchia e Romania all'ottenimento dell'Oltre-Giuba dalla Gran Bretagna il 15 luglio 1924 e la firma dei patti di Locarno, con il quale la Germania, dopo cinque anni di alienazione, poté rientrare nel consesso mondiale, riconoscendo i confini scaturiti con il trattato di Versailles e la smilitarizzazione delle zona a est del Reno ed il divieto di aggressione e di ricorso all'arbitrato per dirimere le divergenze. Mussolini fu uno dei firmatari e rese l'Italia, con la Gran Bretagna, garante del rispetto del patto.
La guerra in Etiopia fu decisa nel settembre 1935, iniziò il 3 ottobre e si concluse il 9 maggio 1936 con la nascita, come detto, dell'Impero fascista e la nomina di Vittorio Emanuele III Imperatore dell'AOI. Si fronteggiarono l'esercito italiano guidato dal triumvirato de Bono-Badoglio-Graziani contro le truppe del negus Hailé Selassié ed i vari ras locali. Si pensò che la guerra fosse solo di espansione, per esportare nel Paese del Corno d'Africa gli italiani e ricostruire una specie di Stato satellite fascista, ma la guerra fu solo politica e voluta da Mussolini per fare la voce grossa contro Francia e Gran Bretagna ed aumentare il prestigio e la potenza italiana nel Mondo. Contemporaneamente con la guerra d'Etiopia, il fascismo era impegnato anche in Spagna e l'industria pesante italiana fabbricava migliaia e migliaia di armi e l'autarchia si stava militarizzando. Era scontato un avvicinamento alla Germania nazista nel breve periodo, visto che il regime nazista aveva in mente di impossessarsi dei territori ad est dei suoi. Molti però si divisero tra pro-Hitler ed anti-Hitler, tra chi voleva un'alleanza strategica fra i due Paesi per il dominio in Europa e chi invece non concepiva un'alleanza con un regime simile a quello italiano ma diverso come approccio e mentalità. E pensare che Mussolini fu anti-Hitler fino al 1934, favorendo allora la nascita di un'intesa in chiave antitedesca con Francia e Gran Bretagna.
E quando la Germania fece l'Anschluss austriaco e Mussolini tenne un discorso di spiegazioni alla Camera, lo stesso Duce fu in difficoltà e la gente si domandò perché quattro anni prima mosse l'esercito in difesa dell'Austria contro un'invasione tedesca ed ora che l'annessione era stata attuata non mosse un dito. Chiaro fu che la nascita dell'asse Roma-Berlino si sarebbe trasformato in un'alleanza vera e propria.
Se il nazismo si occupò in separata sede del discorso “chiesa” (concordato del 20 luglio 1933), il fascismo arrivò ad un accordo con questa tramite i Patti lateranensi dell'11 febbraio 1929 che andavano a chiudere, a distanza di quasi sessant'anni, la questione romana ed aumentare ancora di più il consenso, visto che l'Italia era un Paese molto cattolico. Con i patti, nasceva lo Stato della Città del Vaticano, Italia e Stato pontificio si legittimarono a vicenda e la religione cattolica divenne religione di stato ed insegnata nelle scuole. Il Papa inoltre non era tenuto a giurare davanti al re d'Italia in quanto ora lo Stato pontificio era una Nazione autonoma, il clero fu esentato dal prestare il servizio militare (essendo uno Stato neutrale).
La Chiesa non visse sempre una luna di miele con il regime e ci furono spesso screzi però di breve durata. La tensione aumentò con l'introduzione delle leggi razziali, in quanto la Chiesa non tollerava le persecuzioni e non considerava il primato di una razza su un'altra. I rapporti si incrinarono e si pensava ad una condanna di papa Pio XI nell'occasione della celebrazione del decimo anniversario dei patti lateranensi, ma il giorno prima il pontefice morì e il suo “regno” passò a Pio XII.
Il consenso, fino al 1936, aumentò grazie anche ad alcuni “gesti”: dalle bonifiche di molte zone del Paese alla nascita di città, dalla nascita delle colonie elioterapiche allo sviluppo di un “made in Italy” per evitare di dipendere da altri Stati per quanto concerneva alcuni prodotti commerciali (autarchia). Senza contare la Carta del Lavoro (un CCNL ante litteram) e la nascita di primi enti di previdenza sociale. Il regime, per accattivarsi i lavoratori italiani, fece in modo di andare incontro alle esigenze di alcuni settore lavoratori, favorendoli con la nascita di albi, istituendo alcune manifestazioni, gratificandoli aumentando loro il lavoro da fare: dai diplomatici ai prefetti, dai giornalisti agli insegnanti, dai cattolici ai socialisti, dagli artisti agli architetti ai nazionalisti.
I capisaldi del fascismo, a livello di politica interna, furono, tra il 1936 ed il 1940, l'autarchia e l'incremento demografico, due concetti che stridono fra loro perché un'economia autarchica non può supportare una politica di aumento delle nascite, a meno che non ci fosse stato una consolidazione dell'apparato industriale e dell'economia.
E gli anni dell'autarchia coincisero con l'avvicinamento del fascismo al nazismo. Il primo momento fu la visita di Mussolini in Germania tra il 25 ed il 29 settembre 1937. Il duce rimase colpito da tutto quello che fece il nazismo per lui: adunata, picchetto d'onore, divise perfette dei militari, sincronismo nella marcia e grandi nomi. Mussolini rimase sbalordito dall'efficienza e da tutto il sistema nazista.
Il destino del fascismo si incrociò definitivamente con il nazismo con la stipulazione del patto d'acciaio Ciano-Ribbentrop (dal nome dei due ministri degli esteri, Galeazzo Ciano e Joachim von Ribbentrop) del 22 maggio 1939, in cui Roma si legava inscindibilmente a Berlino, in quanto era un accordo di difesa e di attacco. Galezzo Ciano però, nonostante la firma del patto, rimase colpito negativamente dal patto Molotov-Ribbentrop per la divisione della Polonia il 23 agosto 1939. Ciano seppe solo allora che già al termine dell'incontro di maggio, i nazisti si erano riuniti per trovare la risoluzione immediata (e non entro i tre anni previsti ) della questione di Danzica, ovvero invadere la Polonia. Già con la nascita dei protettorati di Boemia e Moravia e la nascita della Repubblica filonazista slovacca, Hitler aveva stracciato gli accordi di Monaco e Ciano consigliò Mussolini di non avventurarsi in un'alleanza con i nazisti, ma il dado era tratto e nacque il “patto d'acciaio”.
Vittorio Emanuele III fu sempre scettico e contrario ad alcune politiche fasciste: dalla legge razziali all'annessione dell'Albania, dalla partecipazione italiana alla guerra civile spagnola ad un avvicinamento così serrato ad Hitler. E lo esternò sempre a Mussolini, il quale in molte occasioni si dimostrò insofferente alla monarchia e sperava in una sua caduta. D'altro canto, anche i Savoia speravano in una caduta di Mussolini per far salire Ciano al suo posto e tenere l'Italia neutrale nel conflitto.
Il re è stata una persona un po' “particolare”: timidamente scontroso, sarcastico, cinico, poco fiducioso verso gli altri, intelligente e colto. Chi invece fu di carattere opposto era la madre del sovrano, la regina Margherita, fervida nazionalista e reazionaria che vide di buon occhio la presa del potere fascista (la ex sovrana morì il 4 gennaio 1926).
Lo stesso re era contrario ad un ingresso immediato del paese in guerra, in quanto non attrezzato adeguatamente nonostante i proclami del duce (gli “8 milioni di baionette”): solo nel 1943 (tre anni dopo l'ingresso in guerra) i soldati toccarono il massimo dell'espansione con 3,7 milioni di effettivi. E lo stesso Mussolini capì di avere, almeno fino al 1° settembre 1939, un esercito non all'altezza e pensava comunque di entrare in guerra, grazie ai larghissimi successi della Germania in Europa.
La Germania invase la Polonia il 1° settembre 1939, il 3 settembre Inghilterra e Francia dichiararono guerra alla Germania e dopo aver visto che questa stava conquistando piano piano tutta l'Europa, il 10 giugno 1940 Mussolini dichiarò guerra ad Inghilterra e Francia, scendendo sul campo di battaglia accanto ai nazisti.
Dieci giorni dopo l'Italia decise di attaccare la Francia e, dall'”italiana” Albania, la Grecia in ottobre: solo nella primavera successiva il paese ellenico capitolò, ma dovette intervenire in aiuto dell'Italia la Germania altrimenti il regio esercito sarebbe stato sconfitto in maniera clamorosa.
Tra la popolazione italiana stava prendendo piede un grosso malcontento, chiedendosi dov'erano quegli “8 milioni di baionette” promesse dal Duce e il disastro dell'Armir sul fronte orientale verso Stalingrado fece azzerare il consenso verso il regime.
L'ingresso in guerra degli Stati uniti e la sconfitta nazista in Unione sovietica, oltre ad un'impreparazione di fondo dell'esercito italiano, portarono alla caduta del fascismo (25 luglio 1943), all'armistizio dell'Italia (8 settembre 1943), alla nascita della RSI (23 settembre 1943), alla guerra di liberazione contro il nazifascismo (25 aprile 1945) e alla fine dei regimi dittatoriali di Germania e Italia (25 aprile e 8 maggio 1945).
Con la fine della guerra si decise di vietare la ricostruzione del partito fascista sciolto il 25 aprile (disposizione transitoria numero XII della Costituzione italiana), il re e i suoi discendenti furono mandati in esilio (fino al 10 novembre 2002) e con la “legge Scelba” (legge 20 giugno 1952, n. 645) venne introdotto il reato di apologia del fascismo, tuttora esistente.

Salazarismo e franchismo, molto fascisti ma per nulla totalitari
Il fascismo fece proseliti in Europa e tra il 1932 ed il 1939 si imposero tanti movimenti filofascisti, ma anche regimi che trassero esempio dal movimento di Mussolini: in Portogallo, in Germania, in Austria, il Romania, in Bulgaria ed infine in Spagna. Presero piede regimi e movimenti di respiro autoritario e nazionalista vicini all'estrema destra.
I regimi che durarono di più, “sopravvivendo” al fascismo, furono il regime Estado novo in Portogallo e il regime franchista in Spagna. Entrambi chiusero la loro parentesi a distanza di un anno l'uno dall'altro: nel 1974 e 1975.
Il 28 maggio 1926 la storia contemporanea del Portogallo cambiò irrimediabilmente con il colpo di stato da parte di militari di Manuel Gomes da Costa che, partendo dalla cittadina di Braga, si propagò in tutto il Paese. Il paese lusitano, caratterizzato politicamente dalla Prima repubblica portoghese nata nel 1910 (che successe alla monarchia costituzionale di Manuele II di Braganza), versava in una grave crisi economica e politica e una sorta di “marcia su Lisbona” fece cadere il governo e sotto la guida di Antonio Carmona, il paese divenne una dittatura militare. Ma solo nel 1932 con Antonio de Oliveira Salazar si instaurò un governo duraturo. A partire da allora l'economista di Santa Comba Dão, per quattro anni ministro delle finanze, prese il ruolo di capo del governo e guidò il Portogallo fino al 1968 (anno della sua morte), quando cedette il ruolo di Primo ministro a Marcelo Caetano, che governò dittatorialmente fino alla rivoluzione dei garofani, che portò la democrazia in Portogallo.
Di stampo autoritario ed filofascista soprattutto economicamente, il Portogallo divenne il secondo paese autoritario in Europa ed il regime, tra molti alti e bassi, durò fino al 1974.
Salazar era filofascista, non costruì il paese intorno alla dottrina fascista, ma il Paese perseguì i comunisti facendoli confinare e la sicurezza dello stato era affidato alla PIDE, la polizia segreta, che represse i sovversivi. A differenza di fascismo e franchismo, Salazar non era un leader carismatico, il suo partito non fu propriamente di massa e non modificò la vita dei portoghesi (come fecero PNF, NSDAP e, in piccola parte, la Falange).
Nel 1932 il regime salazarista introdusse una costituzione dove il Portogallo veniva dichiarato una repubblica unitaria e corporativa e i diritti personali individuali furono ridotti a limite “per il bene comune”.
Il Portogallo poté contare sugli aiuti del “piano Marshall” e non fu isolato come fu la Spagna, anche se il vero problema di Lisbona furono le spinte autonomiste delle colonie (Mozambico e Angola in primis) grazie al tramonto degli imperi coloniali: la caduta del regime fu dovuta anche alle guerre civili che scoppiarono in Mozambico ed Angola.
Il partito di riferimento fu Unione nazionale che rimase l'unico legale e si componeva di forze di destra (dai nazionalisti ai fascisti, dai conservatori alle forze cattoliche).
Ci fu riduzione della libertà di stampa ed una forte censura verso pensieri diversi rispetto a quello al potere e si inquadrarono i bambini e i giovani. La politica economica era arretrata rispetto agli altri fascismi, ma fu corporativista.
Ebbe invece vita diversa il regime autoritario spagnolo, il franchismo.
Nato per mano del generale Francisco Franco, il franchismo fu un movimento/regime vicino al fascismo, non fu totalitario, ma solo autoritario
. Francisco Franco Bahamonde era un militare di carriera inviato in Marocco per via delle sue simpatie destrorse da parte del Fronte popolare che vinse le elezioni del 14 aprile 1931. Re Alfonso XIII di Borbone fu scalzato dal regno ed il successivo 9 dicembre fu proclamata la Repubblica di Spagna. Nel 1936 il popolo andò alle urne e la vittoria andò al Fronte popolare di Manuel Azaña Díaz, già Presidente del consiglio tra il 1931 ed il 1933.
Le forze filocomuniste presero il potere ma le forze reazionarie cercarono con un colpo di stato di esautorare il governo di Azana, non riuscendoci vista la forza repubblicana.
Il dado ormai era tratto: il 14 luglio 1936 iniziò la guerra civile spagnola, considerata il warm up della Seconda guerra mondiale in quanto scesero in aiuto di nazionalisti e repubblicani nazisti, fascisti e movimenti estremisti di destra europei da una parte, comunisti e anarchici dall'altra.
La guerra civile spagnola fu causata dal “pronunciamento” dei militari spagnoli nazionalisti e l'inizio fu il 17 luglio 1936. Franco fu uno dei quattro militari che promossero l'innalzamento della rivolta contro Madrid: il ritiro di Gonzalo Queipo de Llano e le morti di José Sanjurjo e Emilio Mola lo posero come unico baluardo contro le forze di sinistra e, grazie all'apporto del nazismo e del fascismo, poté vincere la guerra civile ed instaurare la sua dittatura.
La guerra civile spagnola fu combattuta aspramente dai due schieramenti contrapposti e le forze “di sinistra” ne uscirono sconfitte a causa della crisi interna spagnola e del ritiro dei volontari delle Brigate internazionali e dei sovietici. Il simbolo della guerra fu il quadro di Pablo Picasso “Guernica”, rappresentante la città basca rasa al suolo il 26 aprile 1937 dagli aerei della Luftwaffe tedesca, causando la morte di molte persone i cui dati effettivi sono ancora oggi controversi. Un'altra celebre immagine del conflitto civile ispanico fu la fotografia di Robert Capa (“Morte del miliziano”) apparsa su “Vu” il 23 settembre 1936 in cui si ritrae il combattente repubblicano ucciso in battaglia a Cordoba il 5 settembre 1936, ancora oggi oggetto di discussione sulla sua veridicità.
Nonostante il crollo del nazifascismo, il franchismo sopravvisse e durò fino al 1975, anno della morte dello stesso Franco. L'Italia fu attiva nella guerra civile spagnola stanziando fino a 60mila uomini nel 1938, causando una spesa di circa 14 miliardi di lire dell'epoca.
La vittoria andò ai nazionalisti di Franco che divenne capo di un governo autoritario di stampo reazionario e fascista. Il 1° aprile 1939 ebbe termine il conflitto e a causa di un forte dispendio di uomini e armi, la Spagna guardò da spettatrice “interessata” la prima fase della Seconda guerra mondiale.
Il franchismo si pose come un regime autoritario, filofascista, anticomunista, anti anarchico, conservatore, cattolico, reazionario, monarchico, cattolico, ma non autoritario.
A partire dalla fine della guerra la Spagna fu oggetto di un embargo da parte delle potenze vincitrice ed il Paese entrò in una fase di recessione e di crisi economica che si interruppe a metà degli anni Cinquanta con l'inizio di una ripresa economica che portò ad un benessere generalizzato. Nel frattempo il Paese entrò nell'ONU e vista la sua importanza in chiave anticomunista in Europa, entrò nella sfera occidentale, ma sempre con dei distinguo.
Il franchismo entrò in crisi con la crisi petrolifera del 1973 e con la malattia di Franco. Lo stesso caudillo aveva messo l'ammiraglio Luis Carrero Blanco come suo erede, ma questo cadde vittima di un attentato da parte dell'ETA (i separatisti baschi) e il suo ruolo fu preso da Torcuato Fernández-Miranda Hevia che portò il Paese alla transizione.
La Spagna, per volontà dello stesso Franco, tornò una monarchia con a capo Juan Carlos di Borbone (nato in Italia in quanto il padre Giovanni di Borbone, figlio di Alfonso XIII era costretto all'esilio), e iniziò un lungo percorso di rinascita democratica che la porterà nel 1986 ad entrare nella CEE.
Perché il franchismo fu autoritario? Il regime del caudillo non prevedeva la presenza delle opposizioni, imponendosi come uomo forte della Nazione e responsabile del destino della stessa (come il fascismo, del resto).
Furono limitate le libertà personali e l'unico partito legale era il Movimento nazionale, il partito di riferimento nato dalla fusione tra carlismo (monarchici vicini alle idee dell'erede al trono di Spagna Carlo Maria Isidoro di Borbone), forze nazionaliste e la fascista Falange.
La guerra civile spagnola fu il massimo successo delle forze di estrema destra in Europa, oltre che le prove generali di quella che sarà la Seconda guerra mondiale. Visto l'elevato tributo di morti e distruzione a seguito di tre anni di combattimenti, la Spagna si dichiarò neutrale durante tutto il conflitto, non aiutando neanche gli “amici” tedeschi ed italiani, se non per qualche base. Come il fascismo italiano, quello spagnolo fu autarchico ma solo per motivi “storici”: se il fascismo promosse l'autarchia per rendersi indipendente dal resto del Mondo, il franchismo lo fece come risultato dell'embargo che le forze vincitrici del secondo conflitto mondiale fecero verso la Spagna. L'industrializzazione si sviluppò solo a metà degli anni Cinquanta, mentre fino ad allora l'economia era di stampo rurale ed agricola. Con il miracolo economico, la Spagna divenne una nazione mediamente ricca e poté uscire da un periodo di ristrettezze economiche.
Nonostante tutto, il regime fu fino alla fine autoritario: mito del caudillo, repressione contro minoranze linguiste ed oppositori, limitazioni personali e uso della tortura contro i dissidenti (la garrota).
L'autoritarismo franchista non si rispecchiava in nessuna costituzione, mentre quelle che sono state le “leggi in difesa dello Stato” in Italia, dalle parti di Madrid furono le “leggi fondamentali del regno”.
A differenza del fascismo, Franco creò un sindacato “di Stato” e combatté le minoranze linguistiche, istituendo il castigliano (lo spagnolo parlato a Madrid) come lingua ufficiale (Franco era originario della Galizia). Come il fascismo, venne istituito una nuova tipologia di parlamento, le Cortes, sulla falsa riga della Camera dei Fasci e delle corporazioni attive in Italia dal gennaio 1939 alla caduta del regime fascista.
Con la morte di Franco, Juan Carlos divenne re (e quindi Capo di Stato) e condusse il Paese ad una lunga transizione democratica terminata solo nell'ottobre 1982 dopo i governi di Arias Navarro, de Santiago, Suarez Gonzalez e Calvo Sotelo, con in mezzo il tentato colpo di stato militare del dicembre 1981.

Una riflessione
Il Novecento è stato un secolo fondamentale per la storia dell'umanità: le scoperte scientifiche e quelle mediche hanno dato un impulso positivo facendo vivere di più e in meglio l'uomo. Ma è stato anche il secolo delle due guerre mondiali, del problema atomico e dei totalitarismi.
Si è data la colpa ai trattati di Versailles per aver portato l'Europa ad “ospitare” quei regimi sanguinari e deviati e di aver scaturito una catena di nazionalismi incontrollati, grazie anche a Stati liberali deboli.
I totalitarismi sono stati una cosa tipica del Novecento in quanto è stato il secolo della diffusione della comunicazione e dell'informazione e i regimi totalitari capirono che inculcando nella popolazione il loro pensiero avrebbero pilotato il pensiero, il voto ed il volere.
I totalitarismi sono stati definiti dallo storico inglese Robert Conquest, studioso di Unione sovietica e del comunismo, come “il secolo delle idee assassine” (come il titolo di un suo libro) per specificare come le politiche espresse da quei regimi portarono alla rovina la Germania, ma mandarono in crisi anche il sistema stalinista, tanto che con il XX congresso del PCUS Kruscev smentì le politiche “benefattrici” di Stalin e smontò il suo culto della personalità.
Il totalitarismo è stato un punto di non ritorno nella storia contemporanea mondiale, uno spartiacque dell'Europa e base per analizzare le coscienze delle persone. Si dice che l'esperienza totalitarista si potrebbe riproporre in futuro, ma è compito delle generazioni politiche odierne (e future) impedire che si possano riproporre regimi politici malvagi e distruttivi come il nazismo, il comunismo, il fascismo e tutti quelli reazionari.
In particolare, il nazionalsocialismo andava ad annullare la sfera privata delle persone, facendola combaciare con quella pubblica e tutto ciò che veniva fatto o esternato senza entusiasmo veniva tacciato di essere eversivo e da punire. Per non parlare del libero arbitrio, che venne annullato: lo Stato decideva ed era autorizzato a scegliere per i cittadini, senza se e senza ma. E' importante esprimere il proprio dissenso sempre e comunque e non fare come l'Italia che subì passivamente la politica fascista senza ribellarsi. Per carità qualcuno fece qualcosa (e non a caso fu arrestato o mandato al confino), ma la maggior parte degli italiani fu troppo passiva con la scusa che a loro interessava solo che il fascismo portasse per un po' di tempo ordine e legalità nel Paese.
Lo chiede la storia, ma lo chiedono anche tutte le vittime di quei regimi. E la vita umana vale di più di un partito di massa e di un'ideologia.

Si ringrazia Paola Maggiora per la collaborazione nella stesura di questo articolo.


Bibliografia:
AA.VV. (a cura di P. Bianchi e L. Aleotti), Hitler. Pro e contro, dossier Mondadori, Mondadori, Milano, 1972
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Articoli pubblicati da Simone Balocco e Paola Maggiora


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