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Gli Alleati sbarcano in Sicilia (parte 1)

di Tullio Marcon

PREMESSA
La definitiva conquista del potere aeromarittimo del Mediterraneo e l'ormai favorevole andamento delle operazioni in Africa Settentrionale, consentirono agli Alleati di prevedere, fin dall'autunno 1942, l'attacco all'Europa. LA CONFERENZA DI CASABLANCA, nel gennaio 1943, ne definì i termini, fissando come obbiettivo la Sicilia, poiché la sua conquista, nel rendere agevole la successiva invasione della penisola italiana, avrebbe consentito definitivamente il libero transito tra Gibilterra ed Egitto, isolando inoltre il Tirreno - tuttora sotto dominio italiano - dallo Jonio.
La scelta della Sicilia fu un compromesso tra diverse tendenze che prevedevano, invece, lo sbarco in Sardegna o nei Balcani, quale presupposto per l'attacco risolutivo al "basso ventre molle dell'Europa".
L'operazione, battezzata HUSKY, era la più ambiziosa tra quelle fino allora intraprese dagli Alleati e comprendenti, con vario successo, le Salomone, Dieppe ed il Nord Africa. La sua data, con notevole anticipazione, fu fissata per il 10 luglio 1943, in previsione di diversi fattori: conclusione della campagna africana entro il 30 aprile, raduno delle forze entro giugno, condizioni lunari più idonee per lo sbarco.
Tale data venne rispettata anche se, per la conclusione lievemente ritardata della campagna africana, si dovettero apportare modifiche ai piani di dettaglio.

PREVISIONI STRATEGICHE ED OPERATIVE
Le forze dell'Asse, dislocate in Sicilia, dovevano essere sopraffatte da quelle d'invasione, appoggiate il più possibile dall'aviazione. Ma affinché le forze d'invasione avessero potuto raggiungere la Sicilia nelle condizioni più favorevoli, bisognava che gli Alleati raggiungessero alcuni obbiettivi prioritari e cioè:
1) strangolamento della Sicilia mediante un'implacabile lotta al traffico marittimo da e per l'isola, in modo da impoverirne le riserve, fiaccarne il morale ed impedire l'afflusso di rinforzi;
2) indebolimento della residua squadra da battaglia italiana, in modo da precluderle qualsiasi intervento in difesa dell'isola;
3) conquista di Pantelleria e Linosa, per usufruire, insieme a Malta, di una serie di aeroporti prossimi alla Sicilia;
4) distruzione della caccia italo-tedesca sugli aeroporti dell'Italia meridionale e insulare, per assicurarsi il dominio dell'aria durante l'operazione.
Raggiunti tali risultati, lo sbarco avrebbe avuto luogo lungo le spiagge poste a settentrione ed a ponente di Capo Passero, in modo da assicurare una ragionevole protezione aerea con la caccia dislocata a Malta. I vantaggi di simile scelta apparvero preferibili ad altre soluzioni anche se poteva ipotizzarsi un intervento a massa delle difese lungo un unico settore di non eccessiva lunghezza.
Le forze sbarcate a sud di Siracusa avrebbero dovuto catturare questo porto, aggirare da terra la piazzaforte di Augusta, neutralizzandone le capacità difensive, raggiungere il porto di Catania e, usufruendo di tali infrastrutture, sbarcarvi gli ulteriori rinforzi per poter raggiungere Messina e concludere, così, la campagna. Le forze sbarcate sulle spiagge di Gela avrebbero avuto funzione di copertura rispetto alle prime, impegnando ed annientando le difese dislocate nella Sicilia centro-occidentale. Si riteneva possibile concludere le operazioni entro luglio, anche se a prezzo di rilevanti perdite umane.

LE FORZE CONTRAPPOSTE
In Sicilia aveva sede il Comando della 6a Armata (Gen. Guzzoni), sui Corpi XII e XVI, aventi rispettivamente alle dipendenze: le Divisioni di fanteria AOSTA e ASSIETTA nella Sicilia Occidentale e NAPOLI, con la LIVORNO di rincalzo, nella Sicilia Orientale. Le truppe costiere erano inquadrate nelle Div.202a, 207a e 208aper la Sicilia Occidentale e nelle Div. 206a e 213a, con le Brigate XVIII e XIX, per la Sicilia Orientale. Vi erano, inoltre, 16 tra Gruppi mobilie tattici muniti di mezzi corazzati e le tre Piazze Militari Marittime Augusta-Siracusa, Messina-Reggio Calabria e Trapani, con possibilità autonome di difesa, prima dell'intervento dell'Armata.
Vale notare che la densità media dello schieramento era di 36 uomini a Km, con armamento deficiente e limitate possibilità di spostamento per mancanza di automezzi. Le forze corazzate erano in gran parte costituite da poche decine di carri Renault R.35, di preda bellica.
Dal Comando 6a Armata dipendevano, inoltre, la 15a Div. Panzergrenadier SIZILIEN e la Div. corazzata HERMANN GOERING, giunta in Sicilia nel mese di giugno. Ambedue tali unità, frazionate in gruppi autonomi, fornivano la quasi totalità della massa corazzata, con oltre 160 carri; per quanto largamente motorizzate, necessitavano d'un certo tempo per gli spostamenti, tenuto conto della pesantezza del materiale (carri TIGRE) e delle limitazioni della rete viaria isolana. La Div. SIZILIEN era schierata tra il centro e l'occidente dell'isola, la GOERING gravitava sul versante orientale.
Complessivamente, il contingente terrestre italo-tedesco ammontava a circa 200.000 uomini impiegabili in combattimento, oltre alle unità territoriali.
In Sicilia, la Marina era ormai presente solo con una flottiglia di MAS e motosiluranti, dislocata a Trapani e forte di 18 unità. Analoga consistenza aveva la flottiglie E-Boote tedesca con base a Porto Empedocle. Tuttavia, nel campo delle unità insidiose, erano impiegabili subito una ventina si sommergibili italiani ed una decina di tedeschi, dislocati in vari porti dell'isola.
La squadra da battaglia italiana, dislocata a La Spezia e pronta all'intervento, era costituita dalle corazzate VITTORIO VENETO e LITTORIO (in attesa che la ROMA riparasse i danni subiti il 24 giugno), dagli incrociatori GARIBALDI, DUCA DEGLI ABRUZZI, EUGENIO DI SAVOIA, DUCA D'AOSTA e MONTECUCCOLI, con la scorta di 8 Cacciatorpediniere. Non conveniva tener conto del nucleo dislocato a Taranto (corazzate ANDREA DORIA e CAIO DUILIO, incrociatore CADORNA e 2 cacciatorpediniere), per difetto di personale addestrato e per la stessa vetustà del materiale.
In quanto all'aeronautica, i suoi reparti dislocati in Sicilia alla vigilia dell'invasione erano quasi tutti da caccia e comprendevano: il 4° Stormo sui Grp. 9° e 10° sugli aeroporti attorno a Catania (MC 202 e 205), il 3° Grp. a Comiso (ME 109), il 150° a Sciacca (ME 109), il 21° a Trapani (MC 202), con circa un centinaio di velivoli ed efficienza di 1/3. Più cospicua era la presenza germanica , con 4 gruppi da caccia e 3 da assalto e combattimento, per un totale di circa 220 velivoli dei tipi ME.109, ME.110, FW.190, HE.111, JU.88, oltre a trasporti , collegamento ed altri, tutti dipendenti dalla 2a Luftflotte.
Per l'intervento a massa, vi erano inoltre disponibili da parte italiana, 54 bombardieri, 22 tuffatori, 52 siluranti, 105 assaltatori e 241 caccia, tutti con efficienza ridotta, dislocati nell'Italia Centrale (3a Squadra), in Puglia e Calabria (4a Squadra) ed in Sardegna. I Tedeschi, tralasciando i reparti dislocati al Nord o in Provenza, avevano 5 gruppi da caccia tra Sardegna, Puglia e Calabria, 1 gruppo da caccia notturna nel Lazio, 4 gruppi da combattimento e d'assalto tra Sardegna, Lazio e Campania, 4 gruppi da bombardamento nel Lazio e nelle Puglie, per un complesso di circa 120 caccia, 100 assaltatori, 100 bombardieri, oltre alle altre specialità.
Volendo riassumere la consistenza numerica delle forze italo-tedesche in grado di opporsi all'invasione della Sicilia, si può far conto su: 200.000 uomini, 200 carri armati, 500 cannoni (escluse le difese fisse), 3 corazzate, 5 incrociatori, 8 cacciatorpediniere, 30 sommergibili, 40 MAS e motosiluranti, 500 aerei da caccia, 300 da assalto e bombardamento a tuffo, 150 da bombardamento e 50 siluranti. Quindi, escludendo l'Esercito, si avevano meno di 90 unità navali di tutti i tipi, e circa 1.000 aerei delle varie specialità.
La forza d'invasione alleata, comandata dal Gen. Eisenhower, si articolava su due Task Forces: la Eastern (Gen. Montgomery), comprendeva l'8a Armata britannica, sulle Div. di fanteria 5a, 50a e 51a inglesi, 1a di fanteria canadese e sulla Brigata di fanteria MALTA; la Western (Gen., Patton), comprendeva la 7a Armata americana, sulle Div. di fanteria 1a, 3a, 45a e sulla 2a Div. corazzata. Il contingente britannico, più numeroso, doveva sbarcare a sud di Siracusa e, secondo i piani, aveva il compito di conquistare Messina. Quello americano doveva servire di copertura, data la minore esperienza di combattimento delle truppe. In mare, ogni Task Force venne suddivisa in gruppi da sbarco, da appoggio e di riserva, con preponderanza britannica per le unità da battaglia e americana per i trasporti. Gli Inglesi misero a disposizione dell'operazione l'intera Mediterranean Fleet, comprendente le corazzate NELSON, RODNEY, KING GEORGE V, HOWE, VALIANT, e WARSPITE, le portaerei ILLUSTRIOUS, FORMIDABLE e INDOMITABLE, 11 incrociatori, 2 monitori, una sessantina di cacciatorpediniere ed una cinquantina di MTB e MGB. Da parte americana vi erano gli incrociatori PHILADELPHIA, BOISE, SAVANNAH, BROOKLYN e BIRMINGHAM, con una sessantina di cacciatorpediniere e una ventina di siluranti. Oltre a tali unità, vi erano decine di dragamine, cacciasommergibili e battelli ausiliari. Complessivamente le navi di tutti i tipi ammontavano a circa 2.600. Una cospicua aliquota delle forze britanniche doveva servire ad impegnare la squadra italiana, se fosse intervenuta. Le altre unità da battaglia, comprese quelle americane, dovevano servire per l'appoggio agli sbarchi.
Le forze aeree da impiegare nell'operazione vennero raggruppate nella Northwest African Air Force, a sua volta suddivisa in Desert Air Force, per gli inglesi e 12th Air Support Command per gli Americani. Essa comprendeva circa 4.000 velivoli di tutti i tipi, in prevalenza dislocati negli aeroporti tunisini e maltesi. Il nerbo della caccia era sugli SPITFIRE e su P-40: non mancavano i modelli più recenti, quali gli A-36 INVADERS, la versione C/B del MUSTANG, da impiegarsi per la prima volta.
Complessivamente, gli Alleati prevedevano di sbarcare 250.000 uomini, 8.000 mezzi corazzati, 1.500 cannoni e 15.000 autoveicoli.
Paragonando le forze contrapposte, ed anche volendo prescindere dal morale, dall'equipaggiamento individuale e dalle riserve, si vede come la supremazia degli Alleati, non eccessiva in uomini, lo diventa imperiosamente nei mezzi terrestri, navali e aerei.

PREPARAZIONE STRATEGICA
Già da parecchi mesi, i sommergibili ed i velivoli britannici montavano una guardia permanente alle coste siciliane, dando origine a quella che, giustamente, fu chiamata la "guerra alla barca". Non v'era natante, anche se piccolo, che non venisse attaccato dal cielo o dal mare, determinando uno stillicidio di perdite in naviglio e merci, tanto più grave in quanto il rimpiazzo diveniva impossibile.
Inoltre, l'aviazione batteva gli scali portuali e ferroviari, peggiorando le già scarsissime possibilità di trasporto da e per la Sicilia. Il risultato di questa azione fu che l'isola, già un paio di mesi prima dell'invasione , non poteva ricevere più di 1.000 tonn. giornaliere di generi di necessità, quando ne avrebbe necessitate almeno 4.000. Il disagio che ne derivò non investì solo la popolazione, ma anche le truppe, e fu una delle cause determinanti per il crollo del morale.
L'indebolimento della squadra navale italiana venne affidato ai bombardamenti aerei che, sin dal gennaio 1943, cominciavano a paralizzare l'intera penisola. Un attacco diurno su La Spezia, il 19 aprile, risparmiò le corazzate, affondando solo il cacciatorpediniere ALPINO. Ma il 6 giugno, di giorno, furono colpite tutte e tre le corazzate, anche se non gravemente, ed il 24 dello stesso mese, di notte, due bombe di piccolo calibro caddero sulla ROMA, ritardandone il rientro in squadra. Questi attacchi dimostrarono che non bastava più trasferire la squadra al nord, com'era avvenuto nel dicembre 1942 sotto l'incalzare dell'offesa. Ormai, solo una copertura aerea di prim'ordine - ma non era disponibile - avrebbe potuto proteggere le navi alla fonda. Frattanto, gli Alleati avevano sferrato l'attacco a Pantelleria; dall'8 maggio al 10 giugno, decine di aerei, senza interruzione, scaricarono sull'isola tonnellate d'esplosivo, annichilendo i difensori, oltreché la popolazione, rendendo precaria la situazione idrica ed alimentare. Al culmine dell'offensiva, il 10 giugno, nel corso di 44 attacchi, 1.040 velivoli sganciarono sull'isola 1.400 tonnellate di bombe. Seguì un bombardamento navale. In simili condizioni, la piazza dovette arrendersi l'11 giugno. Il giorno dopo cadde Lampedusa.
Infine, il 2 luglio, con un pesante attacco dei B-24 alle basi della Puglia, si iniziò l'offensiva finale contro la caccia italo-tedesca. Il 3 luglio vennero attaccati gli aeroporti della Sicilia Occidentale e della Sardegna, il 4, formazioni di un'ottantina di velivoli si accanirono contro quelli della Sicilia Orientale e, soprattutto, contro le numerose piste nella piana di Catania, distruggendovi 104 aerei al suolo il giorno 5 e impegnando talmente le difese antiaeree da far esaurire temporaneamente, il giorno 7, tutto il munizionamento da 90/53.
La caccia italiana si prodigò, eseguendo 212 sortite il 4 luglio, 165 il 5 e 95 il 6. Il Gen. Guzzoni sentì il bisogno di additare all'ammirazione dell'isola quei valorosi piloti che il proclama definì "prodighi si se stessi fino alle estreme possibilità". In pochi giorni essi erano riusciti ad abbattere 53 velivoli nemici, oltre ai 93 distrutti dalla Luftwaffe, e tutto ciò con la perdita complessiva di solo una quindicina di aerei. Ma non era bastato: al suolo giacevano i resti di alcune centinaia di aerei italo-tedeschi, tra cui i nuovi ME.109 che il 3° e il 150° Gruppo avevano ricevuto da poco.
L'8 luglio, dei 12 campi intorno a Gerbini, 7 risultavano distrutti da 1.400 tonnellate di bombe, insieme a quelli di Comiso e Palermo; Castelvetrano dovette venire abbandonato perché inservibile e rimasero in parziale efficienza quelli di Milo e Sciacca. L'offensiva alleata era stata realizzata con metodo: ogni aeroporto siciliano costituiva l'obbiettivo abituale di un gruppo di reparti che l'avevano attaccato più volte, costringendo gli aerei superstiti a trasferirsi su qualche pista risparmiata; quando su quest'ultima s'era raccolto un discreto numero di velivoli, ritenuti più al sicuro, la si attaccava a sua volta, distruggendoli.
Naturalmente, l'attacco agli aeroporti non impedì agli Alleati di battere i porti: così Messina e Reggio vennero bombardate ancora il 5 luglio, mentre Catania, per oltre 2 ore fu sconvolta l'8, con un centinaio di vittime tra la popolazione.
Al termine dell'offensiva, gli anglo-americani non negarono la perdita di 375 aerei di vario tipo. Ne era valsa la pena.

IL CONCENTRAMENTO DELLE FORZE
Il primo convoglio lento diretto in Africa, era salpato dalla Gran Bretagna il 23 giugno, seguito da altri più veloci in parte provenienti direttamente dagli Stati Uniti. Gradualmente, si spostavano verso occidente i mezzi da sbarco con i contingenti britannici dislocati in Palestina, Egitto e Libia.
Il concentramento dei trasporti e delle unità da guerra americane si completò entro il 4 luglio tra Orano ed Algeri, mentre il naviglio minore si attestava a Tunisi e Biserta o Malta per gli Inglesi.
Sugli aeroporti di Kairouan, in Tunisia, affluivano i trasporti e gli alianti aggregati alla 1a Brigata AIRBORNE britannica ed all'82a Div. Aerotrasportata americano. Tra Malta, Gozo e Pantelleria erano schierati i caccia, in circa 700 unità. La N.A.A.F. raggiunse, alla fine, la prevista forza di 110 squadrons britannici e 132 americani, dei vari tipi.
Nella pianificazione della HUSKY, il fattore sorpresa era stato tenuto in gran conto: si voleva che l'Asse non indovinasse il vero obbiettivo dello sbarco o, almeno, che permanesse l'indecisione su quale sarebbe stata la sponda attaccata. Così, vi furono crociere delle unità da battaglia a sud della Sardegna e della Grecia, uno sbarco di commandos a Creta nella notte sul 5 luglio e, addirittura, una finta verso la Norvegia l'8 luglio.
Effettivamente, negli alti comandi dell'Asse sorse il dubbio di uno sbarco in Sardegna o sulle coste siculo-occidentali, dubbio destinato a perdurare anche dopo il 10 luglio. Chi non errò nella previsione fu il Comando della 6a Armata che dai rapporti della ricognizione, da una certa attività notturna tra Gela e Licata per il probabile sminamento di tali settori, dall'infruttuoso tentativo di sbarco di alcuni commandos ad Avola poco prima del 10 luglio e, soprattutto, da una competente valutazione strategica, indovinò tanto i luoghi, quanto la data dello sbarco.
Il 5 luglio salpò verso levante il convoglio da Orano, destinato a sbarcare a Scoglitti; il 6 luglio, al traverso di Algeri, esso venne raggiunto dal convoglio per Gela. Al mattino dell'8, le avanguardie dei convogli inglesi giunsero nel canale che era stato dragato presso Capo Bon. E finalmente, nel corso della giornata, le forze provenienti da levante e ponente si riunirono 50 miglia a sud di Malta e navigarono affiancate verso la Sicilia.
Di fronte alle spiagge di sbarco attendevano già, immersi, i sommergibili britannici SAFARI, SHAKESPEARE, SERAPH, UNRIVALLED, UNISON, UNSEEN e UNRUFFLED; altri 6, con due polacchi, erano in agguato tra Messina e Taranto
. LA VIGILIA La mattina del 9 luglio trascorse insolitamente silenziosa e priva di eventi in tutta la Sicilia. Con il passar delle ore, andò crescendo un improvviso vento di maestrale che, soffiando fino a 35 nodi, gonfiò il Canale di Sicilia facendo ritenere possibile al Gen. Guzzoni, un rinvio dello sbarco. Effettivamente, la navigazione della flotta d'invasione procedeva con fatica, mettendo in gravi difficoltà i piccoli mezzi da sbarco. Ma Eisenhower aveva dato l'ordine di proseguire e l'armata non muta rotta, trovando dinnanzi a sé solo la furia degli elementi.
Nel pomeriggio, mentre le Task Forces andavano separandosi tra oriente e occidente, la situazione precipita in Sicilia: alle 18,00 venne duramente attaccata Caltanissetta, erroneamente ritenuta sede del Comando della 6a Armata; poi, 400 aerei attaccarono con le bombe Siracusa, Palazzolo, Agrigento, Catania, Porto Empedocle, mentre 18 squadrons da caccia mitragliavano le piste di Pachino, Gela e Licata.
Alle 18,30, aerei della 2a Luftflotte avvistarono 6 convogli in rotta verso Capo Passero e Gela. Alle 19,30, veniva dato l'allarme alla Sicilia, informandone il Comando Supremo a Roma. Qui, Supermarina ordinò alla squadra navale di tenersi pronta all'accensione rapida, mentre alle motosiluranti della Sicilia veniva impartito l'ordine di approntarsi a salpare in mezz'ora; i sommergibili ARGO, BRIN, ACCIAIO, BRONZO, FLUTTO, VELELLA e BEILUL, vennero diretti verso la costa siculo-orientale, insieme a quelli tedeschi. La flottiglia E-Boote, trasferitasi da Porto Empedocle ad Augusta per i bombardamenti, fu parimenti posta in allarme.
Il Superaereo aveva già preparato un piano per il rafforzamento della Sicilia e della 4a Squadra. Vi diede esecuzione immediata, ordinando il trasferimento al sud dei seguenti reparti: in Sicilia, una squadriglia per ognuno dei Gruppi 22° (8 R.E.2005) e 103° (6 JU 87) e degli Stormi 3° (8 MC.202) e 51° (10 MC.205); un Gruppo del 15° Stormo d'assalto (15 CR.42) nel territorio della 4a Squadra, il 5° Stormo d'assalto (32 RE.2002), il 159° Stormo ed una sqd. del 158° Gruppo (19 G.50), una sqd. del 103° Gruppo (8 JU.87), una del 43° Stormo BT (11 SM.84) ed il 121° Gruppo (14 JU.87). Alla difesa della Sicilia contribuiva già il 161° Gruppo con una decina di MC.202., dislocato a Reggio Calabria e provato al pari degli altri reparti.
I piani alleati prevedevano, prima dell'ora H, l'esecuzione di aviosbarchi, per catturare il ponte Grande, a sud si Siracusa, ed il nodo stradale di Piano Lupo, ad est di Gela; la prima operazione era affidata agli aliantisti britannici, la seconda ai paracadutisti americani.
Alle 18,45 decollarono dalla Tunisia 120 CG-4 ed 8 HORSA, al traino di 109 C-47, 7 HALIFAX e, per la prima volta in tale ruolo, 12 ALBEMARLE, con a bordo circa 1.200 uomini della 1a Brigata AIRBORNE. Alle 20,10 decollava da Kairouan il primo di 222 C-47 che, in due scaglioni, dovevano trasportare 3.400 paracadutisti dell'82a Divisione.
Mentre questi velivoli procedevano bassi sul Canale di Sicilia, in preda alle raffiche del maestrale che metteva a dura prova la poca esperienza di molti piloti, le unità da battaglia alleate raggiunsero le prefisse posizioni e, con il favore del buio, aprirono alle 20,00 il tiro sulle spiagge, contemporaneamente agli attacchi aerei. Iniziarono per primi gli Inglesi, battendo le difese a sud di Siracusa e, per diversione, Catania e le strade limitrofe. Dall'alto gli HURRICANE del 73° Sqd. provvedevano a distruggere le fotoelettriche. Seguirono gli Americani, tirando su Licata dalle 23,30 in poi.
Frattanto, i convogli ed i mezzi da sbarco avevano dato fondo a 10 miglia dalla costa, attendendo l'ora H, fissata per 02,45 del 10 luglio. Alle 22,40 vi fu un primo attacco della 205a Sqd. Aerosiluranti della Sardegna, con risultati che non poterono accertarsi. Comunque, le maggiori difficoltà fino allora incontrate dalle navi, provenivano dalle condizioni atmosferiche che, però, non impedirono il previsto schieramento davanti alle spiagge: a Cassibile, la 5a Div. con elementi di commandos, ad Avola la 50a Div., la 51a Div., la 1a Canadese e al 231a Brigata MALTA sulla penisola di Pachino, la 45a Div. a Scoglitti, la 1a Div. a Gela, la 3a Div. a Licata e la 2a Div. corazzata tra le due spiagge.
Gli sbarchi venivano ad interessare un fronte di 133 Km, sui quali erano schierati 7 battaglione mezzo delle div. costiere 206a 2 207a della XVIII Brigata, con 21 batterie ed un treno armato. Prima dell'intervento delle truppe e dei mezzi d'Armata, la difesa impossibile delle spiagge confidava su un velo di 36 uomini per Km!

LO SBARCO
Intorno alle 22,30, solo 54 alianti (dei 128 decollati) iniziarono ad atterrare in Sicilia e non più di 12 in prossimità dell'obbiettivo. Degli altri, 25 erano tornati in Africa non avendo individuato la costa, ed i rimanenti erano caduti in acqua, facendo si che il fallimento si tramutasse in tragedia. Non diversa fu la sorte dei paracadutisti dell'82a Div., che vennero lanciati intorno alla mezzanotte, in punti che distavano anche 200 Km dall'obbiettivo, per grossolani errori di navigazione. La difesa abbatté 7 aerei, le navi alleate uno.
Tutto sommato, una settantina di uomini si diresse verso Ponte Grande e circa 200 verso Piano Lupo. Tuttavia, la dispersione dei lanci servì involontariamente a confondere le prime valutazioni della 6a Armata sui reali obbiettivi dell'azione.
Alle 02,00, i primi commandos presero terra a sud di Siracusa per sabotare le batterie e finalmente, rispettando l'ora H, ebbe inizio lo sbarco a Gela e Licata. Il maestrale era cessato, ma il mare tuttora mosso mise in difficoltà i natanti più piccoli (LCVP), decine dei quali si traversarono, finirono sugli scogli, affondarono. Proprio a causa del mare, gli sbarchi a Scoglitti iniziarono alle 03,45, ad Avola e Cassibile alle 04,00, sulla penisola di Pachino dalle 04,20 alle 05,00. Malgrado numerose difficoltà, le collisioni nel buio furono limitatissime: la più notevole rimanendo quella tra i Cacciatorpediniere americani ROE e SWANSON davanti a Licata e per cui ambedue dovettero rientrare a Malta.
Gli sbarchi avvenivano con il continuo, determinante appoggio del tiro navale, che contribuì largamente a distruggere le difese. Gli attacchi aerei, iniziatisi all'alba, intralciarono i piani in misura trascurabile. Già intorno alle 07,30, gli invasori potevano considerarsi solidamente attesati sulle spiagge o, addirittura, in condizioni di avanzare verso Licata, Vittoria e Siracusa che, infatti, cadevano alle 14,00, alle 16,00 e alle 21,00 dello stesso giorno. Dove si registrarono notevoli difficoltà fu, invece, a Gela, sia per la resistenza delle unità costiere, sia per il tempestivo intervento del Gruppo mobile e del XVI Corpo d'Armata. Qui, all'imbrunire, la 1a Div. USA fu costretta a ripiegare sulla spiaggia, malgrado il cospicuo appoggio navale.
Complessivamente, la prima fase dell'HUSKY poteva dirsi riuscita; infatti, a parte i risultati a terra, le perdite subite per opera dell'aviazione risultavano irrilevanti rispetto alla quantità dei mezzi impiegati. E sembrava che la squadra italiana non sarebbe stata impiegata, come invece si era temuto. In effetti, nel corso della giornata, Supermarina aveva avuto la possibilità di valutare a fondo la situazione, decidendo per il non intervento in massa. Fu osservato che ben difficilmente le navi avrebbero potuto coprire le 25 ore di navigazione che separano La Spezia da Augusta, senza venire tempestivamente avvistate, attaccate da aerei e sommergibili; né la protezione aerea di una ventina di caccia con 100 Km di autonomia dei vari aeroporti lungo la rotta, poteva apparire sufficiente garanzia. E comunque, anche se giunta indenne sulla costa siculo-orientale, la nostra squadra sarebbe stata in nette condizioni d'inferiorità, malgrado qualunque azione spinta al limite dell'estremo sacrificio, comportando la perdita certa di navi che - si pensava - potevano ancora usarsi in condizioni più vantaggiose.
Pertanto, il contrasto navale venne affidato solo ai mezzi insidiosi: il gruppo siluranti della Sicilia, che in giornata si era trasferito da Trapani a Messina, gli E-Boote germanici, fatti confluire a Messina da Palermo e Salerno, i 15 sommergibili italiani (sui 25 già pronti) e gli 8 tedeschi (sui 15 già pronti), parte dei quali, già in agguato nel Tirreno, vennero inviati nello Jonio. In merito alle distruzioni delle basi e dei porti in Sicilia, erano state predisposte quelle di Gela, Licata, Porto Empedocle, Sciacca, Trapani e Marsala (quest'ultima già dal 7 luglio), in quanto Supermarina si attendeva lo sbarco a occidente. Di conseguenza, rimasero intatte alcune attrezzature portuali a Siracusa ed Augusta.
Il 10 luglio vide impiegate quasi tutte le unità navali alleate di grosso tonnellaggio. Sulla costa siculo-orientale agirono, dalle 03,25, le corazzate NELSON, RODNEY, VALIANT e WARSPITE, con gli incrociatori ed il monitore EREBUS; solo la HOWE e la KING GERORGE V rimasero al largo con le portaerei, in attesa della squadra italiana.
Gli incrociatori ed i cacciatorpediniere americani furono ancora più impegnati, rispondendo a numerose richieste che, spesso, si riferivano ad obbiettivi puntiformi. Dalle 03,45 il PHILADELPHIA tirò su Scoglitti, il SAVANNAH ed il BOISE su Gela allo stesso orario, ed il BROOKLYN su Licata dalle 04,40. Particolarmente intensa fu l'azione del BOISE contro i carri R.35 del Gruppo E, su cui caddero 572 colpi, dalle 08,30 alle 11,00, allorquando intervenne anche il SAVANNAH. Pesanti furono, nel corso della giornata le perdite dei biplani Curtiss SOC, imbarcati sugli incrociatori e addetti all'osservazione del tiro: ne vennero abbattuti 9 dalla caccia avversaria, appartenenti al SAVANNAH, al BOISE e al PHILADELPHIA.
Il primo attacco aereo del 10 luglio venne condotto sulle spiagge di Licata alle 04,10 da 13 CZ.1007 del Raggr. BT di Perugia, con la perdita di 4 velivoli. Nel settore di Scoglitti il primo attacco aereo ebbe luogo alle 04,24, in quello di Gela alle 04,58 - con l'immediato affondamento del cacciatorpediniere USS MADDOX (1.700 tonn.) - ed in quello di Avola alle 10,10 ad opera di 10 G.50 del 159° Grp. che subirono la perdita di 3 velivoli. Per tutta la giornata, i bombardamenti in quota o in picchiata ed i mitragliamenti si susseguirono, trovando scarsa opposizione da parte della caccia alleata - per motivi di autonomia - ma fortissima reazione della contraerea. Dopo l'imbrunire, le spiagge vennero protette dai caccia notturni MOSQUITO del 23° Sqd.ne e BEAUFIGHTER del 108° Sqd.ne.
Nel corso della giornata, oltre al già citato MADDOX, gli Alleati perdettero ad opera dell'aviazione , il dragamine USS SENTINEL (700 tonn.) nel settore di Licata alla 10,45 e la LST-313 nel settore di Gela alle 18,24; inoltre vennero colpite gravemente la LST-312 e 3 navi trasporto nel settore britannico.
Quasi certamente, gli affondamenti furono ad opera di aerei tedeschi.

LA CONTROFFENSIVA ITALIANA
La giornata dell'11 luglio fu caratterizzata dai vigorosi contrattacchi sferrati dalla 6a Armata in varie direzioni, mentre permaneva il dubbio su possibilità di altri sbarchi nella Sicilia occidentale.
Il contrattacco su Siracusa venne condotto, lungo la costa, dal gruppo SCHMALTZ della Div. GOERING e, dall'interno, dalla colonna Ronco della Div. NAPOLI. Ambedue fallirono lo scopo, non solo per la supremazia terrestre dell'8a Armata ma, soprattutto, per l'efficacia dell'appoggio aeronavale nemico. Dopo una giornata di combattimenti, gli Inglesi erano riusciti a tenere le posizioni o ad avanzare in qualche settore.
Il contrattacco su Gela ebbe per protagonisti i fanti della Div. LIVORNO, sulla sinistra, ed i carri della Div. GOERING sulla destra della città. L'azione dei carri fu tardiva e, soprattutto, ostacolata fortemente dal tiro navale, che li costrinse a ripiegare con gravi perdite.
Ciò malgrado, la Div. LIVORNO attaccò a lungo e con tale accanimento da indurre Patton a non escludere il reimbarco della 1a Div. USA. Ma anche qui fu determinante il tiro navale che stroncò l'azione della LIVORNO, infliggendole perdite gravissime. Infine, nel settore di Licata, i bersaglieri ed i semoventi del XVI Corpo d'Armata, con l'appoggio del gruppo NEAPEL della Div. SIZILIEN, tentarono inutilmente di rioccupare Licata, ma strapparono all'avversario solo Palma di Montechiaro. Tuttavia, sotto gli attacchi aerei e la pressione di numerosi mezzi corazzati, dovettero ripiegare alla sera sulla rotabile di Canicattì, abbandonando quest'ultima posizione nella notte, a causa della ritirata del gruppo NEAPEL.
Il settore ove gli Alleati poterono progredire senza grandi difficoltà fu quello compreso tra Scoglitti e Pachino. Nel corso della giornata la 45a Div. USA occupò Vittoria, Comiso e Ragusa e la 1a Div. canadese entrò a Modica.
Molto importante fu la riattivazione dell'aeroporto di Pachino, sul quale si posò per primo uno SPITFIRE del 72° Sqd.ne a corto di carburante. Gli Americani, per impadronirsi di quello di Ponte Olivo, a nord di Gela, eseguirono una nuova azione d'aviosbarco, con risultati disastrosi.
L'11 luglio registrò un'estesa attività aeronavale da ambo le parti. Nel settore britannico, l'incrociatore NEWFOUNDLAND e 2 cacciatorpediniere tirarono su Pozzallo alle prime ore del giorno. In quello americano, il contrasto all'azione nemica ebbe inizio alle 09,15 ad opera dell'incrociatore BOISE, cui si unì il SAVANNAH, insieme a numerosi cacciatorpediniere, Al termine dell'azione di fuoco, che fu determinante per stroncare in contrattacco della LIVORNO e della GOERING, le navi avevano sparato ben 3.494 granate di grosso calibro. Dopo le 18,00 il BOISE allungò il tiro su Niscemi e l'aeroporto. Nel corso della mattina, l'appoggio fu fornito anche alle truppe avanzanti su Comiso.
Il primo sommergibile a giungere nelle acque siciliane fu l'ARGO, che alle 11,50 lanciò contro ad un incrociatore britannico e si disimpegnò rientrando a Taranto. Anche il VELELLA dovette dirigere su Taranto, vittima di un'avaria. Il FLUTTO ebbe, invece, sorte peggiore: mentre navigava emerso, venne avvistato e silurato 25 miglia al largo di Catania dalle MS 77, 81 ed 84. Affondò con l'intero equipaggio. Nello stesso pomeriggi, le MGB 640, 651 e 670 affondarono nel golfo di Catania un dragamine ausiliario. Le azioni aeree d'appoggio alle truppe, compresero mitragliamenti a nord di Siracusa, tanto da parte italiana, con i G.50, quanto da parte alleata, sul gruppo SCHMALTZ e sulla colonna Ronco. Alle 18,00 gli americani bombardarono pesantemente Canicattì, ove s'erano attestate le truppe italiane reduci dall'attacco a Licata.
Ma l'aviazione italo-tedesca agì soprattutto sulle spiagge o in mare aperto, mettendo a dura prova - nel corso di tutta la giornata - le difese contraeree nemiche, cui si deve se i danni furono limitati. Nel settore britannico, nelle prime ore del giorno fu colpito il ct. HMS ESKIMO, sede di comando; ebbe vittime ed un incendio. Poi, durante la giornata, affondarono due navi LIBERTY, la nave ospedale TALAMBA e la porta munizioni BAARN, saltata in aria al largo di Avola, verso le 12,00. Vennero gravemente danneggiate la nave ospedale DORSETSHIRE, 2 LIBERTY, un'ausiliaria olandese ed il trasporto J.C.CANNON. Nel settore americano , che fu il più provato, un primo attacco di 12 CZ.1007 della Sardegna colpì, incendiandolo, il trasporto BARNETT e ne danneggiò altri due, il DICKMAN e l'ORIZABA, Alle 14,45 una quarantina di aerei tedeschi causò a Gela la perdita della porta munizioni ROBERT ROWAN, saltata in aria. Sulle spiagge di Licata venne incendiata la LST-158 e fu colpita la LST-327. Al termine della giornata, sulle spiagge americane gli sbarcati contarono almeno 500 sortite dell'aviazione italo-tedesca. Diversi attacchi in picchiata furono portati a motore spento. Mentre alle 22,40 stava cessando l'ultimo attacco aereo, iniziatosi alle 21,50, si appressavano a Gela i 44 C-47, decollati da Kairouan, in Tunisia, alle 19,00 con a bordo i 2.000 paracadutisti della 82a Div. diretti all'aeroporto di Ponte Olivo. Per un comprensibile equivoco, non nuovo su altri fronti, l'intera flotta alleata aprì il fuoco sui DAKOTA, ritenendoli una nuova ondata di aerei tedeschi. Ben 23 aerei, con 410 uomini vennero abbattuti e dei superstiti, la metà fu colpita, con il ferimento di altri 229 uomini. Per difetto d'informazione , anche alcuni contingenti americani a terra spararono sui paracadutisti.
Il risultato di questo nuovo fallimento fu la mancata occupazione dell'aeroporto, e la sospensione di nuovi aviosbarchi.

Nell'immagine, il generale Alfredo Guzzoni, comandante della VI Armata in Sicilia.


Articolo tratto da n°82 del mese di ottobre del 1971 della rivista Interconair Aviazione e Marina.
Documento inserito il: 27/08/2017
  • TAG: seconda guerra mondiale, sicilia, sbarco, alleati, luftflotte, uboot, regio esercito, wehrmacht

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