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Oscar Luigi Scalfaro [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

Una vita dedicata alla politica. La politica come missione: breve storia di Oscar Luigi Scalfaro.

Nato a Novara il 9 settembre 1918 da padre di origine calabrese e madre astigiana, Oscar Luigi Scalfaro ha incarnato in sé il legame tra l’“uomo della strada” e la politica a 360°, in quanto da semplice deputato all’Assemblea costituente ha scalato piano piano tutti i gradini della scena politica, passando da deputato a Sottosegretario di Stato, fino a diventare Ministro, poi Presidente della Camera ed al ruolo maximo di Presidente della Repubblica, il sogno di ogni politico che fa il proprio mestiere con il cuore, la passione e la devozione.
Oscar Luigi Scalfaro è sempre stato legato al cattolicesimo ed alla fede, tanto che la sua vita, politica e non, è stata legata alla figura della Madonna: è nato il giorno dopo la celebrazione della nascita della Vergine Maria (8 settembre), è diventato per la prima volta Sottosegretario di Stato il giorno della Madonna di Lourdes (15 agosto), è diventato Ministro degli Interni il giorno della Madonna della Neve (5 agosto) ed il 13 maggio 1992, giorno dell’apparizione della Madonna di Fatima, sono iniziate le votazione per l’elezione del Presidente della Repubblica.
Rappresentante del cattolicesimo conservatore, durante il suo settennato e fino al suo ultimo giorno in Senato si è “spostato” verso posizioni più riformiste e di “sinistra”, causando divergenze con l’opposizione di allora, incarnata dal “berlusconismo”.
Avendo attraversato oltre sessant’anni di storia politica italiana, la vita di Scalfaro può essere divisa in decadi, ognuna di queste ricca di elementi molto importanti.


Anni Quaranta: l’ingresso in magistratura e l’ingresso in politica. Il caso “Vezzalini-Zurlo”. Il lutto famigliare.

Oscar Luigi Scalfaro frequenta il liceo classico “Carlo Alberto” nella storica sede di via Greppi al civico 18 a Novara, si iscrive a Legge nel 1937, frequenta l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e si laurea in diritto penale il 2 giugno 1941 (quello che poi sarà il giorno della Festa della Repubblica). Nell’ottobre 1942, sebbene sia un fervente antifascista, entra in magistratura giurando fedeltà al Duce, non potendo fare altrimenti.
Nell’estate 1945 è Pubblico Ministero presso le Corti d’Appello speciali di Novara ed Alessandria, enti istituiti per volontà degli americani per porre fine ai processi sommari dei partigiani contro le persone vicine al fascismo di Salò. Proprio quello è stato un anno di fuoco per lui, soprattutto i mesi successivi la Liberazione quando è chiamato a giudicare, tra gli altri, Enrico Vezzalini e parte della sua “squadraccia”, rea di violenze ed uccisioni contro partigiani ed antifascisti, tra cui l’eccidio di Vignale, dove morirono ben tredici giovani antifascisti il 26 agosto 1944. Il 23 settembre l’ex prefetto di Novara venne fucilato.
Poco dopo un altro fascista, tale Stefano Zurlo, venne condannato a morte tramite fucilazione da parte della Corte giudicante, dove era presenta ancora Scalfaro, ma questa volta non ci fu nessuna esecuzione, in quanto la pena fu convertita in ergastolo e successivamente in sei anni di reclusione. Sebbene l’incarico in magistratura sarà breve, sarà molto intenso.
Negli anni Quaranta Scalfaro si avvicina alle attività giovanili della “Regaldi”, un’associazione che riunisce persone vicine alla Chiesa e che, come tutte le associazioni giovanili (e non solo), allora vista di cattivo occhio dal fascismo, che voleva uniformare tutte le associazioni ad un sistema unico legato al regime. Il 13 aprile 1940 il futuro Capo dello Stato diventa Presidente del Circolo studente della “Regaldi”, a cui si iscrisse nel 1930 nell’organizzazione studentesca, l’anno successivo divenne il Responsabile della sezione giovani dell’Azione Cattolica e nel novembre 1945 diventa proprio leader dell’Azione Cattolica Italiana di Novara.
Sarà proprio l’Azione Cattolica novarese a spingerlo verso la candidatura per l’elezione all’Assemblea costituente. Scalfaro all’inizio non è convinto di questo “passo” in quanto non si reputa in grado di andare a ricoprire un ruolo così elevato e prestigioso, ma saranno mons. Leone Ossola, vescovo di Novara durante la Liberazione, padre Fasola e don Angelo Stoppa a spingerlo alla candidatura da indipendente, ovvero lontano dalla Democrazia Cristiana, il partito di riferimento dei cattolici post-1945.
Nonostante la riluttanza, Oscar Luigi Scalfaro ottenne 46.210 voti, risultando il “politico” più votato della sua circoscrizione, la “Torino-Vercelli-Novara”. Non appena eletto all’Assemblea costituente, si dimetterà da magistrato per dedicare tutto il suo tempo al nascente Parlamento italiano. Fra le sue prime azioni svolte da costituente ci fu quella di abolire la pena di morte dal codice penale, per rendere il Paese veramente civile ed all’avanguardia. La pena di morte rimase in vigore solo nel diritto militare.
Il 1° aprile 1948 verrà eletto nel primo parlamento eletto democraticamente con oltre 55mila voti, quasi 10mila in più della precedente tornata elettorale. Emozionantissimo al suo ingresso in Montecitorio, con riverenza si presenta e stringe la mano ai suoi “idoli”: Vittorio Emanuele Orlando, Nitti e Benedetto Croce.
Ma gli anni Quaranta sono anche luttuosi per il politico novarese: il 17 dicembre 1944, dopo venti giorni di agonia, morirà la moglie ventenne Marianna Inzitari, sposata il giorno di santo Stefano dell’anno precedente, deceduta dopo aver dato alla luce la figlia Gianna Rosa. Scalfaro si trova a 26 anni ad essere vedovo e con una bambina da mantenere e crescere. In onore alla madre che non ha mai conosciuto e che le ha dato la vita, il padre le cambia il nome in “Marianna”. Dopo di allora non si sposò mai più.


Gli anni Cinquanta-Sessanta: i primi incarichi di governo ed il “caso del bolero”

Nel gennaio 1954 Scalfaro entra nella squadra di governo di Amintore Fanfani, venendo nominato Sottosegretario di Stato al Lavoro nel suo primo esecutivo.
Gli anni Cinquanta lo vedono molte volte ricoprire quel ruolo: nel governo di Mario Scelba (febbraio 1954 - luglio 1955) con il ruolo di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ruolo che il politico novarese occupò in punta di piedi visto il sentimento di stima che ebbe per il politico siciliano, autore della famosa legge che puniva l’apologia di fascismo (la legge n° 645/1952, detta appunto “Scelba”) che lui, da antifascista convinto, sostenne molto alacremente. Proprio Scelba, leader della corrente “di destra” della DC fu il punto di riferimento di Scalfaro per tutta quella decade.
Altri incarichi di governo li ebbe alla Giustizia, con i governi Segni, Zoli e Fanfani II, tra il 1955 ed il 1959, e dal 1959 al 1962 lo fu agli Interni, con i governi Segni II, Tambroni e Fanfani III.
Finalmente il lavoro politico del politico democristiano venne premiato passando finalmente a guidare un ministero: il suo primo incarico fu nel Moro II nel biennio 1966-1968 diventando titolare del dicastero dei Trasporti nel secondo governo Leone.
Come detto, Scalfaro era vicino in quegli anni alle tematiche politiche di stampo conservatore e di conseguenza a partire dal 1962 con l’avvento del primo governo con all’interno una compagine socialista (Fanfani IV), si oppose fortemente all’esecutivo che poneva fine a quindici anni di monocolori democristiani. Con l’avvento della “sinistra” e la caduta dell’astro di Scelba, Scalfaro verrà comunque sempre eletto a Montecitorio, ma non ricoprirà ruoli significativi di governo (ultima esperienza, Ministro della Pubblica istruzione nell’Andreotti II, nel 1973).
Da buon cattolico credente e fervente, si batté per l’introduzione del divorzio e dell’aborto, in totale disaccordo con il suo credo cattolico, ma le due consultazioni referendarie passarono a maggioranza, rispettivamente il 12-13 maggio 1974 e 17 maggio 1981.
Gli anni Cinquanta portarono Scalfaro sulle prime pagine dei quotidiani nazionali per un fatto esule dalla politica che riguardava il gossip.
Il “fattaccio” capitò il 20 luglio 1950 all’interno di un ristorante romano, il “Chiarina”, dove Scalfaro, insieme a due colleghi di partito, era a pranzo. Mentre si stava accomodando al tavolo, notò che una signora era seduta al tavolo in una mise succinta (per l’epoca), scoprendo le spalle.
La cronaca disse che Scalfaro si alzò e si diresse minaccioso verso il tavolo della signora, rammentandole che era in un luogo pubblico e doveva darsi un contegno, in quanto aveva un atteggiamento indecoroso verso gli altri avventori del ristorante e la morale.
Si disse che il deputato diede uno schiaffo a questa signora, Edith Mingoni Toussan, figlia di un militare a riposo, che si scoprì essere una simpatizzante/militante del Movimento Sociale Italiano e perciò apostrofata come “fascista” dal politico novarese.
Il padre della ragazza, poi sostituito dal genero saputa la questione, si arrabbiò molto con Scalfaro e volle sfidarlo a duello, ma il politico rifiutò categoricamente la sfida, perché sarebbe stato contro i suoi principi ed andava contro la legge.
Con il tempo, Scalfaro ammise che con la signora aveva superato “il limite”, ma negò lo schiaffo anche se la sua figura da allora venne etichettata come bigotta e moralista, anche se ottenne il supporto degli ambienti cattolici.


Anni Ottanta: Ministro degli Interni e Capo della Commissione sul terremoto dell’irpinia.

Dopo dieci anni di politica attiva ma al di fuori di Palazzo Chigi, Scalfaro rientra a far parte di un governo, il Craxi I, ricoprendo il ruolo molto prestigioso di Ministro degli Interni. Occuperà questo ruolo fino al termine dei governi cosiddetti “di Pentapartito”, la coalizione di governo che guiderà il Paese dal giugno 1981 al 1992, dove per la prima volta la DC non ebbe più il ruolo di partito guida della Nazione, non avendo più dal 1981 al 1987 Premier provenienti dalla Balena bianca, sebbene dei cinque partiti che ne facevano parte (insieme a PSI, PRI, PSDI e PLI) era quello che aveva la maggioranza relativa ed era il più importante.
Il ruolo di Scalfaro fu delicato, anche perché sotto la sua gestione dovette affrontare gli ultimi fuochi del terrorismo, la “strage di Natale”, l’attentato al “Rapido 904” avvenuta il 23 dicembre 1984 quando il treno scoppiò dentro la galleria dell’Appenino presso San Benedetto Val di Sambro, nel Bolognese, di cui furono accusati prima i terroristi di estrema destra e successivamente si scoprì che la mano omicida era della mafia.
Proprio la mafia sarà la grande nemica del suo operato, iniziando proprio a metà anni Ottanta la sua spirale di violenza e morte, colpendo al cuore lo Stato, assassinando giudici e forze dell’ordine. Il lavoro svolto dal politico piemontese fu ben apprezzato tanto da venire nominato Presidente della Commissione parlamentare d’Inchiesta per gli interventi attuati per il terremoto in Irpinia, che colpì la Campania il 23 novembre 1980, ruolo molto delicato con il quale si doveva realmente venire a conoscenza di quanto denaro aveva stanziato il Parlamento nella ricostruzione di Campania e Basilicata occidentale dopo il terribile terremoto che causò oltre 2.900 morti, 8mila feriti e 280mila sfollati.


Anni Novanta: da Presidente della Camera a Presidente della Repubblica. Un settennato difficoltoso e contestato.

Il 1992 vide l’inizio dell’XI legislatura, con le elezioni del 5 e del 6 aprile 1992. Furono elezioni molto particolari per la storia dei partiti italiani, in quanto la Democrazia Cristiana subì un tracollo di voti, perdendo quasi cinque punti percentuali (dal 34% al 29% che le costò ben 66 seggi). Peggio andò al PDS, l’erede del defunto Partito Comunista Italiano, sciolto con la “svolta della Bolognina”, che perse 106 seggi, passando dal 26%al 16%.
I partiti membri del “Pentapartito” tutto sommato tennero. Il motivo di quel tracollo fu dovuto a ciò che avvenne il 17 febbraio precedente, quando l’allora Presidente del “Pio Albergo Trivulzio”, un noto ospizio milanese, Mario Chiesa, personaggio di spicco del socialismo locale, venne arrestato per aver intascato una cospicua tangente per un appalto. L’arresto aprì il “coperchio” della corruzione e del malaffare dilagante in tutta la Penisola. La DC si scoprirà essere il traino di questa situazione e gli elettori, che non scordano, le tolsero voti, cosi come gli altri partiti, per darli ad un altro “di rottura”, la Lega Nord di Umberto Bossi.
Il 24 aprile Oscar Luigi Scalfaro venne eletto Presidente della Camera, succedendo a Nilde Iotti, politica comunista a capo di Montecitorio ininterrottamente dal 1979.
Quell’anno fu successivo allo scioglimento dell’Unione Sovietica ed alla fine della Guerra fredda ed alla nascita dell’Unione Europea, il 7 febbraio 1992.
Ma il 1992 ha visto l’apice delle stragi di mafia: il 23 maggio 1992 moriranno in un attentato il giudice Giovanni Falcone, la moglie e i tre poliziotti della scorta al seguito e il 19 luglio successivo, in via d’Amelio, a Palermo, morirà l’erede di Falcone, il giudice Paolo Borsellino ed i cinque uomini della scorta.
Prima dell’attentato di Capaci si doveva eleggere il Presidente della Repubblica, visto che il Capo dello Stato uscente, il democristiano Francesco Cossiga, si era dimesso prima del “semestre bianco”. Ci fu la solita girandola di nomi, veri o presunti (da Andreotti a Fanfani). La morte di Falcone avvenne in un momento di impasse delle votazioni: non era più il momento di perdere tempo, il Paese doveva dare un segnale alla malavita organizzata e necessitava subito di un Presidente. Le due scelte finali andarono su due figure di caratura istituzionale: gli allora Presidenti delle Camere, il repubblicano Spadolini e, appunto, il democristiano Scalfaro.
Il 25 maggio 1992, al 16° scrutinio, venne eletto il nono Capo dello Stato: con 672 voti sui 1002 dei Grandi elettori venne eletto Oscar Luigi Scalfaro. Quel ragazzo che quarantasei anni prima era entrato in politica non del tutto convinto di sé aveva coronato il sogno di chiunque fa politica, diventare Capo dello Stato.
Il politico novarese aveva 73 anni e la sua candidatura aveva visto la convergenza di tutti i partiti colpiti dal ciclone “Tangentopoli”, salvo Lega Nord, MSI e Rifondazione comunista.


1992-1999: un settennato molto difficile. Da Tangentopoli all’”io non ci sto”. La virata a sinistra.

Scalfaro venne eletto per bocca del vicePresidente della Camera di allora, il pidiessino Stefano Rodotà, e giurò subito la sua fedeltà alla Repubblica.
Come Pertini, Scalfaro non abitò al Quirinale ma risedette in città e tutti i giorni, accompagnato dalla figlia Marianna, si recava in “ufficio” come un qualsiasi impiegato. Anzi, mantenne la residenza nella sua Novara, recandosi sempre a votare nel suo seggio elettorale presso la scuola elementare “Ferrandi” nell’omonima via cittadina.
Il settennato scalfariano fu molto impegnativo e soggetto ad aspre critiche, sin dall’inizio. Già il fatto che venne eletto dai partiti colpiti dal ciclone “Tangentopoli” non andò giù ai cittadini, e ancora più criticata fu la sua scelta di affidare il governo nascente a Giuliano Amato, politico socialista per niente lambito dalle inchieste del Pool di Milano, ma vicino al leader, Bettino Craxi, che undici mesi dopo ricevette il primo avviso di garanzia e si dovette sorbire la protesta dei cittadini davanti all’hotel “Raphael” di Roma dove fu bersaglio di scherno e di centinaia di monetine.
La presidenza Scalfaro ebbe il suo periodo buio nell’autunno 1993, quando in seguito ad una confessione di alcuni funzionari del SISDE, il servizio segreto civile nazionale, si scoprì che avevano fatto sparire parte di alcuni fondi riservati (oltre i 14 miliardi di lire), e l’ex capo dell’intelligence disse che l’allora Ministro dell’Interno, Nicola Mancino, e lo stesso Scalfaro sapevano della situazione ma fecero pressione affinché tutto venisse tenuto nascosto. In particolare Riccardo Malpica, ex direttore del SISDE, accusò Scalfaro di percepire illegalmente almeno 100 milioni di lire al mese di quella somma destinata al Servizio.
Scalfaro ritenne tutte queste accuse infamanti per lui e per la carica che stava ricoprendo, e per questa ragione il 3 novembre 1993 fece un’azione clamorosa: si espose in prima persona in un accorato discorso alla Nazione andato in onda a reti unificate. Di valore storico le sue parole in cui esclamava che lui in quel “gioco al massacro” che stava vivendo sulla sua pelle, lui non ci stava (“Io non ci sto!”).
Quel discorso, ricco di pathos e forza, arrivava dopo l’impennarsi di Tangentopoli e della forza della mafia, che proprio nel 1993 colpì duramente il Paese con una serie di attentati contro il patrimonio artistico del Paese (l’attentato di via dei Georgofili a Firenze il 27 maggio dove morirono cinque persone; l’attentato di via Palestro a Milano il 27 luglio che uccise altre cinque persone; le bombe alle chiese romane di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio in Velabro, che fortunatamente non causarono vittime, senza contare le stragi di Capaci e di via d’Amelio dell’anno prima.
Se il 1993 si era chiuso in malo modo per Scalfaro, l’anno seguente andò forse peggio: il 27 marzo 1994 il Polo delle Libertà vinse le elezioni politiche e si aprì la “Seconda repubblica”. Berlusconi era a capo della coalizione vincitrice e si presentò al Quirinale da Scalfaro con la lista dei ministri da nominare. Scalfaro si oppose fermamente sul nome di Cesare Previti come Ministro di Grazia e Giustizia ritenendolo “sgradito” insistendo per un cambio. Cambio che avvenne in ragione di Alfredo Biondi al 70 di via Arenula e Previti alla Difesa, in via XX settembre.
Come se non bastasse, il governo Berlusconi cadde nel dicembre 1994 a causa del “ribaltone” leghista. L’ex Premier spinse affinché le Camere venissero sciolte (possibilità che ha solo ed esclusivamente il Capo dello Stato in base all’art. 88 della Costituzione, e non il Capo dell’esecutivo), ma Scalfaro si rifiutò in quanto secondo lui era possibile cercare un’altra maggioranza per un nuovo esecutivo non guidato da Berlusconi all’interno del Parlamento.
Per “cortesia” il Presidente fece scegliere allo stesso Berlusconi colui che avrebbe formato il nuovo governo, che sarebbe stato di natura “tecnica”, e scelse Lamberto Dini, allora ministro uscente al Tesoro. Questo fatto incrinò, e non poco, i rapporti tra Scalfaro ed il Cavaliere.
Il 1995 vide la sfiducia a Filippo Mancuso, allora Ministro di Grazia e Giustizia nel governo Dini, in quanto aveva espresso giudizi poco edificanti verso le modalità di azione del Pool di Milano durante la stagione di Tangentopoli. Il politico siciliano accusò pesantemente ancora Scalfaro ed il Senato lo sollevò dall’incarico. Gli studiosi dissero che da allora Scalfaro, da conservatore che era, si spostò verso il centro-sinistra, che vince le successive elezioni.
Il 15 maggio 1999 il Presidente Scalfaro terminò il suo mandato e non si ricandidò, ma prima del “semestre bianco” ridiede l’incarico di formare il governo a Massimo d’Alema, allora Segretario del PDS. Il centrodestra accusò successivamente Scalfaro di non essere stato del tutto super partes come Capo dello Stato in quanto diede la fiducia al governo d’Alema II nel dicembre 1999, dicendo che poteva anche astenersi dal farlo.
Tra le iniziative portate avanti dal Presidente Scalfaro, in ricordo anche dei fatti dell’estate 1945 che lo videro coinvolto in prima persona, si ricorda l’abolizione definitiva della pena di morte in Italia, anche dal codice militare. Era il 25 ottobre 1994.


Gli anni Duemila: la pensione da senatore a vita e il tour per l’Italia a diffondere il culto della Costituzione.

Come detto, il 15 maggio 1999 terminò il suo mandato da Capo dello Stato e, in base all’articolo 59 della Costituzione, diventò senatore a vita e “Presidente emerito della Repubblica”. Gli fece compagnia, allora, l’unico Presidente della Repubblica ancora in vita, Francesco Cossiga.
Il 28 aprile 2006 Oscar Luigi Scalfaro divenne il terzo politico ad avere presieduto le prime tre cariche politiche nazionali: quel giorno aprì i lavori per l’elezione del Presidente del Senato in quanto senatore più anziano al momento della votazione (avrebbe dovuto esserci la senatrice a vita Rita Levi Montalcini, ma un problema di salute le impedì di presiedere l’aula di Palazzo Madama).
Prima di lui lo erano stati Enrico de Nicola e Sandro Pertini: Oscar Luigi Scalfaro, come i colleghi, non fu mai eletto Primo Ministro, mentre divenne il quarto inquilino del Quirinale a diventare Capo dello Stato partendo dal ruolo di Sottosegretario, come prima di lui Giovanni Gronchi, Antonio Segni e Francesco Cossiga.
Strenuo difensore della Carta costituzionale a partire dalla cessazione del suo mandato, ha girato il Paese affrontando dibattiti sulla sua tutela, in vista in particolare del referendum sulla riforma della Costituzione indetto il 25 e 26 maggio 2006 dal centrodestra allora al governo, prevedendo l’introduzione della devolution.
Scalfaro girò il Paese per spiegare che la Costituzione andava si magari modificata, ma non in quella maniera che avrebbe portato degli scompensi tra Nord e Sud e si oppose fermamente all’idea di Berlusconi e dei suoi alleati.


Epilogo: l’eredità di Oscar Luigi Scalfaro

Oscar Luigi Scalfaro è morto a Roma il 29 gennaio 2012 all’età di 93 anni. Nelle sue volontà non ha voluto il funerale di Stato ma una cerimonia presso la chiesa di santa Maria in Trastevere. La salma è stata tumulata nel cimitero di Cameri, a pochi chilometri da Novara, dove ha la tomba di famiglia e dove riposa la moglie.
La morte di Scalfaro ha lasciato un vuoto nella politica italiana che ha perso un politico di rango, visto che ha rappresentato il chiaro esempio di vero politico, amante della democrazia, del rispetto dell’avversario e della libertà, degli altri prima della propria.
Scalfaro si è dimostrato un uomo di fede, di speranza e determinazione, qualità che lo hanno reso un politico tutto d’un pezzo con un curriculum di tutto rispetto. La “fede” è stata rappresentata dal fatto che durante il suo settennato ha sempre portato con onore e rispetto la spilla con il simbolo dell’Azione Cattolica; la “speranza” nel fatto di aver sempre pensato e voluto un Italia migliore e la “determinazione” può essere riassunta nel celebre discorso televisivo del 3 novembre 1993.
Molto importante il legame con la sua città natale, Novara, che in due occasioni lo fregiò del titolo di “Novarese dell’anno”, un premio molto sentito in città consegnato il giorno della festività patronale cittadina, San Gaudenzio, il 22 gennaio, a cittadini che si sono resi meritevoli di azioni e gesta considerevoli. E’ un premio che non è mai stato assegnato due volte alla stessa persona, ma per Scalfaro l’Amministrazione Comunale ed il “Comitato” assegnarono il premio due volte: la prima nel 1984 (anno dopo la sua nomina a Ministro degli Interni) e la seconda nel 1993, unico vincitore, perché eletto, appunto, Capo dello Stato.


Bibliografia – Sitografia
Labia S., Ministri, sottosegretari e il mercato delle vacche. Breve storia della Repubblica e della spartizione delle cariche di governo. Dalla Liberazione al Manuale Cencelli fino al governo Letta, www.panorama.it, 3 maggio 2013;

Montanelli I. – M. Cervi, L'Italia degli anni di fango, RCS, Milano, 1993;

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Montanelli I. – Cervi M., L'Italia del Novecento, Rizzoli, Milano, 2000;

Di Lascio F. – Paris D., Non arrendetevi mai. Colloquio con Oscar Luigi Scalfaro, Edizioni Paoline, Milano, 2007;

Omodei Zorini F., Piero Fornara. Il pediatra delle libertà, Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea del Novarese e del Verbano Cusio Ossola “P. Fornara” e Provincia di Novara, 2005.
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