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Breve storia della “strategia della tensione” (1969-1980) [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

La forza della destra eversiva,

Introduzione:
Undici anni. Il periodo più buio e controverso della storia della Repubblica italiana è durato undici anni, anche se le date di inizio e fine sono da considerarsi non definitive. Così come incerta è stata la situazione politica, sociale ed economica allora in Italia. Fu un periodo storico molto tragico perché l’insicurezza ed il disordine sociale portarono alle bombe nelle piazze e nelle stazioni, agli scontri di piazza, alle trame eversive, ai colpi di Stato ideati ma non attuati, alla morte di giovani che facevano politica e statisti morti dopo cinquanta cinque giorni di prigionia. Questo spazio temporale è stato chiamato “strategia della tensione” (o “anni di piombo”) e, a differenza di Spagna e Irlanda (altri due Paesi che videro negli anni Settanta un forte scontro terroristico) quello italiano si caratterizzò per una forte violenza politica e per una insicurezza causata anche da un nemico “interno”, i Servizi segreti “deviati”, che spinsero verso l’instabilità politica e democratica, con lo scopo di arrivare ad una possibile guerra civile. La paura di una deriva autoritaria alla stregua della Grecia dei Colonnelli era molto sentita e tutti avevano paura.


Definizione e descrizione della situazione italiana di fine anni ‘60

Per “strategia della tensione” si intende una situazione di paura e terrore sentita dalla popolazione che, a partire dalla fine degli anni Sessanta e fino agli inizi degli Ottanta, ha portato l’Italia sul baratro di una guerra civile “politica”, con morti e scontri di piazza. Si è caratterizzato come il tentativo di consentire l’ottenimento di obiettivi politici, esasperando al massimo i conflitti, andando a creare nel Paese un clima di paura.
Cosa spinse verso questa situazione? Innanzitutto il Paese ha vissuto tra il 1958 e il 1963 il boom economico, che fu rapido nei progressi ottenuti, vide iniziare la migrazione lavorativa verso le zone più industrializzate del Paese non andando più all’estero: gli italiani che erano più ricchi del periodo post bellico, compravano elettrodomestici e servizi, si spostavano in macchina ed andavano in vacanza. Tutto questo benessere si scontrava con la vera realtà del “Mondo Paese”: nonostante tutte queste novità, ci fu una forte empasse politica ed istituzionale che portò per la prima volta (in maniera intensa) la gente in piazza a manifestare e protestare vivamente. Le manifestazioni c’erano anche prima, ma non di questo tipo: a partire dal 1966, sulla scia delle proteste nelle Università americane contro la guerra in Viet Nam (la prima fu quella di Berkeley del 1966), la società capitalista sospinse gli studenti a manifestare, occupando per la prima volta gli atenei nazionali (la prima fu Sociologia a Trento) che protestavano contro il caro-tasse accomunati da un sentimento anticasta ante litteram. Sono proprio gli studenti a scaldare gli animi e la piazza: è il vento del Sessantotto che inizia a soffiare sull’Europa: in Francia (il famoso “maggio francese”), in Germania occidentale, Cecoslovacchia (la “primavera di Praga”) e, successivamente, nel nostro Paese.
L’anno fu caratterizzato dalla rivolta contro un sistema mondiale obsoleto e da cambiare, in quanto il Sessantotto vide la rinascita di un movimento anticonformista e teso alla socializzazione, soprattutto nelle università. Nascono i primi movimenti femministi e di difesa dei diritti dei più deboli. Agli studenti si affiancarono i lavoratori (e viceversa) nell’”autunno caldo” 1969, cercando un riscatto sociale, rifiutando il sistema aziendale e il modello capitalista che li sfruttava a scapito del fattore umano. “Partecipazione”, “uguaglianza”, “sciopero”, “riscatto sociale” e “pacifismo” sono state le parole chiave del Sessantotto. Si ascoltavano Bob Dylan e Joan Baez, la musica di protesta e le teorie politiche di Herbert Marcuse.
Nel 1970 ci fu la vera conquista dei lavoratori quando il 20 maggio entrò in vigore la legge 300, lo “Statuto dei lavoratori”.
A partire però dal 1969 la situazione si esasperò: le proteste si fecero più esagitate, la violenza dilagò ed iniziarono gli scontri di piazza tra manifestanti e polizia, e tra i manifestanti stessi di orientamento politico diverso. Spuntano le prime armi, le pistole P38. La prima rivolta studentesca avvenne a Roma il Primo marzo 1968, quando gli studenti romani staccatisi dal gruppo riunitosi a piazza di Spagna (luogo del raduno della manifestazione) cercarono di occupare la sede della facoltà di architettura di Valle Giulia, nei pressi dei Parioli e Villa Borghese, scontrandosi con le forze dell’ordine: alla fine degli scontri si contarono 58 feriti tra gli studenti, 158 tra le forze dell’ordine, 228 studenti fermati e 4 fermi. Questi scontri, che videro, forse per la prima ed unica volta, insieme studenti di destra, che fecero scoppiare gli scontri, e di sinistra contro la polizia, il nemico. Gli scontri sono passati alla cronaca come la “battaglia di Valle Giulia”. Quelli successivi faranno espellere i neofascisti dal Movimento studentesco poiché il loro partito di riferimento, il Movimento sociale, li aiutò nelle occupazioni e non voleva loro intromissioni nelle manifestazioni.
La “strategia” non è stata un unicum, ma è stata un insieme di fatti, situazioni ed eventi. Si scoprirà che sarà parte dello Stato stesso a istigare alcuni soggetti a fare attentati e a seminare il pericolo, salvo poi proteggerli e alla fine scaricarli. Sono l’intelligence deviata, le lobby, i gruppi di dominio economici, servitori dello Stato poco limpidi. Per difendere lo Stato dal nemico, nascono i primi gruppi extraparlamentari terroristici: a sinistra il gruppo “XXII ottobre”, a destra “Centro Studi Ordine Nuovo”.


Il convegno all’Hotel “Parco dei Principi” del 3-5 maggio 1965: si pongono le basi del terrore.

La storia insegna che nulla è casuale, tutto ha un inizio ed una motivazione. Le bombe e l’insicurezza non nacquero per caso, ebbero una profonda ragion d’essere. Anche se non è mai stato confermato, nel maggio 1965 in un hotel di Roma, il “Parco dei Principi”, l’Istituto militare “Alberto Pollio” organizzò uno strano convegno che ebbe come core la “guerra rivoluzionaria”. Per tre giorni un simposio di militari, esperti di settore e giornalisti si incontra e parla di comunismo e delle lotte per contrastarlo. Non a caso l’anno prima l’Italia si scoprì vulnerabile con la scoperta del “piano Solo”, che vedremo successivamente, e con il primo ingresso della compagine socialista nel governo tre anni prima.
Al convegno si parlò di una nuova guerra mondiale “nascosta”, che vedeva contrapposti il capitalismo e il comunismo, dove l’ultimo stava attuando una politica di sabotaggio psicologico e segreto, tramando e facendo pressione psicologica sulla politica internazionale. L’Italia era al centro di questa lotta e la “distensione” propugnata da Nikita Kruscev un decennio prima avrebbe portato ad un rilassamento della situazione e i comunisti avrebbero potuto conquistare il potere, attraverso la persuasione e la forza. Tutto ciò non doveva accadere ma bisognava essere pronti in caso di allarme, e per fare questo era necessario fare una “controguerra”, segreta e psicologica, come stava facendo proprio il nemico. Dagli atti di quel convegno appaiono in maniera non esplicita i piani di quella che sarà la successiva “strategia della tensione”. Al convegno parteciparono anche esponenti del neofascismo di quegli anni che saranno, chi più o chi meno, coinvolti negli atti di terrorismo: Pino Rauti, Guido Giannettini, Stefano delle Chiaie, Mario Merlino, Pio Filippani Ronconi.


Esplodono le prime bombe: piazza Fontana, piazza della Loggia, “Italicus”

“Strategia della tensione” fa rima con “bombe”. Il suo inizio coincide con la strage di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, quando alle ore 16:37, all’interno della locale sede della Banca Nazionale del Lavoro, un ordigno esplose causando 16 morti e 88 feriti. Quel giorno però non è solo Milano ad “esplodere”: altri ordigni scoppiarono di nuovo a Milano (vicino alla Scala, presso la locale Banca Commerciale) e a Roma (ancora una sede della BNL colpita e l’Altare della Patria). Da quel momento in Italia crebbe il timore concreto che l’ordine e la sicurezza venissero meno e la gente iniziava ad avere paura, era preoccupata. Del resto i fatti in Grecia con i Colonnelli di due anni prima e la forza delle dittature fasciste ancora al potere in Spagna e Portogallo non facevano fare sogni tranquilli agli italiani. Non a caso, questa paura si trasformò in errori giudiziari.
Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli furono i casi più eclatanti: i due anarchici, politicamente deboli, furono subito incolpati (a giorni di distanza) di aver collocato la bomba nell’istituto bancario milanese. In particolare il Pinelli, di professione ferroviere, morirà in maniera rocambolesca il 15 dicembre 1969 precipitando dal quarto piano della Questura di Milano.
Responsabile fu indicato l’allora Commissario Luigi Calabresi, reo di averlo spinto al suicidio insieme ai suoi uomini, mentre all’inizio si pensava si fosse suicidato in quanto colpevole. Pinelli non si saprà mai come morì veramente, mentre Calabresi, isolato istituzionalmente, verrà ucciso da un commando di “Lotta continua”, un movimento extraparlamentare di sinistra, il 17 maggio 1972.
Contro Calabresi si mobilitò un “Manifesto” uscito su “L’Espresso” il 27 giugno 1971. Oltre alla pista anarchica, venne anche intrapresa la pista “veneta”, coinvolgendo Franco “Giorgio” Freda e Giovanni Ventura, due nomi che durante gli “anni di piombo” appariranno tra i presunti colpevoli del periodo stragista, soprattutto Freda, accusato di essere un “cattivo maestro” dell’estrema destra. A distanza di oltre quarant’anni si sa solo chi ha ucciso Calabresi, ma di Pinelli e soprattutto della bomba a piazza Fontana non si sa ancora oggi chi siano i veri mandatari e i veri responsabili dell’attacco terroristico milanese.
Gli italiani così conoscono la parola “terrorismo” e ciò li accompagnerà per oltre un decennio. Il terrorismo aveva due matrici: sinistra-marxista e neofascista che sebbene siano nate in epoche vicine, sono lontane come ideologia ed azioni (sequestri e singoli attentati contro stragi e violenza) e molto vicine per quanto concerne il loro scopo: sovvertire il sistema. Cercando di farlo, non ci riuscirono.
L’anno buio della “strategia della tensione” sarà il 1974, quando si compirono due attentati violenti e furono impediti due presunti colpi di Stato.
Il 28 maggio 1974 ancora una piazza è teatro di un’altra esplosione che semina morti, feriti e paure. Quel giorno nella centralissima piazza della Loggia di Brescia, alle ore 10:12, durante una manifestazione antifascista voluta dalla CGIL e dai comitati antifascisti contro le continue violenze da parte dei “neri” in città, in un cestino dell’immondizia esplode una bomba che causerà 8 morti e 94 feriti. L’oscuro movimento neofascista “Ordine nero” rivendica l’eccidio, ma non si avrà mai la piena certezza. Sicuramente, vista la matrice dell’assemblea, chi mise la bomba non era “rosso”, ma stava dall’altra parte, anche se ancora oggi di questa strage non si conosco mandanti ed esecutori.
Pochi mesi dopo la strage bresciana, sarà un’altra bomba a far tremare l’Italia: nei pressi di San Benedetto Val di Sembro, nel bolognese, esplose un’altra bomba che distrusse il treno “Italicus” Roma-Monaco di Baviera, causando 12 vittime e 105 feriti. Era il 4 agosto 1974, il Paese sembrava inginocchiato ai piedi del terrore. Venne accusato della strage il “Fronte Nazionale Rivoluzionario”, una nuova sigla nel coacervo di sigle che gravitarono nello spazio della destra radicale e si scoprì che dietro queste bombe si celava un’elite ristretta di politici, militari, giornalisti ed imprenditori che muoveva le fila di nascosto.
Con gli anni Ottanta si scopre che questo gruppo era la loggia massonica “Propaganda 2” (P2), guidata dal Venerabile Maestro Licio Gelli, che sapeva tutto e che era al centro di tutto. Anche in questo caso, mandanti incerti ed esecutori idem.


Il padrone della “strategia della tensione”: il terrorismo di destra.

Come detto, sono la destra estrema e la sinistra filo-marxista a dominare la scena. Se si dovesse andare ai punti, vincerebbe però la destra. Per un semplice motivo: i “neri” sono stati appoggiati da una parte dello Stato, quello “deviato”, i servizi segreti, i servitori dello Stato cui non stava bene una preponderante forza dei comunisti, anche perché l’Italia era in una posizione delicata nell’Europa occidentale con un Partito comunista molto forte e la paura che Roma potesse passare sotto l’ala dell’Unione sovietica era molto forte e ciò era da impedire. Come farlo? Spostando l’asse verso una deriva autoritaria, alla stregua del Sud America e dell’Europa mediterranea. Saranno i movimenti extraparlamentari manovrati dall’alto a dominare la scena, anche perché la destra metteva le bombe, era più organizzata e forte della sinistra eversiva. Ma anche la destra è divisa al suo interno, già dall’inizio del suo “ingresso” nel panorama politico nazionale nei primi anni della storia della Repubblica italiana, in quanto esistevano tante sigle, tanti soggetti discussi, tanti intrecci, tanta distanza ideologica: ecco neofascisti di desta e di “sinistra”, corporativisti e socializzatori, attivisti e pensatori, pagani ed esoterici, monarchici e repubblicani, addirittura i “nazi-maoisti”.
Il punto di incontro di tutte queste ideologie è la figura di un oscuro barone dal gusto filosofico: Julius Evola, deus ex machina del pensatoio e dell’azione dei “neri”. Tradizionalista per definizione, pensava ad un Stato elitario dove lo spirito vinceva su tutto ciò che era materiale e qualità sulla quantità, voleva un mondo gerarchico, autoritario e consacrato da forze superiori in un Mondo vicino alla Tradizione, a diversi valori come il coraggio e l’aristocrazia che dovevano superare il materialismo e il capitalismo. Inoltre parlava un linguaggio che esaltava i giovani, e il suo studio di corso Vittorio Emanuele a Roma era un via vai di studiosi e curiosi, la maggior parte under 25, che stavano ore ad ascoltarlo, avvicinandosi ad un mondo per loro nuovo, fatto di concetti come la Tradizione, appunto, e di autori fino ad allora sconosciuti. Evola era un impolitico, aristocratico e gerarchico nella sua esposizione della società che doveva venire a crearsi.
Come si nota, è al Nord che si sviluppano le violenze e la maggior parte delle stragi. In particolare la città che subisce pesantemente questo clima è Milano. Il motivo è facile: a Milano è nato il fascismo di san Sepolcro, a Milano c’è stata la base dei repubblichini, c’è stata la Resistenza e c’è stato piazzale Loreto. Proprio tra il 1970 e il 1973 la città vedrà la schedatura di tutti i giovani studenti, universitari e non, vedrà una forte scossa di violenza di strada, dove ci scapperà anche un morto. A Milano c’erano i “sanbabilini”, i giovani neofascisti che si radunavano nella piazza di san Babila e che caratterizzarono le lotte di allora. Questi ragazzi erano imbevuti di ideologie rivoluzionari, erano dei violenti e dei fanatici. Furono al centro della cronaca nera locale con pestaggi ed omicidi di nemici “rossi”. Il 12 aprile 1973, il tristemente noto “giovedì nero”, presso piazza Tricolore doveva tenersi un comizio dell’esponente missino Francesco Franco, leader della rivolta di Reggio Calabria, ma per motivi di ordine pubblico il comizio fu vietato, ma i “sanbabilini”, e parte dei giovani del Movimento sociale, si staccarono andandosi a scontrare con le forze dell’ordine e una bomba Srcm fu gettata tra i manifestanti dove venne ucciso il 22enne agente di polizia Antonio Marino. A fine giornata si contarono 8 fascisti feriti, 26 poliziotti feriti e 64 fermi. Legate ai “sanbabilini” furono le SAM, di cui fecero parte alcuni esponenti più esaltati e il giornale nazista “La fenice”, guidato da Giancarlo Rognoni. Nella città meneghina ci fu anche la “maggioranza silenziosa”, un gruppo di destra che manifestava di sabato pomeriggio in silenzio e con le bandiere tricolori sulle spalle contro la violenza sistemica ed il decadimento dei costumi della società che portarono, indirettamente, tanti voti all’MSI nelle elezioni politiche del 1972, dove il partito di Almirante ottenne l’8,67% alla Camera e il 9,09% al Senato.


I colpi di Stato pensati, ma non attuati: Solo, Borghese, Bianco
Gli “anni di piombo”, come detto, hanno causato paura e tensioni. Una delle paure degli italiani, non proprio estreme, è stata quella di alzarsi la mattina e trovare i carri armati sotto casa ed un ritorno alla dittatura. Nel periodo 1969-1974 la paura di un golpe militare era quasi all’ordine del giorno: in questi cinque anni si contarono tre tentativi di colpi di stato, che fallirono miseramente e che videro, però, parte di militari “deviati” tra i protagonisti: il “piano Solo” (luglio 1964), il “golpe Borghese” (7-8 dicembre 1970), “golpe bianco” (agosto 1974), senza contare un presunto tentativo fallito pochi giorni prima della festa della Repubblica dello stesso anno ma mai accertato perché il presunto attentatore morì in un conflitto a fuoco tra il Reatino e l’Abruzzo il mese prima. I giovani neofascisti di allora subirono in maniera molto forte il fascino dei militari, anche perché “militari” erano tutte le dittature ancora vive in Europa e nel Mondo.
Il primo tentativo venne chiamato in quel modo perché solo l’Arma dei Carabinieri lo doveva compiere, prendendo il potere senza spargimento di sangue, deportando i nemici politici e gli oppositori in Sardegna in una sorte di confino politico. A capo del golpe, manovrato da trame eversive come “Gladio”, la celebre organizzazione segreta stay behind atlantica, c’era il Generale Giovanni de Lorenzo con un coinvolgimento dell’allora Presidente della Repubblica, Antonio Segni. I nomi dei personaggi da deportare erano inseriti nei famosi “fascicoli SIFAR”, i servizi segreti delle Forze armate. Il motivo che spinse i congiurati ad attuare il golpe fu la caduta del governo Fanfani, nel giugno 1962, sostenuto esternamente dai socialisti. La situazione per due anni fu tesa anche per colpa dei cambiamenti che si stavano sviluppando nel Paese e anche per colpa di ciò che succedeva nel Mondo, soprattutto con la presidenza di John F. Kennedy che vedeva di buon occhio questi cambiamenti in Europa, mentre l’intelligence e i militari (americani e italiani) furono contrari a questi fatti. Il 14 luglio 1964 ci fu un fatto molto controverso della storia repubblicana: per la prima volta due militari di alto rango parteciparono ad una consultazione presidenziale per l’assegnazione dell’incarico di governo: si trattava di de Lorenzo e del Capo di Stato Maggiore della Difesa Aldo Rossi. Senza contare che due settimane prima aveva iniziato a circolare l’elenco delle persone da deportare in Sardegna, in base al “piano SIGMA”. Non a caso Pietro Nenni, leader socialista, annotava nei suoi diari qualcosa di strano a Roma in quei giorni: il “tintinnar di sciabole”, ovvero la pressione militare si stava facendo forte nei “palazzi” di Governo. Il piano fallì perché i socialisti fecero un passo indietro nelle loro richieste di riforme ed il 17 luglio 1964 nacque un nuovo esecutivo e il piano di colpo di Stato si interruppe, la lista delle persone da deportare venne fatta sparire e i documenti vennero fatti distruggere. De Lorenzo fu fatto dimettere e divenne poco dopo un deputato del MSI - Destra Nazionale.
Se il piano di de Lorenzo è stato complesso, altrettanto complesso ma più farsesco fu il tentativo di colpo di Stato attuato la notte dell’Immacolata del 1970, quando un gruppo di congiurati guidato dall’ex eroe di guerra fascista, il Comandante della Decima Mas Junio Valerio Borghese, decise di impadronirsi del Paese, con un comunicato letto dallo stesso Borghese alla popolazione e con i centri nevralgici del Paese nelle mani dei militari (ministero Interni, Difesa e Rai) e la “solita” deportazione degli oppositori via dal Paese. Nonostante un massiccio arrivo di congiurati, la vulgata sostiene che Borghese ricevette una telefonata in cui una persona gli impose di fermare il tutto e lui, da buon militare, eseguì. Una telefonata ha salvato la vita alla Repubblica italiana, anche se ora a distanza di quarant’anni non è ancora chiaro chi avesse avvertito Borghese del pericolo e della cessazione del tentativo. Naturalmente la popolazione non seppe nulla ma lo scoprì dai giornali tre mesi dopo, quando fu fatta una retata in cui vennero arrestati oltre trenta individui, tra cui il costruttore Remo Orlandini e l’esponente missino Sandro Saccucci, mentre Borghese riparò in Spagna e non tornò più in Italia. Nel 1974 il militare morì e l’allora Ministro della Difesa, Andreotti, portò a Claudio Vitalone, titolare dell’inchiesta, un fascicolo SID redatto dal Generale Gianadelio Maletti, numero due del reparto, in cui parlava del golpe per filo e per segno, facendo nomi pesanti tra gli ideatori, come il Capo dei Servizi segreti, Vito Miceli, e la partecipazione della mafia, che avrebbe dovuto uccidere il capo della Polizia Angelo Vicari, ma non la CIA, accusata di essere nelle trame del tentato golpe.
Più nascosto e difficile da è stato invece il cosiddetto “golpe bianco”, pensato dal partigiano filo-monarchico Edgardo Sogno in collaborazione con il gruppo neofascista “Rosa dei Venti”, un’organizzazione di cui ancora oggi si sa ancora poco. Sogno creò un gruppo di intellettuali, politici e militari chiamato “Comitati di Resistenza Democratica”, di stampo anticomunista, che voleva instaurare una repubblica presidenziale alla stregua della Quinta repubblica francese voluta dal Generale Charles de Gaulle. Tra il 10 e il 15 agosto 1974 il SID scopre che Sogno e i suoi seguaci stavano progettando un colpo di stato, ma senza spargimento di sangue, sfiduciando le Camere e creando un governo tecnico guidato dai militari, come nel “piano Solo”. Il piano fallì, Sogno venne arrestato. Il piano, come quello di Borghese, non venne attuato ma fermato “in tempo”.


Esplode l’estremismo di destra. Personaggi oscuri e movimenti rivoluzionari (1960-1974).

La “strategia” è stata movimentistica. E’ stata soprattutto extraparlamentare, ovvero trainata da forze politiche che sono collocate al di fuori del Parlamento e per la maggior parte sono illegali. Saranno le forze di estrema destra, di matrice neofascista, a fare la parte del leone in questo periodo. Spinte dal fatto che la destra eversiva comandava quasi ovunque in Sud America ed in Europa era trainata dai Paesi mediterranei. Dal punto di vista della destra gli “anni di piombo” si dividono in due epoche: l’epoca nazional-rivoluzionaria, che termina nel 1974, e quella dello “spontaneismo armato”, che inizia l’anno dopo terminando nel 1980.
Questi movimenti politici hanno nomi e ispiratori, i cosiddetti “cattivi maestri”. Le principali organizzazioni di destra sono state “Ordine Nuovo”, “Avanguardia Nazionale” ed il “Fronte nazionale”, mentre i loro leader sono stati Giuseppe Rauti, Stefano delle Chiaie e il generale Junio Valerio Borghese.
“Ordine nuovo” nasce nel 1956 in aperta polemica con il MSI, accusato di essere troppo leggero, di non essere più fascista e di essere ormai parte integrante del sistema politico creatosi, sebbene all’opposizione. Nato come “Centro studi”, senza mai essere un polo culturale, il suo legame con il Partito guidato da Arturo Michelini sarà stretto, grazie alla figura di Giorgio Almirante. Il punto di riferimento del movimento è stato Julius Evola, mentre il punto di riferimento storico era il nazifascismo nell’esperienza della RSI. Nel 1969 parte di ON si scinderà e mentre la parte rautiana torna alla casa madre MSI con il ritorno della segreteria Almirante, la parte più violenta si trasformò in “Movimento Politico” che nel dicembre 1973 verrà sciolto dal Tribunale di Roma per tentata ricostruzione del Partito fascista. Il suo simbolo si rifaceva alla bandiera nazista con all’interno del cerchio bianco l’ascia bipenne e il motto delle SS, “il nostro onore si chiama fedeltà”.
Da un gruppo di ON, nel 1960 nacque Avanguardia Nazionale, un partito ancora più nazista del precedente. Anche questo movimento si rifà ad Evola, ma in maniera più blanda e, a differenza del movimento rautiano, è più “azionista” ed anticomunista, tanto da essere per ben due volte sciolto per apologia del fascismo e ricostruito successivamente.
Se ON era più dottrinario, esoterico ed alla ricerca dello spirito, AN predilesse l’azione, l’attivismo politico più spregiudicato per i suoi fini e i suoi esponenti, oltre al “piano Borghese” furono coinvolti nella “battaglia di Valle Giulia” e nei moti rivoluzionari di Reggio Calabria del 1970-1971. I suoi capisaldi furono l’onore, la fedeltà, la gerarchia, l’antimaterialismo, la giustizia e la conservazione dello spirito Un punto di riferimento fu il mondo militare di destra che guidava il Sudamerica. Il suo simbolo fu simile a quello degli ordinovisti, solo che al posto dell’ascia c’era la runa di Odal, simbolo delle Waffen, le SS combattenti.
Il terzo partito a nascere è stata la creatura del Generale Borghese, il Fronte Nazionale. Anch’esso di matrice evoliana, proponeva un’Europa forte, autoritaria ed anticomunista con a capo i militari, senza la necessità di avere il Parlamento, i partiti politici e i sindacati. Dei tre gruppi, proprio questo è quello che arriva più vicino al colpo stato.
Altri gruppi estremisti minori in questo spazio temporale sono stati “la Fenice” di Giancarlo Rognoni, il “Fronte Rivoluzionario Nazionale” di Mario Tuti, il “Movimento di Azione Rivoluzionaria” di Carlo Fumagalli. Di matrice sconosciuta, ma molto violenti, sono stati le “Squadre di Azione Mussolini” e “Ordine nero”, autori di attentati dinamitardi e stragi senza mai scoprire, in pura “strategia della tensione”, mandanti ed esecutori.

Esplode l’estremismo di destra. Personaggi oscuri e movimenti rivoluzionari (1975-1980) Gli studiosi e gli storici parlano di questa fase come deja vu di quello che accadde nel biennio 1920-1922 con le azioni violente delle squadre fasciste: tanta violenza di strada e diretta, ma niente stragi.
Come detto, il 1974 è l’anno caldo della “strategia”, anche se l’estrema destra stava cambiando, pesantemente. Stavano entrando in campo i ragazzi nati negli anni Cinquanta - Sessanta, lontani dal concetto di fascismo come lo conoscevano i loro predecessori, ma era molto viva l’azione, il gesto. In quel periodo i giovani di destra si sentirono abbandonati da tutti quelli che li avevano difesi anni prima, dai Servizi alle forze dell’ordine. Come se non bastasse caddero i pilastri della destra eversiva italiana, perché nel giro di due anni caddero i regimi di Grecia, Portogallo e Spagna.
Nasce lo “spontaneismo armato”, la via senza uscita per alcuni giovani, che fino ad allora frequentavano i movimenti giovanili del MSI (Fronte della Gioventù e FUAN). La prima azione fu l’omicidio del magistrato Vittorio Occorsio il 10 luglio 1976 a Roma per mano dell’ordinovista Pierluigi Concutelli: i “neri” colpiscono per la prima volta un simbolo dello Stato, ora diventato nemico. Nascono anche nuovi miti per i giovani di destra: il Sud America, il Sud Africa, il Libano e i luoghi d’esilio dei leader, scappati per non essere arrestati. Sono due i movimenti che caratterizzeranno questa epoca degli “anni di piombo”, più tragica e luttuosa della precedente: i Nuclei Armati Rivoluzionari e Terza Posizione, capitanate dai fratelli Valerio e Cristiano Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini, e da Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Giuseppe Dimitri.
I NAR erano un gruppo senza ideologia a differenza di TP, erano violenti e usavano la violenza come sfogo, compirono raid e omicidi mirati (il giudice Mario Amato il 23 giugno 1980, che aveva ereditato il “lavoro” di Occorsio contro i neofascisti), compiendo assalti ad hoc (l’assalto a Radio Città Futura nel gennaio 1979 e a diverse armerie romane), alleandosi con altre forze “antisistema” (la “banda della Magliana”, una spregiudicata banda criminale al centro degli scandali e delle stragi dell’ultima fase della “strategia”). Terza Posizione era gerarchica al suo interno, ebbe anch’essa un’ala armata, ma dietro c’era molta politica che sosteneva ideali come la difesa del diritto alla casa, l’attenzione sull’ecologia e all’occupazione giovanile, senza contare un buona dose di Evola come background culturale, nonché il porsi come “terza via” tra liberismo e comunismo, strizzando l’occhio verso alcuni movimenti di rivolta “di sinistra”, soprattutto sudamericani (montoneros e i tercieristi argentini). I NAR furono attivi tra il 1977 ed il 1981, Terza posizione dal 1976 (come “Lotta studentesca”) al settembre 1980, quando tutti i suoi adepti furono arrestati a seguito delle indagini sulla strage di Bologna.
Gli studiosi sono concordi nell’affermare che i NAR non ci sarebbero stati se non ci fosse stato il Movimento del Settantasette, che caratterizzò (nel male) la seconda fase della “strategia della tensione, tanto da spingere i giovani di sinistra contro i neri.


Il giorno più buio della Repubblica. Bologna, 2 agosto 1980, ore 10:25. Ultimi fuochi e fine della “strategia della tensione”. Una riflessione.

Non appena sembrava terminata la stagione delle bombe, il 2 agosto 1980 scoppiò la bomba più forte di tutte: alle ore 10:25 scoppiò nella sala d’attesa della stazione di Bologna, una delle più importanti d’Italia come passaggi, una bomba la cui deflagrazione fu devastante. Morirono 85 persone ed altre 200 rimasero ferite.
Le indagini spinsero subito verso la matrice politica di destra e, dall’iniziale “pista” libanese, vennero incolpati della strage i NAR dei fratelli Fioravanti e di Francesca Mambro. La Provincia di Bologna subì la terza strage in appena sei anni e il suo “simbolismo” (era un feudo comunista) spinse gli inquirenti a volgere lo sguardo verso gli eredi del Ventennio. Il Gruppo si professò sempre innocente, anche se prove schiaccianti vennero rivolte contro di loro, sebbene ci furono molti depistaggi da parte di alti esponenti del SISMI e della P2.
Ad oggi la strage di piazza delle Medaglie d’Oro rimane la più grave compiuta sul territorio nazionale e non si è certi della vera colpevolezza dei Fioravanti boys, anche se la sentenza emessa nel 1995 ha confermato l’ergastolo per gli accusati. Il primo processo è iniziato nel gennaio 1987. Sebbene le condanne sono definitive, non sono mancate nel tempo altre ipotesi: la più accredita è quella palestinese e del gruppo del criminale “Carlos” pronunciata dall’ex Presidente della Repubblica Cossiga che, se all’inizio era concorde nel definire “fascista” la mano, col il tempo si è ricreduto.
Proprio la bomba di Bologna sancì la fine della “strategia della tensione”. Nel bienno 1981-1982 avvennero numerosi arresti di esponenti di primo piano della scena neofascista nazionale, insieme a coloro che erano legati, direttamente o meno, con questi.
Negli anni Ottanta - Novanta l’Italia conobbe una nuova stagione terroristica, solo che la matrice non era politica tout court, ma sono le stragi di Mafia a prendere il sopravvento, anche se saranno continui i legami con gli ultimi fuochi del terrorismo. Non a caso una bomba esplose sul treno rapido 904 Napoli - Milano del 23 dicembre, ancora nei pressi di San Benedetto Val di Sembro, già teatro della strage dell’”Italicus”. Si vide subito che la mano non era “fascista” ma di qualcosa di più grande, anche perché esplose dentro la “Grande galleria” e non all’esterno come quella del 1974. In quell’occasione morirono 17 persone e oltre 200 furono ferite. La bomba fu collocata nel centro del treno e fu davvero una strage, perché il treno era carico di persone che partivano per le festività natalizie. Sarà la Criminalità organizzata a volere la strage e non l’estrema destra, o di quello che ne rimaneva.
Il terrorismo finì anche perché tutti i leader erano stati arrestati e quelli in libertà capirono che il tempo delle rivolte, delle proteste, degli omicidi a scopo politico era terminato. Il vento stava cambiando e con esso cadevano anche tutte le ideologie che avevano governato la parte malsana del Paese.
Sia il terrorismo rosso che quello neofascista hanno fallito, non sono riusciti a realizzare i loro progetti di lotta armata, lotta all’ordine e alla sicurezza nazionale. Con tanti ringraziamenti da parte degli italiani.


Bibliografia essenziale

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Flamini G., Il partito del golpe: le strategie della tensione e del terrore dal primo centrosinistra organico al sequestro Moro, Bovolenta, Ferrara, 1985

Rao N, La fiamma e la celtica. Sessant’anni di neofascismo da Salò ai centri sociali di destra, Sperling & Kupfer, Milano, 2006

Rao N., Il sangue e la celtica. Dalle vendette antipartigiane alla strategia della tensione. Storia armata del neofascismo, Sperling & Kupfer, Milano, 2008

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Tassinari U. M., Fascisteria: i protagonisti, i movimenti e i misteri dell'eversione nera in Italia (1965-2000), Castelvecchi, Roma, 2001

Telese L., Cuori neri. Dal rogo di Primavalle alla morte di Ramelli, Sperling & Kupfer, Milano, 2006
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Articoli pubblicati da Simone Balocco e Paola Maggiora


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