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La Lega Nord. Dalla nascita ai giorni nostri [ di Simone Balocco e Paola Maggiora ]

Da partito territoriale a partito di governo: la Lega Nord dalla nascita ai giorni nostri

Introduzione


Nella storia politica della Prima e della Seconda Repubblica un posto di rilievo lo ha avuto quel partito nato verso la fine degli anni Ottanta raggruppando in sé tutti i cartelli elettorali autonomisti dell’Italia settentrionale, che volevano una maggiore libertà ed un maggiore decentramento da Roma: la Lega Nord, il partito più vecchio dell’intero panorama politico in Italia, fondato nella Prima Repubblica, e ancora attivo nella Seconda.
Dal febbraio 1991, la Lega Nord è entrata nelle case degli italiani partendo dalla Lombardia occidentale e dal Veneto, per poi espandersi in tutto il territorio della cosiddetta “Padania”, vale a dire tutta la Pianura padana più altre regioni che non rientrano nel territorio irrorato dal Po (Toscana, Marche, Umbria). Per tre occasioni arrivò alla stanza dei bottoni di palazzo Chigi, esprimendo per ben due volte il Ministro dell’Interno (il numero 2 di un governo dopo il Primo ministro), facendo approvare leggi di sua iniziativa ed eleggere propri rappresentanti al Parlamento europeo.
Se da un lato, la Lega Nord si poneva come un qualcosa di nuovo davanti al vecchiume della politica italiana, al malcostume ed alla corruzione dilagante, dall’altro il partito ha avuto nel tempo momenti di alti e bassi, dovuti soprattutto ad alcune scelte e strategie politiche che hanno diviso l’opinione pubblica (i proclami secessionisti ed i “fucili” dei cittadini padani, la lotta all’immigrazione, il razzismo, l’aver occupato poltrone a scapito dei proclami iniziali), ma che l’hanno posta come un nuovo partito di massa.


Dall’incontro con Bruno Salvadori ai primi manifesti attaccati: Umberto Bossi in action

Deus ex machina del partito, nonché suo forgiatore e creatore, fu Umberto Bossi, varesotto classe 1941. Il momento più importante della sua attività politica, iniziata nei movimenti “di sinistra” verso la fine degli anni ’70 (ha avuto un passato elettorale per il PSI), fu l’incontro che avvenne nel febbraio 1979 con il giornalista e politico valdostano Bruno Salvadori, teorico dell’autonomismo e dell’anticentralismo di Roma ed anima dell’Union Valdotaine sin dal 1965, il partito di riferimento della piccola regione a statuto speciale. Documentatosi sulle sue teorie di Europa culturale ed Europa autodeterminata, sulla storia dell’UV e di un mondo a lui pressoché sconosciuto, in pochi mesi si unisce al suo pensiero riuscendo a creare una rete di piccole entità politiche unite nell’ideale dell’autonomismo e dell’etnofederalismo.
L’incontro con Salvadori presso l’Università di Pavia fu per l’allora trentottenne Bossi un punto di svolta, anche se all’inizio manifestò scetticismo verso le parole dell’esponente dell’Union. Il politico valdostano era nella città di san Siro per parlare di federalismo in vista della prima elezione diretta del Parlamento europeo. Il federalismo era, secondo le sue idee, l’unico strumento necessario per salvare la cultura e l’identità territoriali, nonché per disporre di maggiore autogoverno territoriale.
Nel 1979, proprio in vista delle tornata elettorale si costituì il primo cartello politico comprendente forze autonomiste, che riunì ben diciannove movimenti dalla Liga Veneta, “la madre di tutte le Leghe”, al Movimento della Rinascita Piemontese, (escluse il Partito Popolare Sudtirolese e la Lista di Trieste) guidata dall’Union Valdotaine, “Union Valdotaine – Federalismo Europea Autonomie”, ottenendo solo 166mila voti per lo 0.47%, con Bossi attivo a Varese per diffondere il verbo dell’UV.
Nella primavera 1980 esce per la prima volta il mensile “NordOvest”, fondamentale per la svolta politica di Bossi, foglio che lo vide protagonista con una serie di articoli, ma che lo indebitò a causa del mancato appoggio del partito autonomista valdostano e dalla morte di Salvatori. Il dado però era tratto: chiara era la volontà di dare una voce unica a tutti i movimenti presenti nel Nord Italia. E Bossi aveva tra le mani la possibilità di creare un precedente nella storia della Repubblica italiana.


Dai primi fogli federalisti alla nascita della prima lista regionalista. Nasce la Lega Lombarda, si inizia a fare sul serio. I primi successi elettorali

Purtroppo per Bossi la strada si fece subito in salita: Bruno Salvadori morì in un incidente automobilistico l’8 giugno 1980, forse nel momento più cruciale della volontà di riordinare tutte le istanze degli autonomisti. Ma conscio dei suoi insegnamenti e consigli, Bossi creò il primo nucleo di quella che sarà la Lega Lombarda, la “Lega Autonomista Lombarda”, che ebbe nel periodico “Lombardia autonomista” il suo punto d’incontro teorico e culturale. La paura di Bossi era l’omogeneizzazione della società ed il fatto che i popoli del Nord Italia potessero perdere la loro identità. All’inizio degli anni Ottanta si sviluppa in Bossi un crescente sentimento anti-meridionale, dovuto al fatto che, secondo lui, i mali dell’Italia derivavano dal centralismo romano e dal “carrozzone” del Meridione (sono i fatti del terremoto dell’Irpinia e la sua cattiva gestione, speculazioni e ruberie).
Come già detto, nel marzo 1982, dopo la breve esperienza di “NordOvest”, Umberto Bossi è redattore di un altro foglio che verrà inserito nella rivista “Il federalista”, organo ufficiale del Moviment Arnàssita Piemontésa del biellese Roberto Gremmo, con il nome di “Lombardia autonomista”.
Bossi sarà candidato nel 1983 per la prima volta alle elezioni politiche grazie ad un’alleanza con la “Lista per Trieste”, un partito protofederalista molto forte nella provincia giuliana che si voleva espandere oltre il Friuli Venezia Giulia, ma capace però di ottenere solo una manciata di voti in Lombardia, grazie all’apporto dello stesso Bossi e di Roberto Bernardelli in quattro distinte circoscrizioni lombarde che portarono quasi 8mila voti, ottenendo lo 0.47% in Lombardia, molti voti per una lista con istanze lontane centinaia di chilometri. La Liga Veneta invece ottiene lo 0.3% e portò a Roma due parlamentari, Achille Tramarin alla Camera e Graziano Girardi al Senato. Da quella piccola manciata di voti, il 12 aprile 1984 nacque la Lega Autonomista Lombarda, con lo stesso Bossi segretario, appoggiato dai fraterni amici Giuseppe Leoni, Roberto Maroni, Emilio Sogliaghi, Marino Moroni e da Manuela Marrone, la sua seconda moglie. Il neonato partito si presenterà subito alle elezioni europee di giugno: formerà un cartello elettorale con tutti gli altri movimenti autonomisti del Nord Italia con Bossi capolista, capace di concentrare su di sé oltre 1.600 preferenze, non abbastanza per venire eletto a Strasburgo. La lista si chiamò “Liga Veneta – Unione per l’Europa federalista”, unione tra Lega Lombarda Autonomista, Liga Veneta e Moviment d’Arnàssita Piemontèisa: una sola lista con all’interno tre diverse idee autonomiste, superando quello che fece Salvadori nel 1979.
La tornata elettorale amministrativa del 12 maggio 1985 portò per la prima volta esponenti leghisti a sedersi nelle aule consigliari di Caronno Pertusella (con Roberto Ronchi), Gallarate (con Pierangelo Brivio, cognato di Bossi), a Varese comune (Giuseppe Leoni) e Varese provincia. Sebbene la lista in cui si presentarono fosse quella della Liga Veneta, i primi bossiani entrarono per la prima volta nelle istituzioni locali lombarde.
Proprio il movimento di Gremmo sarà il primo a creare dei grattacapi a Bossi in quanto troppo spontaneista e lontano dagli ideali fondamentali del leader varesotto. Il movimento piemontese si scisse in “Lista Piemont” e “Piemont Autonomista”, federata con la “Lega Lombarda”: Gremmo contro Giuseppe Farassino, detto “Gipo”, cantante dialettale piemontese da sempre vicino alla causa della “sinistra”. Lo chansonnier “vinse” 2.29% a 1.94% contro Gremmo, andando a creare il “Moviment Autonomista Piemontéis”. Gremmo si riciclerà anni dopo con altri movimenti simili al MRP.
Il 21 marzo 1986 nasce la Lega Lombarda, la madre della futura Lega Nord. La Lega Lombarda sarà più democratica e più organizzata al suo interno, anche se lo stesso Bossi ne diventerà da subito l’unico capo indiscusso, portando alla lista elettorale una forte spinta comunicativa ed organizzativa.
Come simbolo del partito venne scelto colui che meglio poteva rappresentare l’anima della nuova formazione politica, un guerriero: Alberto da Giussano, che aveva combattuto nella celebre battaglia di Legnano (29 maggio 1176) contro l’esercito dell’imperatore Federico I Barbarossa, che attaccava le città unite nella Lega Lombarda. Nell’idea di Bossi, Alberto da Giussano era la Lega Nord, il Barbarossa “Roma ladrona”.
Il colpaccio elettorale la Lega Lombarda lo sferrò alle elezioni politiche del 14 giugno 1987: il partito riesce a portare nelle istituzioni politiche romane un senatore ed un deputato. Il caso volle che Bossi fosse eletto in entrambi i rami del Parlamento, ma scegliendo palazzo Madama, lasciando lo scranno di Montecitorio a Giuseppe Leoni. La Lega Lombarda ottenne quasi 137mila voti, il 2.56% su base nazionale ed il 6.7% nella sola circoscrizione Varese-Sondrio-Como. In appena quattro anni il partito aveva aumentato di quindici volte i suoi voti e poté ottenere il suo primo rimborso elettorale, impiegato da Bossi esclusivamente per il finanziamento della sua “creatura”. Bossi si sedette nel gruppo “misto” insieme ai senatori di Union Valdotaine e del Sudtiroler Volks Partei.
Il 18 giugno 1989 si tennero le elezioni per la terza legislatura del Parlamento europeo e la Lega Lombarda riuscì anche ad inviare a Strasburgo Bossi e Francesco Speroni per un complessivo 1,83% di consensi elettorali, di cui 8.2% nella sola Lombardia. Bossi decise di restare a palazzo Madama, e fu sostituito da Luigi Moretti. I due esponenti leghisti erano senza basi politiche alle spalle, essendo il primo un geometra del Comune di Ranica (Bg) e l’altro un tecnico di volo di Busto Arsizio (Va). La Lega Lombarda ottenne l’8.12% in Lombardia e arrivò a prendere voti fino alla Toscana, con lo 0.22%.


Il sogno si avvera: un unico partito per tutti movimenti atomisti, nasce la Lega Nord.

La preventivata fine della Guerra fredda e la possibile caduta del Muro di Berlino slegarono gli italiani dal dover votare per forza la DC contro i comunisti e la Lega Lombarda (che diverrà a breve Lega Nord) si pose come alternativa credibile al tanto contestato “Pentapartito” e l’unica a poter cambiare lo status quo vigente.
Dal 7 al 10 dicembre 1989 si tenne all’hotel Jolly di Milano 2 il primo congresso della Lega Lombarda. Ma ciò che avvenne poco tempo dopo a Pieve Emanuele, sempre nel Milanese, dall’8 al 10 dicembre 1991, presso l’hotel Ripamonti, fu strepitoso: nasceva la Lega Nord, il nuovo partito politico di stampo federal-autonomista composto dalle “madri” Lega Lombarda e Liga Veneta, con l’inclusione del “Piemonte autonomista”, l’”Unione Ligure”, la “Lega Emiliano-Romagnola” e l’”Alleanza Toscana”, dove ogni singola regione diventerà una “Nazione” all’interno della “Repubblica del Nord”. La nuova sede del Partito si spostò da quella iniziale di piazza Massari, nei pressi di viale Zara, a quella di via Arbe, distante poco più di 500 metri.
In base allo statuto, Bossi divenne il Segretario federale (ovvero il segretario del Partito), mentre Franco Rocchetta, leader della Liga Veneta, divenne il Presidente federale (il Presidente del Partito).
Il 1991 fu anche l’anno delle prime uscite di spessore dal movimento: Franco Castellazzi ed Antonio Magri. Il primo, capogruppo leghista al Consiglio regionale lombardo, per accordi sottobanco con i socialisti ed i comunisti per le nomine nei CdA dell’ente, mentre il secondo per insanabili divergenze con Bossi, non solo di stampo politico.


Il primo raduno di Pontida, il colpaccio elettorale del 1992: nasce il “fenomeno Lega Nord”. Il cappio di Orsenigo. Milano capitale leghista.

I primi anni Novanta possono essere definiti sia gli anni di crisi della politica nazionale sia gli “anni ruggenti” della Lega Nord. Ciò che avvenne nel pomeriggio del 17 febbraio 1992 nell’ufficio del direttore del “Pio Albergo Trivulzio” di Milano, l’ingegner Mario Chiesa, da sette anni a capo del celebre ospizio milanese, segnerà per sempre il partito: nasceva la stagione di Tangentopoli e del pool di Mani Pulite con a capo Francesco Saverio Borrelli ed il PM Antonio di Pietro. Gli italiani, in quei mesi, assistettero non solo al crollo dei partiti più votati, e più volte al governo nella storia della Repubblica, ma videro traditi i loro voti.
La tornata elettorale amministrativa del 6 e 7 maggio 1990 vide la Lega al 4.1% nazionale ed al 18.9% in Lombardia, dietro alla Democrazia Cristiana e davanti al Partito Comunista.
Il 1990 è stato anche l’anno dell’evento che farà la storia del partito: il raduno sul prato di Pontida, una cittadina della Bergamasca, il 20 maggio. La scelta non fu casuale: proprio in quel paesino, nei pressi di un’abbazia, sul “prato” giurarono il 7 aprile 1167 le città della Lega lombarda contro il Barbarossa. Di conseguenza, ogni anno (salvo nel 2004 e nel 2006) tutti i militanti leghisti si ritrovano per giurare fedeltà al partito ed all’Idea.
Il partito incomincia a farsi un po’ di nemici politici: in primis l’allora Capo dello Stato, il democristiano Francesco Cossiga, che accusa il leghismo di voler stravolgere la Costituzione e di porsi solo come un voto di protesta e di aleatorio. Commenti sferzanti arrivano anche dalla Chiesa, che accusa Bossi ed i suoi adepti di “qualunquismo” e di “violenze verbali”. Il partito, per bocca dei più autorevoli politologi, è invece più vicino alla gente e più distante dai “palazzi” e non sembra marcio come gli altri partiti. Da questo momento (ed il 1992 è l’anno clou) partirono le invettive contro il Meridione ed il Tricolore. Si fece più forte la volontà di spaccare il Paese in tre identità complementari ma indipendenti e staccarsi da “Roma ladrona”.
Volevano rendere l’Italia un Paese federale, esportando il pensiero e la cultura lombarda oltre i suoi confini regionali e tenere le tasse al Nord: la Lega Nord ha sempre usato tematiche di carattere “esclusivo” per portare avanti battaglie per l’uso del dialetto, per la secessione (che “nascerà” nel 1995), per la rivendicazione dell’autodeterminazione delle Regioni.
Il 5 aprile 1992 si svolsero le elezioni politiche per la XI legislatura: ci fu il crollo del partito di riferimento dell’allora Pentapartito, la Democrazia Cristiana scesa al 29.6% alla Camera ed al 27% al Senato (minimi storici). Dall’altra parte il successo del piccolo movimento di Bossi, che ottenne 55 deputati (8,65%) e 25 senatori (8,20%), diventando il quarto partito più votato d’Italia formato da candidati presentati solo nelle regioni della Pianura padana e primo partito in Piemonte (20.01%). Marco Formentini divenne Capogruppo alla Camera e Francesco Speroni al Senato. Ad una Lega Nord vincitrice, si opponevano le sconfitte di Arnaldo Forlani, allora segretario della DC, Bettino Craxi , omonimo del PSI, ed il neonato PDS, partito nato 12 novembre 1989 dalle ceneri del PCI.
Il fulcro del successo elettorale leghista non fu solo Tangentopoli, ma anche un’accurata campagna elettorale trainata dall’effetto novità che il movimento creava nel Paese, con forti oppositori. Già nel 1987 si disse che Bossi fosse fortunato ad aver ottenuto così tanto successo, ma i suoi detrattori non capirono che il successo leghista derivava proprio dalle mancate promesse dei partiti politici di allora: il partito si poneva come baluardo di correttezza e rispetto del voto elettorale.
Un altro successo leghista è rappresentato dall’imbrattamento dei muri, azione già iniziata nel 1988, con scritte inneggianti al partito, che le permise una forte visibilità.
La Lega è da subito battagliera: il 6 marzo fu ammesso il “colpo di spugna Conso”, con la depenalizzazione del reato di finanziamento illecito, anche se il Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro non lo firmò. Il celebre momento che ha rappresentato la forza e la frivolezza leghista, quando il deputato comasco Luca Orsenigo, il 16 marzo 1993, esibì un cappio durante una “calda” seduta alla Camera per manifestare il dissenso leghista contro l’operato dei politici corrotti che avevano rovinato il Paese e strozzato l’economia nazionale.
Il 18 e il 19 aprile 1993 si tenne un’importante consultazione referendaria, con la massiccia predominanza del “Si” (90%) per abolire il finanziamento pubblico ai partiti: gli italiani si erano stufati di finanziare una classe politica corrotta ed inadeguata, tanto che alcuni esponenti del MSI vollero proporre di abolire l’immunità parlamentare. Il governo Amato si dimise e gli successe per la prima volta un politico assente dai rami del Parlamento: l’ex Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi.
Il momento forse più alto della storia leghista è rappresentato dall’elezione del sindaco di Milano il 20 giugno 1993, la prima con l’elezione diretta del Primo cittadino a livello nazionale. Milano era importante perché era la città di Craxi e dei socialisti, insieme ai democristiani nemici giurati di Bossi e soci. Al ballottaggio si sfidarono proprio le due novità politiche di allora, la Lega Nord e La Rete, due partiti che avevano cancellato DC e PSI, egemoni nella città meneghina, e che si sfidavano per la poltrona principale di palazzo Marino. A contendersi la vittoria furono il capogruppo della Lega Nord alla Camera, Marco Formentoni, e Nando dalla Chiesa, docente universitario figlio dell’ex prefetto di Palermo ucciso dalla Mafia. Vincerà il capogruppo leghista alla Camera con oltre il 57% dei consensi: dopo ventisei anni la città meneghina cambiava “colore politico”. A Formentini subentrò Roberto Maroni come leader dei deputati leghisti.
La vittoria milanese è da unirsi ad altre vittorie di candidati sindaci leghisti nel Nord Italia (Novara, Vercelli, Lecco, Pavia, Pordenone). A Varese divenne sindaco Raimondo Fassa, con la Lega al 37%. Fassa sarà il primo di una serie di sindaci leghisti, ponendo la città capoluogo della Lombardia occidentale un vero e proprio feudo leghista.


La tangente Enimont ed il pensiero di andare al Governo

Nonostante questi successi, il partito, che si poneva come “forcaiolo” contro i politici corrotti, venne lambito dall’inchiesta di Mani Pulite: il 29 novembre 1993 fu accertato che il movimento prese una tangente “Enimont” da oltre 200milioni di lire da parte di Carlo Sama in favore di Alessandro Patelli, segretario organizzativo del Partito e consigliere regionale lombardo, che sarà arrestato il 7 dicembre.
Il 1993 vide anche l’ultimo trasloco della sede della Lega Nord, al civico 41 di via Bellerio. Alla seconda tranche di elezioni amministrative del 21 novembre la Lega Nord si confermò, ma non sfondò come sperato, anche se ottenne in tutto 130 sindaci (due capoluoghi Alessandria e Lodi), 1 Presidente di Provincia (Massimo Ferrario a Varese) ed un totale di oltre 2.800 consiglieri. Il biennio d’oro 1992-1993 si chiuse con l’avvicinamento con la persona che per quasi vent’anni ha legato il suo nome politico con il movimento di Bossi, Silvio Berlusconi. L’imprenditore milanese in un’intervista disse che al ballottaggio per la poltrona di sindaco di Roma tra l’esponente “di sinistra” Francesco Rutelli ed il missino Gianfranco Fini, avrebbe votato senza ombra di dubbio per quest’ultimo.
Questo gesto è stato inteso come lo sdoganamento del Movimento Sociale Italiano da partito antisistema a partito “presentabile” grazie ad una possibile entrata in politica di Berlusconi, in vista delle elezioni legislative del marzo 1994.
Silvio Berlusconi decise di “scendere in campo” il 26 gennaio 1994 con un discorso televisivo in cui spiegava la nascita di un nuovo interlocutore politico da lui fondato, Forza Italia. Politicamente erano agli antipodi, l’uno “one self made man” e frequentatore dei salotti, l’altro sobrio e più lontano dall’intellighentia, ma il Presidente di Fininvest aveva intuito l’importanza dei voti del Nord. Anzi, la Lega Nord degli inizi non aveva nessuno spazio televisivo, in quanto la RAI era lottizzata, i giornali le dedicavano piccoli spazi.


Nasce il Polo delle Libertà: la Lega Nord a Palazzo Chigi (marzo 1994 - dicembre 1994)

Davanti ad un parlamento con al proprio interno molte persone indagate, le elezioni legislative anticipate erano necessarie.
L’alleanza con Berlusconi ed il MSI-Alleanza Nazionale venne decisa al II congresso leghista a Bologna (4 – 6 febbraio 1994), diviso tra chi voleva presentarsi da soli all’appuntamento elettorale e chi invece alleandosi per la prima volta. In appena undici giorni di vita, Forza Italia era già data al 26% nei sondaggi e Bossi capì che solo il Cavaliere avrebbe portato la Lega al governo.
Le elezioni del 27 e 28 marzo 1994 furono le prime con il nuovo sistema elettorale che andava a sostituire il vecchio sistema proporzionale: un sistema elettorale che permetteva il 75% dei deputati con il maggioritario a turno unico e il restante 25% con il proporzionale. Il nuovo sistema elettorale, chiamato “Mattarellum” dal nome del suo creatore, il deputato democristiano Sergio Mattarella, prevedeva la presenza di coalizioni di partiti: a destra nacquero due coalizioni gemelle, il “Polo della Libertà” al Nord e “Polo del Buon governo” al Sud, a sinistra l’”Alleanza dei Progressisti”, guidata da Achille Occhetto e composta dal Partito dei Democratici di Sinistra insieme al Partito della Rifondazione Comunista e altre forze tra cui La Rete, al centro il “Patto per l’Italia”, capitanato da Mario Segni composto da popolari, repubblicani e liberaldemocratici. Visto il nuovo metodo di voto ed i nuovi partiti presenti, il 1994 è stato l’anno d’inizio della Seconda repubblica.
La vittoria andò a Silvio Berlusconi e al suo “Polo”: in neanche tre mesi il Presidente del Milan creò dal nulla un partito ed andò a palazzo Chigi. La Lega Nord ottenne 56 senatori e 117 deputati, quasi tutti eletti nei singoli collegi uninominali. A Bergamo la Lega Nord prese il 21% e Varese fece l’en plein mandando 9 leghisti sui 9 collegi totali della Provincia. Bossi venne eletto nel collegio Milano I con il 48.3% dei consensi. I capigruppo furono Pierluigi Petrini alla Camera dei Deputati e Francesco Tabladini a palazzo Madama. Lega Nord e Forza Italia furono le vincitrici delle elezioni, ponendosi come discontinuità con il passato.
Roberto Maroni divenne vice Premier e Ministro dell’Interno, Giancarlo Pagliarini andò al Bilancio, Domenico Comino alle Politiche comunitarie, Vito Gnutti all’Industria e Francesco Speroni alle Riforme istituzionali, insieme a 10 Sottosegretari di Stato, tra cui il deputato torinese Mario Borghezio alla Giustizia.
Ciliegina sulla torta, Irene Pivetti venne eletta Presidente della Camera il 16 aprile, seconda donna a ricoprire l’incarico (dopo la comunista Nilde Iotti) e la più giovane della storia della Repubblica a ricoprire la carica. Umberto Bossi eletto alla Camera non ebbe ruoli istituzionali. Il primo approccio dei ministri e degli esponenti leghisti nelle “stanze dei bottoni” fu traumatico, in quanto conobbero la difficile burocrazia romana dei ministeri, con a disposizione numerosi segretari, anche se Speroni all’inizio non ebbe neanche un vero ufficio.
Ottimo successo leghista anche alle elezioni europee del 12 giugno successivo, che portò a Strasburgo sei eurodeputati (triplicati in cinque anni) con un lusinghiero 6.56%, solo nelle circoscrizioni “Nord-Ovest” e “Nord-Est” in una tornata elettorale dove era presente totalmente il sistema proporzionale.
Fra i leghisti ed il governo però non ci fu mai vero feeling: il 13 luglio il governo promulgò il “decreto Biondi” (dal nome dell’allora Guardasigilli, Alfredo Biondi), detto anche “salva-ladri” perché vietava la custodia cautelare nei confronti di diversi reati, tra cui quello di corruzione e bancarotta fraudolenta. Maroni si oppose, ma comunque il Governo non riuscì ad approvarlo.
Il partito del Cavaliere, secondo i vertici leghisti, in quei mesi tolse diversi voti ai bossiani. In particolare Bossi temeva l’MSI-Alleanza Nazionale, l’opposto della Lega, in quanto vicina alla causa dell’Italia meridionale, poiché la Lega non voleva che il governo si sbilanciasse troppo verso gli interessi del Sud.
Il “Berlusconi I” rimase in carica solo fino al mese di dicembre e la sua caduta fu causata dal mancato appoggio proprio della Lega Nord, rea di aver tradito i patti, mentre proprio i leghisti accusarono Berlusconi di non averli rispettati lui, soprattutto sul delicato tema delle pensioni e sul “decreto Biondi”. Il 21 dicembre Bossi staccò la spina al governo, dopo l’approvazione della legge finanziaria. Tra Bossi ed il leader di Forza Italia volarono i cosiddetti “stracci” e Berlusconi dirà che con Bossi non si sarebbe più seduto ad un tavolo, neanche per prendere un caffè. Gli succederà il primo governo “tecnico” della storia italiana presieduto dall’ex Governatore della Banca d’Italia, Lamberto Dini, entrato in carica il 25 gennaio. Con l’appoggio proprio della Lega Nord, ma non del Polo.


Dal “ribaltone” al 15 settembre 1996: l’avvicinamento a sinistra e la sferzata secessionista.

Sebbene il 1994 vide la salita al colle del Quirinale del “Polo” per giurare fedeltà alla Costituzione, fu anche l’annus orribilis visto che tra maggio e l’inizio del 1995 diversi leghisti decisero di abbandonare il partito a causa della deriva che stava prendendo Bossi sulla secessione e sul mancato rispetto degli accordi sul federalismo.
Tra gli addii più crudi quelli di Gianfranco Miglio, ideologo del partito, ed un fedelissimo di Bossi, Luigi Negri, capo dei leghisti lumbard.
Con la fiducia al governo Dini, la Lega inizia a ricevere il primo invito ad entrare a far parte di una possibile coalizione con le forze di centro-sinistra. Il primo avvicinamento si ebbe l’ultimo giorno del II° congresso federale, l’11 febbraio 1995, cui furono invitati Massimo d’Alema, segretario del Partito dei Democratici di Sinistra, e Rocco Buttiglione, segretario del Partito Popolare Italiano.
L’esponente pidiessino disse di far parte di una sinistra moderna, non totalizzante, vicina alla causa federalista e voleva la Lega Nord nella nascente coalizione, considerandolo “il maggior partito operaio del Nord” nonché una “costola della sinistra”.
Nelle elezioni regionali della 23 aprile 1995 la Lega dà l’appoggio esterno al “Polo”, soprattutto per la candidatura di Roberto Formigoni in Lombardia, che vincerà. Su base nazionale ottenne il 6.5%, con il 14% in Lombardia, il 16.5% in Veneto ed il 9% in Piemonte.
Il 21 aprile 1996, invece, si tennero le elezioni legislative che videro la vittoria della coalizione di centrosinistra, “l’Ulivo”, guidata da Romano Prodi. La Lega Nord si presentò slegata dalle coalizioni, da sola: paradossalmente prese più voti al proporzionale e meno seggi al maggioritario rispetto al precedente turno elettorale, con il 10,07%, conquistando in totale 87 parlamentari, ottenendo 4 punti percentuali in più rispetto alle Europee del 1994 e ne uscì più forte politicamente rispetto a quando si presentò “in solitaria” nel 1992. In Lombardia fece il pieno con il 23% regionale. La Lega, nella cosiddetta “Padania”, prese anche i voti dei delusi di Forza Italia e del centrodestra. Un mese dopo il partito cambiò nome: nasce nei banchi parlamentari la “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”. “Padania”. Una parola tanto cara al lessico leghista, insieme a “secessione”.
A partire dal 1995 la Lega accantona il suo ideale federalista per abbracciare la politica della secessione, ovvero rendere indipendente da Roma la “Padania”, il territorio del Nord Italia bagnato dal fiume Po (leghisticamente chiamato “dio Po”) che doveva staccarsi dal resto della Penisola ed essere governata da sola. La parola “secessione” viene pronunciata per la prima volta da Bossi proprio il 21 dicembre 1995, un anno dopo il “ribaltone”, durante il voto per la finanziaria.
Il clou ci fu nel 1996, quando il 15 settembre venne inaugurata la “festa dei popoli padani”, una manifestazione iniziata due giorni prima da Pian del Re, nel Cuneese, dove nasce il fiume Po: in un’ampolla venne messa l’acqua della sorgente, “liberata” a Venezia, presso la Riva degli Schiavoni. Vennero adottate la bandiera e l’inno della Padania: la bandiera a sfondo bianco con al centro il “sole delle Alpi”, un fiore a sei punte dentro ad un cerchio, tutto di colore verde (il colore ufficiale del partito).
L’inno scelto era il “Va’ pensiero”, parte dell’opera di Giuseppe Verdi “Nabucco”. Si delineò così quello che è stato definito l’“indipendentismo padano”, che ebbe radici nel pensiero di Gianfranco Miglio, ideologo del Partito.
La svolta secessionista divenne decisiva nel 1997: a Bagnolo San Vito, nel Mantovano, quando venne istituito il “Parlamento del Nord”, un’istituzione politica in cui, in una tornata elettorale solo leghista avvenuta il 26 ottobre, i padani poterono votare per eleggere i primi “deputati del Nord” in migliaia di gazebo-cabine elettorali.
Ovviamente tutto questo non venne riconosciuto da Roma, ma per la prima volta veniva creato un parlamento parallelo formato da veri e propri “partiti”, tutti di matrice leghista, con un proprio ideale (dai Cattolici padani ai Comunisti padani, ai liberali). Il Parlamento del Nord si componeva di 229 “deputati”, ovvero 69 deputati, 35 senatori, 28 consiglieri di Provincia, 90 sindaci e 7 Presidenti di Provincia.
L’idea nacque il 7 giugno 1995. Il centrodestra si oppose all’idea del Parlamento del Nord, mentre il centrosinistra non si espresse mai in maniera negativa, ma neanche positiva. Dopo le elezioni, venne nominato Presidente Formentini, il più votato tra tutti i candidati ed esponente dei “Democratici europei”.
Tra l’agosto ed il settembre 1996 la magistratura si mosse contro la presunta svolta secessionista, indagando sulla “Guardia Nazionale Padana”, il servizio d’ordine partito. Il Pubblico ministero veronese Papalia volle vederci chiaro e capire se fossero colpevoli di essere una polizia segreta ed un movimento eversivo. Il 18 settembre, tre giorni dopo la festa veneziana, la procura veronese fece sul serio, perquisendo la casa del leader delle “Guardie”, l’onorevole Corinto Marchini, e di altri esponenti veneti: la magistratura suppose di trovare nella sede milanese del partito i documenti necessari per incastrare il servizio d’ordine leghista. Dopo una mattina di tensione tra i leghisti e la polizia, nel pomeriggio la polizia fece irruzione ed i militanti leghisti, guidati da Bossi e Maroni, si opposero fermamente all’azione. Gli “scontri di via Bellerio” causeranno diversi contusi, tra cui gli stessi Bossi e Maroni, che avranno l’appoggio morale di tutti i partiti presenti in Parlamento, in quanto ritenevano che le forze dell’ordine avessero oggettivamente esagerato.


La “padanizzazione”, le elezioni europee del ’99 ed il nuovo avvicinamento a Berlusconi.

Nel 1997, nella nuova tornata elettorale amministrativa ufficiale, la Lega perde quasi tutti i sindaci conquistati quattro anni prima, tra cui Milano e Novara.
Quell’anno fu definito di “padanizzazione”, poiché il partito creò una propria televisione di riferimento, TelePadania (il 12 ottobre 1998), una radio, Radio Padania Libera (il 16 maggio 1997) ed un quotidiano, La Padania (l’8 gennaio 1997, che non usciva di lunedì), tutti con sede presso la sede del Partito, in via Bellerio. Inoltre da quel momento tutti gli amministratori locali ed i politici leghisti avrebbero dovuto mettere nel taschino della giacca un fazzoletto verde, il colore leghista.
Le elezioni europee del 13 giugno 1999 videro la Lega tenere con il 4.5%, ma gli eurodeputati passarono a 4: vennero eletti Umberto Bossi, Francesco Speroni, Gian Paolo Gobbo e Marco Formentini, che uscirà poco dopo dal gruppo euro-parlamentare dei “Non iscritti” e dal partito. Sarà proprio il 1999 l’anno della rinascita leghista: Bossi depone l’ascia di guerra perché sa che se vuole tornare al governo deve moderare i toni ed il linguaggio, pur sapendo di ottenere così meno voti. Come se non bastasse la Lega “vince” il referendum del 18 aprile 1999, dove i cittadini dovettero decidere se cancellare o meno il residuale 25% proporzionale spingendo verso un totale bipartitismo. Il referendum non raggiunse il quorum. Questo episodio, insieme all’elezione di Carlo Azeglio Ciampi a Presidente della Repubblica, sancisce la rottura di Bossi con il centrosinistra.
La Lega Nord si riavvicina ancora a Berlusconi: stava per nascere la “Casa delle Libertà”, la nuova coalizione di centrodestra. Non a caso Bossi inizierà a parlare di “Padania sede degli interessi del Nord”, non parlando di staccarla dal resto della Penisola, usando quindi toni più morbidi. Fra gli addii più dolorosi si contarono quelli di quattro pezzi da novanta: l’ex Presidente della Camera Irene Pivetti, gli ex Ministri Gnutti e Comino ed il leader dei leghisti veneti, Francesco Comencini: se i primi tre hanno cercarono di riciclarsi in nuove avventure partitiche (la Pivetti con Italia federale, Gnutti e Comino con gli Autonomisti Per l’Euroa), Comencini nel 2000 fondò prima la Liga Veneta Repubblica e successivamente la Liga Fronte Veneto, che tolse numerosi voti al partito di Bossi nel 2001 non ottenendo nessun seggio alle Camere, ma raggiungendo il 5% regionale ed il 2.5% nazionale.


L’esperienza bancaria leghista: la banca CredieuroNord

Il 20 novembre 1999 inizia l’avventura della Lega Nord nel mondo degli istituti di credito quando la Banca d’Italia da il via libera alla nascita della prima banca “padana”, che avrebbe dovuto tutelare gli interessi, ed i risparmi, dei leghisti. Il 21 febbraio 2000 nasce CrediteuroNord, primo Presidente fu Francesco Arnucci, già nel board di Banca Intesa, mentre come vice- fu designato Gianmario Galimberti, un leghista doc. Lo scopo era quello di creare un asse privilegiato in maniera tale che famiglie e piccole-medie imprese potessero tenere i soldi “a casa loro”.
Sebbene non sia mai stata dichiarata leghista in toto, alcuni leghisti facevano parte del CdA, organo che si esporrà nel 2001 quando, in vista delle elezioni politiche, gli amministratori inviarono ai soci una lettera in cui si chiedeva di dare il voto elettorale ad un socio dell’istituto che si prestava a candidarsi, Roberto Calderoli, sempre stato vicino alla causa della banca.
Proprio quell’anno l’istituto entrò in crisi e nel 2003, in seguito ad un accertamento della Banca d’Italia, i vertici si dimisero a causa del dissesto finanziario per alcune strategie e scelte errate, tanto che la Lega dovette vendere alcuni immobili per pagare le penali.
L’11 novembre 2008 la banca fu stata messa in liquidità ed i suoi vertici furono costretti a pagare oltre 3 milioni di debiti.


Aprile 2001: la vittoria della Casa delle Libertà e la “Lega di lotta e di Governo”. La “Bossi-Fini” e la malattia del Capo.

Le elezioni regionali del 16 aprile 2000 videro la netta vittoria del centrodestra, questa volta anche grazie al partito di Bossi, decisivo in tutte le regioni in cui si presentò in coalizione con Berlusconi. In Lombardia, Piemonte e Veneto diventano Presidenti del Consiglio regionale esponenti della Lega Nord (Attilio Fontana, Roberto Cota, Enrico Cavaliere). Vista la debacle regionale, d’Alema si dimetterà da Primo ministro venendo sostituito da Giuliano Amato, alla sua seconda esperienza governativa.
La vittoria nelle elezioni regionali del 2000 sancì la credibilità politica della “Casa delle Libertà”: il 13 maggio 2001 Silvio Berlusconi vinse per la seconda volta le elezioni e diventava Capo del Governo.
La Lega ne uscì un po’ ridimensionata, ottenendo uno scarso 17% in Lombardia (nel 1996 ottenne il 35%); a livello nazionale andò ancora peggio, ottenendo uno striminzito 3.9% che non le permise di poter eleggere parlamentari al proporzionale, ma solo 47 al maggioritario. Berlusconi interpretò quella tornata elettorale con un doppio significato, un voto in suo favore ed un voto in suo sfavore, a scapito proprio della Lega Nord. Roberto Calderoni viene eletto vicePresidente del Senato ed al governo andarono Roberto Maroni al Welfare, Roberto Castelli alla Giustizia ma soprattutto diventa Ministro alle Riforme istituzionali ed alla Devolution il Senatur: Umberto Bossi diventa per la prima volta Ministro della Repubblica italiana. Dopo le elezioni politiche Bossi si dimetterà da europarlamentare, subentandogli Mario Borghezio, deus ex machina del pensiero secessionista-indipendentista insieme al trentino Erminio Boso.
Con il nuovo esecutivo berlusconiano, gli italiani conosceranno un termine inglese prima di allora sconosciuto, la devolution, la devoluzione dei poteri da Stato a Regione., il vero motivo del ritorno di Bossi con Berlusconi insieme ad una legge concreta in merito all’integrazione.
Il 7 ottobre 2001 gli italiani andarono a votare per il referendum sull’abrogazione del titolo V della Costituzione promosso dal precedente governo Amato (vedere che tipo di referendum fosse).
Nasce in questo periodo lo slogan (apparso in tutti i manifesti elettorali) “Lega di lotta , Lega di governo”, per manifestare la volontà del partito di essere la Lega che lotterà per i suoi ideali e che non si appiattirà al governo, ma che anzi userà il governo proprio per poter raggiungere tutti i suoi obiettivi.
Il 26 agosto 2002 venne approvata la legge per regolamentare l’immigrazione clandestina, istituendola come reato (dai sei mesi ai quattro anni di carcere), legge ritenuta incostituzionale, repressiva ed immorale dall’opposizione. Questa legge è conosciuta come “legge Bossi-Fini”, dal nome dei due politici che spinsero per la sua creazione.
Tra il 2002 ed il 2005 si assiste ad un antiberlusconismo dilagante, nel senso che in tutte le tornate elettorali che si svolsero in quel lasso di tempo si susseguirono una serie di sconfitte elettorali inanellate dalla “Casa delle Libertà”: la Lega riuscì ad eleggere (e rieleggere) sindaci nelle città dove aveva un proprio zoccolo duro come Varese, il Comasco e la Brianza. Un motivo delle sconfitte della CdL fu dovuto in parte al partito di Bossi, poiché in alcuni comuni si presentò da solo ed ai ballottaggi, nonostante l’appoggio, prevalsero sempre gli avversari del centrosinistra. Come se non bastasse, l’11 marzo 2004 i militanti leghisti rimasero con il fiato sospeso: Umberto Bossi viene colto da un ictus nella sua casa di Gemonio, paese poco distante dal lago Maggiore varesino. Si temette il peggio per la sua vita, ma fortunatamente ne uscì solo debilitato fisicamente. Si ritirò momentaneamente dalla scena politica, salvo candidarsi come capolista per le elezioni europee del giugno successivo, risultando eletto ma lasciando la carica di ministro, che sarà affidata a Roberto Calderoni.


Il referendum sulla devolution 2006, il nuovo governo Berlusconi ed il trionfo nelle Regionali 2010.

Per le elezioni politiche del 2006 la Lega si allea ancora con Berlusconi all’interno della “Casa delle Libertà”, questa volta con un alleato in più, il Movimento Per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, politico siciliano ex Presidente della Provincia di Catania ed eurodeputato di provenienza democristiana.
Questo partito, meridionalista, era in linea con la Lega per quanto concerneva autonomismo regionale, mettendo le politiche in favore del Mezzogiorno in primis auspicando una collaborazione-cooperazione tra Nord e Sud, ma si distanziava da Bossi e soci per quanto riguardava il federalismo fiscale, in quanto questo avrebbe penalizzato le regioni meridionali in favore di quelle settentrionali.
La Casa delle Libertà perse le elezioni in favore dell’”Unione” di Romano Prodi che tornava dopo otto anni a palazzo Chigi. A Roma la Lega mandò 23 deputati e 13 senatori, ottenendo il 4.58% totale.
Il successivo 25 e 26 giugno 2006 gli italiani furono chiamati ancora una volta alle urne per votare un nuovo referendum, quello “costituzionale” sulla devolution: l’iter partì il 25 marzo 2004, ma avendo fatto passare il tema a maggioranza semplice, si decise di indire, appunto, un referendum di tipo costituzionale, il secondo della storia repubblicana. Alle urne si recò oltre il 50% più 1 richiesto per il quorum (52,6%), ma vinse il “no” con il 61% e la proposta della devoluzione venne bocciata. Solo in Lombardia e Veneto vinsero i “si”, nelle terre leghiste dure e pure. Il Paese aveva paura della devoluzione, aveva paura di avere 20 sistemi sanitari, scolastici e di polizia locale diversi, con il Nord più favorito rispetto al Sud.
Il “Prodi II” rimase in carica solo due anni e gli italiani si recarono ancora una volta alle urne il 13 e 14 aprile 2008 per decidere la composizione del Parlamento: il clima di antipolitica che si stava sviluppando in quel momento in Italia ed il decadimento della politica incominciava a concretizzarsi proprio in quei mesi.
La sfida elettorale fu tra Walter Veltroni, uscito vincitore dalle primarie del Partito democratico, il nuovo partito riformatore di sinistra, e, per la quinta volta, Silvio Berlusconi. Nel frattempo era nato il Popolo delle Libertà, la nuova formazione politica creata dall’ex Premier che nasceva dall’unione di Forza Italia ed Alleanza Nazionale, con la Lega alleata, che ottenne risultati quasi inattesi: l’8,29% alla Camera ed 8% al Senato, eleggendo, grazie alla nuova legge elettorale, detta “Porcellum”, 60 deputati e 26 senatori. Questa nuova, e contestata legge elettorale, fu stata redatta da un esponente di spicco della Lega, Roberto Calderoli.
Con Berlusconi ancora una volta Premier entrano nell’esecutivo Roberto Maroni agli Interni (come nel ’94), Roberto Calderoli alla Semplificazione amministrativa, Umberto Bossi alle Riforme e Luca Zaia all’Agricoltura. Rosy Mauro, leader del Sindacato Padano (il Sin.Pa.) viene eletta vicePresidente del Senato. Il Partito riuscì ad ottenere diversi Sottosegretari e viceMinistri. Il programma elettorale della Lega Nord per le elezioni della XVI legislatura si incentrò sulla lotta all’immigrazione clandestina, affiggendo numerosi manifesti raffiguranti un indiano e la battaglia contro la criminalità tramite la tolleranza zero. Per la prima volta entrava al Senato la pasionaria leghista di Lampedusa, Angela Maraventano, vicesindaco oltranzista dell’isola nel Mediterraneo.
La Maraventano fu eletta in Emilia Romagna, regione con ben quattro deputati e due senatori leghisti, mentre Toscana e Marche rispettivamente 1 onorevole ed 1 senatore: record per Bossi e soci. In totale la Lega ottenne 60 deputati e 25 senatori.
Per la Lega Nord il biennio 2008-2010 è stato molto positivo politicamente: il boom alle Europee del giugno 2009 portò a Strasburgo addirittura nove eurodeputati, tra cui il primo dalla Regione Toscana, frutto di un 10,21% nazionale ed un 28% solo in Veneto, che porta la Liga Veneta ad essere il più votato in Regione e la Lega Lombarda al 20% in Lombardia, di poco il secondo partito. Nel 2010, due esponenti leghisti diventano Governatori di Regione: il novarese Roberto Cota ed il trevigiano Luca Zaia ottengono le poltrone più alte di Piemonte e Veneto, le uniche con leghisti candidati alla Presidenza: per il centrodestra è una riconferma elettorale, in quanto il Veneto era già del centrodestra con Giancarlo Galan, mentre per il leader della Lega Nord Piemont fu un successo più forte, riuscendo a strappare palazzo Lascaris, sede dell’istituzione, al centrosinistra guidato dal Presidente uscente Mercedes Bresso.
In Lombardia, Formigoni diventa ancora Presidente e la Lega si “prende” la vicePresidenza con Andrea Gibelli e la Presidenza del Consiglio regionale con il mantovano Davide Boni, già Capogruppo ed Assessore nelle passate legislature regionali.
La Lega su base nazionale (13 regioni al voto) prese il 12% ed il 19,7% nelle otto Regioni in cui si era presentata, mentre in Lombardia e Veneto prese il 20 e il 35%. Chiaro che il voto leghista fu frutto di diversi voti provenienti dal ceto operaio, di “sinistra” e di alcuni delle altre forze di centrodestra. Ma il peggio è dietro l’angolo.


Caduta del Berlusconi IV e la crisi del partito del 2012.

Nell’arco di due anni tutti gli sforzi leghisti di poter governare fino al termine della legislatura sono stati letteralmente gettati alle ortiche a causa dello stesso Berlusconi e di una resa dei conti all’interno della Lega. Berlusconi si dimette per il protrarsi della crisi economica, la “vicenda Cosentino”, l’addio di Fini al Pdl con la creazione di “Futuro e Libertà per l’Italia” e gli scandali delle “serate” di Arcore. All’interno del partito bossiano un altro uno scandalo colpisce il movimento a causa di un appropriazione indebita di finanziamenti pubblici, attuata dai vertici del partito, dal tesoriere Francesco Belsito, alla vicePresidente del Senato Rosy Mauro, allo stesso Bossi e suo figlio Renzo, consigliere regionale in Lombardia. Tutti gli indagati si dimettono e vengono espulsi dal partito, tranne Bossi sr.
L’8 novembre 2011 Berlusconi si dimette e l’incarico di formare un governo “tecnico” (era impossibile sciogliere le Camere) viene assegnato a Mario Monti, già Commissario europeo e uomo di spessore internazionale. Monti ottiene la fiducia, ma la Lega è l’unico partito a non votarla (come fece con il governo Dini nel 1995) e si “accomoda” tra i banchi dell’opposizione.
Le elezioni amministrative della primavera 2012 vedono il tracollo del Popolo delle Libertà, ma soprattutto quello della Lega Nord. Il risultato più inatteso è la sconfitta per Letizia Moratti, sindaco uscente di Milano, contro Giuliano Pisapia, esponente del centrosinistra: dopo diciassette anni la città di sant’Ambrogio passava ad un’amministrazione di sinistra. La Lega perde anche il sindaco di Monza, sede dei dicasteri delocalizzati voluti dal Governo. Il partito perse molti voti ovunque si è presentato: sintomatico il fatto che Attilio Fontana, sindaco uscente di Varese, vinse solamente al ballottaggio, in una città che dal 1993 esprimeva sindaci leghisti/di centrodestra al primo turno con percentuali molto alte. Il 5 aprile 2012 dopo quasi ventitre anni Bossi rassegnò seriamente le dimissioni da Segretario federale ed al suo posto venne nominato il triumvirato Maroni-dal Lago-Calderoli che avrebbe dovuto traghettare il partito al congresso di fine giugno: il 1° luglio viene eletto Segretario federale Roberto Maroni.
Per arrivare al congresso furono sostituiti tutti i vertici “regionali” del partito, tutti di fede bossiana per far spazio ai maroniani (Matteo Salvini in Lombardia al posto di Giancarlo Giorgetti, leader dei lumbard dal 2002, Flavio Tosi in Veneto vinse contro Massimo Bitonci).


L’uomo politico della Lega: Gianfranco Miglio

Quando si parla di Lega Nord subito si pensa al suo massimo esponente dal punto di vista ideologico, il professor Gianfranco Miglio.
Docente universitario di fama ed autore vicino al pensiero di Max Weber e Carl Schmidt, a lui si deve la svolta federalista tout court del partito, esponendo il suo pensiero parlando per la prima volta di una suddivisione del Paese in tre macroaree politico-economico-sociali diverse. La sua idea di Italia divisa in macroregioni (Padania, Etruria, Mediterranea) sarebbe stata governata da un direttorio costituito da un governatore di ogni regione (comprese le “a statuto speciale”) ed un Presidente federale eletto da tutti i cittadini.
Nel 1969 Miglio pubblicò “Contraddizioni dello Stato unitario”, dove focalizzò gli effetti devastanti causati dall’unità d’Italia e dal suo apparato amministrativo, un testo molto duro.
Si avvicina alla Lega Nord ed ad Umberto Bossi molto tardi, il 17 maggio 1990, ma tra i due scoppia subito l’intesa, grazie anche alla spinta che gli diede la moglie, fanatica leghista e vicina la pensiero bossiano. Subito il docente parlò di sette punti fondamentali su cui la Lega Lombarda-Lega Nord doveva poggiarsi, dal tenere compatto il partito al renderlo diverso rispetto agli altri, dal fare un’opposizione costruttiva allo scegliere sempre obiettivi semplici e chiari per gli elettori, controllando anche l’operato degli amministratori ed informare tutti sulle scelte politiche fatte. La Lega Lombarda come il nucleo di quella che sarà la Lega Nord.
Gianfranco Miglio era conscio del fatto che la Lega Nord avesse le carte in regola per modificare la Costituzione italiana in chiave federalista. Miglio, studioso di Carlo Cattaneo, sarà eletto senatore nelle legislature XI, XII e XIII.
L’ultima lo vede eletto nel neonato “Partito federalista”, sorto dopo il suo abbandono leghista del maggio 1994 (subito dopo l’inizio della legislatura 1994-1996), a seguito di un pesante scontro con Bossi sull’alleanza del partito con Forza Italia ed il Movimento Sociale Italiano, a suo avviso contrari al progetto leghista iniziale.
Rinfacciò a Bossi di aver usato il federalismo per raggiungere lo scopo finale, il potere. Bossi sostenne che il partito aveva fatto bene a coalizzarsi e che invece le invettive di Miglio erano dovute al fatto di volere il Ministero delle Riforme istituzionali, che invece andò a Speroni. Il professor Miglio morì nella sua Como nell’agosto 2001 all’età di 83 anni e nonostante il distacco da Bossi è ancora amato dalla base.


Conclusioni: fine del sogno?

A partire dalla nascita, la Lega Nord è passata dall’essere un semplice partito di nicchia, presente solo in poche amministrazioni, a nuova forza antisistema della Seconda repubblica nonché essere il partito ago della bilancia per i governi di cui è stata membro, si pose come punto di riferimento per gli elettori che vedevano i “palazzi” romani ed il centralismo romano un male.
Nei suoi (finora) ventitre anni di vita, la Lega Nord è stata la croce e la delizia della politica nostrana. “Croce” perché Bossi non è mai stato banale nelle sue uscite e ha espresso, spesso con modi fuori dalle righe e contestati (come il continuo vilipendio allo Stato ed al Tricolore), l’idea secessionista; “delizia” perché ha portato in auge un sentimento nuovo e mai affrontato seriamente da nessun politico, il federalismo, adottato come forma di governo in diversi paesi europei (Germania, Belgio, Svizzera) ed extraeuropei (Stati Unirti d’America, Brasile, Argentina).
Certamente il Partito ha avuto il “meglio” (elettoralmente parlando) quando si è presentato da solo alle competizioni elettorali, pagando il fatto di essere, a seconda di molti, succube dell’alleato più forte (che si presenta in tutta Italia e non solo in “Padania”), anche ingerendo diversi bocconi amari, tra gli ultimi quello del voto per il “lodo Alfano” (legge 124/2008, ex “Schifani”, per la sospensione di eventuali processi a carico delle quattro principali cariche dello Stato) in cambio di un’accelerazione per una nuova legge sull’immigrazione. Il più delle volte la Lega ha detto “si” alle logiche della coalizione ottenendo molto di meno di quanto richiesto all’inizio della “stipula” dell’alleanza.
La Lega Nord a Forza Italia prima ed il Popolo della Libertà poi non ha mai fatto mancare il suo appoggio (a parte il “ribaltone” del dicembre ’94), ma ha ricevuto meno di quanto ha dato e questo a molti elettori non è piaciuto.
Come se non bastasse, i fatti del 2012 hanno pesato non poco: tanti elettori si sono sentiti più traditi ora che rispetto alla mancata promessa della secessione o della devolution, in quanto secondo la base, con lo scandalo del “cerchio magico”, tanti hanno voltato le spalle al Partito, reo di essersi allontanato dai suoi principi fondanti ed essersi “seduto” ed aver pensato solo alle cadreghe.


Bibliografia essenziale

Barbacetto G.–Gomez P.–Travaglio M., Mani pulite. La vera storia, Editori Riuniti, Roma, 2002

Biorcio D., La rivincita del Nord : la Lega dalla contestazione al governo, Laterza, Roma-Bari, 2010

Bossi U., Il mio progetto, Sperling&Kupfer, Milano, 1998

Bossi U. - Vimercati D., Vento dal Nord: la mia Lega, la mia vita, Sperling&Kupfer, Milano, 1992

Comino D., Io sto con la Lega : il Nord all'assalto del Palazzo, Sintagma, Torino, 1996

Parenzo D. – Romano D., Romanzo padano. Da Bossi a Bossi. Storia della Lega, Sperling&Kupfer, 2008, Milano

Passalacqua G., Il vento della Padania. Storia della Lega Nord 1984-2009, Mondadori, 2009
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Articoli pubblicati da Simone Balocco e Paola Maggiora


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